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Autore: Marauder Juggernaut    14/06/2022    1 recensioni
[ Dal Testo ]
È vero, la persona che spera di incontrare è degna di Katakuri. Col tempo, il Ministro della farina si è reso conto di non essere disposto a concedere la propria presenza a gente che non lo merita. Già cinque minuti sono sufficienti, figurarsi spendere notti intere.
È vero, è bellissima. Katakuri ha visto quasi l’intero oceano e poche volte ha posato lo sguardo su creature più ammalianti.
È vero, non ci fa nulla. È sfiorito il tempo della passione imperterrita per entrambi. Ogni tanto, uno dei due ci prova a rinvigorire la fiamma, ma non sempre è un successo e col passare del tempo si sentono sempre più ridicoli.
È vero, è della sua taglia. A essere onesti, svariate decine di centimetri di più (e qualche milione di Berry in più, ma è un’altra questione) e questo è un particolare che ha sempre infastidito Katakuri, ma ha imparato a non darci peso per il quieto vivere.
È falso, invece, che si tratti di una donna, ma questo è un dettaglio che non condividerà mai con nessuno.
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[ Coppia principale: Katakuri x King/Arbel ]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Charlotte Katakuri
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Confessionale:
Dovrei, tipo, smetterla di farmi venire in mente nuove idee e non completare quelle vecchie, ma da un mesetto mi sono rimess3 in pari con One Piece, le idee sono balenate in testa e che fai non le metti per iscritto? Inoltre, l'input è stato dato da una recensione che chiedeva il finale di un'altra fic che, dopo aver letto quella recensione, potrebbe trovare conclusione entro la fine del mese di luglio, dopo gli esami, insieme a un paio di altre.
In ogni caso, date il benvenuto alla nuova ship che non si calcolerà nessuno, perché da quando è comparso lui (insomma, penso che dal titolo si sia capito di chi parli), Ichiji può essere congedato. 
Buona lettura.




The Beauty; The Beast - La tregua col dio della luna


Capitolo Uno: la città delle luci



«Secondo voi … che tipo è la donna che Katakuri-sama smania di vedere, tanto che ogni volta che passiamo vicino a Kanrakugai facciamo tappa?».
«Ssshhh! Perché parli così ad alta voce? Vuoi che ci senta?».
«Tanto non serve a nulla tenere il segreto se riesce a prevedere i tuoi discorsi … e poi non ne sto parlando male, sono solo curioso! Voglio dire, si ferma sempre qualche giorno nella casa di piacere più famosa dell’Isola e ne esce solo al momento di salpare, dopo che ha dato a tutti dei soldi per intrattenersi nei bordelli dell’isola».
«Eheh … Katakuri-sama è sempre così generoso con noi quando siamo a Kanrakugai, non vedo l’ora di…»
«Ehi! Rispondi alla mia domanda prima di pensare con l’uccello…».
«Cosa vuoi che ti dica! Katakuri-sama non vuole nemmeno che ci avviciniamo a Casa Romance quando entra lui, figurati se riesco a capire che tipo di donna incontra … sicuramente una della sua taglia».
«Oppure una donna comune e non ci fa nulla: ci gioca a Shogi e beve sake, sarebbe molto nel suo stile … in fondo, si sa che a Kanrakugai ci sono le prostitute più affascinanti di tutto il Nuovo Mondo».
«Sicuramente una donna bellissima, degna di Katakuri-sama».
«Basta non farlo sapere a Flambé!».
 
Katakuri si trattiene dallo sbuffare: non gli dà fastidio che il suo equipaggio parli di lui, soprattutto perché i termini con cui ne parla sono sempre ossequiosi, colmi di rispetto e ammirazione. Eppure, la parte più infantile di lui vorrebbe esplodere a ridere perché delle congetture che è riuscito a sentire, quasi tutte sono vere.
È vero, la persona che spera di incontrare è degna di Katakuri. Col tempo, il Ministro della farina si è reso conto di non essere disposto a concedere la propria presenza a gente che non lo merita. Già cinque minuti sono sufficienti, figurarsi spendere notti intere.
È vero, è bellissima. Katakuri ha visto quasi l’intero oceano e poche volte ha posato lo sguardo su creature più ammalianti.
È vero, non ci fa nulla. Il tempo della passione impetuosa e incontenibile è sfiorito per entrambi. Ogni tanto, uno dei due ci prova a rinvigorire la fiamma, ma non sempre è un successo e col passare del tempo si sentono sempre più ridicoli.
