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Autore: Roberto Turati    24/05/2022    1 recensioni
Una storia che dedico a Maya Patch, mia amica e mentore.
 
Per capire del tutto questa storia del mio AU, è meglio se leggete la storia di Maya, prima di questa.
Mentre la tribù dei Difensori si sta ancora riprendendo dall'assedio dei Teschi Rossi, Aurora attende con impazienza il ritorno di Lex da Ragnarok per poter continuare ad indagare con lui sugli indizi sparsi per l'Isola. Tuttavia, fa una scoperta inaspettata: rinviene un antico oggetto portato nel mondo delle Arche da un'altra dimensione. Studiandolo, scopre il luogo d'origine del suo defunto proprietario: ARK, l'isola preistorica.
 
Aurora e Lex vi si perderanno loro malgrado. Saranno in grado di trovare un modo per ritornare sulle Arche, nonostante tutti gli ostacoli che ARK riserva per loro?
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Era la mattina del giorno prestabilito per il secondo lavoro per Jonas. Lex aspettava che Aurora lo raggiungesse all’ingresso del villaggio degli Alberi Eterni; teneva le braccia conserte e la schiena adagiata contro il fianco di un orso dal muso corto che Drof gli aveva dato per l’incarico. Perché ovviamente, come notava irritato il biondo, i fratelli Braddock non facevano nulla per facilitargli le loro richieste già rognose. Dopo una decina di minuti di attesa, sentì la voce di Aurora che lo chiamava:

«Eccomi, Lex»

La rossa arrivò a cavallo di un deinonico. Lex riconobbe l’esemplare dai colori e dalle decorazioni sulla sella e sorrise: era la cavalcatura di Aisapsa. Gli faceva davvero piacere che Drof e i suoi amici fossero così generosi.

«La domatrice ti ha dato il suo pezzo forte, eh?» commentò, con un sorrisetto.

Aurora ammiccò:

«Ho voluto cavalcare questi raptor morbidosi da quando li ho visti per la prima volta»

«Ti capisco. Aspetta solo un secondo, voglio dare un’ultima occhiata all’equipaggiamento. Solo per sicurezza»

«Va bene»

Lex si accertò di aver affilato la spada che aveva scelto come arma per quella missione, poi chiese ad Aurora, che portava un arco a tracolla, di contare le frecce nella sua faretra. Non sapevano come sarebbe stato, se il misterioso ladro di petrolio si fosse fatto vivo, ma Lex confidava che così bastasse, al pensiero che avrebbero avuto un intero contingente. Alla fine, soddisfatto, esortò:

«Bene, possiamo andare. Jonas ha segnato sulla cartina dove ci aspetta la sua carovana»

Detto questo, montò sull’orso e lo spronò. I due sopravvissuti si addentrarono nella foresta di sequoie, diretti a Sud.

Lex e Aurora giunsero al punto di incontro: una macchia di giovani sequoie abbattute in mezzo alle quali si trovavano alcuni pozzi di petrolio, in riva a una sorgente nel fondo di una delle gole della Grande Foresta. Vi trovarono un po’ di fermento: numerosi uomini sporchi di greggio erano indaffarati a riempirne una gran quantità di barili, per poi trasportarli e caricarli su un grosso carro a cui erano legati due rinoceronti lanosi. Altri animali aspettavano con pazienza di partire, adagiati intorno al carro. Lex osservò le cavalcature lì presenti: vide cinque fororaci, quattro parasauri, tre stegosauri e un terizinosauro.

«C’è un bel po’ di creature» commentò Aurora.

Lex serrò le labbra, poco convinto:

«In tutta onestà, mi aspettavo di meglio. Per forza ai Braddock rubano sempre i carichi»

I due sopravvissuti si avvicinarono e attirarono l’attenzione della carovana. I fororaci si alzarono, si scrollarono la polvere dalle piume e si avvicinarono al deinonico. Lo circondarono e presero a dargli occhiate curiose, mentre si scambiavano gracchi insicuri. Il deinonico emise un soffio minatorio, ma si rilassò quando i fororaci fecero un passo indietro. Nel frattempo, uno dei carovanieri, un uomo abbronzato con le spalle larghe e i capelli scuri, si avvicinò a Lex e lo salutò con un musicale accento portoghese:

«Salve. Jonas ci aveva detto che sarebbero venuti un uomo biondo e una ragazza rossa ad aiutarci per questa consegna. Mi chiamo Bartolomeu»

«Piacere, Lex» rispose il sopravvissuto.

«Aurora» sorrise la rossa.

Il Portoghese si voltò e chiamò i suoi compagni a gran voce:

«Ehi, gente, venite a salutare i nostri protettori! Per gentile concessione di Jonas» disse, sarcastico.

Tutti i suoi colleghi interruppero le loro mansioni e si avvicinarono per presentarsi. Alcuni salutarono, altri fecero un cenno, altri ancora li guardarono in cagnesco. Lex squadrò i vari carovanieri che avrebbe dovuto difendere: in totale, erano sette naufraghi di provenienze diverse e altrettanti Arkiani. Mentre li guardava, Lex notò varie differenze nei loro modi di vestire; Drof non era sceso nei dettagli, quando gliene aveva parlato, ma gli aveva spiegato che poteva distinguere la tribù di provenienza di ogni Arkiano dal suo abbigliamento. Incuriosito, non perse occasione di chiedere ai sette nativi a quali tribù appartenevano. Erano quattro Rocce Nere, una Freccia Dorata come Drof e Acceber, un Piede Sabbioso e uno Squalo Dipinto.

«Piacere di conoscervi tutti!» sorrise Aurora, raggiante.

I quattordici carovanieri ricambiarono il saluto, più o meno allegramente. Dopo i convenevoli, Bartolomeu batté le mani e tornò a esclamare ordini:

«Forza, forza, muoviamoci! La scorta che ci avevano promesso è arrivata, ora non si perde più tempo! Tiriamo su il resto del petrolio e partiamo»

Il Portoghese aiutò il resto del gruppo a caricare i barili. Intanto, le quattro Rocce Nere si avvicinarono agli uccelli del terrore e li richiamarono; li misero in fila accanto ai rinoceronti e montarono in sella. Aurora, allora, decise di posizionarsi col deinonico dall’altro lato, affiancata dallo Squalo Dipinto. Lex attese in groppa all’orso, finché un ragazzo asiatico non annunciò che era tutto pronto, dopo aver legato la catasta di barili assieme a un uomo che sembrava provenire da qualche arcipelago del Pacifico. Un Arabo dai lunghi baffi e il turbante bianco prese posto come cocchiere. Bartolomeu salì in groppa a uno degli stegosauri e ordinò:

«Forza, si parte! Tutti al villaggio delle Rocce Nere!»

La carovana iniziò la sua lenta marcia. Lex doveva ammettere di essere incuriosito da quel gruppo così variegato. Voleva saperne di più, perciò decise di affiancare l’orso allo stegosauro di Bartolomeu e fargli qualche domanda durante il tragitto.

