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Autore: Breathless    24/05/2022    0 recensioni
[…] Italia si chiese da quanti anni avesse quelle fattezze.
«Hey Germania, quando sei nato?»
Stavolta il tedesco girò tutta la testa verso di lui.
Il significato della parola “nascita” per le nazioni, era un po’ diverso rispetto a quello convenzionale.
«Nel 1814, con la fondazione della Confederazione Germanica» disse meccanicamente.
«E che aspetto avevi quando sei nato?»
Un’ occhiata interrogativa tardò di qualche secondo la risposta; non si sarebbe mai del tutto abituato alle stranezze altrui. […]

________
[GerIta]
Il rapporto fra Italia e Germania raccontato durante gli eventi storici dell’ultimo secolo.
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bonn – 13 Agosto 1961
 
«Cosa ci fai qui, Italia?»
«Hai detto che non ti sentivi bene, quindi sono venuto a controllare.»
«Ti ho detto anche che non avevo bisogno di aiuto»
«Ma ero preoccupato, di solito non stai mai male. E oramai sono arrivato fino a qui, vuoi lasciarmi fuori casa?»
Germania fece un lungo sospiro e si scostò dalla porta, permettendo che Italia entrasse con il sacchetto che si era portato appresso. Sapeva che discutere non sarebbe servito a nulla e non ne aveva neanche le forze. Sperò solo che non facesse troppo casino, almeno per quel giorno. Chiuse il chiavistello e si trascinò lentamente verso il divano, abbandonandosi su di esso privo di qualunque energia. Come se non bastasse faceva caldo, il sole di quel pomeriggio d’Agosto batteva senza pietà attraverso il cielo terso. Indossava pantaloni di lino leggeri e una maglia a maniche corte, umida di sudore e appiccicata al petto.
«Come ti senti?» domandò Italia passeggiando nel soggiorno e guardandosi distrattamente attorno.
«Debole, ho gambe e braccia pesanti e faccio fatica a muovermi. È come se avessi il corpo intorpidito.»
«È per colpa di quello che sta succedendo a Berlino?»
«È probabile»
«Ho saputo che ieri notte hanno diviso la città con il filo spinato. Che cosa è venuto in mente a Russia?»
«Forse vuole costruire un muro. A lui e ai suoi capi non è mai piaciuto che la popolazione passasse dalla parte est a quella ovest tramite il settore occidentale di Berlino.» spiegò socchiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. Gli era venuto anche mal di testa «Speravo che la divisione da mio fratello fosse una cosa momentanea e che presto ci saremmo riunificati. E invece…» fece l’ennesimo sospiro e poi riaprì gli occhi. Una delle sue sopracciglia bionde si inarcò «Che cosa stai facendo?»
Italia indossava un semplice jeans e delle All Star che tanto andavano di moda. O meglio, li aveva addosso poco prima, visto che adesso giacevano disordinatamente per terra accanto a lui.
«Mi metto comodo» rispose con tono distratto, tutto preso a slacciare i bottoni della camicia gialla a maniche corte che gli copriva la parte superiore del corpo. «Tanto rimarrò qui a dormire stanotte» decretò gettando all’aria anche quell’ultimo indumento. Ovviamente aveva deciso tutto da solo, senza pensare di interpellarlo.
Germania sprofondò ulteriormente fra i cuscini. Senza forze com’era, non era in grado di contenere Italia e sapeva che avrebbe dovuto subire passivamente qualunque sua trovata.
«…vuoi che ti presti dei vestiti?» ci provò perlomeno.
«No sto bene così, fa caldo.» Era rimasto con solo un paio di boxer a righe addosso. Il fisico di Italia era snello, le forme appena accennate dei muscoli si intravedevano sotto la pelle brunita dal sole estivo. La vita e fianchi stretti contrastavano con le spalle più larghe, ma proporzionate all’altezza, conferendo al corpo una tipica forma maschile a V. Sul petto campeggiava la croce di ferro che Germania gli aveva regalato più di vent’anni prima, quando strinsero il patto d’acciaio. Aveva un’aria vissuta ed era graffiata in qualche punto, ma la superficie smaltata brillava, segno che se ne prendesse cura.
«Hai fame? Ho portato da mangiare» Italia sollevò il sacchetto che aveva con sé, rivelandone il contenuto a base dei generi alimentari più disparati, tutti del proprio paese.
Il tedesco si rese conto solo in quel momento che lo stomaco gorgogliava.
«Ero troppo stanco per preparare il pranzo oggi» bofonchiò senza rispondere direttamente alla domanda. Ma a Italia non serviva altro per capire e fece uno dei suoi sorrisi allegri e spontanei.
«Allora tu stenditi sul divano e riposa, al resto penso io.» rispose trotterellando verso la cucina.
Oramai aveva preparato così tante volte da mangiare a casa sua, che conosceva l’ubicazione di pentole e stoviglie meglio di lui. E su questo aveva la garanzia che avrebbe fatto un buon lavoro: Italia era sempre stato bravo a cucinare. Si stese sul divano e portò un braccio a schermare le palpebre, socchiudendole in preda alla spossatezza.
 
