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Autore: Padme Mercury    09/06/2022    0 recensioni
Una serie di brutali omicidi solletica l'interesse di Sherlock Holmes e del suo amico John Watson. All'apparenza slegati l'uno dall'altro, sono dei biglietti molto particolari che li uniscono sotto il nome di un unico assassino.
I segreti si estendono a tutta la famiglia Holmes: l'entrata in scena della giovane Charlotte cambia gli equilibri dell'appartamento al 221B di Baker Street, forse per sempre.
Sherlock si troverà davanti ad una scelta difficile che aveva sempre cercato di evitare: cuore o cervello? A cosa darà ascolto il detective?
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[N/A
La timeline è modificata rispetto alla serie originale. John è sposato con Mary anche se Moriarty è ancora vivo. Reichenbach non è ancora successo. L'età dei personaggi è leggermente modificata, così che Sherlock, John e Mycroft si trovino tutti tra i trentadue e i quarant'anni]
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo venti


"Sì, è qui. L'ho mandata a farsi una doccia, ne avrà per un po'. Sta bene, Mycroft, ha solo preso un po' di freddo e d'acqua. Alla peggio le verrà un'influenza, ma non credo." Sherlock sospirò, tenendo il telefono attaccato all'orecchio. Roteò gli occhi, gesto che fece ridacchiare John, mentre si sentiva la voce di Mycroft uscire metallica e incomprensibile dalla cornetta.


"Sì, ok, va bene. È molto scossa, quindi non credo sia il caso che la chiami. Lo farà lei quando se la sentirà, quando si sarà perdonata. Lo sai che lo farò, Mycroft, non fare domande stupide." aggrottò le sopracciglia, guardando verso il corridoio. "Ha chiuso l'acqua, tra massimo cinque minuti uscirà dal bagno. Ti tengo aggiornato, sì, basta che stai zitto. Ciao." chiuse la chiamata con un colpo secco e uno sbuffo, che fece ridacchiare di nuovo John.


"Non c'è niente di peggio di un papà preoccupato, eh?"


"Non sono d'accordo. Non hai mai visto mia madre." sogghignò nella sua direzione, ridendo poi assieme all'amico. Fu una risata breve, terminata con un sospiro. Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. "Cosa ne pensi?"


John si passò una mano sul viso, poggiando il giornale che stava sfogliando in modo svogliato. Si mordicchiò il labbro inferiore e tamburellò le dita sul tavolino.


"Ha bisogno di aiuto. Ho avuto un paio di pazienti che soffrivano di anoressia, e quello stadio," indicò il corridoio, come se Charlotte fosse lì, "non è mai un buon segno. Non credo neanche si sia cicatrizzata la ferita al braccio, è..."


"Un morto che cammina." terminò la frase Sherlock, con tono basso e la voce leggermente inferma.


John trattenne il fiato a quelle parole, non aveva avuto il coraggio di dirlo ma era proprio quello che stava pensando. Guardò Sherlock fermo alla finestra, un braccio a cingersi il petto e l'altro piegato, la mano appoggiata appena sotto il mento. Sembrava calmo a prima vista, ma muoveva pollice e medio l'uno contro l'altro e vedeva i nervi della mascella contrarsi ritmicamente, come se continuasse a stringere e rilasciare i denti. I suoi occhi attenti parevano osservare la strada, ma John sapeva che non vedeva quello che gli stava realmente davanti ma analizzava dati visibili solamente a lui.


Il medico sospirò, guardando la porta che dava al corridoio scuro. Sherlock aveva la camicia ancora appena umida da quell'abbraccio disperato, quella ricerca di protezione tipica di chi non ha posto in cui andare. Continuava a ripetere di aver rovinato tutto, di aver fatto una cosa terribile e che non l'avrebbe mai perdonata, e John si era stupito di quanto delicato fosse stato Sherlock. L'aveva stretta a sé, le aveva accarezzato i capelli, era quasi come se avesse creato una pellicola attorno a loro che non permetteva a John o ad altri di avvicinarsi finché non fosse riuscito a fermare i singhiozzi. Il medico ne aveva approfittato per guardarla, osservare i vestiti che le andavano ancora più larghi dall'ultima volta che l'aveva vista. Guardava la sua mascella spigolosa, il viso e le mani ossute, i capelli secchi e spenti. Era quello l'aspetto che aveva quando era stata ricoverata? Si era spinta ancora a tanto?
Distolse lo sguardo e inspirò rumorosamente, alzando poi la testa in direzione dell'amico.