«Insomma, sono intrappolato qui, in mezzo a belve diaboliche sputate dall’inferno e costretto a lavorare per due arroganti, ma è sempre meglio che stare su una nave, senza sapere se rivedrai mai la terraferma!»

Bartolomeu aveva appena finito di raccontare la sua storia a Lex, mentre la carovana attraversava le Piane Gioiose seguendo la costa occidentale dell’isola. Il biondo aveva iniziato la conversazione: gli aveva chiesto da dove veniva e come era arrivato su ARK. Il racconto era stato persino più interessante del previsto: infatti, Bartolomeu era un marinaio della flotta di Magellano e, a causa di un naufragio, era finito sull’isola durante la circumnavigazione del globo. Il Portoghese era un narratore così coinvolgente che Lex non si era nemmeno accorto di quanta strada avessero fatto, finché non finì l’aneddoto. Diede una rapida occhiata ad Aurora: la rossa stava conversando in tranquillità con gli Arkiani del gruppo, i fantini dei fororaci; parlavano a bassa voce, quindi non distingueva le parole. Il Tedesco decise di continuare a chiacchierare coi naufraghi:

«E voialtri come siete arrivati qui? Alcuni di voi mi intrigano – ammise – Tu, per esempio. Cosa ti è successo?» chiese all’Arabo.

Il cocchiere incitò i rinoceronti lanosi, che stavano rallentando il passo, prima di rispondergli:

«Mi chiamo Aziz; sono il più fidato esploratore e studioso di creature esotiche del mio sultano»

«Che anno è, per te?»

«È il 364, per il mio calendario»

«D’accordo. Come sei arrivato qui? Dall’Arabia al Pacifico, è un lungo viaggio»

Aziz rispose annuendo a occhi chiusi e labbra serrate, con fare comprensivo. Si lisciò i baffi e rispose:

«Hai proprio ragione: sono partito dalla mia terra ben quattordici anni fa. Ho viaggiato sempre più a Est, senza voltarmi indietro: avevo promesso al sultano di portare nel suo serraglio delle creature che nessuno aveva mai visto prima e non mi sarei fermato finché non ci fossi riuscito. Tuttavia, non importava quanto mi addentrassi nell’Oriente, ogni animale che osservavo aveva un’aria familiare, dai rinoceronti alle scimmie. Così, quando ho trovato il grande oceano, sono partito in cerca di nuove terre»

Lex fece un sorrisetto, divertito dall’ironia della sorte:

«Che dire, di certo qui hai trovato quello che volevi»

«Molto più delle mie fantasie più sfrenate! Ma non posso portare nessuno di questi mostri al sultano. Forse, ormai, crede che sia morto»

«Mi dispiace per la tua missione. Almeno puoi studiare creature che non avresti mai immaginato»

«Mi sono messo il cuore in pace»

A quel punto, Lex si rivolse al ragazzo giapponese:

«Qual è la tua storia, invece? Come ti chiami?»

Lo stegosauro del giovane nipponico borbottò e si voltò per guardare il padrone. Questi infilò una mano in una borsa appesa alla sella e gli offrì una carota. Rispose a Lex mentre l’erbivoro sgranocchiava l’ortaggio:

«Il mio nome è Ikko. Ero un pilota durante la guerra: combattevo in aereo contro gli Americani. Un giorno, una tempesta mi ha fatto precipitare e sono caduto qui»

Detto ciò, si affrettò a richiudersi nel suo silenzio. Il Giapponese era forse il più riservato del gruppo: non diceva niente finché non era chiamato in causa e, se lo interpellavano, diceva solo l’essenziale. A malapena guardava gli altri negli occhi: chinava lo sguardo quasi subito.

«Capisco. Vedo che le tempeste hanno fatto un brutto scherzo a molti di voi» commentò Lex.

«Sì, anche a me» gli rispose il Filippino.

Il biondo si voltò e lo guardò, interessato a sentire un altro racconto. L’uomo bronzeo capì dal suo sguardo che aspettava di sentire la sua storia, quindi lo accontentò:

«Non mi è successo niente di speciale: mentre pescavo, l’oceano ha deciso di mandarmi una burrasca e ora sono qui. Per fortuna, a casa non c’è nessuno ad aspettare che ritorni»

«Qual è il tuo nome?»

«Tereroa»

Mancavano solo gli ultimi naufraghi della carovana: tre uomini bianchi sudici e all’apparenza ubriachi. Per tutto il viaggio, avevano parlato più che altro fra di loro e poco di quello che dicevano sembrava avere senso. Lex non era proprio convinto che valesse la pena di rivolgere la parola a degli individui come quelli, perciò stava per lasciar perdere. Tuttavia, Bartolomeu li chiamò e chiese loro di raccontare a Lex anche la loro storia. Per tutta risposta, uno dei tre gli mostrò il dito medio e i suoi due compagni scoppiarono a ridere. A quel punto, si batterono pacche sulla spalla e condivisero una damigiana di vino.

«Rozzi, sporchi, volgari topi» si lamentò Aziz, a denti stretti.

«Dopo questo lavoro, Jonas li manderà via come gli ho chiesto, o ci penserò io – affermò Bartolomeu – Lex, se vuoi ti spiego io da dove vengono. Non che sia importante»

«Sono solo dei galli che starnazzano» disse Tereroa, tra sé e sé.

Lex osservò i tre ubriaconi ridere e canticchiare, infastidito e costretto ad accettare che, a quanto pareva, in ogni singola richiesta dei fratelli Braddock doveva esserci qualche seccatura. A un certo punto, alzarono il tono così tanto che i loro parasauri si voltarono stupiti e Aurora smise di conversare con gli Arkiani per lanciare loro una rapida occhiata interdetta. Alla fine, il biondo sospirò e fece spallucce:

«Perché no? Raccontami pure»

Bartolomeu, allora, si schiarì la voce e spiegò:

«Quello a sinistra è Tucker, quello in mezzo è Eli e il terzo è Mason. Ma, in tutta onestà, non so davvero chi è chi: sono sempre così ubriachi che a volte si confondono tra loro! E poi, a momenti non li si vede in faccia, sporchi come sono sempre»

«Perché mai Jonas e Bob dovrebbero farli lavorare per loro?» chiese Lex, davvero curioso di saperlo.

Il marinaio portoghese fece spallucce:

«Nulla di più semplice: sono forzuti e fanno tutto quello che gli dici senza protestare, finché gli offri da bere. Te lo giuro: basta una damigiana di sidro e quei tre potrebbero portare un barile pieno in capo al mondo a piedi!»

Lex non trattenne una lieve risata e si concesse una battuta:

«Però! Perché domare un triceratopo, quando ci sono quei tre e gli alcolici? È perfetto»

Tutti gli altri risero di gusto, prima che Bartolomeu continuasse:

«Comunque, sono dei balenieri da Seattle. Un capodoglio ha distrutto la loro barca mentre lo arpionavano; fra tutta la ciurma, solo loro sono arrivati qui vivi»

«D’accordo»

Bartolomeu aprì bocca per aggiungere altro, ma a quel punto la conversazione fra Lex e i naufraghi fu interrotta da Aurora:

«Ehi, Lex, laggiù inizia un boschetto. Mi sembra di vedere un fiume» avvisò la rossa.