Capì di essersi addormentato solo quando si ridestò, tempo dopo. Doveva essere trascorsa almeno un’ora o due. Il sole stava gettando gli ultimi bagliori rossastri oltre le tende, la luce nel salotto si era fatta calda e soffusa.
Dalla cucina proveniva un sommesso rumore di stoviglie e il leggero sfrigolio di una padella sul fuoco, in sottofondo la radio diffondeva un brano dalle note leggere. Un odore invitante si era diffuso nell’aria e gli accarezzava le narici. L’atmosfera era piacevolmente pacata, quasi sospesa, come se stesse ancora sognando.
La assaporò in silenzio, rilassato sul divano, fino a quando non sentì il passo leggero di Italia avvicinarsi e una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla per ridestarlo.
«Germania, è pronto» Il sonno gli aveva fatto recuperare un po’ le forze. Lo raggiunse in cucina poco dopo, mentre stava sfornando una teglia fumante di lasagne. Ma, come da tradizione italiana, quello era solo il primo. Sui fornelli stava finendo di cuocere l’ossobuco, che avrebbe servito come secondo.
Aveva temuto che l’italiano gli avrebbe reso più difficoltosa la degenza, e invece lentamente si accorse che stava accadendo il contrario: Dal momento in cui si sedette sulla sedia, non si accorse quasi del trascorrere del tempo. Mangiarono e chiacchierarono a lungo in salotto, con la televisione a fargli da sottofondo. Una serata tranquilla, che distolse l’attenzione sulla propria condizione e lo spinse a concentrarsi solo su di lui e sui suoi voli pindarici.
Si accorse che era ora di andare a letto, solo quando la stanchezza si abbatté su di lui più prepotentemente del solito. Non provò neanche a chiedergli se voleva dormire nella camera degli ospiti. Tanto sapeva già come sarebbe andata a finire.
 
