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Autore: crazy lion    03/06/2022    1 recensioni
La guerra contro gli Urgali sta per iniziare e Murtagh è ancora in prigione. Lui ed Eragon vengono trasformati in due bambini per una ragione sconosciuta. Chi si occuperà di loro? Riusciranno a tornare normali? E come?
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Christopher Paolini. La fanfiction non è a scopo di lucro.
Genere: Fantasy, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Arya, Eragon, Murtagh, Orik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NOTE INIZIALI:
1. So che Eragon compie gli anni in primavera, a quanto c’è scritto nel primo libro, ma siccome ho in programma di scrivere una raccolta di storie in cui lui e Murtagh sono ancora piccoli ho deciso che il primo abbia nove mesi ad agosto e quindi compia gli anni a novembre.
2. So che i biberon non esistevano all'epoca in cui si ambienta il Ciclo dell'Eredità, ma li ho inseriti perché altrimenti Arya avrebbe dovuto dare a Eragon il latte con un cucchiaio, e il bambino mi sembrava troppo piccolo per questo.
3. Mia mamma ha cominciato a camminare a nove mesi, perciò ho fatto in modo che anche Eragon ci riuscisse.
 
 
 
DI NUOVO BAMBINI
 
Quella sera Eragon andò a mangiare nelle cucine e poi andò da Saphira. La dragonessa lo raggiunse e lo portò nella loro caverna. Aveva diversi anfratti e altre grotte che si collegavano a essa, ma né Saphira né Eragon le avevano mai esplorate. Il ragazzo si sdraiò sul letto, sfinito. Era stata una giornata stancante.
“Oggi sono stato a trovare Murtagh” disse ad alta voce.
E come sta? chiese Saphira.
“Bene. Pensavo che Ajihad l'avesse gettato in un buco di cella, invece ha anche un letto comodo e gli viene portato buon cibo.”
E tu non sei felice disse Saphira.
Eragon fece un mezzo sorriso: era proprio vero, lei riusciva a capirlo più di chiunque altro al mondo.
“No, non lo sono.”
Hai cenato?
“Sì, e tu?”
Sì. Parliamo ancora, se vuoi.
Eragon sospirò.
Gli piaceva parlare con Saphira, sapeva di potersi sfogare con lei, ma allo stesso tempo era troppo stanco per riuscirci.
“Domani” disse.
Qualcosa sta per cambiare, Eragon.
“Cosa?”
Non lo so, ma me lo sento nella pancia.
Eragon era troppo stanco per fare altre domande.
“Ora vorrei dormire” tagliò corto.
D'accordo. Buonanotte, piccolo mio.
Eragon sorrise: amava quando lo chiamava così.
Dormì di un sonno agitato, popolato da sogni che, quando si svegliava, non ricordava. Non sapeva nemmeno se fossero belli o se si trattasse di incubi. Era contento che Murtagh stesse bene, ma era suo amico, e vederlo in prigione lo faceva stare male. Avrebbe voluto si facesse leggere la mente dai Gemelli, due perfidi stregoni, ma convincerlo non sarebbe stato semplice. Nel dormiveglia si disse che sarebbe tornato a trovarlo il giorno seguente.
Il mattino dopo, Saphira lo graffiò con il muso. Poi aprì di scatto gli occhi quando sentì un pianto.
Eragon? chiese.
Quello che aveva davanti era un Eragon in miniatura, un bambino molto piccolo. Non sapeva quantificare quanto tempo avesse, ma era minuscolo, e lei così grande. Eragon la guardò, ma continuò a piangere. Saphira cercò di calmarlo sussurrandogli parole dolci, ma comprese che non la capiva.
Cos'è successo? gli chiese.
Lui non rispose. Allora la dragonessa si disse che forse era troppo piccolo per farlo. In quel momento Solembum, il gatto mannaro dell’erborista Angela, che aveva dormito sul cuscino in fondo alla grotta assieme a Saphira, si avvicinò a lei.
Ma che accidenti succede? chiese il gatto mannaro.
Saphira glielo spiegò.
Si è trasformato in un bambino? Come ha fatto?
Non lo so, non credo ci siano incantesimi per riuscirci.
Stanca del pianto del bimbo, Saphira fece un lieve ruggito. Si sarebbe aspettata che il bambino avesse avuto paura di lei, dato che era così piccolo. Eragon, invece, la guardava con curiosità. Alzò le manine in alto per toccarle le squame del muso, poi, ridendo, le mise un dito dentro una narice. Lei si ritrasse, infastidita.
Devo andare ad avvertire Arya. Solembum, resti tu con lui? Non credo possa essere lasciato da solo.
Se proprio devo, va bene. E poi sei tu a chiedermelo, noi due siamo amici, quindi perché dovrei negarti questo favore?
Grazie.
Saphira batté le ali e prese quota.
 
 
 
Murtagh stava bene lì in prigione, anche se era strano a dirsi. Eppure, si sentiva in pace. L'aveva detto anche a Eragon. Ma il suo amico aveva ragione: non avrebbe potuto restare in prigione per sempre. Be', si sarebbe fatto un'altra nottata di sonno ristoratore e poi ci avrebbe pensato.
Il giorno dopo Murtagh era seduto sul suo letto. O meglio, su quello che credeva fosse il suo letto. Ma se si guardava intorno non vedeva gli oggetti familiari della sua camera, come per esempio i giocattoli. C'erano una latrina, un tappeto, un letto comodo con coperte leggere e dei libri. A cosa gli servivano quei volumi, se non sapeva né leggere né scrivere? Aveva solo tre anni e mezzo, in fondo. Qualcuno girò una chiave. La porta scricchiolò ed entrarono due uomini con due spade alla  cintola.
“Ti abbiamo portato la colazione, Murtagh” disse una di loro. “Ma  cosa…”
“Che diavolo…” mormorò l'altra.
Murtagh gridò quando vide le spade. Gli ricordavano una cosa bruttissima che gli era successa. Cercò di scacciare quel pensiero e di non guardare le guardie.
“Si è trasformato in un bambino” disse la prima guardia che aveva parlato. “Quanti anni hai, Murtagh?”
Lui glielo disse.
“Dobbiamo portarlo da Ajihad.”
Lo fecero alzare, lo presero per mano, ma lui si divincolò.
“Non ti faremo del male, Murtagh” gli dissero le guardie.
Lo guardavano in modo strano. Il bambino si chiedeva perché. Era solo un bimbo, dopotutto. Che c'era di strano? E cosa voleva dire che si era trasformato? Lo chiese.
“Eri un adulto, prima. Questa è una prigione. Sei stato messo qui dentro perché non volevi farti leggere la mente e quindi potevi essere un pericolo per i Varden.”
I Varden erano un gruppo di ribelli, formato da umani e nani, che lottavano contro l’impero di re Galbatorix.
“No, sono sempre stato un bambino” ribatté lui.
Intanto, lo stavano scortando fuori dalla prigione e lo portarono sotto Tronjheim, da Rothgar. Prima avevano pensato ad Ajihad, ma poi avevano capito che era meglio portarlo direttamente dal re dei nani, più che dal capo dei Varden, anche se Rothgar aveva comunque una sua autorità. Fuori dalla Sala del Trono c’erano sette nani armati di picconi. La sala aveva tante statue. Mentre il bambino le guardava, le guardie spiegarono a Rothgar cos'era successo. Ajihad era vicino a lui.
“Ti piacciono quelle statue, Murtagh?” chiese Ajihad con voce calda.
“Sì, tanto.”
“Sono tutti i re che mi hanno preceduto” intervenne Rothgar. “Sono quarantuno. Sai contare fino a quarantuno?”
“No, solo fino al cinque. Volete sentire?”
“Sì” risposero insieme i due capi.
“Uno, due, tre, quattro, cinque!” esclamò il bambino, poi batté le manine.
“Bravissimo” disse Ajihad.
Ma era evidente che Murtagh aveva paura.
“Bisogna chiamare una donna per calmarlo” disse Rothgar.
“Arya?” propose Ajihad.
“Direi che non c'è altra soluzione, se vogliamo mantenere la cosa segreta. Manderò qualcuno a chiamarla.”
 
 
 
Saphira volò verso uno dei cancelli di Tronjheim e lì trovò Orik e Arya. Stavano parlando, ma era troppo alta per capire di cosa. Quando si abbassò, i due la salutarono.
“Salute a te, Saphira” disse Arya.
Dovete venire subito, è successa una cosa strana fece capire loro con il pensiero.
Li esortò a salirle in groppa e tornò nella caverna. Solembum si era sdraiato nel letto di Eragon e faceva le fusa. Il bambino si era tranquillizzato. Quando Arya e Orik lo videro, rimasero di stucco.
“Com'è successo?” chiese il nano.
“Ha fatto qualche incantesimo strano, ieri sera” domandò l'elfa, tirandosi una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio.
No, nessuno disse Saphira. Sembra che la ragione sia sconosciuta.
“Ora che facciamo?” domandò Orik.
“Quanto avrà?” domandò Arya.
“Direi otto mesi, visto che sa gattonare” disse Orik, dato che il bambino stava andando carponi sul letto.
Arya non l’avrebbe mai ammesso, ma guardando Eragon si disse che non aveva mai visto un faccino più dolce. Ma anche Murtagh aveva un visetto bellissimo.
Un nano entrò nella caverna, affannato.
“Re Rothgar e Ajihad vogliono vedere Eragon, ma hanno detto di coprirlo così nessuno lo noterà. Vogliono che la cosa resti segreta.”
Detto ciò, il nano corse via.
“Grazie Solembum, ora puoi andare” gli disse Arya.
Vedere Eragon così piccolo le faceva un effetto strano. Si sentiva protettiva nei suoi confronti. Sperando di fare la cosa giusta, lo sollevò per le ascelle e lo prese in braccio, mettendogli una mano sotto il sederino. Aveva visto alcune donne umane fare così. Il bambino le sorrise.
Coprirono il bambino dalla testa ai piedi e Arya lo tenne in braccio.
Sto tenendo Eragon fra le braccia pensò. Assurdo!
Eppure, era la realtà dei fatti.
Il Gëdwey Ignasia – il marchio che ogni Cavaliere aveva quando toccava un cucciolo di drago – riluceva sulla sua manina. Salirono in groppa a Saphira e lei li portò fino a uno dei cancelli di Tronjheim. Il bambino sorrise per tutta la durata del volo, mentre Orik, che non aveva mai volato, disse che si sentiva sballottato di qua e di là.
Fa questo effetto, le prime volte disse Saphira, ma poi ci si abitua.
Per fortuna, nonostante fosse estate – era agosto –, la tunica bianca di Arya e quella verde di Orik erano spesse, altrimenti le squame di Saphira avrebbero fatto loro male. Quando arrivarono, la dragonessa li seguì giù per una lunga scalinata. Giunti nella Sala del Trono, Ajihad e Rothgar  li salutarono.
“Stavamo per mandare qualcuno a chiamato, Arya” disse Re Rothgar. “Murtagh è agitato.”
“Mamma!” gridò il bambino, e le si aggrappò alle gambe.
Arya si sentì mancare un battito. Nessuno l'aveva mai chiamata così.
“Io non sono la tua mamma, tesoro.
“Allora dov'è la mia mamma?”
Il bambino stava per mettersi a piangere.
“Non c'è, tesoro, ma se vuoi posso essere la tua mamma del cuore.”
“Cos'è la mamma del cuore?”
“Una mamma che tu chiamerai per nome, ma che ti vorrà bene come una madre.”
“Arya bel nome” disse il piccolo.
“Grazie.”
Eragon si mise a piangere e Arya gli scoprì la testolina.
“E lui è mio fratello?”
“Sì” mentì Ajihad.
Come avrebbe fatto a spiegargli che Eragon, un bambino di otto o nove mesi, era un suo amico? Murtagh non ci avrebbe creduto.
“Arya” disse Rothgar. “Porta qui Eragon, fallo sedere davanti al trono e mostramelo.”
Lei si inchinò e obbedì. Posò con delicatezza Eragon sul pavimento, che per fortuna aveva un tappeto. Il piccolo era in grado di reggersi da solo.
“Mmm, mmm” disse, serio, come se avesse capito la gravità della situazione.
“E poi? Che altro sai dire?” lo incitò Rothgar, chiaramente divertito.
“Uaaah, ehhh!” esclamò il bambino.
“Davvero?” disse Ajihad, battendo le mani.
Il piccolo lanciò gridolini di gioia.
“Quindi la ragione per la quale si sono trasformati è sconosciuta” mormorò Rothgar.
“Pare di sì” disse Ajihad. “Comunque mi ricorda Nasuada da piccola. Anche lei era così chiacchierona alla sua età.”
Sorrise.
“Ora come ci muoviamo?” chiese Arya.
“Chiamerò Angela e le chiederò di preparare una pozione per farli tornare normali e speriamo funzioni” decretò Rothgar. “Potete andare. Mi raccomando, la cosa deve restare segreta. Arya, rimani con i bambini nella caverna di Saphira.”
“Io? Ma non so nemmeno come ci si occupa di un bambino, e poi non voglio!”
In realtà non era vero, lo voleva, solo che non sapeva come fare. Aveva visto diverse madri umane prendersi cura dei loro bambini, ma non ci aveva mai fatto molto caso, e poi c'erano pochi bimbi trai Varden. Gli umani erano pochissimi.
“Orik ha il suo da fare,” continuò Rothgar, “non c'è nessun altro.”
Arya sorrise.
“E va bene.”
A un cenno affermativo di Rothgar e Ajihad, riprese in braccio Eragon e lo coprì. Orik fece lo stesso con Murtagh. Dopo aver salutato con un inchino il re dei nani e il capo dei Varden, tutti salirono su Saphira, che li portò alla sua caverna.
 