"Le lascio la mia stanza." disse convinto, come se fosse la cosa più normale del mondo. Sherlock aggrottò le sopracciglia.


"Non ce n'è bisogno, nel mio letto ci-"


"No." lo interruppe e si alzò, passandosi una mano sul collo. "Non soffocarla, ha bisogno di respirare. Dormirà nella mia stanza, stare sul divano un paio di notti non mi ucciderà di certo." accennò un sorriso, poi si diresse al piano di sopra per recuperare il suo pigiama.


Sherlock lo seguì con lo sguardo, sempre serio, sempre analizzando ogni minimo dettaglio. Chissà se si erano entrambi resi conto di quello che li legava davvero, se avevano capito l'entità di quella forza che li spingeva l'uno verso l'altra. Non aveva mai visto nessuno cercarsi in quel modo, avere quasi bisogno l'uno dell'altra per respirare e accettare il mondo che li circondava. Quel bagliore negli occhi, l'elettricità che sfrigolava anche solo quando erano vicini. Era qualcosa di speciale che aveva visto solo una volta nella sua vita, solo con...


"Ho lasciato i vestiti bagnati sul calorifero."


La voce di Charlotte lo riportò al piano del mondo reale. La guardò per qualche istante. La maglietta che le aveva dato le stava larga, le maniche corte le arrivavano al gomito e l'orlo inferiore cadeva a metà coscia. I capelli umidi erano assicurati alla nuca da un mollettone scuro. In quel modo mostrava ancora di più la fragilità del suo corpo, un involucro dalla pelle pallida e sottile che poteva rompersi al minimo tocco. Ma gli occhi le brillavano di una luce che non accennava a spegnersi, che gli diceva che da qualche parte lì dentro c'era ancora la Charlotte brillante e fiera che conosceva. Si permise di rivolgerle un sorriso solo perché era lei, solo perché stava male.


"John ti lascia la sua camera. Accetta la sua offerta, sai che altrimenti si preoccuperebbe troppo." e anche io, avrebbe voluto aggiungere, ma lasciò che fosse solo il suo sguardo a parlare.


Charlotte lo osservò per qualche istante, poi sospirò e annuì.


"Va bene." si passò le braccia attorno al busto e voltò la testa di lato, in direzione della libreria. "Credi che tornerà tutto come prima?" chiese con un filo di voce, cercando di trattenere nuove lacrime. Sherlock scosse la testa.


"No. È impossibile tornare indietro, soprattutto a seguito di determinate prese di coscienza. Ma Lotte..." si avvicinò rapidamente a lei e le prese le mani, facendole voltare la testa per guardarla negli occhi. "Anche se sarà diverso, ti prometto che andrà bene. Fidati di me, di Mycroft," al suo nome Charlotte trattenne il respiro, gesto che non passò inosservato a Sherlock, "fidati di John. Sai che faremo tutto il possibile per aiutarti."


Charlotte ci pensò su, guardandosi intorno, evitando con cura lo sguardo dello zio. Poi gli strinse più forte le mani e si decise ad incontrare i suoi occhi azzurri. Accennò un piccolissimo e timido sorriso e annuì.


"Ti credo. Ma solo perché non penso mi mentiresti mai. Non su questo, non così." Sherlock le sorrise e le diede un lieve bacio sulla fronte, come a sancire quel piccolo accordo. "Posso prendere un libro da lì sopra?" chiese indicando la libreria con la testa e decretando la fine di quel discorso.


"Tutti quelli che vuoi, Lotte." le lasciò le mani, così che lei potesse andare a recuperare qualsiasi cosa volesse.