È vero, è della sua taglia. A essere onesti, svariate decine di centimetri di più (e qualche milione di Berry in più, ma è un’altra questione) e questo è un particolare che ha sempre infastidito Katakuri, ma ha imparato a non darci peso per il quieto vivere.
È falso, invece, che si tratti di una donna, ma questo è un dettaglio che non condividerà mai con nessuno.
 
 
 
 
Kanrakugai si intravede in lontananza ed è bella come una manciata di rubini posati sul velluto. Il sole è appena tramontato e il cielo è cobalto, si possono distinguere ancora le forme dell’isola e della città, ma le luci rosse sono già accese. L’acqua delle Tre Cascate che scendono dal plateau è di un intenso color carminio, il riflesso sulla pietra è amaranto, migliaia di fiaccole colorano ogni edificio e ogni strada dello stesso tono dei petali dell’ibisco.
L’odore inebriante degli aromi speziati e dolci coglie già dal porto: Kanrakugai è un’esperienza sensuale sotto ogni aspetto. Un luogo afrodisiaco nella propria stessa essenza.
L’elevato numero di bordelli, terme, alberghi a ore, case di massaggi lo rendono una tappa obbligatoria per quelli che vogliono perdersi per qualche tempo nelle maglie del piacere carnale.
Volente o nolente, Katakuri è legato a questo posto da più anni di quanti preferisce contarne. Ha ancora sfocati ricordi del se stesso adolescente che provava a sfogare voglie recondite e anelava a certi svaghi da adulti, come ha ricordi delle risate divertite del fratello maggiore che una volta l’aveva sorpreso uscire da una casa di piacere quando tentava di mandare in porto le prime esperienze.
Si dà dell’idiota da solo per queste reminiscenze malinconiche non richieste e si concentra su quello che deve fare, che non è facile, che non è voluto, ma è necessario.
È difficile lasciare andare un legame che va avanti da decenni e le vecchie abitudini sono dure a morire, ma bisogna fare il primo passo, altrimenti quel circolo vizioso da cui si vuole fuggire risulta sempre alimentato dalle proprie masochistiche azioni.
I suoi speroni tintinnano quando scende dalla nave sulla banchina del molo e il profumo lo invade e lo circonda come un abbraccio. Si gode un profondo respiro, nascosto dietro la sciarpa e si incammina verso la propria meta. Tra tutti i bordelli dell’isola del piacere, uno si fa notare per importanza ed è visibile già dal porto: sullo sperone di roccia che fende la cascata centrale, Casa Romance è un diamante in mezzo agli zirconi. Katakuri lo guarda assorto nei propri pensieri, perché lui ha un piano, ma è tutto una variabile: è deciso a tagliare i ponti, ma non può farlo se l’oggetto delle sue attenzioni non è sull’isola. Se non c’è dovrà aspettare e la sua presenza è un terno alla lotteria, perché loro non possono comunicare a lungo, ma soprattutto non sempre si danno retta a vicenda.
Ma questa notte Katakuri ha un forte presentimento che anche la persona che sta cercando si presenterà davvero a Kanrakugai e arriverà nella stanza numero 12 di Casa Romance, dove da anni si incontrano, lontano da occhi indiscreti.
Il pirata si avvia con passo flemmatico senza guardare nessuno in faccia, anche perché tutti distolgono lo sguardo non appena lo riconoscono. Non c’è bisogno che dia indicazioni alla propria ciurma su cosa fare: ha già riempito le loro tasche di oro e li ha condotti nella capitale dei vizi lussuriosi, sanno perfettamente i loro compiti, cioè godere e dimenticare che il loro Comandante si è appartato in un bordello e non ne uscirà per un po’ di tempo.
 
 
 
Katakuri ha il fiato grosso e la testa leggera quando esce dalla porta del Crimson Lip, accompagnato dall’eco di alcune risate civettuole e dallo schiocco di alcuni baci. Riesce a sentirlo ancora, il calore di quelle labbra sul proprio petto, sulle guance e su altre parti del corpo che a solo ripensarci rischiano di scaldarsi di nuovo. Infatti, non ci vuole pensare perché tutto quello che è successo nelle ultime due ore lo ha lasciato con una sensazione nello stomaco che non è piacevole come tutti gliel’hanno descritta.
È uscito immediatamente perché vuole prendere una boccata d’aria fresca, ma invano perché l’aria esterna è soffocante e speziata come quella del lupanare da cui se n’è appena andato.
