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Autore: TheSlavicShadow    27/05/2022    0 recensioni
"Un uomo famoso una volta disse: "Noi creiamo i nostri demoni". Chi l'ha detto? Che cosa voglia dire? Non importa, io lo dico perché l'ha detto lui, perciò lui era famoso, e avendolo menzionato due uomini molto conosciuti, io non... ricominciamo..."
{Earth3490}
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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“Niente S.H.I.E.L.D. oggi?” Era scesa in cucina e vi aveva trovato Steve che preparava la colazione. Lo aveva sentito scendere, ma aveva fatto finta di nulla restando in camera propria per continuare a leggere. Era convinta avrebbe preparato la colazione e sarebbe poi uscito. Anche se non pensava sarebbe rimasto a dormire ancora una notte in quella casa. 

Avevano cenato tranquillamente. Avevano ordinato una pizza. L’avevano divorata sul divano guardando un film. Non avevano parlato molto, ma la vicinanza le era bastata per darle modo di rilassarsi e riuscire anche a dormire qualche ora. 

“Buongiorno, Tasha.” Si era voltato solo un po’, continuando a friggere uova e pancetta. E lei non poteva fare altro che guardarlo. Era tutto così nostalgico. Steve che cucinava in pigiama. Lei che scendeva in quelli che decisamente non erano pigiami. L’odore di pancetta e caffè che impregnava la cucina. “Stamattina no. Mi ha telefonato Fury per darmi la giornata libera, senza darmi ulteriori dettagli.”

“Sicuro ti vuole qui a farmi da baby-sitter. Tu continui ad essere troppo ingenuo quando si tratta di Fury. Dopo New York pensavo ti fossi svegliato un po’.” Si era avvicinata alla cucina e aveva preso le tazze per il caffè dal mobile. Anche quella era una routine. Steve preparava da mangiare, lei apparecchiava. 

C’erano stati periodi in cui avevano funzionato. Ed era questa consapevolezza che le faceva male. 

“So che mi nasconde qualcosa, e sono il primo ad essere venuto qui per farti da baby-sitter ancora prima di aver ricevuto ordini sottintesi.” Steve aveva sorriso, mentre spegneva il fuoco del fornello. Nonostante tutta la casa fosse all’avanguardia e fosse alimentata a elettricità, Steve una volta le aveva detto che preferiva i vecchi fuochi per cucinare. Gli aveva messo la cucina che preferiva lui, e non l’aveva mai più cambiata. Come se avesse sperato di vederlo ritornare a cucinare tra quelle mura. “E forse mi ci vuole un giorno libero ogni tanto.”

“A Natale cosa fai?” Doveva accendere il filtro cervello-bocca, lo sapeva, se lo ripeteva sempre. Ma con Steve non aveva mai funzionato. “Facciamo un pranzo qui. Siamo quattro gatti, eh. Vengono Pepper, Happy e Rhodes. Forse viene anche Bruce, ma non mi ha ancora dato una risposta.”

“Sei rimasta in contatto con Banner?” L’aveva guardata stupito, mentre impiattava la colazione.

“Che domande, ovvio no? Stai parlando di Bruce Banner, Steve. Lo so che per te sono cose assurde, ma ci ho passato notti intere a studiare i wormhole dopo New York.” Gli aveva dato una leggera gomitata e gli aveva sorriso maliziosamente. “Oppure sei geloso, Steven?”

“Geloso? Non direi proprio. Banner decisamente non rientra nei tuoi gusti, visto che l’ultimo tuo ex era un belloccio senza cervello.” Si era spostato senza guardarla e l’aveva spiazzata. Era rimasta a fissarlo con le tazze piene di caffè in mano e non era riuscita a dire nulla. 

Steve era geloso? Steve Rogers era geloso di Johnny Storm? 