Lei si avvicinò alle mensole e le scorse con lo sguardo. Dopo qualche istante tirò fuori un volume, quello che aveva puntato fin dall'inizio, come aveva notato Sherlock. Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde era il suo libro preferito da quando era piccola, era ovvio avrebbe scelto quello. La guardò poi salire le scale, i piedi nudi che toccavano il legno con delicatezza e furtività.
Quando arrivò in cima, si fermò sulla porta qualche istante a guardarsi intorno. Tante volte era stata in quell'appartamento, ma mai aveva salito quella piccola rampa. Aveva sempre saputo che era la stanza del coinquilino di suo zio, e proprio per questo motivo non aveva mai voluto andare a curiosare. Lei avrebbe odiato sapere che uno sconosciuto aveva ficcanasato tra le sue cose, perché avrebbe dovuto farlo lei stessa?
Strinse leggermente più forte il romanzo che aveva in mano. Era una camera da letto estremamente semplice, con proprio al centro un letto matrimoniale sormontato da un copriletto scuro piegato con cura. A sinistra c'era una finestra alta quasi come tutta la parete e con un davanzale abbastanza grande per potercisi sedere sopra. Al suo fianco un armadio di legno semplice e usurato dal tempo, non troppo grande, chiaro segno che il proprietario non aveva molti vestiti tra cui scegliere.
Poggiò la mano sul comò lucido posizionato appena a destra della porta. Non aveva niente poggiato sopra, era un semplice mobile spoglio e, molto probabilmente, quasi vuoto. Sulla destra della stanza c'era una porta socchiusa che dava su un bagno piccolo ed essenziale, con dentro solo un gabinetto, un lavandino e un mobiletto per i medicinali e i prodotti essenziali come deodorante e schiuma da barba.
Era decisamente la stanza di uno scapolo, di un uomo che voleva fuggire dalla propria vita e non portarsi dietro niente del passato. Charlotte sospirò e mosse qualche passo all'interno della camera. Chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò al letto. Poggiò il libro sul comodino basso e spostò il copriletto. Diede un'occhiata all'interno del bagno e vide John intento a lavarsi i denti. Lui non l'aveva notata e lei ne fu grata. Non sarebbe stato bello farsi beccare a guardare una persona, lei per prima non lo avrebbe apprezzato.


Si accomodò sul letto mentre indugiava appena con lo sguardo sulla figura dell'uomo. In qualche modo la attirava ma ancora non riusciva a spiegarsi il perché. Non era la persona per cui si sarebbe girata in mezzo alla strada, probabilmente non lo avrebbe neanche notato. Era così diverso dal suo ideale, dalle celebrità che ammirava e dai ragazzi reali che considerava belli. Così diverso da David, di una bellezza inarrivabile per lei, la persona che le balenava in mente quando le chiedevano quale fosse il suo uomo ideale. John invece...
John era tutto il contrario e non poteva fare a meno che metterlo a paragone col suo fidanzato. Sovrapponeva le loro immagini, mescolava il verde scuro degli occhi di Dave al blu notte di quelli di John, i loro sorrisi. Passava dalla silhouette alta e slanciata di David a quella più bassa di John e quasi voleva spaccarsi in due la testa perché non riusciva più a tornare con la mente solo su Dave, esclusivamente su Dave.
Aveva capito fin da subito che John era speciale. Lo aveva capito dal modo in cui la guardava, da come le parlava e da come si rivolgeva agli Holmes in generale. Non era solo un soldato o un medico, no, lui era molto di più. Era la voce della ragione di quella famiglia sgangherata, la persona che riusciva a tirare le fila e far tornare all'ovile la pecora che si era persa. Era incredibile il modo in cui, in così poco tempo, anche lei fosse stata catturata in quel modo, forse anche in modo più incisivo rispetto agli altri. Aveva perso il conto delle volte in cui le aveva tormentato il sonno, dei momenti in cui le era sembrato di sentire la sua voce o il suo profumo e si era voltata di scatto solo per trovarsi una strada vuota davanti.


Prese velocemente il libro appena notò che stava per uscire dal bagno. Nascose il volto dietro le pagine, le guance appena rosse per l'imbarazzo di essere stata quasi scoperta. John sorrise appena oltrepassò la soglia e si appoggiò allo stipite con la spalla. Costò a Charlotte un grande sforzo non alzare lo sguardo e seguire la curva del suo corpo, riposare gli occhi sul punto in cui le braccia si incrociavano, riempirsi la mente di quell'immagine che sapeva l'avrebbe accompagnata per molto tempo.