Si copre di più con la sciarpa, inspira profondamente nella stoffa per stemperare quel profumo troppo intenso, ma è tutto inutile: anche quell’indumento ne è impregnato. Ha un disperato bisogno di una doccia e non ha la minima intenzione di farla in qualcuna delle terme dell’isola. Rivuole la propria cabina sulla nave, la propria pace e un letto non occupato da altre persone.
Non recrimina nulla alla prostituta con cui è stato. Lei è stata seria e professionale quanto lo richiedeva il suo ruolo. Non ha riso di lui quando le ha chiesto se poteva tenere la sciarpa per tutto il tempo, né della sua inesperienza quando le attenzioni ricevute non hanno sortito l’effetto sperato e di questo gliene è stato silenziosamente grato.
Ma c’è qualcosa nello specifico che non gli è andata giù per il verso giusto e Katakuri ancora non ha capito di che si tratti. Forse la precocità del tutto, il fatto stesso che lui non volesse, che non si sentisse ancora sicuro e interessato eppure era stato rinchiuso nella camera di un bordello con una bella donna, con l’unica raccomandazione di fare quello che voleva.
Alla fine non ci era riuscito: la prostituta più volte si era prodigata nel ricordargli che non era necessario fare l’amore se lui non se la sentiva, che lui aveva comprato il suo tempo, non necessariamente il suo corpo e potevano impiegare quelle ore nel modo in cui lui si sentiva più a suo agio, come giocare a carte o a scacchi, bere liquori costosi o farsi fare un massaggio.
Impotente, Katakuri aveva accettato quelle premure, vergognandosi per non essere in grado di fare quello che gli altri membri della ciurma si aspettavano; dopo il tempo passato insieme, erano rimasti solo insoddisfazione e un vago senso di nausea, nonostante una parte di lui si sentisse più leggera per non aver tenuto fede all’obbligo impartito.
«Dalla tua faccia non sembrerebbe che tu ti sia divertito».
Impigliato com’è nei propri ragionamenti, non nota che seduto su panchina marmorea c’è Perospero. Di solito Katakuri non si fa cogliere con la guardia così abbassata, ma quello è un momento troppo teso della sua vita perché possa addossarsi la colpa di una simile incoscienza.
Il fratello maggiore se ne sta appoggiato al proprio bastone da passeggio e lo guarda con serietà e un pizzico di malizia.
«Perché sei qui?».
«Sono venuto a prenderti».
«Perché me e non Oven o Daifuku?». Non serve davvero chiederlo, Katakuri nel profondo lo sa e la cosa lo irrita.
«Eri il meno convinto dei tre a venire qui stasera» gli risponde in faccia Perospero, senza mezzi termini, ma anche senza farglielo pesare. È bravo in questo, il fratello, oltre a essere capace di leggerlo come un libro aperto.
I gemelli di Katakuri non si erano vergognati, nelle settimane precedenti, a mostrare la dose di libido inappagata che avevano in corpo. Sicuramente adesso si stanno divertendo da qualche parte, non assaliti dai dubbi come lo è Katakuri in quel momento.
«Non devi limitarti, Kanrakugai può andare in contro ai gusti di tutti» e, nel dire questo, Perospero sembra sull’orlo di una risatina. «Anche se, ovviamente, è meglio non farlo sapere troppo in giro…».
«A me piacciono anche le donne» si difende Katakuri e si rende conto solo nel dirlo di quale implicazione si cela nelle sue parole. Non se ne vergogna, come non si è mai vergognato di nulla nella propria vita, ma è un’informazione che preferisce tenere per sé, soprattutto perché la genitrice non sembra propensa a stimolare unioni che non possono generare eredi. E a proposito…
«Dov’è Mamma?».
Perospero schiocca le labbra e si fa riflessivo, come se dovesse scegliere le giuste parole da dire. «Sta incontrando … uno spasimante» risponde con eleganza, ma evitando di guardare in faccia Katakuri mentre si esprime.
Appunto. Altri fratelli in arrivo, altri bambini a cui badare.
«Vuoi tornare alla nave, Katakuri?». Quella è la proposta più allettante che gli hanno fatto quella sera. Ha un disperato bisogno di una doccia, il sudore si è da poco asciugato e gli ha lasciato addosso una sensazione disgustosa. Dell’acqua calda e del sapone sarebbero una manna dal cielo…
Katakuri si blocca in mezzo alla strada, congelato da un brivido.