“Mi hai mandato il blocco il cervello, Rogers.” Dopo un attimo di smarrimento lo aveva seguito, appoggiando le tazze sul tavolo e sedendosi di fronte a lui per fissarlo. Steve continuava a non guardarla, facendo tutt'altro. Aveva acceso la tv. Aveva aperto il quotidiano che leggeva ogni mattina. Aveva bevuto un sorso di caffè. Come se non avesse detto nulla che poteva avere altri modi di essere interpretato. O forse era lei che aveva guardato troppi film e se ne faceva di propri nella testa dovendo trovare significati nascosti in ogni sua parola. 

“Magari lo avessi fatto. Se almeno una volta si fermasse, probabilmente riusciresti a dormire di notte.” Non la guardava ancora, con gli occhi scorreva i titoli di giornale. Non aveva detto nulla sul fatto di avere il quotidiano in casa, pur sapendo che lei non li leggeva mai. Ma lei non aveva mai disdetto l’abbonamento di Steve che li faceva recapitare ogni mattina a casa. Ogni mattina ritirava il giornale e lo abbandonava in cucina. Lo aveva fatto in quegli ultimi anni sempre, senza mai farsi sfiorare dall’idea che non era un comportamento sano nemmeno quello. Forse doveva davvero andare in terapia come Bruce Banner le aveva accennato qualche volta. 

“Stanotte ho dormito. Non tutta la notte, ma ho dormito.” Aveva bevuto del caffè, per poi addentare un pezzo di pancetta. Avrebbe dovuto iniziare a cucinare solo per prepararsi quelle colazioni.

“Hai programmi per la giornata?”

“Solo starmene in officina. Ho un’armatura da finire. Dovrebbe passare Pepper, perché le ho lasciato almeno 15 messaggi in segreteria ieri sera, ma non hai mai risposto.”

“Mi nasconderò da qualche parte allora.” Steve le aveva sorriso e lei non aveva fatto altro che ricambiare. Pepper non lo aveva mai perdonato per essersene andato, glielo aveva detto più di una volta. Happy accettava tutto, bastava che la vedesse felice in quel momento. Pepper no. Per questo si stupiva di non aver ricevuto nessuna telefonata minatoria la sera prima. 

“Ti proteggerò io, non ti preoccupare, tesoro.” Gli aveva fatto l’occhiolino e Steve aveva riso. Adorava quella risata. Non poteva farci nulla se la sentiva ancora vibrare dentro sé stessa e le scaldava l’anima. Quello non sarebbe mai cambiato, qualsiasi forma avesse avuto il loro rapporto. “Sono seria, eh. Sto progettando un nuovo tipo di armatura.” Aveva allungato le braccia sul tavolo, facendogli vedere gli avambracci. “So che sei troppo educato per chiedere, ma ho notato che non hai fatto altro che guardare questi segni. Non mi sto bucando. O almeno non nel senso normale del termine. Ho inserito dei microchip sottocutanei per rendere l’armatura controllabile anche a distanza. Risponde se la chiamo, e si assembla su di me. Ora devo solo provare se si assembla da sola e se si muove controllata da remoto.”

“Sei ad un passo dal programmare Skynet quindi.”

Aveva riso lei questa volta. Quando Steve usava battute da nerd se ne stupiva sempre. Non sapeva mai quanto davvero gli potessero piacere i film che gli faceva vedere e se davvero li seguisse. Ma quando poi aveva battute simili, voleva dire che non li guardava solo per far piacere a lei. Steve aveva allungato una mano per sfiorare i segni delle punture. Osservava le sue braccia e sembrava molto assorto nei propri pensieri. 

Sicuramente la reputava una cosa da folli, per questo lei stessa non ne aveva mai parlato con nessuno. Non con Rhodes, non con Banner. Steve solitamente era l’unico che capiva i suoi voli pindarici senza fare troppe domande e troppe prediche. 