 
 
“Io vado, Arya, ma se hai bisogno fammi chiamare” disse Orik.
“D'accordo. Saphira, potresti rimanere con loro mentre vado a recuperare qualcosa per la colazione?”
Certo.
“Grazie.”
Arya scese nelle cucine e chiese una porzione di pappa d'avena e una di latte e pane inzuppato.
“Mangi questo a colazione?” le chiese il cuoco. “Immaginavo che gli elfi mangiassero soltanto verdure.”
“Mi dai o no quello che ho chiesto?” domandò lei, brusca.
Non aveva tempo da perdere.
“Sì, certo.”
Arya prese anche una mela che mangiò mentre risaliva fino alla caverna di Saphira. Aveva corso, ma non si sentiva per niente stanca, né era senza fiato.
Eragon stava piangendo e urlava a più non posso.
“Shhh, shhh, tranquillo. Lo so che hai fame, ora te ne do” disse Arya, poi passò l'altra pentola a Murtagh.
“È pappa d'avena. Ti piacerà, vedrai.”
“Non voglio fare colazione” disse Murtagh.
“Perché? Pensi che non ti piacerà?” gli chiese Arya, paziente.
“Sì, magari farà schifo.”
All'elfa non piaceva quando qualcuno diceva che il cibo faceva schifo, ma perdonò Murtagh perché era solo un bambino.
“Ti assicuro che è buona.”
“L'hai assaggiata?”
“No, mai, ma se vuoi lo faccio così ti dico com'è. È buonissima, Murtagh, puoi stare tranquillo.”
Lei gli sorrise e il bambino cominciò a mangiare.
“Hai ragione, è buona.”
“Visto? Che ti avevo detto?”
Si sbrodolò il vestito. Per fortuna, prima di risalire da Saphira, Arya aveva chiesto un po' di informazioni a un'umana che aveva due figli della stessa età di Eragon e Murtagh. Si chiamava Gwenda e aveva un sorriso dolce e una  cascata di capelli neri e lucenti che colpirono Arya per la loro bellezza. Oltre alle pentole aveva portato in spalla una borsa di pelle piena di fasce per Eragon, vestitini per entrambi e giocattoli. Aiutò Murtagh a vestirsi quando questo finì la colazione ed Eragon smise di piangere non appena Arya gli diede la prima cucchiaiata di pappa d’avena.
“Oh! Hai già un dentino!” esclamò l’elfa.
Prima non se n’era accorta. Dopo aver mangiato, i bambini si sentirono meglio. Arya chiese a Murtagh di girarsi e non guardare e cambiò Eragon. Lo fece sdraiare sul letto e pancia in su.
“Credo… credo che dovrei tirarti su la tunica, come prima cosa, giusto?” chiese al piccolo che la guardò e sorrise.
Lo fece ed ecco che vide le fasce. Cercando di ignorare il tanfo che proveniva da queste, le tolse e le fece sparire con la magia, poi con dell’acqua presente in una caraffa lavò il bambino che continuava a ridere. Infine, gli mise la fascia pulita.
Notò solo allora che, accanto al letto, giaceva Zar’roc. Era una spada appartenuta a Morzan, l’ultimo dei rinnegati, i tredici che tradirono i Cavalieri dei Draghi, si misero dalla parte di Galbatorix e lo aiutarono a distruggere i suoi ex allegati. Poi la spada era passata nelle mani di Brom, prima pari di Morzan, poi suo nemico, e il vecchio l’aveva data a Eragon.
Gli ho detto di portarla con orgoglio, di darle un futuro migliore nonostante il suo passato di sangue.
“Hai fatto bene, Saphira.”
Vado a caccia.
Arya annuì.
Saphira si alzò in volo e sparì alla vista dell’elfa, che prese Zar’roc e la propria spada e le portò all’imboccatura della grotta,  dove i bambini non sarebbero andati senza la sua supervisione. Aveva allontanato Zar’roc dal bambino per paura che si facesse male, anche se aveva il fodero.
“Giochiamo? Giochiamo?” chiese Murtagh.
“Puoi girarti, ora. Con cosa voi giocare?”
“Non lo so. A casa avevo tanti giochini di legno.”
Arya ne prese alcuni.
“Guarda, un cavallo sta arrivando” disse a Murtagh, muovendo verso di  lui quell'animaletto.
Il bambino lo prese e iniziò a giocarci. A Eragon, invece, Arya diede un sonaglio che lui adorava scuotere. Ma ben presto il bambino si stancò di quel gioco. Tenerlo in braccio, per Arya, era bellissimo. Ma lo era anche prendersi cura di Murtagh. Sentiva che aveva qualcuno da proteggere ed era meraviglioso. Eragon volle scendere e cominciò a gattonare per la caverna.
“Ehhh, ehhh, ehhh” diceva e Arya lo guardava e sorrideva.
“Giochi con me?” le chiese Murtagh.
“Certo!”
Tenendo d'occhio Eragon, ma a quello ci pensava anche Saphira che non lo perdeva mai di vista, Arya iniziò a far muovere gli animaletti con la magia. Il cavallo galoppava, il gatto si muoveva piano e Murtagh rideva. L'elfa gli fece il solletico e lui rise di cuore.
“Adesso io!” esclamò il bambino e fece il solletico ad Arya.
Alla fine si ritrovarono sul pavimento della caverna, avvinghiati l'uno all'altro, a ridere come matti. Quando si rialzarono, senza fiato, Eragon li stava guardando.
In quel momento entrò Angela, seguita da Solembum.
“Allora è vero quello che mi hanno detto Ajihad e Rothgar!”
“Avevi dubbi?” le chiese Arya.
“No, mi fido della loro parola, solo che mi sembrava strano, tutto qui. Ma guarda quanto siete carini!” L'erborista fece il solletico a entrambi e i bambini risero. “Non sono carini, Solembum?”
Bah fece il gatto mannaro. Sono bambini e basta.
Angela sbuffò.
“Mi ci vorrà un po' per preparare la pozione, un giorno o due.”
“Va bene, non preoccuparti. Mi occuperò io di loro.”
Poco dopo, la donna si allontanò.
Dopo aver giocato per qualche ora, fu tempo di pranzare. Un nano venne a portare loro tre scodelle di minestra di verdura. Arya mangiò in fretta la sua porzione, scottandosi la lingua, per  poi darne a Eragon e controllare che Murtagh non si sporcasse di nuovo. Tuttavia, per fortuna non accadde.
“Che ne dite se facciamo un riposino, adesso?”
“Nooo! Io non voglio dormire, voglio giocare ancora” insistette Murtagh.
“Ma i bravi bambini si riposano sempre un po' al pomeriggio. E poi sarai stanco, dopo tutti i giochi che abbiamo fatto.”
Murtagh si distese sotto le coperte. Arya prese in braccio Eragon e lo cullò. Fu solo allora che si accorse del graffio sulla sua guancia.
Gliel’ho fatto io per sbaglio con il muso, mi dispiace disse Saphira.
“Non ti preoccupare. Waise heill!” esclamò l’elfa e il graffio sparì all’istante.
“Uaaah, uaaah, mmm, mmm” disse il bambino, poi sbadigliò e si addormentò poco dopo.
“Eri proprio stanco.”
Arya lo mise nel letto e poi lo ingrandì per starci anche lei. Si infilò sotto le coperte e si addormentò.
Arya dovette svegliarsi tre volte per cambiare Eragon. Quel piccolo aveva il pianto più forte che avesse mai sentito. Murtagh, nonostante il pianto di Eragon, continuò a dormire senza difficoltà.
“Arya? Arya, svegliati.”
Qualcuno la stava chiamando con gentilezza e la scuoteva piano.
“Oril” disse l'elfa.
“Ciao. Certo che ce ne vuole, di strada, per arrivare fin quassù” commentò il nano.
Aveva in mano tre pentole e dietro di lui c'era un altro nano.
“Ma è già ora di cena?” chiese Arya.
“Sì.”
“Quanto abbiamo dormito? Devo svegliare i bambini.”
“Ti ho portato la cena” disse Orik. “Ma visto che non riuscivo a fare tutto ho chiesto a un altro nano di aiutarmi.” Posò per terra le pentole. “Verdure per te, carne spezzettata per Murtagh e tritata per Eragon. Ho fatto mettere in tutti e tre i pasti anche della crema di tubero. Spero che ai bambini piaccia.”
“Grazie.”
L'altro nano posò per terra una caraffa d'acqua e tre bicchieri.
I bambini si svegliarono da soli in quel momento.
“Ho fame” disse Murtagh, mentre Eragon piangeva.
Arya controllò che non fosse bagnato o sporco, ma scoprì che anche lui aveva solo fame.
Per prima cosa, Arya diede a Murtagh la sua cena. Dentro la pentola c'erano anche verdure e una pagnotta.
“Ne vuoi?” chiese il bambino guardando il pane. “Per me è troppo.”
Arya lo spezzò a metà e, anche se non lo mangiava mai - non ricordava quand'era stata l'ultima volta - lo assaggiò. Non era male. Poi diede da mangiare a Eragon, che ingurgitò tutto senza problemi. Alla fine mangiò lei stessa, mentre Orik li osservava.
“Posso farti una domanda?” gli chiese Arya dopo aver mandato giù il primo boccone, mentre i bambini giocavano con i giochini di legno.
“Certo.”
“Domani vorrei portare i bambini a giocare fuori, all'aperto, dall'altra parte del lago, nello spiazzo ghiaioso e nella foresta, ma senza addentrarmici molto. Il problema è che è pieno di Urgali e Kull e non voglio mettere i piccoli in pericolo. D'altronde, mi dispiace tenerli sempre qui dentro.”
Gli Urgali assomigliavano a umani con le gambe storte, braccia tozze e massicce ed emanavano una puzza pestilenziale. I Kull erano Urgali più grossi, che sapevano correre più veloci degli umani ma meno degli elfi.
“Domani parlerò con il mio sovrano e con Ajihad e sentirò cosa pensa. Io ti direi di non andare, ma vedremo.”
Dopo la cena, Orik e l'altro nano, che non aveva mai parlato, portarono via le pentole.
“Ah, Arya, volevo dirti…” Orik si interruppe, come se non sapesse che parole usare. “Non riesco nemmeno a immaginare quello che hai passato quando eri prigioniera, ma se ti andasse di parlarne, io ci sono e ti ascolto.”
Lei fece un sorriso amaro.
“Ti ringrazio, Orik, ma ti conosco ancora troppo poco per raccontarti certe cose. Anzi, in realtà non ti conosco per niente. So che sei gentile e di disponibile, ma queste non sono cose che racconterei a uno sconosciuto.”
“Certo, capisco. A domani.”
E se ne andò.
I bambini giocarono un altro po', stavolta con Arya, ma erano ancora molto stanchi e si addormentarono presto.
Puoi parlarne con me, se vuoi.
La voce dolce di Saphira colse Arya di sorpresa. La dragonessa non aveva mai parlato durante il pomeriggio. Era andata a caccia e poi, una volta tornata, si era sdraiata sul suo cuscino e si era addormentata.
Dici? chiese Arya con la mente.
Mi hai portata avanti e indietro per quindici anni, mi conosci ormai. Anche se ero nell'uovo.
Mentre c'eri ti parlavo, ti accarezzavo e non ti schiudevi mai. Chi avrebbe mai detto che si sarebbe schiuso davanti a Eragon.
Già.
Arya fece un respiro tremante.
“È stata la cosa più terribile che mi sia mai accaduta” disse, a voce bassa per non svegliare i bambini.
Poi, senza raccontare oltre, condivise con Saphira alcuni dei suoi ricordi.
 
 
Si trovava in una cella, al buio, con le mani legate dietro la schiena e sdraiata su un pagliericcio scomodissimo. Si girò su un fianco perché ciò le dava la sensazione di sentirsi meglio. Qualcuno aprì la porta e posò in terra un vassoio, poi la slegò e rimase a guardarla mentre mangiava. C'era del latte con del pane. Doveva esserci qualcosa, in quel latte, si disse Arya. Era lì da circa un mese e, dopo averlo bevuto, si sentiva sempre stanca e assonnata. Ma la bevanda non aveva nessun odore particolare, quindi poteva anche essere che, dato che durante il giorno si trovava nella semioscurità - la finestrella della cella era davvero minuscola - si fosse abituata al buio o alla penombra e quindi le venisse sempre voglia di dormire.
Finita la colazione, l'uomo la legò di nuovo, prese il vassoio e andò via. Poco dopo la cella si spalancò di nuovo.
“Dimmi dov'è l'uovo.”
Era Durza, lo spettro, e parlava con voce minacciosa.
“Ti ho detto che non lo so!” gridò Arya.
La voce le si arrochì e dovette tossire più volte.
“Certo che lo sai. Perché non me lo vuoi dire? Ti risparmieresti un sacco di dolore.”
“Perché non lo so, è da qualche parte.”
Lo spettro grugnì.
“L'hai voluto tu.”
La fece sdraiare a pancia in giù, e le passò una lama arroventata sulla schiena. Arya gridò con tutte le sue forze, mentre le braccia si muovevano in modo convulso. Durza le slegò le mani - le corde erano talmente strette che usciva sangue - e la picchiò selvaggiamente, dopo averla spogliata di quasi tutti gli indumenti tranne le mutande. La picchiò fino a quando la pelle non diventò rossa e bollente, ignorando le sue urla di dolore. Poi prese un lungo coltello e cominciò a tagliare la pelle della sua schiena. Arya gridò ancora più forte. Era sempre così: prima le faceva del male, poi la guariva, e dopo tutto ricominciava da capo. Il sangue gocciolava dal coltello che Durza aveva usato. Le ferite aperte bruciavano come il fuoco, ma lo spettro si affrettò a richiuderle.
“Se non mi dirai dove hai portato l'uovo, farò di peggio” le sussurrò all'orecchio prima di sparire.
 
