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Autore: ArielSixx    24/05/2022    0 recensioni
In una società post-moderna in cui guerre e carestie dilagano una società segreta porta avanti dei misteriosi esperimenti utilizzando dei ragazzi come cavie. Selena è una di loro e si ritroverà per necessità ad avere a che fare con un esperimento che cambierà per sempre le sorti della sua vita.
Genere: Fantasy, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Brividi mi percorrono il corpo facendo largo a una strana sensazione di benessere, potrei aver dormito per ore. Impegno ancora qualche minuto per svegliarmi del tutto, così finalmente riesco a guardarmi intorno. L’arredamento è semplice: vi sono solo un armadio e una scrivania dall’aspetto piuttosto trasandato, le pareti a loro volta sono contornate a uno spesso alone di muffa soprattutto lungo i bordi del soffitto. Deve avermi portata qui quella strana donna quando mi sono sentita male – penso tra me e me – e solo adesso mi rendo davvero conto di dove mi trovo.

“Oh, merda!” esclamo, ma nessuno può realmente sentirmi.

Da quanto tempo sono qui? Non vi è neanche l’ombra di un orologio e ovviamente i cellulari non sono un lusso che possiamo più permetterci. La confusione e il caldo all’interno della locanda mi hanno sicuramente dato alla testa e in più non ho neanche un motivo valido per trovarmi qui, se non la mia implacabile curiosità.

Decido che è meglio alzarmi e dare un’occhiata in giro, devo capire se posso permettermi di uscire o se è già troppo tardi. Nonostante l’aspetto trasandato questo posto sembra di gran lunga più accogliente dei luoghi austeri e asettici in cui ho trascorso tutte le mie ultime notti. La maniglia della porta si abbassa subito e – stranamente – tiro un sospiro di sollievo... l’idea di poter essere prigioniera mi era già passata per la mente. Mi ritrovo subito su di un lungo corridoio piuttosto angusto, oltre la ringhiera alla mia sinistra arrivano le voci provenienti dal piano di sotto; se i miei calcoli non sono errati c’è ancora troppa confusione per essere già notte poiché dubito che così tante persone abbiano la possibilità di fermarsi qui nelle ore successive al suono delle sirene. Alla mia destra, invece, vi sono una serie di porte tutte uguali sulle quali al posto dei numeri si vedono ormai poco in evidenza i disegni di alcuni animali. Uno strano modo per contrassegnare le camere.

Mi dirigo a passo svelto verso la rampa di scale alla fine del corridoio convinta che uscire di qui sia la soluzione più pratica e veloce all’ennesimo disastro degli ultimi giorni, quando qualcosa cattura improvvisamente la mia attenzione. Da una delle porte semi-aperte si intravede l’interno di una camera dove un uomo girato di spalle è intento a rimettersi la camicia. Qualcosa in quel volto mi è familiare e ricordo di aver incrociato il suo sguardo giusto poco prima di perdere conoscenza. Il tatuaggio che porta impresso sul volto non lo fa di certo passare inosservato e devo sostare per qualche attimo davanti la soglia della porta per capire bene di cosa si tratta: un assurdo camaleonte dalle sfumature nere e violacee che parte dallo zigomo e termina all’angolo della bocca. Chissà che anche questo non sia l’ennesimo esperimento di qualche folle scienziato, d’altronde perché qualcuno dovrebbe scegliere di farsi qualcosa del genere di propria volontà.

“Non ti hanno mai detto che esiste una cosa chiamata privacy?”, lo sento pronunciare senza neanche bisogno che si giri a guardarmi.

“Di solito la gente chiude le porte” ribatto, tremendamente imbarazzata per essere stata colta sul fatto.

“Questo non ti dà il diritto di curiosarci dentro”, ribadisce.

“Non stavo curiosando” rispondo di scatto, senza neanche pensarci su.

“A me sembrava proprio tutto il contrario” dice, girandosi e lasciando intravedere ogni particolare del volto.

Di tutta risposta giro lo sguardo dall’altro lato, ancora appoggiata allo stipite della porta. Il rumore di passi su per le scale mi salva da quella strana situazione quando la donna di poco prima imbocca il corridoio, il suo sguardo si posa su di me e in men che non si dica me la ritrovo subito accanto. Questa volta mi basta solo, più astutamente, guardarla per sapere ogni cosa di lei.

“Come ti senti tesoro? Va meglio? Ci hai fatti preoccupare”, mi chiede.

Abbasso la testa in segno affermativo, ancora intontita.

“Sì, grazie”, è l’unica cosa che riesco a dire.

“Coraggio vieni a prendere qualcosa da bere, ti farà bene” dice, trascinandomi con sé al piano di sotto.

L’atmosfera è pressoché identica a quella precedente, ma questa volta scansiamo la folla per arrivare direttamente al bancone. Mi accomodo su di uno degli sgabelli stranamente non in pelle ma in velluto. Non ero mai stata in una vera locanda prima d’ora.

“Sidro di mele?” mi chiede, come se sapessi di cosa si tratta.

Acconsento, d’altronde non può davvero andare peggio di così. Il bicchiere che mi piazza davanti ha la forma di uno stivale e mi ci vuole tutta la buona volontà che posseggo per non scoppiare a ridere, eppure contro tutte le mie aspettative il contenuto al suo interno è davvero buono; il retrogusto è proprio quello di mele, ma con un tocco frizzante e molto dolce. Mi chiedo dove sono stata tutti questi anni senza scoprire mai certe cose. D'altronde, nella mia vecchia vita, una bevanda del genere sarebbe proprio considerata cosa per poveri.

“Vedo che ti piace”, dice Roxy.

“È davvero buono” le rispondo, con un’espressione soddisfatta sul volto.

“Ne sono contenta” dice, mentre continua indaffarata a servire tutti gli altri clienti.

A guardarla così dimostra appena una ventina d’anni e gli abiti che indossa le donerebbero di più se non fosse per la polvere che li ricopre, chissà se è lei la proprietaria o quali sacrifici deve fare per mantenersi quel posto... nella sua cartella non vi è nulla a riguardo.

“Posso chiederti che ore sono?” le chiedo, ricordandomi improvvisamente della cosa più importante.

“Le 15:30”, risponde.

Menomale, è passata solo mezza giornata e ho ancora diverse ore a disposizione.

“Ora devo andare in magazzino, ma tu resta pure. Se vuoi puoi farti leggere le carte, costa solo un dollaro e Talia non ne sbaglia mai una”, mi dice.

Resto un’altra buona mezz’ora a sorseggiare l’ultimo quarto del mio bicchiere, non credo di potermene permettere un altro e non sono ancora del tutto convinta di andare via. Quando il bicchiere è ormai finito mi pervade una sensazione di sconforto, forse è per questo che posti del genere sono sempre pieni... entrare è facile e uscirne troppo difficile. A tutti gli effetti anche l’idea di farmi leggere le carte non sembra poi così male, nonostante io non abbia mai creduto a questo genere di cose. Così mi ritrovo davanti l’ingresso di uno stanzino dove un buttafuori dal completo verde rappezzato scambia il mio dollaro con un gettone color bronzo, più una formalità che una vera necessità. Probabilmente la necessità di un gettone rende il tutto ancora più interessante anche se sappiano bene che a fine giornata l’unico valore effettivo sarà quello dei dollari guadagnati, compreso il mio che ne varrà del pranzo e della cena di oggi.

   
 
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