"Sai, credo che sia più efficace se il libro lo tieni dritto." commentò John, soffocando una piccola risata.


Charlotte sentì le guance avvampare mentre lentamente girava il libro. Si maledì mentalmente per non essersene accorta, per sembrare una ragazzina imbranata alla sua prima cotta. Si passò la lingua sui denti, tentando di far rallentare il cuore, che aveva accelerato i battiti in seguito a quel piccolo inconveniente.


"Ehi, che succede?" chiese e Charlotte alzò la testa per guardarlo. "Quando fai così stai sempre pensando a qualcosa." terminò, indicandola.


"Niente, solo che... Dio, devo sembrarti una tale idiota!" poggiò il libro sulle gambe e si coprì il volto con le mani. "Non so cosa sia. Non riesco ad evitare di sembrare una ragazzina quando ci sei tu." non riesco a smettere di guardarti, avrebbe voluto aggiungere, ma non disse niente. John sorrise, un sorriso dolce e comprensivo.


"Davvero? Non me ne ero accorto. Forse ero troppo preoccupato a non sembrare un perfetto imbecille di fronte a te." replicò. Charlotte azzardò un piccolo sorriso mentre abbassava timidamente le mani. Batté sul materasso di fianco a lei.


"Mi fai un po' di compagnia?" chiese e John annuì. Lo guardò staccarsi dallo stipite con un colpo secco e fare il giro del letto per stendersi di fianco a lei. "E comunque, dottor Watson, sappia che un letto matrimoniale nella camera di uno scapolo vuol dire solo una cosa!" lo prese in giro, sistemandosi meglio al suo fianco.


"Ah, e se mi piacesse semplicemente dormire molto comodo?" alzò un sopracciglio, divertito dalla situazione.


"Non ci credo neanche se mi porta le prove. La sua reputazione da dongiovanni la precede, caro il mio dottore."


"Così mi offende, milady. Le sembro un uomo così poco affidabile?" incrociò le braccia e alzò il mento fingendosi offeso. Charlotte rise.


"Scemo!" si schiarì la gola. "Grazie, comunque. Mi hai fatto ridere."


John le accarezzò i capelli e le sorrise, guardandola come si guarda un'opera d'arte.


"Ne sono contento." si sporse appena per avvicinarsi e poggiò le labbra sulla sua fronte. Sentì la ragazza trattenere il fiato, allora si affrettò a spostarsi. "Non hai la febbre, sei fresca come una rosa."


"John, sono orribile vero?" chiese a bruciapelo, quasi senza farlo finire di parlare prima. La guardò con le labbra appena separate, gli occhi spalancati, come se non avesse capito neanche una parola. "Insomma, tra quello che ho fatto e... E come sono, io..."


"Non credo che tu lo sia, Char. Tutti fanno degli errori, ma si sistemano. Tutto può sistemarsi." le sorrise, cercando di trasmetterle quanta più calma gli fosse possibile.


Charlotte girò la testa verso di lui e lo guardò con occhi grandi, tormentando la copertina del libro che aveva in mano. Si passò la lingua sulle labbra e si strappò un paio di pellicine con i denti.


"Dio, sono un disastro... Avevo promesso che non sarebbe successo di nuovo. Ma non lo faccio apposta, io... Ci provo, te lo giuro John, ci provo. Ma c'è... C'è qualcosa, non so cosa, che mi ferma. Che mi fa venire da vomitare quando mangio qualcosa. Che mi porta via e riesco a tornare solo se..." si passò una mano sul braccio, evitando accuratamente di finire la frase. "Non so neanche come fai a guardarmi." mormorò.


John aggrottò le sopracciglia, avvicinandosi appena.


"Cosa intendi?"


"Insomma, guardami! Cosa sono? Sono uno scheletro, una mummia! Non riesco a guardarmi allo specchio senza piangere e non riesco a fare niente per farlo smettere! Faccio schifo e non puoi negarlo. Io non riuscirei a guardare in faccia una come me." sbottò, stringendo i pugni lungo le cosce magre. John sospirò.