Solo da un paio d’anni è riuscito a sviluppare il proprio Kenbun-shouku abbastanza da poter percepire le presenze lontane da lui, ma anche se anche se si trattasse di un neofita riuscirebbe a scorgere l’aura che sta avvertendo in quel momento, tanto è evidente in quella coltre di anime tutte uguali. Un’aura fioca, ma che si distingue, come un diamante tra i pezzi di vetro; fa credere che è cheta come una brace che dorme sotto la cenere, ma è pronta a divampare in un incendio al minimo stimolo.
È pericolosa. È una possibile minaccia per Mamma. È una potenziale sfida per lui. L’idea di uno scontro lo attizza e lo infervora più dell’idea di una notte di amore. La passione per la battaglia lo accende più di quella per la carne.
«Credo resterò ancora un po’ sull’isola. Tu va’ avanti…».
Perospero lo squadra da capo a piedi con sospetto, perché non è da Katakuri quel cambio repentino di idea. Il fratello maggiore capisce che c’è qualcosa che non va, ma è palese che non ha capito cosa o che si fida del fratello minore e quindi lo lascia andare un sospiro esasperato.
«Non fare casini» si premura soltanto, incamminandosi in direzione del porto, lasciando Katakuri a se stesso.
La schiena di Perospero non è ancora sparita dalla sua vista che già Katakuri è partito di corsa alla ricerca di quella persona che a Kanrakugai si fa notare con tanta arroganza, abbastanza perché diventi l’unico pensiero fisso che gli annebbia la mente più di qualsiasi fragranza gettata nei fuochi.
Katakuri corre per qualche chilometro prima di arrivare di fronte a quello che sembra uno dei centri massaggi di più di bassa lega dell’intera isola. Ci sono prostitute, sia donne che uomini, sulle soglie dei casini vicini e nessuno di loro ha l’avvenenza che ci si aspetta da Kanrakugai; degli ubriachi affollano i vicoli e l’odore di umori è persino più pungente e fastidioso dell’aroma dell’isola che tenta di nasconderlo. Eppure è il luogo più ricercato da Katakuri perché in una delle zone di relax si trova quell’aura che non dà pace alla sua esistenza da almeno un’ora. Quell’aura è ancora tranquilla, come un leone appisolato che sa che nessuno andrà a disturbare il suo sonno, ma Katakuri è pronto a stuzzicare il predatore mentre individua la finestra della stanza da cui quell’essenza proviene.
Ora che è più vicino riesce a cogliere più particolari. È un uomo ed estremamente pericoloso. Ma la calma che lo avvolge lascia intendere che non è lì per creare guai. A meno che qualcuno non lo disturbi, cioè quello che Katakuri starebbe teoricamente per fare. Ma in realtà non vuole destare un can che dorme; è solo colto da una curiosità che smania di essere soddisfatta e non ne capisce il motivo.
Entra in quella casa di piacere, coprendosi ancora di più il viso con la sciarpa e scostando in malo modo i giovani uomini che tentano di fermarlo sia fisicamente, sia con proposte allettanti. Per regolamento, non si può disturbare chi occupa le case di piacere, ma se a Katakuri importasse delle regole, non farebbe la vita del pirata. Raggiunge con movimenti felpati il terzo piano, dove quella presenza si fa ancora più forte e finalmente ce l’ha davanti, oltre una porta socchiusa, in un corridoio lasciato a luci spente. È insolito tutto quello, perché non si abbandona qualcuno da solo su un intero piano al buio e se le cose sono andate così è perché è stata richiesta una privacy particolare, per non essere visti da nessuno. È un peccato che su quell’isola ci sia anche Katakuri che non sta tenendo a freno la curiosità e sbircia oltre quell’uscio semiaperto che fa intravedere una figura coperta unicamente dalla luce rossa delle fiamme del braciere che arde nella camera e quella che entra dalla piccola finestra che dà sull’esterno.
Il giovane uomo è su un lettino per massaggi, ha il respiro pesante quanto basta perché si possa scorgere il suo petto muoversi. La pelle è rivestita da un velo di sudore che la fa luccicare sulle braccia e sulle spalle. Katakuri potrebbe stare per ore a fissare quel volto dai tratti così delicati da essere femminei, quella pelle ambrata e quelle ali nere che lo sorprendono, che rendono l’oggetto della sua attenzione sempre più simile a qualcosa di disumano e proibito. Un angelo, un demone o comunque un essere che non appartiene a quel mondo. E ciò spiega l’attrazione che ne prova Katakuri, perché è una forza sconosciuta, che lo intimorisce e insieme lo eccita. Non si vergogna di restare a guardarlo più di quanto sia necessario, troppo tempo perché possa essere giustificato con la scusa del capire se si tratti o meno di una minaccia per Mamma.