Aurora e gli Arkiani indicarono davanti alla carovana e il biondo guardò: a un centinaio di metri da loro, iniziava una zona acquitrinosa in riva all’oceano. Lex si aggrappò saldamente all’orso e gli ordinò di rizzarsi in piedi. Quando l’orso si alzò, il Tedesco diede un’occhiata migliore ai dintorni: la vasta e tranquilla distesa erbosa delle Piane Gioiose cedeva il posto a una macchia di salici e mangrovie, attraversata da una rete di canali stagnanti che formavano un intricato delta, in riva all’oceano. Conosceva quel punto, dalle sue visite alle Arche: faceva parte della foce del grande fiume al centro delle Isole di Cristallo. Su ARK, stando alle sue chiacchierate con Drof, si chiamava “l’Arteria d’Acqua”.

«Eh sì, siamo arrivati al guado» disse Tereroa.

«Questa è la parte più fastidiosa del viaggio, ma non c’è problema: andremo nel punto più facile da guadare e saremo dall’altra parte in men che non si dica» rassicurò Bartolomeu.

Lex era contento di quella notizia: se c’era una costante fra le Arche, era che gli acquitrini erano sempre posti molto sgradevoli; restarci più del dovuto portava solo a grandi rotture, se non vere minacce.

«Bene, allora andiamo. Fate strada, ragazzi»


Aurora aveva approfittato del tragitto per farsi spiegare alcuni dettagli sulla civiltà degli Arkiani dai fantini degli uccelli del terrore, che erano delle Rocce Nere. Tuttavia, non le dispiaceva neanche godersi il paesaggio: per una volta che stava facendo una traversata sicura con un gruppo numeroso, voleva osservare bene i dintorni senza temere qualche predatore. Seguire la costa nelle Piane Gioiose le dava una sensazione rilassante: da un lato, c’era l’immensa distesa blu dell’oceano; dall’altra, la vastità delle praterie disseminate di betulle e cristalli bianco-rosati. Avrebbe tanto voluto farci una passeggiata in serenità, senza pensare a niente. Dopo tutte le sventure che le erano capitate finora, era bello avere una missione tranquilla.

Quando raggiunsero la foce dell’Arteria d’Acqua, la magia sparì. La pianura cedé il posto a boschetti di salici che cospargevano le rive dei rigagnoli stagnanti di quel delta, che invece erano disseminati di mangrovie dove l’acqua era più bassa. Aurora non sapeva perché, ma quel posto la metteva a disagio. Voleva superare quel posto il più in fretta possibile, soprattutto dopo che uno dei compagni arkiani le mormorò che quella foce era territorio di barionici e sarcosuchi.

Per fortuna, Bartolomeu disse che avrebbe indicato alla carovana dov’era meglio attraversare. Il gruppo iniziò a guadare i canali nei punti in cui i loro letti erano meno profondi; siccome dovevano raggiungere il punto più adatto a ogni guado, procedevano a zig-zag e la loro avanzata era lentissima. Ogni volta, lei e gli Arkiani coi fororaci attraversavano per primi, seguiti da Lex con l’orso e dal terizinosauro. I parasauri guadavano dopo di loro e i due rinoceronti col carro del petrolio erano i prossimi. Gli stegosauri passavano per ultimi. Ogni volta, era necessario fare attenzione che le ruote non si incastrassero nella fanghiglia o che non urtassero una roccia sul fondale, quindi la procedura rallentava ancora di più.

Nel pomeriggio inoltrato, raggiunsero il canale più ampio del delta. Dalla riva, Aurora riusciva a capire che era abbastanza profondo, a giudicare da quanto era lontana la sponda opposta. Quella volta, furono costretti a seguire la corrente fino alla costa: l’acqua si abbassava subito prima che il fiumiciattolo entrasse nel mare. Doveva essere comunque piuttosto alta, perché la rossa non riusciva a vedere il fondo.

«Bene, gente, questo è l’ultimo sforzo – annunciò Bartolomeu – Dopo questo canale, la Conca Sanguigna sarà in vista!»

«Perfetto. Aurora, vuoi procedere?» la esortò Lex.

La rossa non era del tutto convinta, ma annuì comunque, a labbra serrate. Chiese alle Rocce Nere di starle davanti e loro acconsentirono. I fororaci iniziarono ad attraversare, un po’ camminando sul fondo con le punte degli artigli, un po’ nuotando facendo scattare i colli avanti e indietro come anatre. Il deinonico emise un lieve ringhio: non sembrava contento di guadare lì. Aurora sorrise e gli accarezzò le piume, per confortarlo:

«Coraggio, bello, solo un ultimo bagno»

Il deinonicò chiuse gli occhi e pigolò, felice per la carezza. Tuttavia, quando la rossa lo spronò coi talloni, prese a osservare il boschetto col collo teso e lo sguardo vigile. Iniziò a ringhiare più forte e a sibilare.

«Ehi, cosa ti prende?» chiese la ragazza.

«Sembra allarmato» disse Aziz.

«Forse ha fiutato qualcosa in mezzo alle piante» ipotizzò Tereroa.

Aurora rivolse uno sguardo interrogativo a Lex, che fece un’espressione preoccupata.

«Dev’esserci qualcosa che lo allarma, qui vicino. Un motivo in più per muoverci. Vengo con te» si offrì.

La rossa non sapeva ancora se era il caso di preoccuparsi, ma fu comunque sollevata per essere affiancata dal suo amico. Il deinonico e l’orso guadarono insieme, anche se il plantigrado arrivò dall’altra parte molto più in fretta e senza fatica. Alla fine, con uno sforzo notevole, il deinonico raggiunse l’altra riva e iniziò a pettinarsi le penne con gli artigli.

«Va bene, adesso tocca a voi» disse Lex.

Bartolomeu annuì e spronò la sua cavalcatura. I parasauri e il terizinosauro fecero per entrare nel canale, ma tutte le bestie si innervosirono di colpo. Cominciarono a fare versi agitati e si voltarono verso l’entroterra. Aurora guardò nella direzione in cui erano girate e vide che l’acqua profonda al centro del canale si stava agitando. Di lì a poco, un’enorme sagoma emerse in superficie. Apparve un gigantesco coccodrillo, persino molto più grosso di un sarcosuco. Era sellato e sul suo dorso era sdraiato un uomo, aggrappato alle redini.

«Un coccodrillo gigante!» esclamò una delle Rocce Nere.

Il colossale rettile acquatico si fermò al centro del guado e bloccò il passaggio alla carovana. Voltò il capo verso i rinoceronti e aprì la bocca; emise un gravissimo gorgoglio, con la gola che pulsava. Il suo padrone si alzò in piedi e si voltò verso il carro, coi pugni sui fianchi. A gran voce, in tono presuntuoso, esclamò:

«Voi, Arkiani che vi siete abbassati a lavorare per due schiavisti!»