 
“Mi ha torturata per mesi, sempre negli stessi modi. Provava a manipolare la mia mente per cercare informazioni, per capire dove avessi portato il tuo uovo, cercava di entrarci, ma io non lo lasciavo fare.”
Dev'essere stato orribile osservò Saphira, sfiorando Arya con il muso per confortarla.
“Sì. Non ne avevo mai parlato prima, non avevo condiviso con nessuno i miei ricordi, ma mi ha fatto bene.”
Una grossa lacrima le scese lungo la guancia. Saphira le sfiorò una spalla.
Ora è tutto passato.
“No, non è vero.” La voce le si spezzò come mille schegge di vetro. “Le ferite fisiche sono guarite, ma sono quelle della mente a non esserlo.”
Datti tempo, e vedrai che andrà meglio. Parlane con qualcuno di cui ti fidi.
“Lo farei con Eragon, credo, ma in queste condizioni non posso. Dovrò aspettare. Be', è ora di dormire. Grazie per avermi ascoltata, Saphira.”
Lo farò ogni volta che vorrai. Buonanotte.
La dragonessa si sdraiò sul suo cuscino.
“Buonanotte.”
Arya si sdraiò e si tirò le coperte sopra la testa. Le lacrime cominciarono a sgorgare copiose. Il dolore era troppo. I mesi di prigionia l'avevano distrutta psicologicamente, anche se non lo dava a vedere ai bambini per non spaventarli. Quando smise di piangere, si asciugò gli occhi e cercò di dormire. Ma cadde in un sonno agitato, pregno di incubi di Durza che ritornava per torturarla ancora, anche lì, a Tronjheim. Eragon gli aveva tirato una freccia fra gli occhi, ma non l'aveva ucciso. L'unico modo per farlo era colpirlo al cuore. E lei l'avrebbe ammazzato così volentieri! Non era una persona cattiva, ma voleva vederlo soffrire così come lui aveva fatto con lei. Guardò i bambini che dormivano beati e sorrise. Almeno loro, piccoli e innocenti, non sapevano cosa fosse la sofferenza, o meglio non lo facevano ora che erano dei bimbi.
 
 
Murtagh era nella sua casa. Aveva tre anni e gli mancava la mamma. Non capiva come mai venisse a trovarlo un mese sì e uno no. Era seduto sul tappeto e giocava con dei soldatini di piombo che papà Morzan gli aveva portato. La porta d'ingresso sbatté con violenza. C'era una tata con Murtagh.
“È tonnato papà” disse il bambino, sbagliando il verbo. “Gli voglio bene, ma ho un po' paura” sussurrò.
Celeste gli accarezzò la testa.
“Vedrai che non succederà niente.”
“Ciao, Murtagh” lo salutò il padre.
Gli si avvicinò e gli diede un bacio su una guancia. Il bambino lo guardò, disorientato. Non era abituato a quelle manifestazioni d'affetto da parte del padre, che si limitava a qualche carezza ogni tanto. Ma dato che si era chinato alla sua altezza, anche Murtagh gli diede un bacio.
“Puoi andare, Celeste, mi occupo io di lui.”
La donna annuì e se ne andò.
“Hai finito di giocare?”
“No, vuoi giocare con me, papà?”
Sperò che gli dicesse di sì, ma l'uomo negò.
“Non posso, devo occuparmi di certi affari.”
In quel momento qualcuno bussò alla porta.
Era alto quasi quanto il papà e aveva i capelli lunghi e neri, a differenza del padre che li aveva dello stesso colore ma corti. E la particolarità che aveva sempre affascinato Murtagh era che suo padre aveva un occhio azzurro e l'altro nero.
Li seguì di soppiatto fino allo studio del padre.
“Non sono d'accordo” stava dicendo l’uomo che era entrato.
Aveva una voce potente, faceva quasi paura.
“Come non sei d'accordo?” ruggì Morzan. “Ne avevamo parlato.”
Aprì la porta con violenza e si accorse del figlio.
“P-papà” disse il bambino. “Non urlare, basta.”
La voce di Morzan si fece bassa.
“Non sei tu a dovermi dire quando devo o non devo urlare, è chiaro? Ora torna a giocare, faremo i conti dopo.”
Chiuse di nuovo la porta e il bambino schizzò via, tornando ai suoi soldatini.
“Sono il capitano!” esclamò prendendone in mano uno.
Giocò per un po', poi si stancò e si sedette sul divano.
“Perché non hai messo in ordine i tuoi giocattoli?” gli chiese il papà, arrabbiato, tornando in salotto.
“Perché ero stanco e poi volevo giocare con te. Hai finito con quell'uomo?”
“Sì, se ne sta andando.” Murtagh lo vide uscire in quel momento. “Hai origliato?”
“Cosa?”
Aveva solo tre anni e non aveva capito il significato di quella parola.
“Hai ascoltato quello che ci dicevamo?”
“Poco.”
Lo schiaffo che arrivò subito dopo lo colpì su una guancia. Murtagh scoppiò a piangere.
“Cosa ti dice sempre il papà? Non si piange! È da deboli farlo. Tu sei un debole?”
“N-no.”
“Bene.”
Un altro schiaffo, stavolta sull'altra guancia.
“Cusami” disse il bambino asciugandosi gli occhietti con le manine.
“Si dice scusami, stupido, con la s. Metti subito via i giochi!” urlò Morzan.
“Tutto bene, signore?” gli chiese la cuoca uscendo dalla cucina. “Vi ho sentito gridare.”
“Tutto a posto, non preoccupatevi. Tornate pure alle vostre mansioni.”
Morzan si versò un bicchiere di qualcosa di forte – Murtagh ne sentiva l'odore anche a distanza –, ma non riuscì a capire di cosa si trattasse. Poi il padre spaccò il bicchiere.
“Mostrami la schiena” ordinò, perentorio.
Lui si girò.
“No, non così, idiota! Mostramela nuda.”
Che cosa vuole fare? pensò il bambino mentre sollevava la camiciola che portava. Sentì il padre che tirava fuori dal fodero una spada e poi un dolore lancinante attraversarlo dalla spalla destra al fianco sinistro. Poi svenne.
 