Si era steso sul materasso dal suo lato preferito, quando vide con la coda dell’occhio Italia varcare la soglia della stanza e richiudere la porta dietro di sé. Distolse lo sguardo, poiché sapeva benissimo che anche l’ultima parte del suo vestiario –ovvero i boxer– era stata rimossa. Non si era ancora abituato alla sua abitudine di dormire nudo, perfino in sua presenza. La cosa gli procurava non poco imbarazzo perché si trovava a non sapere più bene in quale punto guardare. Si trovò a domandarsi se lo facesse indistintamente con chiunque dormisse e in quanti lo avessero visto così. Ma aggrottò le sopracciglia non appena si rese conto di aver fatto quel pensiero. Non erano affari suoi. O forse preferiva semplicemente non saperlo.
«Sei arrabbiato?»
Percepì il peso di Italia adagiarsi sul letto accanto a lui. L’espressione che aveva assunto non era passata inosservata. L’odore del bagnoschiuma che l’altro aveva utilizzato per lavarsi, lo investì.
«No, mi è solo passato per la testa un pensiero stupido» commentò affrettandosi a mettere su una faccia neutra e voltandosi finalmente su di lui. Stava a pancia in giù, la testa appoggiata al cuscino che teneva di traverso, fra le braccia. Gli venne istintivo sollevare il lenzuolo e coprirgli la parte inferiore del corpo. Italia non protestò, una luce vispa negli occhi.
«Ti stai dando tanto da fare negli ultimi tempi, vero? Ho saputo che la tua economia è esplosa» commentò il castano sollevando i piedi sotto il lenzuolo e finendo per scoprire la parte bassa della schiena.
«È normale amministrazione per me. Prussia mi ha abituato a lavorare in questo modo fin da che ho ricordi» disse schiarendosi appena la voce; non voleva dargli l’impressione che si stesse vantando.
«Allora è così che sei, quando non fai la guerra.» Italia fece una breve pausa e sorrise sornione «Mi piace.»
Sentì un vago rossore affiorare sulle guance, percependo una sensazione di piacevole imbarazzo per il complimento appena ricevuto.
«Anche tu ti stai dando molto da fare» borbottò sollevando la mano per andare ad appoggiarla sui capelli dell’italiano, ancora un po’ umidi per la doccia. Li spettinò un po’. «Anche se fai un po’ troppe pause per i miei gusti»
Il castano rise divertito.
«Non posso farci nulla, lavorare è davvero sfiancante.»
«Allora è meglio se ti ci mettiamo a dormire ora» cercava di non dare a vedere la sua debolezza, ma era davvero distrutto e agognava una lunga notte di riposo.
«Sissignore» replicò l’italiano in quell’automatismo militaresco che oramai aveva assunto sfumature giocose. «Buonanotte»
«Notte» mormorò spegnendo la luce e andando a coricarsi supino.
Ben presto gli occhi si abituarono al buio e, guardando accanto a sé, riuscì a scorgere la sagoma di Italia illuminata fiocamente dalla luce che filtrava dalle persiane. Aveva già chiuso le palpebre, ne udì il respiro leggero, ma lento e regolare.
Si trovò a pensare che lo aveva sempre sottovalutato. Troppo a lungo si era soffermato su un singolo lato di lui, quello pigro e indisciplinato, che odiava la guerra e i combattimenti. Ma più passava il tempo più si rendeva conto che Italia, invece, riusciva benissimo in tutte quelle cose belle che la vita ha da offrire. E lo trovò un gran pregio.
Forse era la stanchezza a parlare al posto suo, ma non si era pentito di avergli permesso di restare. Ben presto l’immagine di Italia si sgretolò, andando a mescolarsi con le figure oniriche prodotte dal proprio inconscio.
 