Mentre lo diceva, si girava di continuo verso l’uno e l’altro gruppo, guardando i membri arkiani della carovana. Con un’espressione sdegnosa, continuò:

«Questo è il vostro unico avvertimento: se avete uno straccio di amor proprio, scendete dalle vostre bestie, andate via da qui e raccontate che i fratelli Braddock sono stati puniti ancora una volta! Se rifiutate, sarete dei traditori della vostra isola e non meriterete pietà!»

Aurora lo guardò in faccia: era alto e atletico; aveva gli occhi verdi, i capelli rasati a zero e un paio di folti baffoni che gli scendevano sui lati della bocca. Al collo e ai polsi aveva bracciali e una collana pieni di ami da pesca in osso, segno che era uno Squalo Dipinto. Lex lo sfidò:

«E tu chi saresti, per dire parole così grosse?»

Lo sconosciuto rimase interdetto e chinò lo sguardo, come se stesse cercando le parole giuste per rispondere. Ma ritrovò subito la spavalderia e ribatté:

«Uno che protegge ARK dalla corruzione! Adesso parlo a voi, stranieri: questo petrolio è sequestrato, e anche voi! Vi ordino di inginocchiarvi tutti davanti a me con le mani alzate, o sarete ingoiati vivi! Sono stato chiaro?»

Aurora e Lex si scambiarono uno sguardo d’intesa: sapevano già cosa fare. Jonas li aveva ingaggiati per fare i conti col ladro di petrolio e il colpevole si era fatto vivo. Dovevano solo occuparsene, adesso. Quindi il biondo fece un cenno agli altri membri del gruppo, sia quelli al suo fianco, sia quelli dall’altra riva. Aurora si aspettava che qualcuno rispondesse a tono al ladro o che lo insultasse; o, ancora peggio, che la situazione precipitasse subito con l’inizio di uno scontro. Lex prese la parola:

«Ascolta, cerchiamo di ragionare»

Lo sconosciuto lo fissò, alzò un sopracciglio e scoppiò a ridere:

«Ahahaha! Davvero? Pensi di farmi cambiare idea?»

Lex spronò l’orso coi talloni e la sua bestia, con fare cauto, fece alcuni passi avanti; avanzò nel canale, senza perdere d’occhio le fauci aperte del coccodrillo gigante. Lex rispose, calmo:

«No, cerco di evitare che qualcuno si faccia male. Il tuo deinosuco potrà ferire qualcuno, ma sei pur sempre da solo: quanto pensi di riuscire a fare, prima che ti fermiamo?»

«Sei curioso di scoprirlo?» lo provocò l’altro.

Aurora si sentiva sempre più nervosa: più Lex si avvicinava al coccodrillo gigante, più era certa che stava per succedere qualcosa. Il suo deinonico sembrò accorgersi della sua ansia, perché si agitò ancora e tese tutti i muscoli, pronto a scattare. A un certo punto, la rossa guardò oltre il deinosuco e sbarrò gli occhi: uno dei tre balenieri aveva preso una lancia e stava per lanciarla. Quando tese il braccio e fece il tiro, non seppe resistere: d’istinto, sobbalzò ed esclamò:

«Aspetta!»

Lo sconosciuto, vedendola guardare alle sue spalle, fece un’espressione allarmata e si voltò. Fece appena in tempo a notare la lancia e inclinarsi di lato: fu mancato per un soffio. La lancia passò oltre e si conficcò nella fanghiglia, a pochi passi dalla sponda. Lex guardò l’arma a occhi e bocca spalancati, poi lanciò un’occhiata allarmata e confusa a lei. Aurora aveva l’impressione che volesse chiederle perché mai avrebbe dovuto fermare il baleniere, ma Lex non glielo chiese. Invece, tornò a osservare lo sconosciuto, che invece aveva uno sguardo oltraggiato:

«Figli di puttana! È così che mi ringraziate per avervi offerto di arrendervi subito?» sbraitò.

Bartolomeu iniziò a urlare imprecazioni e invettive ai tre balenieri, mentre tutto il resto del gruppo metteva mano alle armi, come in automatico. Aurora, per stare sicura, prese l’arco di cui si era munita quella mattina, prima di partire. Lo sconosciuto fischiò, per poi affermare:

«Vi siete scavati la fossa! All’attacco!»

Aurora notò del movimento, sull’altra sponda: la terra ai lati della carovana iniziò a smuoversi e sollevarsi. Di colpo, numerose purlovie scattarono fuori dal terreno e si avventarono sui fororaci. Gli uccellacci striderono e provarono a sferrare qualche calcio, ma furono sorpresi e sbattuti a terra. Le purlovie serrarono subito le fauci sui loro colli spogli e li sgozzarono a morsi. I fantini degli uccelli furono scaraventati a terra e le purlovie non esitarono ad assalirli. Le urla straziate non durarono molto. Aurora tese subito l’arco e mirò a uno dei mammiferi furtivi, pronta ad aiutare, ma fu distratta da un ruggito dell’orso di Lex.

«Oh, merda!» imprecò il biondo.

Aurora si voltò, allarmata. Un’altra purlovia era spuntata vicino a loro ed era balzata addosso all’orso. Adesso il plantigrado cercava di scrollarsela di dosso con gli artigli, alzandosi in piedi di continuo; la purlovia non cedeva e penzolava con la bocca stretta sulla sua spalla. Lex tentò di reggersi forte, ma lo scalpitare dell’orso lo fece cadere a peso morto dalla sella. Senza pensarci due volte, la rossa puntò l’arco e scoccò. La freccia colpì la purlovia alla schiena: la bestiaccia lasciò la presa con un lamento, si rotolò a terra e le rivolse un ringhio furibondo. Lex si rialzò da terra e sfoderò la spada. La purlovia lo puntò e gli saltò addosso; prima di essere placcato, il ragazzo si fece scudo con la lama e iniziò a premerla contro la gola della bestia, per impedirle di morderlo.

«Colpiscila!» la esortò.

Aurora non se lo fece ripetere e incoccò un’altra freccia. Tuttavia, prima che tirasse, notò movimenti strani con la coda dell’occhio: qualcosa di colorato era apparso in mezzo agli alberi, alla sua destra. Confusa, la rossa non poté fare a meno di guardare e rimase a bocca aperta: adesso, sopra il boschetto, stava volando un nutrito sciame di falene giganti. I ringhi della purlovia la riportarono alla realtà; Lex era ancora in pericolo. Aurora tirò una seconda volta. La purlovia gemé e Lex la spinse via con un calcio. L’orso le fu subito addosso e le squarciò la gola con gli artigli.

«Grazie» disse Lex.

Entrambi, a quel punto, osservarono preoccupati lo sciame di falene, che adesso volteggiavano sopra tutto il gruppo. Lo sconosciuto, intanto, fece un ghigno soddisfatto e fischiò. Il suo deinosuco tornò nell’acqua profonda e si immerse con lui.