“New York ha cambiato tutto per me. Credevo che fosse l’Afghanistan il mio risveglio dal ghiaccio, ma New York è su tutto un altro livello.” Aveva deglutito perché in realtà non voleva pensarci, ma era un chiodo fisso. Gli ultimi sei mesi li aveva passati a pensare ad un piano B per proteggere al Terra. Il piano A era il deterrente nucleare del Consiglio Mondiale di Sicurezza, ed era bocciato su ogni livello.

“Ti sei presa del tempo di svago in questi mesi?” Aveva alzato lo sguardo sul viso di Steve, che non aveva ancora smesso di passare un pollice con delicatezza sul suo avambraccio. “A me l’hai sempre ripetuto che dovevo prendermi del tempo per svagare il cervello, testuali parole, quando il passato mi perseguitava, ma come sempre non sei brava a seguire i suoi stessi consigli.”

“Non ho avuto tempo.” Aveva fatto una smorfia alle sue stesse parole. Di tempo ne aveva avuto quanto ne voleva. Quello decisamente non le era mai mancato. Men che meno nei sei mesi che aveva passato da eremita. 

“Allora oggi usciamo.”

“Oh, ma Steven. Nick ti ha mandato qui per tenermi al sicuro e tu vuoi farmi uscire?” Era in realtà stupita dalle sue parole, ma non voleva darlo a vedere. Uscire con Steve avrebbe portato a moltissime conseguenze, ma l’uomo la guardava con una espressione seria in volto. Era sicuro di quello che aveva detto. Anche se uscire insieme avrebbe significato esporre entrambi all’occhio critico dei media. Avrebbero scritto ancora di loro e non sapeva se era davvero pronta a questo. 

“Nick non mi ha dato alcun ordine ufficiale in realtà, quindi posso agire come meglio preferisco. E io voglio uscire con te oggi.”

“Così mi fai emozionare come una verginella.” Se le avesse toccato in quel momento il polso si sarebbe accorto che il suo battito cardiaco era aumentato, perché stupidamente davvero la aveva fatta emozionare. Steve riusciva sempre a farla emozionare come se fosse ancora una ragazzina. “Usciamo in moto?”

“Usciamo in moto.” Steve aveva sorriso, e il cuore le aveva fatto male. Farsi volontariamente del male in modo simile era da TSO immediato. Tempo quanto?, 10 giorni?, e avrebbe raccolto i cocci in un angolo della propria officina. 

“Non sei costretto a farlo, sai? Non sei nemmeno costretto a stare qui. Puoi andartene quando preferisci, anche adesso, ed andrà bene anche così. Non serve che tu ti senza obbligato per un qualsiasi motivo a restare qui. Ed è meglio se sto zitta, vero?”

“Sì, sarebbe meglio in effetti.” Steve aveva spostato la mano, ma non aveva smesso di guardarla. “Che tu ci creda o no, sono qui di mia spontanea volontà. Mi sono preoccupato quando ho saputo con chi avevamo a che fare.” I suoi occhi erano caduti sul reattore arc che illuminava la sua maglietta. Era preoccupato. La guardava allo stesso modo in cui l’aveva fatto quando era appena tornata dall’Afghanistan e non sapeva cosa fosse quella cosa che la teneva in vita. 

“Sono passati meno di cinque di anni da quei giorni e a volte mi sembrano un tempo lontanissimo.” Si era passata una mano tra i capelli. Li aveva lasciati crescere. Da cortissimi che erano quando era ritornata dalla prigionia, ora erano lunghi. Fastidiosi, ma lunghi. “E non pensavo di rivederti più in questa casa dopo la nostra ultima conversazione seria.” 

“Non lo credevo nemmeno io.” Aveva fatto un mezzo sorriso. “Ma non è andato tutto come avevo previsto.”

“Le cose vanno sempre più raramente come previsto, non trovi?” Aveva bevuto un lungo sorso di caffè quando la colazione era stata interrotta da J.A.R.V.I.S..

“Signorina Stark, la signorina Potts sta arrivando. Il signor Hogan ha parcheggiato adesso la macchina all’ingresso.”