 
Si svegliò urlando e anche Eragon si mise a piangere. Dopo aver calmato il più piccolo, Arya si concentrò sul maggiore.
“Hai fatto un brutto sogno?”
Lui glielo raccontò fra le lacrime.
“Mi dispiace così tanto, Murtagh. Posso vedere la cicatrice?”
Lo abbracciò e lo tenne stretto al petto finché i singhiozzi non si calmarono.
“I-io volevo solo che giocasse con me” mormorò il piccolo.
“Lo so, tesoro.”
Murtagh le mostrò la cicatrice.
“Un Guaitoe mi ha salvato.”
Arya avrebbe voluto insegnargli che si diceva Guaritore, ma non aveva importanza. Quale mostro orrendo poteva fare una cosa del genere? Quale padre poteva fare questo a suo figlio? Non l’avrebbe mai capito. Sentì una gran rabbia montare in lei, ma decise di concentrarsi sul bambino. Poggiò le mani sopra la cicatrice.
“Waise heill!” esclamò.
La cicatrice tremolò, poi sparì.
“Non ce l'ho più!” esclamò il bambino sorridendo.
Ma era un sorriso triste.
“Papà non torna, vero? Ho tanta paura” confessò.
“Tuo papà non ti farà più niente, Murtagh.”
Arya non se la sentì di dirgli che era morto, perché non sapeva come l'avrebbe presa.
“Sei sicura?”
“Sì.”
Il bambino sospirò di sollievo.
“E poi, anche se tornasse, ti proteggerei io. Andrà tutto bene. Finché saremo insieme, andrà tutto bene.”
“Arya?”
“Sì?”
Murtagh la guardò serio alla luce fioca della lanterna in fondo alla grotta.
“Posso venire in braccio?”
Lei sorrise e lo prese con delicatezza. Era più pesante di Eragon, ovviamente, ma comunque leggero.
“Tutti gli uomini sono cattivi?” domandò il bambino. “Quando il mio papà mi ha fatto male ho pensato di sì, e scappavo quando i suoi servi si avvicinavano a me.”
L'elfa gli fece una carezza su una guancia.
“Orik non lo farebbe mai. E conosco tantissimi altri uomini, umani ed elfi, che non si comporterebbero mai e poi mai in una maniera del genere. Non tutti gli uomini sono come tuo padre Morzan, Murtagh. Lui era violento, ma non tutti sono così, assolutamente.!
Il bambino prese un respiro tremante.
“Dici davvero?”
“Te lo giuro.”
Murtagh sorrise, rinfrancato da quelle parole.
“Vuoi che ne parliamo ancora un po'?”
“No.”
Arya aveva il vago sentore che il bambino ne volesse parlare ancora, ma che non sapesse come esprimere ciò che voleva, essendo così piccolo, per cui non insistette.
Si sdraiarono.
“Stenditi più vicino a me” gli disse Arya. “Ti proteggerò io se dovesse accadere qualcosa. Ma nessuno ti farà del male.”
Lui lo fece e.
“Tu sei buona, non mi fai del male, lo so.”
Arya sorrise. Gli accarezzò la schiena e la testa e i due si addormentarono.
L’elfa dormì meglio e anche Murtagh riposò bene.  parte cambiare Eragon due volte, l'elfa non si svegliò e nemmeno i bambini.
Il giorno dopo Eragon si svegliò piangendo, ma non era il solito pianto energico a cui Arya era abituata. Era, al contrario, debole e lamentoso. Gli tastò la fronte. Scottava. Quando un servo arrivò a portare la colazione, Arya chiese di vedere Orik.
“Andrò subito a chiamarlo” disse l'uomo e sparì.
“Grazie. Digli di portare un altro materasso. E acqua fredda e un panno pulito.”
Murtagh mangiò la sua colazione in silenzio. Era ancora scosso dagli eventi della notte precedente, Arya poteva leggerglielo in faccia Gli fece una carezza, prima di dare a Eragon il latte con il pane. Il bambino mangiò controvoglia, lamentandosi di continuo.
“Cos'ha?” chiese Murtagh.
“La febbre, è per questo che non ha fame.”
Orik arrivò dopo un po' con un materasso sulle spalle e un catino d'acqua fredda in mano. Diede ad Arya il panno e lei gli disse dove posare il materasso. Saphira ruggì di dolore, ancora sdraiata sul suo cuscino. Anche se Eragon era piccolo, il loro contatto mentale non si era interrotto. Lui non poteva capire o parlare, ma sentivano l'uno le emozioni e le sensazioni dell'altra e viceversa, quindi anche Saphira stava male. Arya spiegò a Orik quale fosse il problema.
“È molto alta?” domandò il nano.
“Purtroppo sì, ma con l'acqua fredda dovrebbe abbassarsi.”
“Comunque Rothgar e Ajihad hanno detto che potete uscire, ma che quaranta fra umani e nani dovranno stare con voi per osservare che non ci siano Urgali o Kull in giro. In ogni caso, li avvertirò che oggi non uscirete e dirò loro il perché.”
“Grazie, Orik.”
“Figurati, Arya. Verrò a trovarvi più tardi. Perdonatemi, ma ho delle cose urgenti da sbrigare.”
“Vai tranquillo.”
Arya imbevve d'acqua il panno e lo appoggiò sullla fronte di Eragon. Lo lasciò lì per un po', poi lo tolse. Mentre Murtagh giocava, lei continuava con quelle operazioni. Controllò che il bambino non sudasse e non avesse né troppo caldo né troppo freddo. Aggiunse una coperta tolta dal letto suo e di Murtagh perché Eragon tremava.
Quando Orik tornò, gli tolsero la camiciola e la tunica lasciandogli solo la fascia. Il bambino piangeva sempre più forte, e lo fece soprattutto quando i due gli bagnarono il corpo con l'acqua fredda, ma era l'unico modo per farlo stare meglio. I guaritori guarivano solo le ferite, non le malattie.
“Ti ho portato questo” disse orik ad Arya.
Era un aggeggio tondo, con qualcosa sopra.
“Che cos'è?”
“Un biberon di vetro, lo usano le donne umane per allattare i loro figli quando iniziano a svezzarli. Ho pensato che sarebbe stato più facile dare il latte e l'acqua a Eragon con questo.”
“In effetti… Ma come faccio con il pane?” Arya rifletté per un momento. Avrebbe potuto ridurlo in piccolissimi pezzi e farlo galleggiare nel latte con la magia. “Ho trovato la soluzione” concluse, ingrandendo un po’ con la magia il buco della tettarella affinché il pane ci passasse attraverso.
Mentre Orik giocava con Murtagh, Arya si occupò di Eragon senza sosta. Gli dava da bere acqua fresca e latte freddo che si fece portare da un ragazzo che venne a vedere e avevano bisogno di qualcosa, e diede da bere una caraffa d'acqua anche a Saphira. Ma il bambino non succhiava bene dalla tettarella. Sputava il latte che gli colava ai lati della bocca e la ragazza doveva asciugargliela continuamente.
“Allora non hai fame” disse.
Ma quando gli tolse la tettarella dalla bocca, il bambino cominciò a urlare. Aveva fame, ma per qualche motivo la tettarella non gli andava a genio.
“Orik, stai tu con loro, io torno subito. Saphira, aiutami, per favore. So che stai male, ma dobbiamo fare una cosa per Eragon.”
La dragonessa si alzò a fatica dal suo cuscino, si abbassò per permettere all’elfa di salirle in groppa e insieme volarono via.
Cosa vuoi fare?
“Prendere un’altra tettarella.”
Si era portata via il biberon per mostrarlo a qualche umana. Saphira atterrò vicino a uno dei cancelli di Tronjheim e una folla di curiosi le si formò intorno, nonostante tanti l’avessero già vista.
“Aspettami qui, non muoverti.”
Arya scese con agilità e cominciò a correre per la città-montagna. Trovò Gwenda che faceva una passeggiata con il bambino più piccolo in braccio e il più grande accanto. Il marito era vicino a lei. Li salutò con cordialità, poi sussurrò all’orecchio di Gwenda spiegandole quale fosse il problema.
“Forse ti hanno dato una tettarella scadente, la più economica, diciamo.”
“Usi anche tu il biberon?”
“Ho poco latte” le rispose Gwenda. “Aspettami qui.”
Portò con sé i figli e il marito, che la guardava confuso e le chiedeva cosa si fossero dette lei e l’elfa, ma Gwenda spiegò solo che Arya aveva bisogno di una tettarella per un bambino dei Varden, e che era venuta a prenderla lei perché i genitori erano malati. L’elfa immaginò che le fosse dispiaciuto mentire al marito, che per fortuna non si era accorto del biberon che Arya stringeva in mano, ma non poteva fare altro, se voleva mantenere quel segreto.
Gwenda tornò poco dopo.
“Ecco. Questa è più morbida, dovrebbe andar bene. Io ne ho altre, non è un problema dartene una.”
“Grazie, davvero!”
“Come sta il piccolo?”
Sussurravano per non farsi sentire.
“Male, ha la febbre. Ma guarirà, deve farlo.”
“Ti auguro tutto il bene del mondo” disse Gwenda, poi si allontanò.
“Tu non scotti” disse Arya a Saphira, quando la raggiunse e la toccò.
No, ma ho la nausea rispose la dragonessa. E mal di testa. Eragon, piccolo mio!
“Torniamo indietro.”
La dragonessa volò più veloce che poté. Arya cambiò la tettarella e, stavolta, Eragon formò un cerchio perfetto attorno a essa.
Saphira finì l'acqua in un solo sorso e ne chiese dell'altra. Orik andò a prenderne un barile e lo portò, con evidente fatica, fino alla caverna. La dragonessa e prese un lungo sorso. Arya, intanto, stava forzando Eragon a bere il latte.
“Coraggio piccolo, altrimenti non guarirai” gli disse.
Lui bevve un po', ma si stancò presto e si addormentò.
“Speriamo che la febbre scenda, ora che dorme” disse Orik.
Arya annuì e fece sdraiare Eragon sul materasso che il nano aveva portato, lontano dal letto che le condivideva con i bambini, per fare in modo che Murtagh non si ammalasse. Ai lati del materasso mise due cuscini, così il bambino non sarebbe caduto.
Quando Eragon si svegliò, Arya gli diede il latte, che riscaldò con la magia, e lui ne bevve un po' di più di prima. Poi gli diede un pezzettino piccolo di pane, che lui ingurgitò. Quando arrivò l'ora di pranzo, il bambino mangiò mal volentieri la minestra e Arya dovette finirla per non buttarla. Per fortuna non aveva carne ma solo verdure.
“Ti prego, Eragon, guarisci” sussurrò.
Avrebbe voluto dire “Wayse heill”, ma sapeva che non avrebbe funzionato in quel caso. Non sapeva cos’altro fare per lui oltre a questo. E non voleva che morisse non solo perché era un Cavaliere di Drago, ma anche e soprattutto perché si stava affezionando sempre di più al piccolo e a Murtagh. Nelle ore seguenti il bambino peggiorò.
“Sta sempre tanto male?” chiesse Murtagh.
“Sì” rispose Arya.
“Posso abbracciarlo? La mamma mi diceva sempre che bisogna abbracciare chi piange.”
Orik e Arya trovarono adorabile quella frase.
“No, tesoro, non puoi. Finiresti per ammalarti anche tu” disse Orik.
“Oh.”
Il bambino parve deluso e mise il broncio, ma il nano gli fece il solletico e a Murtagh tornò il sorriso.
Eragon agitava braccia e gambe sul letto e si lamentava.
Povero disse Saphira. Non capisce perché si sente tanto male e non può nemmeno dirci dove ha dolore.
Il bambino si teneva la testa.
“Deve avere mal di testa anche lui, Saphira” disse Arya, che rinfrescò la testa del bimbo e indugiò di più sulle tempie, poi gli asciugò i capelli con un altro panno che Orik aveva portato.
Per i tre giorni successivi gli rimase accanto anche di notte, non dormendo mai. Anche Saphira non dormì. Nonostante le preghiere di Orik e di Angela, che venne a portare un infuso per Eragon contro la febbre e uno per Saphira contro il mal di testa e la nausea, Arya non volle staccarsi da lui o lasciarlo ad altri.
“Guarirà?” chiese ad Angela.
“Non lo so, è difficile dirlo quando sono così piccoli.”
“Ma non può morire!” esclamò la ragazza.
Angela non seppe cosa rispondere.
Arya non aveva un Dio da pregare. I nani credevano che gli elfi fossero stati creati dal Dio Guntera, anche se non era vero. Essi arrivarono secoli prima in Alagësia da Alalëa, al di là del mare su navi d’argento, sbarcando a Teirm. Be’, non era il momento di pensare alla storia degli elfi. Ma Arya aveva bisogno di pregare qualcuno in quel momento, così si alzò, con Eragon in braccio, e camminò fino al centro della caverna.
“Dio Guntera” iniziò sussurrando. “Salva il mio bambino. E se proprio vuoi punire qualcuno con la morte, fa’ che sia io a perire. Ti prego!”
Aveva davvero detto “il mio bambino”? Se ne sorprese, ma ormai era così che lo considerava.
Il piccolo piagnucolò. Saphira le si avvicinò e appoggiò le zampe anteriori alla parete della caverna.
Stai bene, Arya?
Eragon si agitava sul letto, in preda alla febbre. E se lei stava così male, non immaginava nemmeno lontanamente come dovesse sentirsi lui.
“Come potrei stare bene quando voi state così male?”
Hai ragione, era una domanda stupida. Sono preoccupata per lui.
“Anch'io.”
Vorrei trasmettergli un po' della mia forza, ma non ne ho molta.
Sfiorò la fronte di Eragon con il muso. Il bambino tenne gli occhi chiusi e tremò appena.
Non apre nemmeno gli occhi.
Saphira era sconsolata.
“Dorme un sonno agitato” disse l’elfa.
Se vuoi posso fargli io da guardia, mentre tu riposi un po'. Orik e Angela hanno ragione, ne hai bisogno, Arya.
“Ti ringrazio, Saphira, ma non posso dormire.”
La dragonessa fece un cupo borbottio e tornò al suo enorme cuscino.
 
Alla fine, la mattina del quarto giorno, il bambino aveva il volto sereno, colorito, ma sembrava non respirare. Era immobile. Arya soffocò un grido, ma poi Eragon sospirò e riprese a respirare regolarmente. Pianse con la sua solita energia.
“La febbre è andata via!” esclamò l'elfa.
Orik e Angela, che era rimasta lì quella notte con Solembum, tirarono un sospiro di sollievo.
“Tienilo a riposo un altro giorno” le disse Angela. “Lo aiuterà a recuperare le forze.”
“D'accordo.”
Per tutto il giorno Eragon dormicchiò e anche Arya cadde in un sonno ristoratore. Orik si occupò di Murtagh e svegliò Arya ed Eragon per l'ora di cena.
Angela arrivò con Solembum proprio nel momento in cui avevano finito di mangiare.
“Ho preparato la pozione” disse.
Era di colore blu. L'erborista diede una ciotola a Murtagh piena di quel liquido e il bambino la guardò schifato.
“Ti farà crescere” disse Angela. “Tornare come prima.”
“Ma io sono un bambino e voglio restare un bambino” disse il piccolo.
“Ti sei trasformato, te l'ho detto” gli spiegò Arya, paziente, mentre metteva la pozione nel biberon di Eragon. I bambini la bevvero.
“Buona” disse Murtagh dopo il primo sorso.
Eragon succhiava con energia. Ma una volta finito no accadde niente. Tutti aspettaroo diversi minuti, ma non usccesse nulla.
“Forse ho sbagliato un ingrediente, o magari non l’ho messo, scusatemi” disse Angela e abbassò lo sguardo. “Ne preparerò un'altra, ma dovrete aspettare ancora. Cercherò di farla il più in fretta possibile e bene.”
Detto questo, li salutò e sparì con Solembum.
Orik si ritirò e, prima che se ne andasse, Arya lo ringraziò per essersi occupato di Murtagh ed esserle rimasto accanto durante la malattia di Eragon. Ora anche Saphira stava meglio.
“Figurati, è  stato un piacere” rispose il nano, poi la salutò e se ne andò.
I bambini si addormentarono dopo una favola e Arya mise Eragon nel letto con loro. Si addormentaronotutti presto. Murtagh aveva giocato tutto il giorno, Eragon doveva ancora riprendersi del tutto e Arya era esausta. Quei tre giorni le avevano tolto tutte le enrgie.
Il giorno seguente, dopo la colazione, pensò una cosa.
“E se benedissi i bambini?” chiese a Saphira. “Come ha fatto Eragon con quella piccola.”
Per farli crescere?
“Sì, per fare una prova.”
Se ne sei convinta, fallo.
Scelse con cura le parole da usare nell'antica lingua. Si schiarì la voce.
“Atra esterni ono telduin mon'ranr lifa unin hjarta onr un du evarinda ono varda.”
Ma nemmeno in quel caso accadde qualcosa. Be', almeno ci aveva provato, considerò Arya, e poi era pur sempre bello benedire qualcuno.
Vado a caccia disse Saphira. Ci vediamo dopo.
 
 
 