Ma in quel momento non vuole pensare a sua madre. Il tempo si è fermato e il mondo intero si limita a quella stanza.
Quella creatura angelica si volta, i loro sguardi si incrociano oltre la fessura della porta.
Passa solo un istante, Katakuri fa a malapena in tempo ad accorgersene che subito avverte un dolore lancinante a spina dorsale e scapole: la sua schiena ha impattato contro il muro di mattoni dietro di lui e, con la forza impiegata, è già un miracolo che non sia crollato.
Quando riesce a mettere a fuoco, sopra di sé vede quell’uomo – quel ragazzo – ancora nudo, eccetto per degli asciugamani buttati sulla testa per coprire parzialmente la visione del volto, che si intravede appena insieme a quegli occhi colmi di ira e paura. Una mano si stringe attorno alla sua gola per togliergli il fiato.
«Mi hai visto?». La sua voce è un sussurro roco. Katakuri non parla perché la risposta è scontata, ma non capisce il motivo per cui l’altro dovrebbe nascondere una faccia così angelica.
La forza delle dita che attanagliano il suo collo aumenta, ma c’è qualcosa che non va perché al momento quel ragazzo non sembra così intenzionato a ucciderlo. Anzi, il suo sguardo ora riflette più la confusione che la rabbia, come se avesse studiato Katakuri, ne avesse valutato la forza e non capisse perché non stia reagendo.
Ma Katakuri non combatterà, non perché abbia silenziosamente promesso a Perospero di non combinare casini, ma perché un duello tra le loro forze sull’isola attirerebbe troppo l’attenzione e la presenza di quella creatura celestiale è qualcosa che Katakuri vuole tenere nascosta.
Senza proferire parola, posa una mano sul polso del ragazzo e stringe con altrettanto vigore, giusto per mettere in chiaro che non è spaventato dal divario di capacità, perché questo divario potrebbe non esistere. Quell’altro ragazzo lo sa, è per quello che è così cauto.
«Quanto..?».
Un ennesimo lampo di confusione passa negli occhi di quel ragazzo, non capendo a cosa si stia riferendo Katakuri.
«Cosa?».
«Quanto vuoi per..?» e nel dire questo indica con un gesto casuale il corpo dell’altro completamente nudo; le sue ali nere sono l’unica cosa a celarlo da qualsiasi curioso che abbia il coraggio di sporgere la testa nel corridoio.
Katakuri è certo che, se potesse scorgere sotto gli strati degli asciugamani, vedrebbe il suo volto arrossire per l’imbarazzo poiché il suo sguardo si è fatto più duro, indignato.
«Non sono una prostituta».
Anche se una minima parte di lui se l’aspettava (non era probabile che qualcuno di così forte fosse unicamente di servizio sull’isola), quella schietta risposta lo lascia per un attimo disorientato.
L’idea di Katakuri di poterlo convincere a passare del tempo insieme offrendogli del denaro si sgretola di fronte a quella rivelazione, ma vuole provare lo stesso perché non ha rincorso per ore quell’ossessione per lasciare perdere al primo ostacolo.
Si rigira le parole, con la maggiore sicurezza che lo contraddistingue e con la calma di chi sa che se gioca bene le proprie carte, riuscirà ad ottenere qualcosa dall’altro.
«Non ho detto che lo sei. Ti ho solo proposto uno scambio».
«Perché vuoi questo scambio?».
«Mi interessi».
La stretta attorno al suo collo si fa sentire di più, la tensione che si era allentata per la sorpresa torna a farsi ancora pressante.
«Perché ti interesso? Sai cosa sono?». Katakuri non capisce le implicazioni di quelle parole, ma al momento nemmeno gli importano.
Si mette più comodo contro il muro a cui è bloccato, ma non allenta la presa della propria mano e non distoglie lo sguardo dal ragazzo che ha di fronte.
«So cosa sei». Quelle devono essere le parole sbagliate da dire, perché la morsa si serra in modo quasi letale, ma Katakuri ha abbastanza fiato per continuare la frase. «Sei l’unica persona su quest’isola che ha attirato la mia attenzione e io ti sto dando i miei soldi per comprarmi il tuo tempo o il tuo corpo, o quello che sei disposto a darmi».