«Le falene di Terra Bruciata? È più organizzato del previsto» ragionò Lex.

«Ehi, che significa tutto questo?!» esclamò Tereroa all’altra riva, preoccupato.

«Copritevi la faccia!» esclamò Lex.

All’improvviso, le falene iniziarono a spruzzare una densa polvere gialla dalle punte degli addomi. La polvere si diffuse nell’aria e formò una nuvola, prima di calare in fretta sul guado. Aurora rimase come incantata per un attimo, prima di ricordarsi l’ordine di Lex e provare a proteggersi il viso con gli avambracci. La polvere gialla la raggiunse e fu tremendo: la ragazza iniziò ad avvertire un bruciore insopportabile su tutta la pelle; se la sentiva in fiamme. Era un prurito così forte e insistente da farle male. In pochi secondi, la polvere le entrò nel vestito e le raggiunse la pancia e la schiena: era un incubo. Aurora cercò di resistere più che poté, ma alla fine non ce la fece più: si tolse le braccia da davanti alla faccia per grattarsi il collo e un fianco. Non l’avesse mai fatto: la nuvola gialla le raggiunse gli occhi, le narici e la bocca.

«Non respi… coff coff coff!» tossì Lex.

Aveva provato ad avvertirla, ma era troppo tardi anche per lui. Aurora andò nel panico: le venne un bruciore infernale agli occhi, non riusciva a respirare e non poteva fare a meno di tossire in continuazione. Era accecata e iniziò a piangere a dirotto. Prese ad annaspare, come quando era stata morsa dall’araneomorfo. Anche il deinonico impazzì e la rossa, anche se era cieca, capì che stava barcollando in giro a casaccio. Nel frattempo, sentiva un gran caos intorno a sé: l’intera carovana era in preda al dolore e al panico. Quella tortura le sembrò durare un’eternità ma, finalmente, la vista iniziò a tornarle a poco a poco. La sua pelle prudeva ancora fin troppo, ma almeno stava iniziando a sopportarlo. Gemendo a denti stretti, la ragazza si strofinò gli occhi gonfi e arroventati dal pianto e li strizzò, sforzandosi di guardarsi intorno. Quando finalmente riuscì a vedere bene, tirò un sospiro di sollievo.

Tuttavia, si spaventò appena vide cos’era successo nel mentre: come dal nulla, era apparso un branco di bizzarri e inquietanti mammiferi che sembravano un orrido incrocio fra un lupo e un cinghiale. Le terrificanti bestie con gli zoccoli si erano avventate sui parasauri e gli stegosauri, mentre una di loro urlava al terizinosauro; l’erbivoro piumato, per tutta risposta, allargava le zampe anteriori e metteva in mostra gli unghioni. In mezzo a quel massacro, i due rinoceronti lanosi muggivano e si agitavano, ancora legati al carro. Il povero Aziz, con un’epressione terrorizzata, ce la stava mettendo tutta per calmarli, strattonando le redini. Alcuni dei membri arkiani della carovana giacevano a terra senza vita, in mezzo ai fororaci e due parasauri.

Aurora si sentiva del tutto sopraffatta dalla frenesia e dalla repentinità di quell’imboscata. Si guardava intorno e non riusciva a decidere cos’era meglio che facesse. Doveva dare man forte a Lex? Doveva soccorrere chi era ancora vivo sull’altra sponda? Stavano succedendo troppe cose nello stesso momento. Il suo cuore stava battendo all’impazzata: era certa di essere sul punto di impazzire per la paura. D’un tratto, però, si accorse di un nuovo intruso: dal guado era appena emerso un kaprosuco. Era cavalcato da un altro sconosciuto, molto più giovane del primo: poteva essere un suo coetaneo. Era più esile dell’altro, aveva capelli lunghi fino al collo e baffetti cortissimi; anche lui aveva gli occhi verdi e ornamenti di ami. Il ragazzo si guardò intorno, con uno sguardo furbo; quando vide che nessuno stava badando a lui, fece nuotare il suo coccodrillo fino a riva. Scese a terra e saltò sul carro.

«Ehi!» esclamò Aziz.

«Sta’ buono»

Il ragazzo sferrò un destro all’Arabo: lo colpì in mezzo agli occhi e lo tramortì all’istante. Lo spinse via e si mise alle redini del carro. Lottò coi rinoceronti per calmarli, ma alla fine riuscì ad ammansirli coi suoi strattoni forti e determinati. Aurora sapeva che doveva fermarlo: non poteva permettere che il carico che dovevano difendere fosse rubato. Tuttavia, non aveva intenzione di uccidere nessuno. Decise di tirare un colpo di avvertimento: prese la mira con l’arco e scagliò la freccia accanto al ladro. Il ragazzo sobbalzò, quando la freccia si conficcò nel legno a pochi centimetri da sé; alzò lo sguardo e le lanciò un’occhiata di sfida:

«Non ci pensare neanche! Non rovinerai il mio grande momento!»

A quel punto, fischiò al suo kaprosuco e indicò la rossa. Il coccodrillo si voltò di scatto con un soffio e si immerse nel guado; nuotò verso di lei, veloce come un fulmine. Prima che Aurora potesse incoccare un’altra freccia, il kaprosuco balzò fuori dall’acqua e la ragazza vide la sua bocca spalancata volare verso di lei.

Appena Lex si riprese dagli effetti della polvere di falena, vide il suo orso in difficoltà contro una sorta di porco-cane e accorse per aiutarlo. Preparò un affondo e, con tutte le sue forze, infilzò il fianco della creatura. L’orso lo graffiò subito sul muso e lo fece barcollare. Il biondo ne approfittò per tornare in sella e guardarsi intorno: la situazione era più grave di quanto pensasse. Mentre non vedeva niente, era arrivato un intero branco di quegli esseri e aveva iniziato a decimare la carovana. Lex aveva già visto quei bizzarri mammiferi: li aveva scoperti grazie al gruppo di Drof, il giorno in cui il padre di Acceber gli aveva presentato i suoi amici. Per gli Arkiani erano i “marcia-fiumi”, ma Drof gli aveva detto che alcuni stranieri li chiamavano “andrewsarchi”.

L’orso dal muso corto e l’andrewsarco si scambiarono un ruggito, prima di tornare all’attacco. L’orso si alzò e si abbatté di peso sull’avversario; lo agguantò con gli artigli e gli morse più volte i lati del collo. L’andrewsarco, però, azzannò l’orso al petto e lo spinse. L’orso traballò all’indietro, ma riuscì a non cadere; graffiò ancora il nemico e gli sfregiò il lato della testa. Mentre l’andrewsarco gemeva, l’orso caricò e lo buttò a terra. Iniziò a bloccarlo a terra sotto il suo peso e a morderlo di continuo. Lex capì che era la sua occasione: scese a terra, raggiunse la testa dell’andrewsarco e affondò la lama nella sua gola, per poi torcerla. Quando la sfilò, lo strano mammifero si dissanguò, tra lenti sospiri gorgoglianti.