Dopo aver mangiato, la dragonessa tornò a Tronjheim e vide Orik.
“Saphira, ciao” la salutò il nano con un gran sorriso.
Lei gli parlò.
“Ciao. Sai dove posso trovare l'appartamento dove hanno portato la vecchia e la piccola che Eragon ha benedetto? Vorrei vedere la bambina, anche senza entrare.”
“Certo, ti guido io.”
Saphira riprese il volo. Orik salì un'alta scala, e poi un'altra e un'altra ancora, fino ad arrivare a una porta con intarsi d'oro.
“Caspita! Questa benedizione dev'essere stato un miracolo” disse Saphira.
“Proprio così. Ora ti lascio.”
D’accordo, grazie.”
La porta era socchiusa, così Saphira poté vedere una culla e sentire la bambina che piangeva. La vecchia era china su di lei e la prese in braccio, dandole del latte con lo stesso biberon che utilizzava Eragon. Ma non c'era solo lei, lì dentro. Era presente anche un'altra donna più giovane.
“Sì, te lo giuro” stava dicendo quest'ultima. “Arya è venuta da me giorni fa e mi ha detto che Eragon si è trasformato in un bambino di otto mesi e che hanno liberato Murtagh dalla prigione perché si era tramutato in un bambino di tre anni.”
“Ma come hanno fatto?” chiese la vecchia con voce roca.
“Non si sa e credo non si saprà mai.”
Quando la donna uscì dalla stanza e chiuse la porta, Saphira ruggì, spaventandola.
A chi altro l'hai detto? chiese, insinuandosi nella mente di quella donna.
“A nessuno, te lo giuro.”
Non mi interessano i tuoi stupidi giuramenti. Prometti che no lo dirai a nessun altro.
“Prometto” balbettò questa, e corse via.
Saphira volò e  trovò Orik vicino a uno dei cancelli di Tronjheim.
“Come sta la bambina?” chiese il nano.
Saphira batté la coda a terra, continuando poi a muoverla.
Bene, ma è successa una cosa.
Gli raccontò l'accaduto.
“Quella donna e la vecchia dovranno giurare a re Rothgar e Ajihad di non raccontare a nessuno ciò che hanno scoperto” disse Orik, serio. “Com'era fatta quella donna?”
Capelli biondi, ricci, lunghi. Occhi verdi. Era piuttosto alta e indossava una tunica blu. Non so dirti altro.
“La troverò.”
Quando hai finito porta la vecchia e la piccola nella mia caverna. Sono sicura che Arya sarà felice di vederle.
“Va bene.”
Orik se ne andò e Saphira tornò nella sua grotta, dove raccontò tutto ad Arya. L'elfa si agitò.
“E se invece queste due lo raccontano a qualcun altro?”
Non credo che lo faranno, dopo un giuramento.
L'elfa continuò a girare per la caverna senza sosta, mentre Eraogon gattonava e la seguiva. Dopo un tempo che Arya non riuscì a definire, arrivò Gwenda.
“Mi dispiace per quello che ho fatto. Ti chiedo scusa, Arya. Spero che per i bambini non ci siano conseguenze.”
“Non preoccuparti, i bambini stanno bene. Ma, per favore, impara a tenere la bocca chiusa quando qualcuno te lo chiede, specialmente in queste situazioni.”
“Hai ragione, scusa. Ma sono bellissimi!” esclamò, mentre guardava i bambini.
Poco dopo se ne andò e arrivarono Orik, la vecchia e la piccola.
“Ho giurato di non raccontare a nessuno quanto ho scoperto” disse questa dopo aver salutato Arya.
“Bene, altrimenti rappresenterebbe un problema, un grosso problema” ci tenne a sottolineare l'elfa. “Posso vederla?” chiese, indicando il fagotto che la vecchia portava su un braccio.
“Io mi chiamo Greta, comunque” disse la signora.
“Io Arya, ma forse lo sai già.”
“Sì, e quella è Saphira, vero?”
“Esatto.”
“Grazie per quello che hai fatto, Saphira” disse la vecchia.
La dragonessa le si avvicinò a la asfiorò con il muso.
Per me è stato un onore rispose Saphira.
“Posso prenderla in braccio?” chiese Arya.
“Sì.”
“Come si chiama?”
“Elva.”
“E quanto tempo ha?”
“Una settimana.”
“Bel nome.”
“Grazie. Era così che avrebbe voluto chiamarla la sua mamma. Ma è morta di parto, e suo padre di una forte febbre che aveva già prima che mia figlia partorisse.”
La voce della vecchia si spezzò.
“Mi dispiace” disse Arya, mentre Greta le passava la piccola. “Perdere un figlio dev'essere il dolore più grande per una mamma.”
“Già. Non credo scomparirà mai.”
Stava per mettersi a piangere, quando Eragon le venne vicino.
“Posso?” chiese Greta.
“Certo.” Lo prese in braccio e si avvicinò a Murtagh. “Che cosa stai facendo?” gli chiese con gentilezza.
“Costruisco una torre.”
L'umana aveva dato ad Arya anche dei cubi di legno, che il bambino stava utilizzando. La torre crollò.
“Devi fare una base più larga, così non cadrà” gli disse Greta.
Lui eseguì e stavolta la costruzione rimase in piedi.
“Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta!” esclamò il bambino mentre saltellava. “Vuoi giocare con me?”
“Sì. Giochiamo anche con Eraogon, che dici?”
“Va bene.”
Greta si sedette per terra con evidente fatica e iniziò a divertirsi con Murtagh.
Arya, intanto, coccolava la bambina.
“Ciao piccola!” esclamò. “Ma lo sai che hai un bellissimo nome?”
Era così minuscola.
“Mmm” disse la bambina.
“Oh, va bene, ti metto così.” Arya se la posò sull'altro braccio e le sostenne il collo. “Va bene?”
La bambina fece un:
“Eh” e poi iniziò a sonnecchiare.
“Quanto ha?”
“Due settimane.”
Aveva i capelli neri e lanuginosi.
“Ha già mangiato?”
“Sì.”
“D'accordo, altrimenti gliene avrei dato volentieri.”
“Grazie” disse Greta.
In quel momento, stanco o forse desideroso di ricominciare a giocare, Eragon distrusse la torre. Murtagh si mise a piangere, svegliando la piccola che pianse a sua volta.
“No no no, shhh, tranquilla.”
Arya le cantò una ninnananna elfica, mentre Greta calmava Murtagh dicendogli che Eragon era piccolo e che non aveva fatto apposta.
“La possiamo ricostruire.”
Il bambino sorrise e la neonata si calmò.
Arya aveva visto alcuni neonati nella sua vita, ma non ne aveva mai preso in braccio nessuno. Si sedette e appoggiò la testa della bambina al suo braccio, sostenendole come sempre il collo. Se c'era una cosa che aveva imparato era proprio quella. I bambini così piccoli non sapevano sostenersi da soli, bisognava aiutarli.
“Come sei bella, e che bella vocina che hai” le disse l'elfa, sorridendo.
Era meraviglioso tenerla in braccio-
La piccina si addormentò. Arya aveva tenuto in braccio Eragon addormentato e ora provava lo stesso senso di protezione che sentiva in quel momento.
Greta lasciò i bambini a giocare e si avvicinò ad Arya.
“Mia figlia mi manca moltissimo” disse. “Il dolore è straziante.” Una grossa lacrima le scese lungo la guancia. “Ma sono felice di avere Elva. Lei assomiglia molto a sua madre.”
Arya le accarezzò i capelli neri e guardò i suoi occhi. Erano blu.
“Tutti i neonati hanno gli occhi blu” disse Greta. “Solo crescendo si forma il colore, ma spero restino così.”
“Speriamo” disse Arya. “Posso tenerla ancora un po'?”
“Assolutamente. Sei molto brava con lei.”
“Grazie. Non me ne intendo molto di bambini, ma con Eragon e Murtagh me la sto cavando.”
“Sì, lo vedo. Sono bambini molto simpatici e dolci.”
“Già.”
“Mia figlia è morta di emorragia” spiegò Greta. “I Guaritori non sono riusciti a fare niente per lei, anche se ci hanno provato. Ma il sangue era troppo e lei era diventata grigia. Non lo dimenticherò mai.”
Greta pianse lacrime amare, e Arya le sussurrò parole dolci all'orecchio.
“Se avessi bisogno di aiuto con la bambina, io sono disponibile” le disse. “E ricorda che comunque hai lei, un dono che tua figlia e suo marito ti hanno fatto.”
“Sì” disse Greta tirando su col naso. “Questa piccolina mi dà speranza.”
La riprese in braccio, salutò Arya con corrtesia, la ringraziò e se ne andò.
Rimasta sola con i due bambini, Arya giocò con loro tutta la mattina. Fecero una pausa per pranzo, dormirono un po' e poi ripresero a divertirsi. Orik arrivò mentre stavano giocando con un drago di legno.
“Re Rothgar e Ajihad mi hanno detto di riferirti che sono felici che Eragon stia bene e che, se vuoi, domani potrete uscire. Ci saranno quaranta tra umani e nani a farvi da guardia, nel caso si presentassero gli Urgali o i Kull.”
“Grazie” disse Arya. “Pensavo proprio di portarli fuori. Sei sicuro che non rappresenti un problema il fatto che quaranta persone vengano a farci da guardia?”
“Sicurissimo, non preoccuparti. Diranno alle loro mogli che andranno in missione per conto del re o di Ajihad e che staranno via qualche ora.”
In quel momento arrivò Nasuada, la figlia di Ajihad. Arya non la vedeva da un po'.
“Ciao” le disse e si inchinò.
“Ciao. Sono venuta a vedere come stanno i bambini. Mio padre mi ha detto che Eragon era malato. Tranquilla, non ho raccontato a nessuno di questa trasformazione, ma sono molto legata a mio padre e tra noi non ci sono segreti.”
“Capisco” disse Arya.
“Io sono Murtagh!” esclamò il bambino correndo davanti a Nasuada.
“Lo so, ciao” gli disse lei e gli accarezzò i capelli.
Nasuada andò a prendere in braccio Eragon.
“Mmm, uaaah” fece il bambino e sorrise.
“Ma sei bellissimo!” esclamò la ragazza.
Lui fece dei versetti adorabili, ma poi scoppiò a piangere.
“Credo sia ora di cambiargli la fascia” disse Arya.
Nasuada le passò il bambino.
Mentre l'elfa lo cambiava, Nasuada giocava con Murtagh.
“Non ti sembra strano vederli così piccoli? A me pare assurdo.”
“No, non più almeno. Ci ho fatto l'abitudine.”
“Comunque, vedo che Eragon è in ottima salute.”
Aveva le guancette paffute e rosee.
“Sì, per fortuna. Sapessi quanto sono stata in pena per lui!”
“Posso solo immaginarlo.”
Arya rifletté sul fatto che aveva sentito che Ajihad era arrivato lì con Nasuada appena nata, e si domandò cosa fosse successo a sua madre, ma non glielo chiese. Aveva troppa paura di riaprire vecchie ferite, o di sentirsi dire:
“Su mia madre ne so quanto te.”
In ogni caso, sia lei, sia Eragon erano cresciuti senza madre, visto che Selena se n'era andata subito dopo il parto, in lacrime e dopo aver supplicato Garrow e Marian di occuparsi del piccolo. Arya lo sapeva perché era stato Eragon a raccontarglielo. Lei, invece, era sempre rimasta misteriosa riguardo il suo passato, si disse. Ma era il suo carattere, non poteva farci molto. Più in là si sarebbe aperta con lui, ora non era di certo il momento, e non lo sarebbe nemmeno stato quando i bambini si fossero trasformati di nuovo.
Nasuada se ne andò dopo poco.
Dopo pranzo i tre si riposarono come sempre e passarono il pomeriggio a giocare e la sera mangiarono la cena con gusto, anche Eragon che aveva di nuovo fame.
“Bravissimo” gli disse Arya una volta che ebbe finito di mangiare. “Hai vuotato tutto il piatto.”
Lei mangiò per ultima. La cena si era raffreddata un po', ma non importava.
Il giorno dopo Arya lasciò che i bambini dormissero un po' di più. Erano così beati. Guardandoli, la colse un moto di tenerezza e alcune lacrime di commozione le scesero lungo le guance. Non credeva si sarebbe affezionata tanto a quei bambini, e invece era successo. Qualcosa stava cambiando in lei, più passava tempo con loro più diventava dolce e materna, e non poteva dire che le dispiacesse.
“Ciao, tesorino!” esclamò quando Eragon si svegliò. “Murtagh, è ora di alzarsi.”
Mentre teneva in braccio Eragon, Murtagh si stiracchiò e uscì dal letto.
“Ciao, Arya.”
“Ciao amore, dormito bene?”
Tesorino? Amore? Non pensava che un giorno avrebbe mai chiamato così un bambino.
“Sì. E tu?”
“Sì, grazie. Oggi faremo una cosa un po' diversa.”
“Cosa?”
“Lo scoprirai presto.”
Saphira si avvicinò ai due bambini e li sfiorò piano con il naso. Eragon piangeva per la fame.
“Sì, piccolo, ora mangiamo, sta’ tranquillo.”
Il nano aveva portato loro la colazione. Mangiarono mentre Saphira andava a caccia. Poi Arya cambiò Eragon e gli fece indossare un'altra tunica per quella mattina. Aiutò anche Murtagh a togliersi la camicia da notte e a vestirsi.
Aveva scelto di far indossare ai bambini due tuniche marroni, così se si fossero sporcati si sarebbe visto di meno. L’elfa indossò anche un mantello sopra la tunica.
“Mamma, in braccio” disse Murtagh. Poi ricordò ciò che Arya gli aveva detto e scappò in fondo alla caverna, vicino a Saphira. La dragonessa aprì un'ala e lo coprì con essa.
“Murtagh, vieni qui, tesoro.”
La voce dell'elfa era dolce, ma che sarebbe successo se gli avesse fatto del male visto che lui l'aveva chiamata mamma? Sapeva che non doveva, perché l'aveva fatto? Forse per quella storia della mamma del cuore? Si poneva tutte queste domande mentre tremava.
Arya non ti farà niente, piccolo gli disse Saphira. torna da lei.
Arya si stava avvicinando e a ogni passo il bambino tratteneva il respiro.
“Murtagh, vieni fuori, parliamo.”
Il bambino uscì, tremando, da sotto l'ala della dragonessa e, tremando, si mise in piedi.
“Per me è stato un onore che tu mi abbia chiamata mamma, perché significa che ti fidi di me. Ma ricordi cosa ci siamo detti?”
“Sì, scusa.”
“Non scusarti. La tua mamma è Selena e sono sicura che ti volesse molto bene.”
“Sì, tanto. Non farmi del male, non ti chiamerò più così, lo giuro!”
L'elfa si chinò ala sua altezza, mentre sentiva le risatine di Eragon, che giaceva a letto in attesa.
“Guardami. Io non ti farò mai del male, mai, hai capito? Ne abbiamo già parlato, ma te lo ripeto: qui nessuno, nessuno vuole farti nulla di brutto.”
 