«Offrimeli per risparmiarti la vita» ribatte duro, senza smettere di stringere.
«Credi davvero che avresti ancora la mano attorno al mio collo se non te lo lasciassi fare?». Quella frase fa effetto perché la presa si allenta almeno un poco: anche l’altro ha ormai ben capito quanto può essere forte e pericoloso Katakuri.
«Tu sei…» lo riconosce, assottigliando lo sguardo e allentando del tutto la presa, ancora più colmo di sospetto, ma non minaccioso come prima. Anche Katakuri lascia andare il suo polso. Non vuole tenere nascosta la propria identità, non ne avrebbe senso: chiunque con un minimo di interesse per il Nuovo Mondo conosce chi è e la taglia che porta. E poi, deve fare in modo che si fidi di lui.
«Katakuri. Non serve invece che tu dica il tuo nome. E nemmeno che tu ti nasconda» e nel dire ciò, abbassa con un rapido movimento la sciarpa che ha tenuto addosso tutto il tempo per coprire le fauci.
Il ragazzo spalanca gli occhi e si allontana di un passo; solo in quel momento Katakuri può prestare davvero attenzione alla differenza di altezza che li separa, svariati centimetri che rendono quel ragazzo ancora più impressionante e che in parte infastidiscono Katakuri: non gli è mai capitato di guardare qualcuno dovendo alzare la testa, se non sua madre.
Il ragazzo lo fissa intensamente, corrugando la fronte davanti alla visione di quelle zanne, ma oltre alla sorpresa non c’è sdegno né derisione nei suoi occhi.
«Non stai ridendo…» considera Katakuri. È il primo a non farlo da tanto tempo.
«Non rido di qualcuno che potrebbe uccidermi» risponde pragmatico. «Mi chiamo Arbel … e non voglio i tuoi soldi».
«Non accetti la mia offerta?».
Arbel incrocia le braccia, sollevando un sopracciglio con fare diffidente. «Cosa ti fa credere che mi interessino gli uomini?».
Di fronte a quella domanda posta così sulla difensiva, Katakuri lo guarda assolutamente non impressionato: «Se davvero vuoi farmi una domanda simile, prima evita di farti scoprire in una casa massaggi di soli uomini…»
L’altro sembra arrendersi di fronte a quella logicità, ma come realizza che si trova in un luogo scoperto, smette di rispondere e comincia a guardarsi intorno con fare circospetto, esaminando tutto il piano.
Per il momento, Arbel non sembra intenzionato ad attaccarlo, ma non ci può mettere la mano sul fuoco perché non sa come degenererà la situazione.
«Se hai paura che qualcuno ti veda, ti assicuro che non c’è nessuno qui: sentendo il rumore, hanno deciso di restare nei piani inferiori». Mossa intelligente, commenta mentalmente Katakuri.
«Kenbun-shoku…» sussurra stupito Arbel, guardandolo e togliendosi l’asciugamano dal volto per coprirsi parti meno pudiche. «Capivo che eri pericoloso, ma sei tra i primi che incontro in grado di usarlo in questo modo … quanti anni hai?» domanda con una scintilla di curiosità che gli rende più vivo lo sguardo e più leggera l’aria, ora che quella tensione sembra via via dissiparsi.
«Diciotto…».
«Come me … Perché sei su quest’isola?».
«Vuoi davvero stare a discutere in un corridoio di un centro massaggi di bassa lega?».
L’altro non si trattiene dal ridere in modo alquanto sguaiato e ciò sorprende un poco Katakuri che lo guarda strabiliato perché sembra un comportamento troppo umano e volgare perché possa appartenere a qualcuno come Arbel.
«Hai ragione, abbiamo attirato già troppo l’attenzione, meglio andarsene».
«Hai suggerimenti?».
Arbel sembra pensarci un poco, il suo sguardo evade oltre la finestra che si apre nel corridoio e si rivolge alla Cascata Centrale che scende dal plateau dei laghi.
«Su quello sperone di roccia, c’è il migliore lupanare di Kanrakugai, Casa Romance … e so che affitta delle stanze a ore … spero che tu abbia abbastanza soldi, Charlotte Katakuri. Conoscermi come vuoi fare tu ha un prezzo».
 
 
 
Il vino liquoroso scorre e fluisce nei loro calici, li inebria a sufficienza per non pensare all’alba, quando Katakuri dovrà salpare perché il compito di sua madre su quell’isola inizia e termina in una notte.