"La prima cosa che ho pensato... Nel momento in cui sono arrivato assieme a tuo zio e tu eri lì, sulla poltrona, a suonare. Ecco, in quel momento, il primo in cui ti ho vista... Ho pensato che non esistesse persona al mondo più bella di te. Era forse la luce o il tuo sorriso mentre suonavi... Ma sono certo di averlo pensato. Poi ho iniziato a conoscerti, a capirti. Ho visto che tipo di donna sei, come tieni testa a Sherlock, quanto sei divertente e intelligente. E credimi... Sei ancora la ragazza più bella che io abbia mai visto." finì di parlare, guardandola negli occhi.


Charlotte, dal canto suo, non aveva osato distogliere lo sguardo da lui mentre parlava. Lo fissava incredula, col fiato sospeso e sembrava pendere totalmente dalle sue labbra. Appena John ebbe finito di parlare, agì prima ancora di pensarci e si sporse verso di lui. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò, senza pensare che avrebbe potuto allontanarla, senza pensare a quanto fosse sbagliato quel gesto. Ma lui non si scostò, anzi. Le passò le braccia attorno alla vita e ricambiò quel bacio che sapeva di gratitudine, incredulità, sensi di colpa. Solo in quel momento entrambi si resero conto che, per quando avessero cercato di ignorare quell'attrazione, era impossibile cancellarla. Era impossibile per loro rimanere nella stessa stanza ed essere completamente indifferenti l'uno nei confronti dell'altra.
Si persero l'uno nelle labbra dell'altra, dimentichi di tutto ciò che li circondava. Come la prima volta, anche in quel momento non esistevano né Mary né David, non esisteva Sherlock, il 221B, i casi. Esistevano solo loro due, sospesi nel tempo, persi in un secondo eterno. Charlotte si riempì le narici del suo odore, dell'aroma di menta che veniva dal dentifricio e di medicinali e polvere da sparo che ormai pareva far parte della pelle di John, mentre le loro lingue si incontravano a metà strada e si esploravano a vicenda.


Si separarono dopo quella che parve un'eternità, senza alcuna voglia di farlo. Rimasero talmente vicini che le loro labbra si sfioravano ancora e i loro respiri si infrangevano sulla loro pelle. Charlotte si perse nella contemplazione dei suoi occhi di quel blu scuro come la notte con riflessi viola, quegli occhi che vedeva ogni notte quando abbassava le palpebre. Gli accarezzò piano le guance lisce con i pollici, sentì la consistenza della sua pelle e memorizzò nel tocco la sensazione che stava provando in quel momento. Si lasciò sfuggire un piccolo e leggero sorriso nel sentirlo tremare appena sotto le sue dita, esattamente come stava facendo lei. Si sporse appena, per baciarlo di nuovo, per riempirsi nuovamente ogni cellula di lui.


"No." la fermò lui, mettendo le mani sui suoi polsi. Sollevò un angolo della bocca in un sorriso mesto di fronte allo sguardo confuso della ragazza.


"Perché?" sussurrò, ferma e bramosa del suo contatto. John sospirò e fece scivolare le mani fino a prendere le sue. Le accarezzò i dorsi con i pollici, disegnò piccoli cerchi concentrici.


"Perché se non mi fermo adesso, non riuscirò più a farlo. E allora farò l'amore con te per tutta la notte e domani non riuscirò più a lasciarti andare." confessò, incrociando lo sguardo solo alla fine. Un misto di colpa, dolore e tuttavia anche desiderio traspariva dalle sue iridi scure.


"E se fosse quello che voglio anche io?" chiese. Mosse appena le mani così da intrecciare le loro dita e gliele strinse. John sospirò e scosse la testa.


"Non è quello che vuoi davvero, Char. In questo momento ti sembra che lo sia, ma domani mattina penserai a David. Penserai al male che gli avremo fatto. Per cosa poi? Per un momento di debolezza, perché avevi bisogno di sentirti desiderata e perché io sono uno stupido che..." si schiarì la gola. Evitò di terminare la frase, lasciò che aleggiasse nell'aria attorno a loro e che lei capisse quello che voleva. "Credimi, scricciolo, è meglio così."