 
 
“In braccio?” chiese il bambino.
“Certo.” Arya lo sollevò e lo portò da Eragon. “Ora devo metterti giù, Murtagh, devo cambiare tuo fratello.”
Sentiva un odore poco piacevole provenire dal letto. Eppure l'aveva appena cambiato.
“Va bene, io gioco con gli animali.”
Quando il bambino più piccolo vide Arya, cominciò a gorgogliare felice.
“Sei contento di vedermi, eh?”
Lo cambiò, lo prese in braccio e si sedette, tenendolo su una gamba, poi si batté l'altra per fare cenno a Murtagh di sedersi.
“Posso, Arya?”
“Ma certo! Anzi, mi dispiace di non averti preso in braccio di più in questi giorni.”
“Non preoarti, Eragon è più piccolo.”
L'elfa sorrise per quel verbo sbagliato.
Eragon si spostò contro la pancia di Arya tirando indietro il culetto dentro la fascia. Sia lui che Murtagh misero le loro manine sul palmo aperto di Arya. Erano così piccole in confronto alla sua mano, si disse l'elfa.
“Grrr, mmmbrrr, mmmbrrr, brrr” fece Eragon, bagnandosi il mento di saliva.
Arya glielo asciugò.
“Perché fa così?” chiese Murtagh.
“Tutti i bambini piccoli lo fanno, credo. Non ne so molto, ma da qualche parte ho sentito che a quest'età, e anche prima, iniziano a sperimentare con la loro voce e a fare versetti come questo.”
In quel momento Eragon urlò e fece sobbalzare sia Arya che il bambino più grande. Ma l'elfa si rese conto che non si era fatto male. Aveva gridato perché era contento.
In quel momento arrivò Nasuada.
“Ho un messaggio da parte di mio padre per te, Arya.”
“Ti ascolto.”
“I nani e gli umani sono già dall'altra parte del lago e vi aspettano.”
L'elfa si chiese come avessero fatto a passare sotto la cascata, ma non importava poi molto.
“Certo, grazie. Ora andremo.”
Ma proprio mentre  si stavano alzando, nella caverna entrò qualcuno. Era Gwenda, l'umana che aveva dato ad Arya tutto ciò che le occorreva.
“Sono venuta a portarti questo” le disse dopo averla salutata. “È un marsupio. Eragon può starci seduto dentro, così tu non dovrai portarlo sempre in braccio.”
“Grazie!”
Gwenda se ne andò dopo poco.
“Ora possiamo andare” disse Arya.
Mise Eragon nel marsupio e il bambino sembrò apprezzare che l’elfa lo portasse così. Le toccò il petto allungando le manine e le sfiorò il collo.
Saphira si alzò dal suo cuscino e si avvicinò loro. Lo spostamento d'aria fece barcollare Arya e Murtagh, che per fortuna non caddero. La dragonessa si abbassò per farli salire. Arya montò per prima e disse a Murtagh di salire davanti a lei. Dato che Eragon era nel marsupio, lei poteva tenere le spalle del bambino più grande.
“Non ti spaventare, d'accordo? Ora si alzerà in volo, ma non succederà niente.”
Saphira si librò in Arya e Murtagh urlò, ma poi cominciò a piacergli volare su un drago. Era bello vedere tutto dall'alto. Ma Arya coprì sia lui che Eragon con il mantello.
“Nessuno deve vedervi” spiegò.
“Ma perché?”
“Perché, Murtagh, se qualcuno vi notasse, e soprattutto se anche solo una persona al di fuori di quelle che sono venute qui vedesse Eragon, si farebbe delle domande riguardo il fatto che lui sia un bambino piccolo. Qui, dai Varden, pochissimi sanno usare la magia e chissà la gente cosa penserebbe.”
“Ho capito” disse il bambino, la sua voce strana dato che era coperto dal mantello.
Eragon si mise a piangere, ma Arya lo calmò cantandogli una ninnananna elfica. Il bambino si rilassò e smise di piangere.
L'elfa si mise a cantare, quando uscirono da uno dei cancelli di Tronjheim e arrivarono vicino alla cascata.
Il vento è invisibile è vero,
però io gli vedo le mani:
le foglie tremanti sui rami.
però io gli vedo le mani.
 
Il vento è invisibile è vero,
però io gli vedo la pancia:
la vela rotonda sull’onda.
però io gli vedo la pancia.
 
Il vento è invisibile è vero,
però io gli vedo i capelli:
le spighe piegate, dorate.
però io gli vedo i capelli.
[…]
“Mmm” fece Eragon, al quale quella canzoncina doveva essere piaciuta molto.
“Bella” disse Murtagh.
“Grazie.”
Poi sembrò accarezzare il vento, come se fosse stato qualcosa di materiale. Pareva una mamma con il suo bambino, pensò Murtagh.
“Cresci” disse nell'Antica Lingua. “Crea una bolla e portaci dall'altra parte del lago.”
“Ma cos'hai detto?” domandò Murtagh.
Lei glielo tradusse. Una gigantesca bolla d'aria si formò intorno a loro e li fece volare sopra la cascata e il lago Costamerna. Saphira aveva chiuso le ali e si lasciò trasportare. Quando arrivarono dall'altra parte e si posarono sullo spiazzo ghiaioso la bolla d'aria sparì.
“È stato bellissimo!” esclamò Murtagh, mentre Eragon rideva.
I nani e gli umani li stavano guardando.
“Buongiorno a tutti” li salutò Arya.
Risposero, poi Orik si avvicinò a lei.
“Cosa vuoi far fare ai bambini?”
“Non lo so ancora” disse mentre tirava fuori Eragon dal marsupio.
Orik glielo slacciò da dietro la schiena e lo tenne in mano.
“Quando lo rivorrai dimmelo.”
“Grazie.”
Eragon e Murtagh si schermarono gli occhi con le mani per proteggersi dalla luce del sole, ma ben presto si abituarono. Anche ad Arya ci volle un po' per farci l'abitudine.
Dopo poco, Eragon cominciò a lamentarsi e Arya lo mise seduto a terra. Il bambino si incuriosì subito nel vedere il luogo in cui era stato posto. Prese in mano un sassolino e provò a metterlo in bocca, ma Arya non glieo lasciò fare.
“No, è sporco e impolverato e poi non si può mangiare, no.”
Ripeté quella parola per farglielo capire meglio. Il bambino mise il sasso per terra e cominciò a gattonare sulla ghiaia, mentre Murtagh si divertiva a far cadere i sassolini nell'acqua, che si increspava prima che essi affondassero.
“Arya, è una magia!” esclamò il bambino, che allargò le braccia e sorrise.
“Sì, certo” rispose l'elfa, non dicendogli che in realtà non lo era.
Murtagh era un bambino, e come tutti i bimbi aveva il diritto di credere in ciò che voleva.
“Allora sono un mago, o uno stregone.”
“Scegli tu.”
“Un mago, mi piace di più.”
“D'accordo, ma i maghi hanno bisogno di una bacchetta magica.”
“E dove la trovo?”
Arya prese in braccio Eragon e gli pulì  le manine, anche se lui si dimenava. Entrò nella foresta lì vicino e raccolse un ramo cadutto per terra.
“Ecco la tua bacchetta” disse.
Nani e umani erano appostati ance lì. Quando ci era entrata, Arya aveva temuto che ci fossero Urgali o Kull in agguato, ma non aveva visto nessuno.
“Che bella” disse Murtagh, poi tornarono indietro.
I bambini vollero avvicinarsi al lago. Arya li fece sedere sui sassi che lo circondavano, tirò su loro la tunica e tolse loro le scarpe.
“Mettete i piedi nell'acqua” disse, poi lo fece a sua volta.
I bambini la imitarono. L'acqua era fresca e li fece sentire bene. Eragon mosse un piede e schizzò sia Arya che Murtagh, bagnando loro i vestiti.
“Piccolo monello!” esclamò l'elfa facendogli il solletico.
Dopo un po’, alcuni pesciolini rossi cominciarono a nuotare attorno ai loro piedi. Eragon si chinò per prenderne uno, ma on ci riuscì.
“I pesci devono stare in acqua,” gli spiegò Arya, “altrimenti muoiono.”
I piccoli mossero l'acqua con le mani, ma ben presto si stancarono di stare fermi, così Arya li asciugò con un panno che aveva portato e tirò giù loro la tunica. Prese in braccio Eragon e sentì la fascia calda. Si era preparata a quell'evenienza, così lo distese a terra e, dicendo a Murtagh di non guardare, lo cambiò e lo rivestì.
Creò una barchetta con dell'erba e l'uso della magia e la fece volare attorno ai bambini che iniziarono a lanciare gridolini eccitati. Eragon riuscì a prenderla e Arya rimasse colpita dalla serietà sul suo faccino. Era strano vederlo così, quando prima era sempre stato sorridente. Il bambino lasciò andare la barchetta e fu il turno di Murtagh di prenderla.
“Ci posso riuscire anch'io?” chiese ad Arya.
“No, solo gli elfi ci riescono” mentì.
Non le piaceva farlo, ma non poteva dirgli che gli umani non erano in grado di usare la magia, o ci sarebbe rimasto male.
“Oh” rispose solo il piccolo, poi si concentrò sulla sua bacchetta. “Farò sparire il sole” disse.
In quel momento una nuvola di passaggio lo oscurò, poi passò oltre. Murtagh si mise a saltellare pensando che fosse stata opera sua.
La barchetta, intanto, era volata via.
“Dove andrà?” chiese Murtagh ad Arya.
“Chi lo sa?” rispose lei soltanto. “Continuerà a volare all'infinito, credo. Vuoi che ti insegni a contare fino a dieci?”
“Sì!”
Eragon giocava con i sassolini, li prendeva in mano e li scuoteva per capire che rumore facevano. Mentre lui era impegnato in quest'attività, sotto lo sguardo vigile e attento di Arya e di Orik, che si era avvicinato loro, l'elfa prese in mano dei sassi e disse:
“Dopo il cinque c'è il sei, poi il sette, l'otto, il nove e il dieci. Prova a dirli dall'inizio.”
“Uno, due, tre, quattro, cinque, sette.”
Arya stava per mettersi a ridere, ma si bloccò. Non poteva ridergli in faccia. Era un bambino, sentiva quei numeri per la prima volta l'uno in fila all'altro ed era naturale che sbagliasse. E poi era piccolo, quindi era anche più comprensibile.
“Tesoro, dopo il cinque viene il sei.”
Murtagh si concentrò.
“Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci.”
“Bravissimo!”