Dopo essersi concesso un respiro profondo per calmarsi, Lex diede un’occhiata a come procedeva l’imboscata, sull’altra sponda. Trasalì, appena vide che un secondo sconosciuto stava scappando col carro del petrolio; Aziz sedeva svenuto accanto a lui. Il biondo imprecò, tornò subito in sella all’orso e fischiò, per ordinargli di inseguire il cocchiere. L’orso risalì la corrente di corsa per un po’, prima di buttarsi in acqua e attraversare il guado. Una volta sulla riva opposta, l’orso riprese l’inseguimento; galoppava a grandi falcate e la sua velocità aumentò a poco a poco. In poco tempo, riuscì ad accostarsi al carro in fuga. Lex si alzò in equilibrio sulla sella, prese la rincorsa e saltò. Si aggrappò alle funi che legavano i barili di petrolio; riuscì a non cadere per un soffio. Si arrampicò sui barili, dopodiché saltò al posto del cocchiere, accanto al ladro.

«Mio fratello non ti ha fatto capire l’antifona, eh?» disse il ragazzo, sprezzante.

Si sfilò un coltello di pietra dalla cintura e provò a pugnalare Lex, ma il biondo schivò girando il torso, dopodiché gli afferò il polso e gli colpì il braccio, disarmandolo. A quel punto, Lex gli afferrò spalle, lo sollevò e lo spinse fuori bordo. Il ladro cadde in acqua. Lex si sedé, prese le redini e le strattonò; i due rinoceronti lanosi piantarono le zampe nel fango e inchiodarono. Il sopravvissuto tirò un sospiro di sollievo, poi ordinò ai rinoceronti di non muoversi con un fischio e tornò sull’orso. Sarebbero tornati al carro dopo essersi occupati degli aggressori.

Quando si incamminò per tornare dagli altri, si imbatté in Ikko che, col suo stegosauro, se la stava vedendo con un terzo sconosciuto a cavallo di un sarcosuco. L’età di quell’altro assalitore sembrava a metà strada fra quelle degli altri due sconosciuti. Aveva le tempie rasate e una barba trasandata; come gli altri due, aveva gli occhi verdi e ami d’osso ai polsi e al collo. Il suo coccodrillo soffiava e tentava di azzannare la testa dello stegosauro, ma l’erbivoro lo allontanava sempre con le frustate della sua coda. A un certo punto, l’aggressore si tuffò in acqua, si arrampicò sul fianco dello stegosauro e si piazzò alle spalle di Ikko.

Lex spronò subito l’orso, che partì al galoppo. Il Giapponese si voltò e provò a difendersi con un’ascia di pietra, ma lo sconosciuto lo colpì in testa con l’impugnatura di una lancia. Ikko svenne e l’Arkiano lo buttò giù, per poi tornare a terra. Lo stegosauro fu spaventato e confuso dalla perdita del fantino e indietreggiò, con un muggito. Lex batté i talloni sui fianchi dell’orso per farlo accelerare ma, all’improvviso, un grande schizzo d’acqua si alzò dietro lo stegosauro e riapparve il deinosuco. Il coccodrillo colossale afferrò lo stegosauro e lo scuoté come una bambola di pezza, prima di stringere la presa; Lex sentì un fortissimo scricchiolio e l’erbivoro fu schiacciato nella morsa. Si afflosciò e vomitò un fiotto di sangue, mentre le sue interiora pendevano fra i denti del carnivoro.

Il sopravvissuto fece subito fermare l’orso e lo fece nascondere in mezzo alla boscaglia: non era affatto il caso di essere scoperto da quei due, era in netto svantaggio. Per fortuna, i due assalitori non lo notarono. Lex li osservò per alcuni istanti, attraverso il fogliame, e rifletté su come avrebbe potuto disfarsene. Ebbe subito una buona idea: si era appena lasciato i rinforzi alle spalle. Pertanto, scese dall’orso e gli ordinò di tornare dagli altri: avevano senz’altro bisogno di tutto l’aiuto possibile. Del resto, stava per avere una cavalcatura ancora più adatta.

Mentre il deinosuco si rigirava lo stegosauro in bocca e lo ingoiava intero, il suo padrone si accostò al sarcosuco e aspettò che il suo fantino vi tornasse in groppa, dopo aver caricato lo straniero con la pelle gialla dietro di sé.

«Oig, dove cazzo è Orutr?» gli chiese, stizzito.

L’altro fece spallucce e gli rivolse uno sguardo indifferente:

«E io che ne so, Edef? Sono suo fratello, mica la sua balia»

Il fratello maggiore si sentì pervaso da una vampata d’ira e pestò un pugno sul capo del deinosuco:

«Argh! Dannazione!»

«Oh, che vuoi? Sei tu che fai sempre il papà ansioso, dopo fa apposta a farti incazzare»

«Quel… argh! Senti, cambio di programma: prendiamo il petrolio!»

«E gli altri stranieri?»

«Si fottano! Il capo dovrà accontentarsi di quello lì»

«Come vuoi. Ah, ma certo: ecco perché stava scappando»

Edef alzò un sopracciglio, sospettoso:

«Scappando? Avremmo dovuto prenderlo alla fine di tutto»

«Infatti: nostro fratello l’ha preso in anticipo»

«Cosa?! E perché mai?!»

«Secondo te? Per fare bella figura, come vuole sempre fare»

«Oh, porca troia! D’accordo, lo striglierò dopo. Andiamo al carro»

Edef e Oig spronarono i loro coccodrilli e iniziarono a risalire la corrente. Tuttavia, quando raggiunsero il loro bersaglio, videro che lo straniero biondo si era ritrovato lì in qualche modo e stava slegando i due rinoceronti lanosi.

«Maledetto! Fermalo, Oig!» ordinò Edef.

Il sarcosuco tornò a riva e iniziò ad aggirare il carro per attaccare il biondo dai lati. Subito dopo, però, lo straniero liberò i rinoceronti e fischiò, indicando il deinosuco. I due mammiferi cornuti sbuffarono e partirono subito alla carica, col capo abbassato. Edef grugnì e tirò la redine destra; il coccodrillo gigante si voltò di scatto e frustò il rinoceronte più vicino con la coda, sbattendolo nel fiume. Il secondo, però, lo raggiunse e lo incornò nel fianco. Edef sentì l’impatto e, per poco, non fu sbalzato giù dalla sua cavalcatura. Il deinosuco incespiscò e gorgogliò, sofferente. Preoccupato, il suo padrone diede un’occhiata al punto colpito: il rinoceronte aveva affondato tutto il corno nella carne del coccodrillo. Quando lo sfilò, un getto di sangue gli inzuppò la testa e la pelliccia.

«Adesso ti faccio vedere io!» esclamò Edef.

Fece girare ancora il deinosuco e il bestione azzannò il dorso del mammifero. Lo sbatté a terra una volta, poi lo lanciò via, facendolo schiantare quasi all’altra sponda. Dopo aver fatto un respiro profondo, Edef diede un colpo d’occhio al carro, certo che ormai Oig avesse fatto a pezzi quell’irritante capellone biondo. Invece rimase di sasso: lo straniero era ancora vivo e vegeto e stava cercando di riscuotere l’uomo coi baffi e il turbante che faceva da cocchiere.