Gli occhi di Arbel sono attenti a ogni variazione, come lo sono quelli di Katakuri perché una parte di loro non si fiderà mai dell’altro, ma è giusto così: il Nuovo Mondo non è un luogo in cui puoi fidarti di qualcuno appena incontrato.
È disturbato dal fatto che probabilmente in qualche altra camera di quel bordello ci sia sua Madre che dorme dopo aver avuto un incontro con uno dei suoi amanti, ma la presenza di Arbel concentra su di sé la completa attenzione di Katakuri, che dimentica tutto il resto.
È un giovane serio, ma con un umorismo pungente che non dispiace a Katakuri, risponde alle sue battute sagaci con risposte altrettanto perspicaci. Non beve molto, ma apprezza gli alcolici che gli vengono versati nel bicchiere; non sa giocare a shogi, ma è un maestro nei giochi di carte e fa le puntate più audaci al tiro dei dadi.
È un amante inesperto, come lo è Katakuri, ma se lo fanno andare bene mentre sono sdraiati sulle lenzuola stese sul pavimento perché il letto di quella camera è troppo piccolo per loro. I cuscini sono tanti, li sorreggono e li accolgono mentre i giovani uomini strappano per loro stessi gli ultimi minuti di pace e piacere prima del sonno. Lasceranno alle spalle tutto al sorgere del sole.
«Sai perché i fuochi di quest’isola bruciano di rosso?» domanda Arbel, girato su un fianco. Sta schiacciando un’ala col proprio peso, ma sembra non farci caso, quindi non deve essere poi così fastidioso.
«Per la polvere delle fragranze che ci mettono dentro» risponde ovvio Katakuri e sposta il proprio sguardo dal soffitto all’elegante braciere della camera che permea tutta l’aria degli odori di incensi alla vaniglia e alle more.
«A causa del legno che usano per accendere il fuoco» lo corregge Arbel. «È una tipologia di pianta che cresce solo su quest’isola; bruciando, la fiamma diventa rosso sangue e il fumo che genera è un discreto afrodisiaco. Kanrakugai è quindi una città a luci rosse in tutto e per tutto».
«All’inizio del Nuovo Mondo» continua Arbel, fissando le lenzuola «C’è un’isola dove piovono fulmini come fosse grandine, ma ti puoi riparare come nulla fosse usando un ombrello».
Katakuri resta in silenzio, curioso di sapere dove andrà a parare quel monologo e di conoscere di più su luoghi di quel mare che non ha ancora avuto l’occasione di vedere.
«Se vuoi raggiungere l’isola di Wa no Kuni, devi farti trasportare da enormi carpe koi su per una cascata verticale … sull’isola di Totland nevica zucchero filato…».
«Si può sapere dove vuoi andare a parare?». Sentir nominare così a cuor leggero la propria isola da un individuo così pericoloso gli lascia una strana sensazione addosso, ma Arbel non se ne cura e lo guarda serio, senza tradire alcuna emozione.
«Ci sono cose incredibili nel Nuovo Mondo … vorrei continuare a vederle» e nel dire così mette un foglio di carta nel palmo di Katakuri. Solo nel Nuovo Mondo un pezzo di carta bianco può essere d’aiuto a ritrovare una persona, perché striscia nella sua direzione.
Quel mare è davvero pieno di cose incredibili.
Katakuri chiude gli occhi e stringe la Vivre Card nel palmo della mano. Il foglio sembra volersi agitare nel suo pugno per tornare dal suo possessore. Quella velata dichiarazione di intenti, quell’idea di mantenere saldo un legame che nella mente di Katakuri doveva sfaldarsi all’alba, gli fa avvampare una fiamma nel petto. Aspettativa. «Mia madre è qui una volta all’anno, sempre in questo periodo. Se vuoi trovarmi ancora, sarò qui l’anno prossimo, solo per qualche giorno. Non di più».
Arbel chiude gli occhi e si concede un sorriso leggero.
«Me lo farò bastare».
 
 
Sull’ammiraglia della flotta della pirata Big Mom c’è aria di confusione. Le sorelle maggiori sono soddisfatte, i fratelli appagati e tutti lasciano Kanrakugai a malincuore, salutando le loro fiamme della notte precedente che si accalcano sul molo. È un turbinio di urla che pare una sagra.