“Se vuoi nasconderti adesso hai un piccolo margine di tempo.” Aveva guardato Steve che aveva semplicemente risposto con un sorriso. Dall’ingresso si sentiva il rumore dei tacchi di Pepper. Veloci e precisi. Ah, quanto non le era mancato sentire quel rumore ogni mattina entrare nella sua officina. “Buongiorno, Pepper.”

“Buongiorno un corno, Tasha. Happy mi ha detto solo stamattina cosa sta succedendo qui.”

“Ecco perché non sei arrivata prima. Caffè? Happy è in macchina?”

“Perché lui è qui?” Con un gesto della mano aveva indicato Steve, che decisamente voleva essere ovunque tranne che lì. Era successo qualcosa tra quei due in passato. Avevano avuto delle discussioni che la riguardavano e non erano più andati d’accordo. Non aveva mai indagato a fondo cosa fosse successo, e non lo avrebbe fatto nemmeno in quel momento.

“La visita di un vecchio amico preoccupato per quello che sta succedendo nel mondo?” Aveva sospirato e si era messa comoda sulla sedia. Aveva guardato prima Steve ed era davvero stupida perché lo avrebbe difeso sempre di fronte a chiunque e qualunque fosse stata la situazione. E poi aveva guardato di nuovo Pepper. “Va tutto bene, Pep. Dorme nella stanza degli ospiti se può consolarti, ed è solo una cosa di qualche giorno. Anche se l’ho invitato per Natale ma non mi ha dato una risposta.”

“Devo vedere dove sarò spedito da Fury.” Steve aveva sorriso lievemente e questo probabilmente avrebbe fatto venire una sincope a Pepper.

“Steve, dopo come se ne è andato l’ultima volta pensa davvero che potrei mai perdonarla?”

“Pepper, credo di dover essere l’unica a doverlo perdonare in caso. Ma non mi interessa nemmeno più.” Aveva passato nuovamente la mano tra i capelli, frustrata da quella situazione. “Stiamo parlando di Steve poi. Sai che avrò questa cotta pazzesca per lui finché campo. Non è vero, Steve?”

“E’ una celebrity crush, nulla di più.”

“Visto, lo conferma anche lui!” Sapeva che Virgina “Pepper” Potts era solo preoccupata per lei. Quella donna aveva lavorato per lei quando era al punto più basso della sua esistenza. L’aveva vista cadere più e più volte facendo molta fatica a rialzarsi. E aveva sempre avuto il terrore che ogni caduta sarebbe potuta essere l’ultima. Solo che non voleva vederla sempre così preoccupata, avrebbe tanto voluto rassicurarla dicendole che almeno in apparenza sapeva cosa stesse facendo.

“Virginia.” Steve si era alzato dalla sedia e si era avvicinato alla donna. “Non sono venuto qui per sparire di punto in bianco e cercherò di contenere i danni della mia presenza.”

“Doveva restare tre anni fa.” Aveva osservato Steve deglutire, ma non distogliere lo sguardo da quello di Pepper. Perché tutto del loro passato li avrebbe perseguitati per sempre. 

“Pepper, lo sai che è proibito parlare di quel periodo in questa casa.” Lei era brava a fingere, fingeva sempre di aver dimenticato tutto, di esserselo lasciato alle spalle. Ma la realtà era che se non se ne parlava era molto più facile per tutti. “Parliamo invece delle mie venti telefonate di ieri sera a cui non hai risposto. Killian Aldrich?”

“Oh, mi spia adesso? Come fa a sapere che ho visto Killian?”

“Telefonata giusta al momento giusto. Il tuo capo della sicurezza è un mio grande fan.” Aveva alzato le spalle, osservando le due persone in piedi. Steve non si era ancora seduto, ma anzi si era spostato verso i mobili per prendere una tazza per poter versare del caffè a Pepper. Che lo aveva anche accettato con un grazie. Sarebbero potuti essere amici quei due, se solo non ci fosse stata lei in mezzo. Erano fedeli, leali. E due ottimi cani da guardia per una come lei. 