«Oig, ti dai una mossa?!» sbraitò.

«Dillo a lui!» replicò suo fratello.

Edef si girò verso la sua voce e gli venne voglia di sbattersi una mano sulla fronte: la Freccia Dorata a cavallo del terizinosauro era spuntato dalla boscaglia e aveva fermato il sarcosuco di Oig. Adesso, ogni volta che il coccodrillo dal naso grosso tentava di mordere, il dinosauro piumato lo colpiva con gli artigli, sfregiandogli il muso e il collo.

«Chi siete? Perché ce l’avete con noi?» chiese la Freccia Dorata.

«Dovevate pensarci prima di servire gli stranieri» replicò Oig.

Il sarcosuco si voltò e sferrò una codata; il terizinosauro inciampò, ma il suo fantino riuscì a stare in sella. Riuscì ad alzarsi prima che il coccodrillo tentasse un altro assalto e colpì per primo: gli lasciò tre solchi sul dorso. Il sarcosuco soffiava e dimenava la coda, minaccioso. Oig digrignò i denti e disse:

«Senti, stronzo, è una giornata dura per tutti, quindi perché non scappi finché sei in tempo?»

La Freccia Dorata, per tutta risposta, sputò per terra. Edef sbuffò, concorde con Oig, e scosse la testa: doveva sempre risolvere lui i problemi dei suoi fratelli. Non sapeva quale dei due era più infantile: uno era uno zotico, l’altro faceva solo guai per farsi bello agli occhi del capo. Gli rendevano la vita impossibile. Agitò le redini per attaccare; il deinosuco spalancò la bocca e partì all’assalto, ma qualcosa lo investì a tutta velocità da destra.

«Argh!» sobbalzò Edef.

Per un soffio, non volò via per inerzia. Ancora stravolto, si guardò in giro e vide il responsabile: lo straniero col turbante si era svegliato e, adesso, stava cavalcando uno dei rinoceronti lanosi. Edef pestò un pugno sul capo del deinosuco, furibondo: quell’operazione stava andando sempre più a rotoli.

Aurora alzò la faccia dalla fanghiglia, mezza stordita e ancora terrorizzata. L’ultima cosa che aveva visto erano le fauci del kaprosuco che volavano verso di lei, poi il piccolo coccodrillo aveva travolto in pieno il suo deinonico e lei aveva era caduta. Era rotolata sulla riva e ora giaceva prona, coperta di fango da capo a piedi. Si tirò su coi gomiti e guardò davanti a sé: era rivolta alla boscaglia e il caos della battaglia risuonava dietro di lei. Il suo cuore iniziò a battere ancora più veloce, appena si rese conto di averla scampata per poco. Sentì un ruggito che riconobbe subito: l’orso di Lex. La rossa sbarrò gli occhi, si voltò e si mise seduta.

Del suo compagno di tribù non c’era più traccia, ma il suo orso stava lottando col kaprosuco davanti a lei. Il coccodrillo e il mammifero si rotolavano l’uno sull’altro, stringendosi in una continua presa di morsi e graffi. La ragazza ebbe subito l’impulso di aiutare l’orso, ma si accorse presto di aver perduto l’arco e impallidì. Doveva esserle caduto dopo l’impatto. Aurora capì subito che non era sicuro restare allo scoperto, quindi si voltò e, più in fretta che poté, gattonò fino a raggiungere la boscaglia di salici. Si nascose dietro un albero e sbirciò, per tenere d’occhio la battaglia.

A un certo punto, l’orso riuscì a respingere il kaprosuco con un calcio. Erano entrambi malconci: esausti e pieni di tagli sanguinanti. Purtroppo, il coccodrillo le dava l’impressione di avere molta più energia. Aurora si guardò in giro; possibile che non potesse fare nulla? Poco dopo, però, individuò il suo deinonico: si stava trascinando sulla sponda proprio in quel momento, in riva all’oceano. Aveva un morso sull’addome e aveva tutte le piume sporche di sangue, ma sembrava ancora in forma. La rossa verificò che nessuno la potesse notare, prima di strisciare nel sottobosco fino al mare e avvicinarsi al deinonico. La sua cavalcatura, felice di rivederla, pigolò e strusciò il muso su di lei, per poi porgerle il fianco per farla tornare in sella.

«Perfetto» mormorò Aurora.

Non aveva un’arma, ma il deinonico le bastava. Lo spronò subito coi talloni e lo indirizzò verso il kaprosuco. Tuttavia, proprio mentre vedeva l’orso e il coccodrillo avvicinarsi per tornare a combattere, il sonoro urlo di un parasauro attirò la sua attenzione. Aurora fermò il deinonico e guardò l’altra sponda: uno di quei porci-cani li stava minacciando. I parasauri tentavano di scoraggiarlo con le loro grida assordanti, ma la bestia non faceva che rispondere a gran voce. Oltretutto, aveva già dissanguato uno degli stegosauri, che giaceva in un lago di sangue in mezzo ai parasauri. La rossa sapeva che li avrebbe attaccati di lì a poco e i loro padroni sarebbero stati in grave pericolo. Lanciò un’ultima, rapida occhiata all’orso di Lex, ma ormai aveva preso una decisione.

“Meglio aiutare gli altri prima” pensò.

Fece un fischio sommesso e puntò il dito contro la bestia inquietante, per indicarla come bersaglio. Il deinonico, allora, prese la rincorsa e partì a tutta velocità; compì un lungo balzo e atterrò in acqua, vicino alla riva opposta. Si inerpicò sulla sponda e attirò l’attenzione del mammifero con un sibilo. Il lupo-cinghiale si voltò, grugnì minaccioso e partì alla carica, ma il deinonico si scansò all’ultimo con un saltello a destra. La bestia con gli zoccoli lo superò e inchiodò, confuso. Il dinosauro balzò subito e si aggrappò alla sua schiena, stringendo la presa con tutte e quattro le zampe. Il mammifero cominciò a scalciare in tutte le direzioni, ma il deinonico si reggeva forte. Appena l’avversario si stancò, allungò il collo e lo azzannò alla gola. Il lupo-cinghiale barcollò, prima di cedere. Il deinonico saltò giù prima che cadesse, per poi sferrare il colpo di grazia. Aurora tirò un sospiro di sollievo e lo accarezzò:

«Sei stato bravo» sorrise.

La rossa si voltò verso i fantini dei parasauri e chiese loro se stavano bene. I balenieri e Tereroa annuirono e la rassicurarono con un cenno della mano. Tereroa si asciugò il sudore dalla fronte e le sorrise:

«Rossa, ci hai salvato la vita! Grazie infinite»

Aurora, appena si rese conto del suo gesto, arrossì un po’ e chinò il capo, ma ricambiò il sorriso e rispose:

«Di nulla»

Ora che un problema era risolto, la rossa controllò l’orso. Si stupì, quando scoprì che era rimasto da solo: il kaprosuco era sparito e non lo vedeva da nessuna parte. L’orso dal muso corto era malconcio e affannato, ma si reggeva ancora in piedi. Si guardò in giro, vide Aurora e la raggiunse: attraversò il guado con calma e si scrollò l’acqua di dosso, tranquillo. Poco dopo, però, si sentì un’esclamazione non molto distante:

«Ehi, qualcuno mi aiuti!»