Gli sembrò fosse passato un attimo da quando aveva chiuso gli occhi, e invece era già mattina. Mise qualche secondo a destarsi del tutto, poi ruotò gli occhi chiari di lato pensando di trovare Italia. Al suo posto giaceva solo il cuscino e il lenzuolo stropicciato. Era raro che si svegliasse prima di lui e, unitamente al fatto che il sole era già alto nel cielo, arrivò alla conclusione che doveva essere molto tardi.
Si mise a sedere con uno sbadiglio, sollevando entrambe le braccia per stiracchiarsi. Il mal di testa era passato e anche la pesantezza muscolare era alleviata. Ma non avrebbe saputo dire se stesse veramente meglio, o si fosse solamente abituato a quella nuova condizione.
Cercò di ricomporsi, alzandosi e andando a pettinare all’indietro i ciuffi biondi che gli cadevano disordinatamente sulla fronte per poi recuperare dall’armadio dei vestiti puliti.
La prima cosa che sentì quando uscì dalla stanza, fu la voce di Italia canticchiare una canzone allegra ma di cui faticava a distinguere le parole. Doveva essere uno dei suoi tanti dialetti; dalla cadenza sembrava provenire dalle parti di Romano. Ma era un canto piacevole e intonato, un’altra delle cose che era bravo a fare. Non si accorse della sua presenza e Germania evitò di entrare nel salotto e richiamare la sua attenzione, si limitò semplicemente a sbirciarlo dal corridoio.
Si era rimesso i boxer ed era intento a ripulire il piano della cucina. I vestiti precedentemente gettati all’aria, erano piegati e messi da parte; guardando fugacemente il lavello notò che era la pila di piatti sporchi abbandonata la sera precedente, era scomparsa.
Tornò a posare gli occhi sulla figura di Italia, assorto nel canto e nelle pulizie, chiedendosi dove avesse imparato a fare quest’ultime. E all’improvviso sentì una fitta di nostalgia attraversarlo. Una sensazione dapprima acuta, ma che si stemperò in un languore sempre più sfumato. Non seppe spiegare razionalmente cosa fosse successo. Aveva la certezza di conoscere la risposta, solo che non riusciva in nessun modo ad afferrarla. Scavò senza successo nella memoria, alla ricerca di ricordi simili. Non gli sembrava che ci fosse nulla per poter giustificare un emozione così forte.
La cosa lo confuse non poco. Ma il flusso dei pensieri venne interrotto dalla voce di Italia, che si era accorto di lui.
«Buongiorno!» esclamò gioviale e galoppò verso di lui per buttargli le braccia al collo, salutandolo con un abbraccio come di consueto. Il tedesco attutì l’urto e cercò istintivamente di contenere il suo entusiasmo. Alzò la destra a battere un paio di volte sulla sua spalla, segno che lo stava ricambiando. «Come ti senti oggi, Germania?»
«Un po’ meglio» borbottò ancora un po’ frastornato dalle sensazioni precedenti.
«Bene! Ti ho preparato la colazione» gli fece sapere facendo cenno alla cucina e sciogliendo l’abbraccio. «…anche se io ho già mangiato. Non ho resistito, avevo troppa fame.» ammise poco dopo con un’espressione vagamente colpevole per non averlo aspettato. Germania scrollò la testa, come a dire che non era importante.
«Non sapevo che fossi capace di fare le pulizie» Buttò lì con aria disinteressata, per raccogliere qualche indizio. Era frustrante non capire cosa fosse successo. Il castano ovviamente non colse doppi fini.
«Quando ero piccolo ho trascorso molti di anni nella casa di Austria; aiutavo Ungheria a fare le faccende domestiche.» gli raccontò «E mi tocca farle anche adesso. Ogni volta che Romano ci prova, distrugge qualcosa.»
Niente. Non gli venne in mente assolutamente nulla. Lasciò cadere il discorso, seppur le sopracciglia rimasero aggrottate. Appena si sedette a tavola, venne distratto dall’odore della colazione che Italia gli mise davanti.
Il castano sapeva che preferiva il salato appena sveglio, quindi aveva preparato una colazione tedesca a base di uova strapazzate, caffè amaro e Pretzel da condire con burro e affettato.
Un’ altra delle tante piccole cose che aveva fatto per lui da quando si era presentato, il giorno precedente. Ancora una volta venne colpito da quella sensazione piacevole e fu la goccia che fece traboccare il vaso; c’era troppo da elaborare per il suo cervello.
«Italia!» esclamò con un tono secco e imperioso. Il castano sobbalzò guardandolo confuso, non sapendo dove aveva sbagliato ma temendo che lo stesse per sgridare.
«Qualsiasi cosa abbia fatto non volevo, mi dispiace!» si affettò a dire con una nota di panico nella voce, un riflesso pavloviano derivante dai tempi della guerra.
Il tedesco era rigido, le mani serrate attorno alle posate, la fronte accigliata e lo sguardo fisso sul prosciutto che aveva nel piatto. Se Prussia avesse potuto vedere quell’assurdo tentativo di trattenere, sarebbe scoppiato a ridere di gusto.
Germania fece un profondo respiro.
«Ti va di rimanere a dormire anche stanotte?!?» esclamò tutto d’un fiato. Sembrava più un comando che un invito.
Italia lo fissò stralunato, impiegando qualche secondo ad elaborare la frase. Germania, nonostante cominciasse a rendersi conto di sembrare stupido, non osò muovere un muscolo in attesa di una risposta. Finalmente Italia capì e, lentamente, si rilassò. Curvò verso l’alto gli angoli della bocca, sempre di più, andando a contagiare le guance e infine gli occhi. Una risata allegra e divertita proruppe dalle labbra e sembrò saturare l’intero spazio della cucina.
La risposta positiva si poteva leggere chiaramente sul volto, ancor prima che la esprimesse a parole. 


Riferimenti storici:
 
  • Inizialmente, quando furono istituite le due Germanie nel 1949, i tedeschi pensavano sarebbe stata una soluzione transitoria e che presto la nazione sarebbe stata nuovamente unita.
  • Nella notte fra il 12 e il 13 Agosto 1961, i sovietici separarono senza nessun preavviso la parte occidentale di Berlino da quella orientale, utilizzando del filo spinato. Pochi giorni dopo cominciò la costruzione del muro vero e proprio.
  • Fra gli anni 50’ e 60’ l’economia della Germania Ovest ebbe un rapido sviluppo che venne definito dai giornali dell’epoca Wirtschaftswunder ovvero “miracolo economico”.
  
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