“Voleva come sempre che finanziassimo un suo progetto, ma ho rifiutato subito. Ha una formula, una tecnologia, non so neppure come definirlo esattamente, per riscrivere il dna umano e mi è sembrato troppo pericoloso. Così ho semplicemente rifiutato.” Pepper aveva sorseggiato il proprio caffè, e Steve si era seduto. “Non ne è sembrato molto contento. Di nuovo. Ma non ho potuto fare altrimenti. Mi sembra una cosa troppo da film poter usare il 100% del cervello umano modificando il suo codice genetico.”

“Pep, tesoro, ci sono stati gli alieni sulla Terra. Più volte negli ultimi anni. E tu ti preoccupi per questo? Io vorrei usare il mio cervello al 100%. Già così sono un genio, immagina cosa potrei fare potenziandomi!” 

“Allora la prossima volta lo incontri lei, potrebbe anche essere diventato il suo tipo adesso. Prenderebbe due piccioni con una fava.” Aveva riso sguaiatamente alla battuta della sua ex segretaria, sia per la sua espressione contrariata che per le parole da lei pronunciate. Fosse stato qualche anno addietro non avrebbe decisamente rifiutato una simile offerta. Unire l’utile al dilettevole era una cosa che le era sempre piaciuta. Si risparmiava la fatica nel fare le cose. 

“Attenta a quello che dici. Steven potrebbe essere geloso.” Aveva messo una mano accanto alla bocca, come se stesse sussurrando un segreto. “E’ ancora geloso di Johnny Storm. Dici che dovrei rivederlo solo per far schizzare il testosterone nella stanza ai massimi storici?”

“Perché non può essere seria per una volta?”

“Guarda che io non sono affatto geloso.”

I due avevano parlato all’unisono e poi si erano guardati. Steve aveva sorriso a Pepper, che con un minuscolo timido movimento della bocca gli aveva risposto. C’era stato un periodo in cui effettivamente erano andati d’accordo. Subito dopo l’Afghanistan, quando Steve era rimasto accanto a lei per tutto il tempo. Pepper lo aveva conosciuto, le era piaciuto. Poi le cose erano precipitate in modo vertiginoso. 

“Vi manca Rhodes per questo bel teatrino. Aspettate.” Aveva subito preso in mano il cellulare e aveva fatto partire una videochiamata.

“Se mi stai chiamando chiusa in officina a piangere sbronza a quest’ora del mattino a causa di Rogers, non ti voglio stare ad ascoltare. Sono le 8 del mattino e io sto lavorando.”

“Ciao, Rhodey. Fai ciao agli altri.” Gli aveva sorriso e poi aveva girato il cellulare prima verso Steve e poi verso Pepper. Steve gli aveva sorriso. La donna aveva portato una mano sul viso, sospirando frustrata. Le sue persone preferite contemporaneamente nella stessa stanza le mancavano. Steve era uscito dalla sua vita. Rhodes faceva avanti e indietro da varie basi militari. E Pepper era diventata molto occupata come CEO delle Stark Industries. “Manca Happy a questo simpatico quadretto, ma è fuori in macchina.” 

“Rhodes, tu lo sapevi?” Pepper aveva appoggiato la tazza di caffè sul tavolo e aveva incrociato le braccia sul petto.

“E’ adulta e non sono il suo babysitter. Ho espresso il mio disappunto, ma che altro potevo fare? Sedarla e portarla via da qualche parte?”

“Sì.”

Natasha aveva sorriso guardando Steve, che guardava un punto indefinito della sua colazione. Le sue persone importanti erano sempre molto protettive con lei. Sempre. Qualsiasi fosse l’occasione, lei era sempre protetta da qualcuno. 

“Pepper, raccoglieremo i cocci dopo, come ogni volta. Lasciala in pace a godersi il momento.”