Arya prese in braccio Eragon ed entrò nella foresta con Murtagh che la seguiva. Si inoltrò di più nella foresta, dov'erano appostati altri umani e nani. Molti scoiattoli saltavano da un ramo all'altro emettendo un verso simile a  quello delle cornacchie tanto che, se l'elfa non li avesse visti, li avrebbe scambiati per quelle. Vide una mamma con i suoi quattro piccoli che camminava e i cuccioli la seguivano. Lei toccò la mente della madre, le fece capire che era un'amica e he avrebbe potuto fidarsi di lei, così la femmina si voltò e, con i cuccioli, andò  verso Arya. Si lasciò accarezzare da lei e dai bambini. Aveva un pelo così morbido!
“Coda” disse Murtagh.
“Sì, hai visto che coda lunga ha la mamma? Anche i suoi piccoli ce l'avranno così quando cresceranno.”
I cuccioli erano quattro e i bambini cominciarono a giocare con loro. Li inseguivano, Eragon gattonando e Murtagh correndo, e quando ne prendevano uno lo lasciavano subito andare per poi ricominciare il gioco. Eragon non ne prese nessuno, ma ce ne fu uno che si avvicinò a lui per farsi coccolare. Il bambino, che non riusciva ancora a controllare la sua forza, accarezzava lo scoiattolo con movimenti rapidi, e il picciolo animaletto si spaventava. Arya corse in suo aiuto..
“Eragon, devi accarezzarlo dalla testa alla coda, come fai con Solembum.”
A dire il vero, il bambino non aveva avuto tante occasioni di toccare quel gatto mannaro, ma comunque era successo. Arya gli mostrò come doveva fare e lui fu più delicato con lo scoiattolo. Rise quando quest'ultimo gli leccò una manina. Poi la mamma richiamò a sé i piccoli e Arya disse:
“Eitha!”
Con quella parola nell'Antica Lingua li lasciò andare e i cinque sparirono alla loro vista.
Era ormai ora di pranzo, ma né l'elfa né i bambini avevano intenzione di rientrare. Era troppo bello stare lì all'aperto. Raccolsero tanti frutti di bosco, soprattutto fragole, lamponi, mirtilli, e Arya ne spiegava le differenze ai bambini. Trovò anche qualche mora. Mangiarono questo per pranzo. Arya perse per un attimo di vista Murtagh e lo vide solo quando cadeva nel lago. Doveva essersi avvicinato troppo e scivolato su un sasso bagnato. Con una velocità sovrumana, Arya si buttò nel lago urlando di paura, mentre il cuore le batteva all'impazzata, con i vestiti che le rendevano impacciati i movimenti, e trovò Murtagh sul fondo. Lo portò fuori dall'acqua. Il bambino sputò e tossì.
“Rientriamo subito!” esclamò. “Serve un guaritore che visiti il bambino.”
Saphira, che aveva passato tutta la mattina a riposare sullo spiazzo ghiaioso, si alzò e andò incontro ad Arya. La fece salire sul suo dorso assieme ai bambini e assieme a loro rientrò a Tronjheim, andando subito nella sua caverna. Murtagh, coperto come Eragon dal mantello di Arya, continuava a tossire.
“Mamma… aiutami” diceva.
Lei non si scompose anche se l’aveva chiamata con quell’appellativo.
“Tranquillo tesoro, andrà tutto bene.” O, perlomeno, così sperava. “Chiamate un guaritore!” urlò.
Un nano la raggiunse poco dopo dicendole che ci avrebbe pensato Orik.
“Grazie. Digli di far presto.”
Orik arrivò correndo seguito da due guaritori.
“Ho già spiegato loro cos'è successo” disse il nano.
“Quanto è rimasto sott'acqua?” chiese uno dei guaritori, un uomo alto e con una lunga barba come Orik.
“Una quindicina di secondi, credo” disse Arya.
Il bambino continuava a sputare acqua.
I guaritori usarono la magia per controllargli la temperatura e se ci fosse acqua nei polmoni.
“Non ne ha” dissero ad Arya. “Sembra stare bene.”
Aveva smesso di tossire e di sputare.
“Quindi sta bene? Davvero?”
L'elfa continuava a guardare il bambino.
“Sì” disse l'altro guaritore. “Ma se nei giorni successivi il bambino dovesse avere nausea o far fatica a respirare, chiamaci subito.”
“D'accordo, grazie.”
Dopo aver cambiato la fascia ad Eragon, Arya gli mise la camicia da notte e fece lo stesso con Murtagh. Era stata una bella mattinata ma anche stancante, soprattutto per i bambini, quindi tutti si meritavano un po' di riposo. Si misero a letto e dormirono per qualche ora. Quando si svegliarono, Orik era lì con la merenda: una mela per Murtagh già tagliata a fette, una per Arya e per Eragon pane e latte caldo. Arya lo versò nel biberon e lo riempì fino all'orlo, poi spezzettò il pane e lo diede al piccolo. Di solito glielo dava due volte al giorno, la mattina e la sera, ma per quel giorno fece un'eccezione.
“Te ne porterò altro stasera” le disse.
“Grazie, e ringrazia anche i tuoi compagni per quello che hanno fatto stamattina. Li ho già ringraziati io, ma hanno fatto davvero un lavoro eccellente.”
“D'accordo, lo farò. Come ti senti?”
“Sono stanca, anzi, siamo stanchi.”
Eragon succhiava felice, mentre Murtagh mangiava la sua mela con lentezza, gustandosene ogni morso.
“Grazie, Orik” gli disse.
“Non si parla a bocca piena, tesoro” lo rimproverò bonariamente Arya.
Lui mandò giù.
“Scusate.”
“Non ti preoccupare” gli rispose Orik e gli accarezzò una guancia.
Poco dopo il nano se ne andò.
Saphira si avvicinò ai bambini e li sfiorò con il naso.
“Ah, ah, ah” disse Eragon, che rise quando la dragonessa rilasciò uno sbuffo di fumo dalle narici.
I piccoli giocarono tutto il pomeriggio, ma svogliatamente. Arya accarezzava Saphira mentre guardava i suoi bambini giocare con i cubi di legno. Avevano costruito un quadrato e un triangolo e adesso Murtagh stava cercando di fare un cerchio. Non ci sarebbe mai riuscito, ovviamente, ma non demordeva. Alla fine, dato che capì di non esserne capace, lanciò via i cubi di legno. Eragon gridò per la sorpresa e gattonò per riprenderli.
Dopo cena andarono tutti a letto e anche quando il nano venne a svegliargli perché era mattina, rimasero a dormire un altro bel po', assieme a Saphira che riposava tranquilla.
Arya sognò di tenere in braccio i bambini, ma una forza invisibile li portava via. Si svegliò con il cuore in gola e l'angoscia che le attanagliava le viscere. Per fortuna si era trattato solo di un sogno e sia Murtagh che Eragon erano ancora lì. L'elfa sospirò di sollievo. Il bambino più grande respirava senza difficoltà.
Eragon fu il primo a svegliarsi. Arya lo cambiò perché era bagnato e sporco e gli diede il latte e il pane che il nano aveva portato per lui. Per fortuna non si era raffreddato troppo. Il bambino finì in fretta la colazione e Arya mangiò la sua pappa d'avena. Ormai si era abituata a quel pasto, anche se di solito mangiava frutta a colazione. Murtagh si alzò poco dopo e fece colazione anche lui, mangiando lo stesso cibo dell'elfa. Arya non mise loro un'altra tunica. Li lasciò in camicia da notte tutto il giorno perché li vedeva più rilassati vestiti in quel modo, e poi non dovevano andare da nessuna parte.
“Come stanno?”    
Una voce alle sue spalle la fece sussultare. Si voltò. Era Angela, seguita da Solembum. I bambini si avvicinarono al gatto e presero ad accarezzarlo.
“Bene. Tu come sei messa con la pozione?”
“Sto ancora pensando a quali ingredienti potrei usare. È la prima volta che preparo una pozione del genere. E, anche se non mi piace dirlo a questo modo, perché Eragon e Murtagh non sono cavie ma bambini, dovrò andare per tentativi.”
“Capisco. E quanto ci metterai a preparare la prossima?”
“Non lo so, qualche giorno, forse una settimana, non ne ho idea. Immagino tu sia stanca di vederli così piccoli.”
Intanto Eragon accarezzava Solembum dalla testa alla coda e Murtagh gli faceva il solletico sotto il mento. Al gatto sembrava piacere da matti.
“In realtà no. Mi sto affezionando molto a loro, e anche se all'inizio non l'avrei mai ammesso li sento un po' come dei figli.”
“Attenta ad affezionarti così tanto a loro,” la mise in guardia Angela, “o quando si trasformeranno e torneranno adulti ne soffrirai.”
Arya sospirò.
“Lo so, ma per ora non voglio pensare a quel momento. Desidero concentrarmi su ciò che accade giorno per giorno.”
Spiegò ad Angela che quei bambini le stavano insegnando molte cose sulla maternità e che lei ne era contenta.
“Non l'avrei mai detto, ma è così” ammise. “Prima non avevo mai pensato che un giorno sarei diventata mamma. Ero troppo impegnata nella mia missione di portare l'uovo di Saphira avanti e indietro tra gli elfi e i Varden, sperando che si schiudesse. E poi, quando lo spettro Durza ha ucciso i miei compagni e mi ha catturata, ho mandato l'uovo di Saphira sulla catena montuosa conosciuta come Grande Dorsale, sperando che qualcuno lo trovasse. Ho creduto di morire, in quella cella” disse, più seria che mai. Angela annuì.
“Non lo sapevo” disse. “Quante sofferenze hai patito!”
“Già, ma ora è tutto finito, anche se Durza è ancora vivo. Chissà dov'è, adesso. Lo ucciderei volentieri.”
La sua voce si era fatta minacciosa quando aveva pronunciato l'ultima frase.
“Sì, lo immagino. E immagino anche che psicologicamente tu stia ancora soffrendo.”
“Molto. Ma sto cercando di concentrarmi sui bambini per non pensare.”
Non disse ad Angela che di notte, oltre all'incubo di quella appena trascorsa, sognava spesso di trovarsi in una cella, legata, e con Durza che la torturava. Si svegliava spesso in preda a tremori e sudori freddi. Ma non ne parlava con nessuno, era troppo orribile.
 