Era la voce di Bartolomeu. I presenti si voltarono nella sua direzione e videro che lo stegosauro del Portoghese era circondato da purlovie. Le teneva a distanza con codate di avvertimento, ma le malefiche bestiacce non smettevano di saltellargli intorno e sbavare, a zanne scoperte. Aurora ne aveva contate sei, prima che le falene la accecassero con la loro polvere; adesso ce n’erano quattro. La rossa guardò i balenieri, serrò le labbra e chiese il loro aiuto:

«Pensate di potervene occupare?» domandò.

I tre uomini rozzi le risposero con grugniti irritati, ma obbedirono. Spronarono i loro parasauri, che raggiunsero di corsa lo stegosauro. Le purlovie mostrarono loro i denti, ma i tre dinosauri crestati urlarono a pieni polmoni e all’unisono: questo bastò per terrorizzare le purlovie, che indietreggiarono, prima di scappare nella boscaglia e sparire nel fogliame.

«Per una volta, ne avete combinata una giusta» disse Bartolomeu ai balenieri.

Mason alzò il dito medio. Il gruppetto si radunò e le cavalcature si misero in cerchio. Il Portoghese si schiarì la voce e fece il punto della situazione:

«Allora, siete tutti interi?»

«Sì» rispose Aurora.

«Dove sono il tuo amico e gli altri?»

«Non lo so, sono caduta in acqua e non ho capito più niente. Mi spiace»

Tereroa prese la parola:

«Li ho visti io: sono tutti andati a monte. Uno dei ladri ha rubato il carro e il biondo l’ha inseguito. Gli altri due gli sono corsi dietro»

Bartolomeu si strofinò il collo, preoccupato:

«Me lo sentivo che il ladro di petrolio avrebbe colpito, ma è stato ancora peggio del previsto. Be’, andiamo da Lex a dargli man forte!»

Aurora annuì, determinata, e si preparò a spronare il deinonico. Tuttavia, scoprirono subito che non avevano più bisogno di muoversi. Con loro sorpresa, tutti e tre gli assalitori, coi rispettivi coccodrilli, apparvero davanti a loro nuotando verso il mare. I tre rettili si fermarono al guado e si voltarono verso monte, a fauci aperte. Aurora sentì i muggiti dei rinoceronti, si girò e restò a bocca aperta: Lex e Aziz arrivarono di lì a poco, ciascuno a cavallo di un rinoceronte lanoso, seguiti dal terizinosauro e dal suo padrone arkiano. I tre si riunirono ai loro compagni di carovana e Lex si accostò ad Aurora.

«Stai bene?» le chiese.

«Sì: il tuo orso mi ha salvata» rispose lei.

«Bene»

A quel punto, i carovanieri squadrarono i loro tre aggressori, pronti a riprendere a combattere al minimo cenno di assalto. Bartolomeu si fece avanti col suo stegosauro e incrociò le braccia:

«Bene bene, cosa abbiamo qui?»

Il ladro più giovane fece un’espressione fiera, gonfiò il petto e rispose:

«Avete a che fare con gli Izevlufaz, sporchi stranieri!»

Quello più anziano diventò paonazzo e gli tirò uno schiaffo sulla nuca:

«Non dirgli chi siamo, idiota!»

«Che vuol dire?» chiese Aurora, curiosa.

Il fantino del terizinosauro la guardò e le spiegò:

«Significa “patrioti” in arkiano»

La rossa non poté fare a meno di riflettere al riguardo: a giudicare da cosa dicevano e come si chiamavano, le sembrava palese che quei tre non rapinassero i trasporti di Jonas e Bob per guadagnarci. C’era qualcosa di ideologico sotto, a quanto pareva. Ma ci avrebbe pensato meglio dopo: ora era meglio prestare attenzione. Lex indicò Ikko, disteso privo di sensi sulla sella del sarcosuco, e disse:

«Tanto per cominciare, restituiteci il nostro compagno»

«Perché non vieni a prenderlo?» lo sfidò il padrone del coccodrillo.

«Se preferisci farti incornare, nessun problema» ribatté il biondo, secco.

Lo sconosciuto più anziano rimuginò per alcuni attimi, poi gli si illuminarono gli occhi e propose:

«Che ne dite di uno scambio? Il nanerottolo giallo per il carro!»

Gli rispose Bartolomeu, sprezzante:

«Ho un’idea migliore: ci ridate Ikko e non uccideremo né voi, né i vostri rettili»

Il più giovane dei tre alzò il pugno ed esclamò:

«Meglio la morte, che assecondare i servi dei Braddock!»

«Zitto, buffone!» lo zittirono gli altri due.

Il più vecchio fece una smorfia imbarazzata:

«Scusate nostro fratello: gli piace fare l’esaltato»

«Stiamo ancora aspettando Ikko» lo stuzzicò Aziz.

Il fratello di mezzo alzò gli occhi al cielo, sbuffò e disse al maggiore:

«Edef, mi sto stancando di questa sceneggiata. Perché non chiamiamo Oirebit?»

«Zitto, gli farai scoprire il piano d’emer… oh, merda» sospirò il più anziano.

«Cosa? Non ci siete solo voi?» indagò Lex.

All’improvviso, un fischio lontano fece eco per il delta del fiume; nessuno dei presenti aveva fiatato. Aurora si guardò intorno, a occhi aperti: voleva capire da dove sarebbe arrivato un nuovo attacco. La sorpresa con le falene le era bastata, per quel giorno. Tuttavia, per quanto aguzzasse la vista, sembrava tutto tranquillo: nella boscaglia non si muoveva nulla, in cielo non c’erano volatili; le falene di prima ormai erano sparite. Poco dopo, però, uno dei balenieri indicò l’oceano alla loro destra ed esclamò:

«Là! Qualcosa di grosso!»

Tutti si voltarono all’unisono e Aurora notò una sagoma nell’acqua. Una massa imponente stava sfrecciando verso la costa, tracciando una scia a forma di V nel mare. La rossa provò a distinguerne la forma, ma la spuma che sollevava la nascondeva. In pochi secondi, la sagoma raggiunse la foce del corso d’acqua e, dal mare, si sollevò un’immenso schizzo. Aurora si riparò il viso col braccio, mentre l’acqua salmastra le cadeva addosso e la inzuppava. Un po’ d’acqua le entrò in bocca e i suoi capelli si appiccicarono alla faccia: non vedeva nulla. Tossicchiò, si spostò i capelli fradici da davanti agli occhi e impietrì: davanti a loro, come apparso dal nulla, torreggiava uno spinosauro.

   
 
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