“Guardate che vi sentiamo.” Aveva spostato lo sguardo su Pepper e le aveva sorriso. Non era affatto arrabbiata o turbata per le loro parole. Sapeva di avere le spalle coperte qualsiasi cosa fosse successa. Le persone si comportavano così perché le volevano bene. Davvero bene. “Festeggiamo insieme anche l’ultimo dell’anno? Invitiamo magari anche gli altri Avengers per rendere la serata ancora più movimentata con spie, assassini e divinità?”

“Perché tu sai dove si trovi Thor adesso?”

“Assolutamente no, e non so neppure come contattarlo.” 

Steve le aveva sorriso e lei aveva ricambiato. In sottofondo sentiva Rhodes e Pepper battibeccare in videochiamata, ma la sua testa si era focalizzata solo su Steve e il suo sorriso. Avevano ragione gli altri. Avrebbe finito per spaccarsi la testa ancora una volta. E tutto per quel dannato sorriso che le mandava in corto circuito le sinapsi.

Poteva l’amore essere così stupido e cieco da non vedere tutti i pericoli che gli altri vedevano? La risposta era semplicemente sì.

 

✭✮✭

 

“Non vuoi ancora rientrare?” Steve Rogers l’aveva guardata, o almeno sentiva il suo sguardo su di sé. Lei continuava a guardare il cielo stellato sopra di loro. L’immensità dell’universo la terrorizzava da morire, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dalle tantissime stelle che vedeva splendere chiedendosi quali pericoli stessero celando.

“Pensi che torneranno?”

“Spero di no.” Steve aveva sospirato e aveva guardato anche lui verso il cielo. “Però siamo riusciti a batterli ed eravamo totalmente impreparati. Non avevamo nemmeno le armi adatte per fronteggiarli. Credo che lo S.H.I.E.L.D. stia sperimentando nuove armi per combattere gli alieni.”

Avevano passato una giornata in sella alla moto di Steve. Una giornata piacevole. Una giornata spensierata e fatta di risate. Avevano mangiato in un’anonima tavola calda trovata lungo la strada. Avevano mangiato un gelato passeggiando su un molo. Avevano parcheggiato la moto quasi sulla spiaggia e si erano sdraiati a guardare le stelle quando era calato il buio. E il buio notturno le faceva sempre venire in mente pensieri poco piacevoli. 

“Si dovrebbe creare uno scudo a protezione della Terra. Qualcosa che faccia in modo ci sia un margine di tempo per poterci preparare per tempo.” 

“Su cosa stai lavorando?”

“Sulle mie armature.” Prima di uscire di casa aveva lavorato. Doveva fare un tentativo per vedere se la sua nuova armatura poteva essere pilotata anche da remoto. E stranamente aveva funzionato. Aveva mosso l’armatura stando tranquillamente seduta nella propria officina, mentre questa aiutava Steve ad apparecchiare la tavola per il pranzo. “Sono diventata ossessionata dal migliorarle. Farle funzionare a distanza. Farle funzionare nello spazio. Cose così.”

“Non ti sembra esagerato lavorare senza tregua così?” Steve si era sporto un po’ sopra di lei per poterla guardare. Quando era stata l’ultima volta in cui aveva guardato le stelle sulla spiaggia con qualcuno? Era sempre stato con Steve, da quello che ricordava. L’ultimo Natale che avevano trascorso insieme avevano passato buona parte della notte in terrazzo a guardare le stelle. A parlare. A fantasticare. A perdersi nell’infinità dell’universo sopra di loro con il rumore del mare che si scontrava con gli scogli.

“No. Ho passato gli ultimi mesi in un limbo senza fine pensando ai se e ai ma.”

“Ti ho quasi persa a New York.”

“E io ti ho salvato. Questa è l’unica cosa che conta per me. Tu saresti stato vivo e vegeto.” Aveva girato il viso verso di lui e non le era piaciuta l’espressione di Steve. A lui non sarebbe importato di essere salvato. Lo poteva tranquillamente intuire da come la stava guardando. Perché continuavano ad essere così stupidi e non parlarsi apertamente? “Non guardarmi così, ti prego.”