Sorrise perché Eragon si avvicinava a loro gattonando.
“Quanto sei bello” disse Angela. Lo prese in braccio e lo coccolò. “È stupendo, ma anche Murtagh è bellissimo.”
“Grazie” disse il bambino.
“Prego.”
Dopo poco l'erborista e Solembum se ne andarono. Per quel giorno i bambini ed Arya si riposarono.
Fu così che trascorse un mese. Quei trenta giorni volarono per Arya, tanto che quasi non si rese conto che il tempo continuava a scorrere. Angela aveva provato a dare ai piccoli altre due pozioni, che però non avevano funzionato.
"Basta" aveva detto l'elfa quando l'erborista aveva portato la terza, pochi giorni prima. "Non voglio più che tu dia pozioni ai bambini. Non funzionano, e chissà, magari fanno anche loro male."
"Così mi offendi" aveva risposto Angela. "Sto sempre molto attenta agli ingredienti che uso."
"Scusami, non volevo arrecarti offesa. Il fatto è che abbiamo provato tante volte e sono stanca, e lo sono anche i bambini, che bevono le tue pozioni e fanno facce strane perché non piacciono loro. Quindi, almeno per qualche giorno, ti prego, basta."
"Come preferisci" aveva detto l'erborista, poi le aveva sorriso e se n'era andata.
Quella mattina Orik venne a svegliarli e a portare loro la colazione.
"Come mai ci sei tu, oggi? Di solito è un altro nano che ci sveglia."
"Avevo tempo e ho deciso di farlo io."
"Grazie. Ora sveglio i bambini."
Arya svegliò Murtagh, che si mise subito a mangiare, mentre Eragon fece più fatica ad aprire gli occhietti.
"Vuoi che ti aiuti a cambiarlo?"
"Grazie, sei molto gentile, ma prima voglio farlo mangiare."
Come al solito, versò il latte nel biberon, spezzò il pane e lo fece galleggiare, poi diede il pasto ad Eragon. Le sue labbra formavano sempre un cerchio perfetto attorno alla tettarella. Aveva fatto bene a chiedere a Gwenda.
Dopo che ebbe mangiato, Arya aspettò un po' prima di farlo sdraiare sul letto, per paura che avesse un rigurgito di latte. Era successo, nei giorni precedenti. Aspettò diversi minuti, cullando il bambino fra le braccia dopo avergli fatto fare il ruttino. Lo fece distendere e gli tirò su la tunica.
"Vieni" disse a Orik,
Il nano si avvicinò.
"Che devo fare?"
Arya gli insegnò come svolgere le fasce e come pulirlo con l'acqua e un panno, poi fece sparire la fascia sporca con la magia e Orik ne mise una pulita al  piccolo, dopo averlo asciugato.
"Sei stato molto bravo, complimenti!" esclamò l'elfa.
"Per così poco."
Arya aveva portato fuori i bambini per diversi giorni, dopo che Orik aveva consultato il suo re, Ajihad e i compagni del suo clan per sapere se la foresta era sicura.
"Non ci sono Urgali o Kull in vista nemmeno oggi" disse il nano all'elfa. "Vuoi che li portiamo fuori? Posso chiedere ad alcuni nani del mio clan di accompagnarci."
Arya annuì.
Se c'era una cosa che sapeva era che stare all'aria aperta faceva bene, soprattutto ai bambini.
Poco dopo erano tutti dall'altra parte del lago, anche Saphira, come le altre volte.
Orik e Murtagh si misero a rincorrersi, mentre Eragon volle gattonare per riuscire a raggiungerli. Non ce la fece, ovviamente, e Arya lo prese in braccio. In quattro e quattr'otto arrivò dietro Orik.
"Presi!" esclamò.
Giocarono così tutta la mattina, a rincorrersi e a buttare sassi nel lago.
Una volta rientrati, Orik andò a prendere il pranzo per tutti.
"Posso chiederti un favore?"
"Dimmi, Arya."
"Potresti andare a prendermi un catino d'acqua? Ci penserò io a scaldarla con la magia. Vorrei fare loro un bagno. Sono sporchi di polvere e terra."
"Ma certo."
Orik le portò ciò che aveva chiesto, lei spogliò i bambini e li mise entrambi nell'acqua. Erano maschi, quindi questo non rappresentava un problema, e poi il catino era abbastanza grande da contenerli tutti e due.
Li lasciò giocare e schizzarsi per una decina di minuti, riscaldando l'acqua quando cominciava a diventare più fresca. Era bello vederli giocare insieme. Poi li lavò e quando l'acqua finì nelle orecchie di Eragon, questi cominciò a strillare.
"Tranquillo, tra un po' ti asciugo."
Faceva il bagno ai bambini due volte a settimana, e ormai sapeva che Eragon si comportava così, ma con quelle parole dolci si tranquillizzava sempre. Li insaponò e lavò loro i capelli, poi li fece uscire uno alla volta dal catino, li asciugò e li ambiò.
"Ora vado a farmi un bagno io" disse.
Aveva la tunica tutta impolverata.
"Aspetta, Arya, vado prima io, così dico a qualcuno di portarti dei vestiti puliti."
"Ti ringrazio."
Orik era sempre così gentile e bravo anche con i bambini.
Quando Arya toccò l'acqua con i piedi entrò nella vasca e si lasciò cullare dal tepore dell'acqua calda. Rimase lì per un tempo indefinito, con la testa appoggiata al bordo della vasca, fino ad addormentarsi. Si svegliò di soprassalto quando sentì l'acqua più fredda. Si insaponò, si lavò i capelli e poi uscì. Si asciugò con un gran panno e strizzò i capelli. L'acqua cadde nella vasca. Dopodiché strizzò i capelli con un altro panno, che trovò caldo, e indossò la tunica pulita che trovò nell'altra stanza. Tornò dai bambini e vide che stavano giocando con Orik con i cubi di legno. Doveva essere il loro gioco preferito.
Passarono tutto il pomeriggio e la sera così, a giocare, e quando i bambini crollarono sfiniti, Orik se ne andò dando la buonanotte ad Arya.
"Buonanotte anche a te, e ancora grazie" rispose l'elfa.
Si infilò a letto e si addormentò presto.
Il mattino seguente, dopo colazione, Arya propose di giocare a nascondino. C'erano degli anfratti nella caverna nei quali avrebbero potuto infilarsi. Murtagh si mise a saltellare per quel nuovo gioco.
"Io conto e tu ti nascondi, d'accordo?" gli chiese Arya.
"Sì."
"Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno, zero!"
Con Eragon in braccio, cominciò a cercare il bambino. Guardò dietro Saphira, nel caso il piccolo si fosse nascosto lì, ma non lo trovò. Allora provò a entrare in un anfratto, ma non era nemmeno lì. Dopo qualche minuto lo trovò e, mettendo Eragon a terra, gli fece il solletico. Il bambino  rise un sacco.
"Ora dovete nascondervi tu ed Eragon" disse.
"Sì, andiamo."
Murtagh contò, anche se lentamente, sbagliando qualche numero, cosa che fece sorridere Arya, e poi cominciò a cercarli- Alla fine li trovò nascosti dietro la dragonessa.
"Non vale!" esclamò.
"Sì che vale, non avevo detto che non si poteva fare."
Giocarono a nascondino tutta la mattina e dopo pranzo si riposarono.
Dopo il riposo, Arya tirò fuori un sacchetto di biglie di vetro, che erano state modellate per formare una rosa nel mezzo.
"Che belle" disse Murtagh.
Si divertirono a farle rotolare e a dire chi le faceva andare più veloci.
"Ho vinto! Ho vinto!" esclamò Murtagh.
"Tutti abbiamo vinto, anche Eragon è stato bravo."
Il bambino più piccolo scese dalle braccia di Arya e gattonò fino al letto. Vi si aggrappò e si alzò in piedi. Da una quindicina di giorni lo faceva e all'inizio Arya se n'era stupita. Non credeva che i bambini di nove mesi potessero già alzarsi in piedi. Aveva chiesto a Gwenda e lei le aveva detto che poteva succedere. Poi il bambino tolse una manina dal letto e dopo anche l'altra, si girò e mosse un piccolissimo passo.
Vai, Eragon! esclamò Saphira.
Arya lo guardava a bocca aperta. Il bambino andò verso di lei sulle gambette malferme e si fece prendere di nuovo in braccio.
"Bravissimo, sei stato fenomenale!"
Lo baciò su una guancia.
"Cammina" disse Murtagh.
"Sì, ma sta ancora imparando. Ci vorrà un po' prima che si senta sicuro."
Verso sera arrivò Angela.
"Ho la pozione perfetta, ne sono sicura!" esclamò.
Arya sospirò.
"Proviamo, se dici che sei così sicura…"
L'elfa non era convinta. Le altre non avevano funzionato, perché avrebbe dovuto farlo quella? Ma sapeva che Angela metteva molto impegno in ciò che faceva, quindi decise di fidarsi.
L'erborista passò una ciotola a Murtagh. Il bambino annusò la pozione, poi ne bevve un piccolo sorso.
"È dolce" disse. "Tutte le altre erano amare."
"Lo so, mi dispiace che abbiate fatto fatica a berle."
Eragon ne aveva sputati alcuni sorsi qualche volta.
"E come mai questa è dolce?" chiese Arya, mentre Angela riempiva il biberon di Eragon.
"Ci ho aggiunto del miele, altrimenti sarebbe amara."
E non avresti potuto farlo prima? pensò l'elfa, ma non lo disse.
I bambini avevano appena cominciato a bere, quando una risata sinistra echeggiò per tutta la caverna.
"Vi ho trovati."
Ad Arya cadde il biberon mentre a Murtagh la ciotola. La pozione schizzò in ogni dove.
Era un uomo alto e magro, un tipo atletico, con capelli cremisi, occhi neri e penetranti e labbra piccole. Anzi no, si disse Arya guardandolo meglio, non era un uomo ma uno spettro. Era Durza. Un brivido le percorse tutto il corpo facendole battere i denti. Se solo ripensava a tutte le torture che aveva dovuto subire a causa sua, le veniva da mettersi a urlare. Posò Eraogn nel letto e si avvicinò allo spettro.
"Che cosa vuoi?"
Cercò di mantenere un tono di voce fermo.
"Ci incontriamo di nuovo, Arya. Bene bene. Garjzla!" urlò lo spettro.
Un lampo di luce colpì l'elfa, facendola cadere riversa a terra. Arya svenne. Lo spettro fece svenire anche Angela, poi si avvicinò a Murtagh, ma Saphira  ruggì e gli diede un calcio con una zampa. Lo spettro rotolò a terra, tenendosi la gamba dolorante. Con un altro incantesimo, il più potente che conosceva, pronunciato in una lingua abietta di cui solo lui era a conoscenza, fece svenire anche Saphira e poi si avvicinò ai bambini. Murtagh tremava.
"Non farmi del male" mormorò. "Perché hai fatto male ad Arya e a Saphira?"
"Sta' zitto!" esclamò lo spettro.
"Loro sono buone, perché?" insistette Murtagh.
"Ho detto sta' zitto."
Lo prese per un braccio e lo lanciò via con tutte le sue forze. Il bambino finì contro un lato della caverna, battendo forte la schiena e la testa e cominciando a piangere.
"Tu non mi servi" disse lo spettro a Murtagh. "Mentre tu sì."
Si avvicinò al letto e prese Eragon in braccio. "Vi siete trasformati in dei bambini, sarà più facile uccidervi. Galbatorix mi ha detto che avrei dovuto ammazzarti, se ti avessi trovato, e ora eccoti qui, Eragon, indifeso e incapace di lottare, proprio quello che ci voleva."
Ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Arya e Saphira si risvegliarono. La prima prese Zar'roc.
"Metti giù il bambino" ordinò a Durza.
"Non puoi darmi ordini, elfa. Avrei dovuto ucciderti quando ti ho trovata quella notte, ma dovevo portarti a Gil'ead a poi da re Galbatorix, non potevo ammazzarti, anche se mi sarebbe piaciuto."
"Ho detto" iniziò lei in tono minaccioso, "metti giù il bambino."
Scandì quelle ultime parole con lentezza, puntando Zar'roc al petto di Durza. Colpirlo al cuore e ucciderlo sarebbe stata la ricompensa per tutto quello che le aveva fatto patire. Lo spettro fece quanto gli era stato detto, mentre Eragon e Murtagh piangevano. Saphira gli morse una gamba, staccandogli pezzi di carne e di pelle. Lo spettro ululò di dolore. Arya provò a colpirlo al cuore, ma non ci riuscì. Con la sua lama, sottile come un capello ma potente, Dura cercò di colpirla tra le costole, ma lei parò il fendente e gli fece un lungo taglio su un braccio. Lui la colpì in testa facendola barcollare, ma non cadere. Stanca di vederlo lì, l'elfa lo colpì al collo e sulla fronte, parando a velocità sovrumana i suoi fendenti. Uno le colpì la fronte, però, facendo un lungo taglio.
Merda pensò l'elfa, mentre il sangue gocciolava per terra mischiandosi a quello di Durza.
Lo colpì in mezzo agli occhi, come aveva fatto Eragon con una freccia tempo prima, e lo spettro sparì. Di lui non rimasero né il sangue, né quello che Saphira gli aveva strappato.
Eragon piangeva a più non posso e anche Murtagh. Il clangore delle spade e quanto era accaduto prima doveva averli spaventati.
Angela si riprese.
"Che è successo?" chiese.
Arya glielo spiegò.
"Be', non è morto, ma almeno è sparito."
Poco dopo l'erborista se ne andò.
"Devo chiamare un guari…"
Ad Arya girò la testa.
“Sdraiati” le disse Saphira. “Andrò io.”
Volò via. Tornò dopo poco seguita da Orik e da un guaritore.
Arya si era sentita inutile perché non era riuscita a calmare i due bambini che ancora piangevano, ma ci pensò Orik a farlo. Un guaritore guardò la ferita di Arya e, con la magia, la richiuse. Non rimase nemmeno una cicatrice.
"Grazie" gli disse l'elfa.
Orik stava calmando Murtagh ed Eragon con parole dolci. Arya controllò che stessero bene. Il più grande aveva un bernoccolo dietro la testa, così chiese a Orik se, per favore, avrebbe potuto portare del ghiaccio. Lui lo fece e Arya lo mise dietro la testa di Murtagh.
"Tienilo per un po', così farà meno male."
Arya era stremata, anche se il combattimento era durato poco e non aveva nemmeno dovuto usare la magia. Anche i bambini erano stanchi, così dopo la cena andarono a letto. Arya coccolò Murtagh ed Eragon e cantò loro una ninnananna elfica affinché si addormentassero.
Il giorno dopo, quando Arya si svegliò, soffocò un grido. Eragon e Murtagh si erano trasformati, tornando come prima. Dato che stare in mezzo a loro nel letto non le sembrava decoroso - non avrebbe mai voluto che i due pensassero che aveva fatto sesso con entrambi - Arya si alzò, e quando Orik venne a portare la colazione, rimase interdetto.
"Si sono trasformati" sussurrò.
Saphira sentì e si avvicinò.
"È successo come quella notte: sono diventati dei bambini, mentre stanotte degli adolescenti."
"Che mal di testa!" esclamò Eragon alzandosi.
“Anch'io ce l'ho."
"Murtagh, che ci fai nel mio letto?"
"Non… non lo so."
I due si guardarono confusi, mentre Saphira, che aveva ristabilito il legame mentale con Eragon, gli spiegò ogni cosa e lui lo riferì a Murtagh. Fu solo allora che si accorsero di Orik e Arya.
"Grazie per esserci stata accanto ed esserti presa cura di noi" le disse Eragon, anche se era ancora scioccato dalle rivelazioni di Saphira.
L'elfa glielo leggeva in faccia: aveva gli occhi sgranati, come Murtagh del resto.
"È stato un piacere. Ora scusatemi."
Si mise a correre e sparì.
"Ma dov'è andata?" chiese Orik.
Arya correva, correva a perdifiato. Uscita dalla  caverna di Saphira, andò verso Tronjheim, trovò un angolo tranquillo, si accucciò e cominciò a piangere. Pianse tantissimo, non asciugando nemmeno le lacrime. Lasciò che le bagnassero il collo e la camicia da notte che ancora indossava, ma non le importava di farsi  vedere in quello stato. Alcuni nani e umani si avvicinarono per capire cosa stava succedendo e per calmarla, ma lei li cacciò via in malo modo. Non avrebbe voluto, di solito era sempre gentile, ma quella volta non ne poteva più.
"Arya."
Era la voce di Eragon. Era seduto accanto a lei. L'elfa lo guardò.
"Hai gli occhi rossi."
Lei pianse ancora di più, senza riuscire a parlare.
"So perché piangi" disse Murtagh avvicinandosi. "Ti eri affezionata a noi da bambini e ora senti…"
"Sento di avervi persi" concluse l'elfa per lui.
La sua voce si frantumò come mille schegge.
"Dovevamo tornare grandi prima o poi, lo sapevi" riprese Eragon con dolcezza, asciugandole gli occhi.
"S-sì, ma saperlo è una cosa, rendersene davvero conto un'altra."
"Noi ricordiamo tutto, Arya" continuò Murtagh. "Ogni singolo momento vissuto con te."
"Davvero?" chiese lei, e li guardò entrambi.
"Sì, anch'io che ero il più piccolo" disse Eragon. "Non so se ti può consolare, ma anche tu, un giorno, forse sarai madre, e sarai bravissima."
"Dici sul serio?"
"Certo!" risposero insieme i due, convinti delle proprie parole.
Arya tirò su col naso.
"Grazie. Ora vorrei restare sola."
I due la lasciarono.
L'elfa si lasciò ricadere addosso a una parete e rimase lì per ore a fissare un punto indefinito della città-montagna. Avrebbe conservato, come Eragon e Murtagh, un bellissimo ricordo di quel mese  passato insieme. Ma per tutti gli elfi, quanto faceva male non poterli stringere più fra le braccia, non sentire le loro risate, addirittura non dover cambiare più Eragon. Le dolevano il petto e la testa. Quell'avventura era terminata con un finale agrodolce. Arya sospirò e si alzò. In ogni caso, si disse, ne era valsa la pena. E se fosse tornata indietro avrebbe rifatto tutto daccapo. Era ancora triste, ma sapeva che non lo sarebbe stata per sempre. Si ritirò nei suoi alloggi dove pianse ancora e ancora, finché credette di non avere più lacrime.
"Vi voglio bene, piccoli miei" disse guardando il soffitto.
Quella notte non riuscì a chiudere occhio. Ripercorse con la mente l'intero mese appena trascorso. Stava male, ma sapeva una cosa: non avrebbe mai più dimenticato quei due piccoli bambini, che le sarebbero rimasti per sempre nel cuore.
 
 
 
CREDITS:
Nicola Cinquetti. Il vento è invisibile
 
 
 
NOTA DI TRADUZIONE:
“Atra esterni ono telduin mon'ranr lifa unin hjarta onr un du evarinda ono varda.” = Che la fortuna ti assista, che la pace regni nel tuo cuore e che le stelle ti proteggano.
Wayse heill = guarisci
   
 
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