Anche Katakuri scruta il molo, ma sa già che è inutile: il suo compagno dalla notte precedente se n’è già andato, non c’è traccia di lui su nessuna parte dell’isola.
Lo ha salutato quella mattina stessa, ancora intontito per il sonno e con la mente annebbiata dai fumi dell’alcol. Si erano presi del tempo per se stessi, godendone con calma e appieno per i pochi minuti necessari, prima che Arbel se ne andasse.
Katakuri era rimasto lì ancora un poco, riponendo la Vivre Card nella sciarpa, ripensando con tenerezza agli sprazzi della notte appena finita, che era iniziata come una disfatta per concludersi poi come una delle notti più dolci della sua vita.
Katakuri sorride.
«Sembri contento, fratellone!». Oven interrompe il flusso dei suoi pensieri passandogli il braccio attorno al collo forza eccessiva e goliardia cameratesca; un abbraccio fraterno che sembrava voler dire “capisco perfettamente perché sei felice, lo sono anche io allo stesso modo e per lo stesso motivo”.
Una parte di Katakuri vorrebbe sconvolgerlo, vorrebbe dirgli in faccia di aver passato la parte migliore della notte tra le braccia di un giovane uomo più forte di lui, ma il suo lato razionale lo convince a trattenersi perché è certo che se lo facesse sapere in giro, la voce arriverebbe a Mamma che gli impedirebbe di continuare quegli incontri.
In tutta la famiglia, solo Perospero è a conoscenza delle preferenze di Katakuri e, fino ad adesso, il fratello maggiore si è dimostrato degno della sua fiducia.
Si libera dall’abbraccio di Oven, sogghignando dietro la sciarpa. «Hai odori diversi addosso, Oven. Con quante donne sei stato?».
Il fratello ride, soddisfatto delle proprie prestazioni. «Quattro. La prima da solo … le altre, tutte e tre assieme!» e scoppia ancora a ridere, alzando il collo e mostrando la gola, piena di segni di labbra e morsi, le braccia coperte di graffi come se avesse lottato con un gatto.
«E tu, invece? Mi sembri troppo pulito…».
«Io mi lavo, a differenza tua, idiota!». Lo aveva fatto davvero, ma era stata una sciacquata molto sommaria. Era rimasto nella doccia di quella camera forse solo pochi minuti, accorgendosi dopo del ritardo che aveva accumulato stando a riposo. Sperava di essersi tolto di dosso i rimasugli di quella notte per non destare il minimo sospetto una volta tornato sulla nave. Gli unici testimoni rimasti sono i succhiotti che tiene ben coperti sotto la sciarpa. Li aveva notati solo quando si era guardato allo specchio e i suoi zigomi avevano assunto una colorazione che non aveva nulla da invidiare ai fuochi di Kanrakugai. Li aveva toccati come a sincerarsi che fossero davvero lì, si era arrabbiato con Arbel perché glieli aveva lasciati come un souvenir indesiderato e con se stesso perché non aveva precisato che non li voleva. Ha solo un vago ricordo di quale fosse stato il momento in cui l’altro ragazzo si era avvinghiato al suo collo come una succube, ma la memoria si confonde e tutto è più difficile da distinguere, perché Katakuri era allora troppo preso, troppo disorientato e ammaliato perché gliene potesse importare qualcosa.
«Vai a farti una doccia, fratello. E poi va a dormire, hai la faccia di uno che non si regge in piedi altri due minuti».
«Sono stato sveglio tutta la notte per i motivi giusti!» gli ricorda Oven con un’altra risata mentre scende sottocoperta per dare ascolto ai consigli del fratello maggiore, che sbuffa divertito e rilassato.
«Tu invece dovresti nascondere meglio con chi ti accompagni la notte, Katakuri. Hai odori maschili addosso…».
Katakuri gela sul posto, ma trova la forza per voltarsi verso Perospero con sguardo truce. «Stai mentendo».
«No, ma ti va bene che sei uomo anche tu e puoi dissimulare la cosa». Perospero fa qualche passo verso di lui, guardandolo di sbieco. «Fai più attenzione la prossima volta, se vuoi continuare questo tipo di … incontri».
Non lo sta fermando: lo sta mettendo in guardia. Perospero ha capito cosa aveva fatto Katakuri della propria nottata e non lo giudica, ma mette in chiaro che dovrà fare più attenzione perché per quanto Mamma sembri menefreghista nei confronti dei figli, è scaltra nel capire se uno di loro sta agendo in modo che non le piace.
«Starò più attento».


 
   
 
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