“Scusami. Non dovrei neppure essere qui, ma ero davvero preoccupato dopo tutto quello che è successo.” 

“Finirai per confondermi ancora con questa tua preoccupazione, lo sai? Tu sei sempre preoccupato per me, e finiamo sempre per fare di peggio.” Aveva allungato un braccio per potergli accarezzare il viso. Non aveva nulla da perdere ormai. Quello era il suo personale inferno, continuare a ricadere sempre tra le braccia di quell’uomo. Farsi male, rialzarsi e ricadere ancora. Un loop infinito che non riusciva a spezzare. 

“Non è questo che voglio. Volevo solo assicurarmi che tu stessi bene, che tu non fossi stata presa di mira da qualcuno. Te l’ho detto, quando ho sentito che si trattava dei Dieci anelli non sono riuscito a restare a Washington e aspettare l’evolversi degli eventi.”

“Ti sei lasciato con Sharon per questo? Col cazzo che sono mesi che vi siete lasciati, non è vero?” Aveva spostato la mano e si era messa seduta. Si sentiva così stupida. E pure in colpa per qualcosa che davvero non dipendeva da lei, quanto da quell’idiota di Steve Rogers. Lo aveva realizzato solo in quel momento di essere davvero lei la causa della finita relazione di Steve e voleva sbattere la testa da qualche parte.

“Sì e no. Davvero erano mesi che continuavamo ad essere on/off senza sosta. Il lavoro. I gossip. La paranoia. Ho sbagliato a New York e ho cercato di rimediare, ma sempre con scarsi risultati. Alla fine mi sono dato la zappa sui piedi da solo chiedendo a Fury il permesso di venire qui.”

“Che deficiente che sei.” Si era alzata in piedi e lo aveva guardato. Si sentiva di nuovo usata, come se fosse un burattino nelle mani di qualcuno. E non era giusto. Era la causa di una rottura e questo la infastidiva. Perché si trattava di Steve. Steve doveva restare con la sua morale integra da Capitan America, non diventare un uomo qualsiasi che faceva di queste cazzate. Avevano avuto le loro infinite occasioni e le avevano lasciate andare in fumo tutte quante. “Non puoi arrivare qui, bello come il sole a farmi lo splendido e mandarmi a fanculo i circuiti. Vuoi davvero farmi finire da uno psicologo?”

“Sai che male non ti farebbe. Io ci sono andato.”

Lo aveva guardato in assoluto silenzio. Non lo sapeva. Non si era mai posta effettivamente il problema su come Steve avesse gestito tutto. E ne aveva di cose da superare anche lui. Il risveglio dopo 50 anni. I traumi del passato. I traumi del presente. E Steve era diverso da lei, quando ne aveva davvero bisogno lui non si faceva problemi a chiedere aiuto. 

“Ci sono andato anche per James e mi ha aiutato tantissimo a superare il tutto.”

“Non lo nominare.”

Steve le aveva fatto un piccolo sorriso. Compassione, tristezza, comprensione. Riusciva a leggere tantissime emozioni sul suo viso. Steve aveva superato. Era andato avanti. Perché loro effettivamente erano ancora vivi. Avevano una vita davanti ed era giusto che la vivessero. Steve aveva accettato quello che era successo. Non lo aveva superato. Non si supera mai un lutto simile. Si impara ad accettarlo, a conviverci. E si finisce con l’andare avanti.

Quello che lei non aveva mai fatto davvero. Lei lo aveva semplicemente chiuso in sé stessa, continuando a negarlo. Continuando a negare che sia mai successo dal principio. Si comportava come se non fosse mai stata madre. Perché era più facile così. 

“Va bene, non lo farò. Ma ritengo che dovresti parlarne con qualcuno di tutto quello che stai trattenendo nella testa perché finirai per scoppiare. Ti sono successe troppe cose per poter portare il peso di tutto, Tasha.”