Charlotte sospirò e abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate. Si incastravano perfettamente, le sue così piccole e delicate e quelle di John più grandi e ruvide. Si morse il labbro inferiore e rialzò la testa.


"Rimani. Ti prometto che non faccio niente, ma... Sono giorni che non riesco a dormire. Che appena chiudo gli occhi ho incubi. E so che è lo stesso per te. Magari se stiamo insieme la notte farà meno paura..." suggerì, guardandolo negli occhi.


John parve pensarci su qualche istante, poi annuì e si lasciò sfuggire un sorriso leggero.


"Come sai che non dormo neanche io?"


"Ti dimentichi sempre che sono una Holmes." rispose con un leggero sorriso enigmatico sulle labbra.


Gli lasciò le mani solo per recuperare il libro e permettergli di appoggiare la schiena contro la testata del letto. Lei si sistemò contro di lui, la testa sulla sua spalla e il volto così vicino al suo. John le passò un braccio attorno per stare più comodo e, a dire la verità, anche per sentirla ancora più vicina. Appoggiò il mento sulla sommità della sua testa.


"Cosa leggi?" chiese. Senza pensarci cominciò a muovere le dita sul suo braccio in una carezza leggera.


"Il ritratto di Dorian GrayÈ il mio libro preferito da quando sono piccola." sorrise e sfogliò le prime pagine vuote così da arrivare al primo capitolo.


Rimasero poi in silenzio a leggere, anche John seguiva le parole assieme a lei. Ogni tanto si perdeva a guardarla, ad assaporare quel momento che sapeva tanto di estemporaneo e fragile. Sperava che lei non sentisse il suo cuore battere all'impazzata nel petto, così forte da sembrare un animale in gabbia che lottava per essere liberato. Era sbagliato, era tutto così incredibilmente sbagliato, ma non riusciva a fermarsi. Non riusciva ad allontanarsi da lei, a tenerla a distanza, a smettere di desiderare di essere una cosa sola con lei. Sentiva che le loro anime si chiamavano, si gettavano l'una contro l'altra, ma cosa potevano fare? Erano entrambi incatenati da obblighi che non potevano ignorare, avevano entrambi una vita che non volevano abbandonare.
Si accorse che Charlotte si era addormentata solo quando notò che erano ormai troppi minuti che non girava pagina. Ridacchiò sommessamente e liberò il braccio, così da prendere il libro e chiuderlo per appoggiarlo sul comodino. Si sdraiò e la portò con sé, così da farla stare comoda. Lei si rannicchiò di più contro di lui con la testa sul suo petto e un braccio attorno alla sua vita. John rimase perso per qualche istante a guardarla dormire, ad osservare le sue labbra appena separate e le palpebre abbassate.
Mary non aveva mai dormito così con lui. A lei piaceva avere i suoi spazi anche a letto, di solito stava sdraiata sul fianco destro. Il contatto più frequente era la sua mano sopra quella del medico, più raramente lui riusciva ad abbracciarla da dietro e dormire in quella posizione. Ma di certo Mary non era una donna che amava esternare le sue emozioni, i suoi pensieri, i suoi sentimenti. Li dimostrava a suo modo, ma una carezza o un bacio spontaneo erano molto rari. Con Charlotte vedeva tutt'altro mondo. Lei bramava il contatto fisico, che fosse un abbraccio o semplicemente le mani che si sfioravano. In questo forse la aiutava la sua giovane età, il candore che ha solo chi non ha vissuto abbastanza a lungo da essere totalmente disilluso.


Le accarezzò una guancia e abbassò la testa abbastanza per sfiorarle appena le labbra con le sue in un bacio leggero come una piuma. Sorrise nel vederla rannicchiarsi di più, infastidita da quel dolce solletico.


"Buonanotte, Char." sussurrò. Chiuse gli occhi e nel giro di pochi istanti si addormentò anche lui, abbracciato a quella ragazza quasi come se fosse la sua ancora di salvezza.

   
 
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