“Mi hai appena aggiunto altro peso addosso con la tua rottura con Sharon.” Aveva passato entrambe le mani sul viso. Quello non era un problema suo. Steve era adulto e vaccinato e i suoi errori erano soltanto suoi. Perché doveva farsene carico lei?

“Questa non è colpa tua, ma solo mia.” Steve le aveva sorriso e si era alzato. “Quello che ti ho detto a New York è sempre vero, penso che lo sapesse anche lei e quindi è stata solo una questione di tempo.”

“No. Quella sera ci ho messo una pietra sopra e per me la cosa era chiusa lì. Non puoi comparire dal nulla e sganciarmi queste bombe addosso. E’ sleale da parte tua.”

“Non sto chiedendo nulla da te, credimi. Se non ci fosse questo Mandarino in giro, non sarei neppure qui proprio per tutto quello che è successo in passato. Proprio perché non sarebbe giusto nei tuoi confronti.”

“Non ti facevo così stronzo ed egoista però. E Sharon, Steve? Hai iniziato a frequentarla quasi da subito quando ci siamo lasciati!” E allora aveva capito. Sharon era un tappabuchi, proprio come per lei lo era stato Johnny Storm per qualche mese. Quello che gli era successo li aveva segnati irrimediabilmente entrambi, ed entrambi avevano cercato di andare avanti come meglio potevamo. Anche cercando conforto in altre persone. “Lei lo sa…?”

“Sì, gliene ho parlato. Non subito ovviamente, ma poi gliene ho parlato. Al contrario di te, ho proprio sentito il bisogno di parlarne con altre persone.”

Aveva abbassato lo sguardo sentendosi quasi giudicata perché lei covava le cose dentro di sé lasciandole macerare per bene per fare poi ancora più male. Era successo così. Per questo si erano lasciati. Nella sofferenza di entrambi, lei era concentrata solo sulla propria. Invece di superare la cosa come una coppia, lei si era comportata da ragazzina egoista. 

“Per me non è facile parlare con altre persone.”

“Questo lo so.” Steve le aveva sorriso. “Te l’ho detto. Ho sbagliato anch’io ad andarmene, ma in quel momento non stavo affatto bene e tu non mi rendevi le cose per nulla facili.”

“Non rendo mai le cose facili, dillo pure.” Aveva sospirato e lo aveva guardato. Steve non la odiava. Non l’aveva mai odiata anche se lei aveva sbagliato così tanto. Se solo non fosse stata così accecata dal dolore si sarebbe resa conto che in Steve poteva avere una spalla su cui piangere e superare il lutto. Distruggere la nursery in un impeto di ira non le aveva dato alcun sollievo, solo altra rabbia che non aveva saputo dove sfogare. “Andiamo a casa. Ho bisogno di un drink adesso.” Aveva notato Steve inarcare un sopracciglio. “Uno ho detto. Non ho detto una bottiglia di whisky. Ma per chi mi hai presa? Sono una donna adulta ormai, so controllare il mio lato alcolista.”

“Oh, scusami donna adulta!” L’uomo aveva alzato le braccia in segno di resa, ma le aveva sorriso ancora. Le era mancata tutta quella leggerezza e odiava il fatto che solo con Steve riuscisse a far cadere tutte le maschere che portava abitualmente. 

“Disse il finto pensionato.” Aveva mosso qualche passo sulla sabbia avviandosi alla moto di Steve. Voleva davvero tornare a casa e buttarsi sul divano. Magari con Steve accanto. Quello sarebbe stato un ottimo in più per una bella serata. Avrebbe anche potuto addormentarsi così, sul divano accanto a lui, e sarebbe stata la notte migliore di sempre. 

Sarebbe stata una serata perfetta se solo non avesse suonato il suo cellulare in contemporanea con quello di Steve.

 
   
 
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