Anime & Manga > Anna dai capelli rossi
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Autore: crazy lion    16/06/2022    3 recensioni
Anna ha trent'anni e prende una decisione che le cambierà la vita per sempre.
Disclaimer: i personaggi non sono miei ma di coloro che li hanno ideati. La fanfiction non è a scopo di lucro.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Anna, Marilla Cuthbert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTA:
in questa storia ci saranno la dattilo braille (capirete dopo cos'è) e il bastone bianco per i non vedenti. La storia è ambientata nel 1910, quindi queste due cose non erano ancora state inventate, ma ho voluto inserirle perché mi servivano,
Non so se in Canada, dove la storia si ambienta, si potesse adottare da single all'epoca. Ho cercato informazioni, ma non sono riuscita a trovare niente, quindi ho deciso di sì.
C’è un accenno di fantasy, quindi l’ho messo come genere.
 
 
 
UN'ADOZIONE SPECIALE
 
Anna aveva trent'anni. Lavorava nella scuola di Avonlea come insegnante e negli anni aveva studiato il latino e il greco, ce insegnava ai ragazzini. Ma adesso era l'inizio di giugno ed era l'ultimo giorno di scuola.
“Allora, bambini, cosa farete nelle vacanze?” chiese ai piccoli del primo anno.
Insegnava a una prima e a una seconda.
“Io andrò al mare” disse Andrew.
“Io in montagna” asserì Josephine.
“E tu, maestra?” chiese Marianne.
“Io starò a casa, andrò a trovare Marilla, la signora che mi ha adottata tanti anni fa, passeggerò, cose così.”
In quel momento suonò la campanella e i bambini, preparati gli zaini, uscirono da scuola urlando e raggiungendo le madri. Qualcuno tornò indietro ad abbracciare Anna e a dirle che gli sarebbe mancata e gli occhi della donna si riempirono di lacrime.
Andò a casa e rifletté su quello a cui stava pensando da mesi. All0inizio era stata solo un'idea vaga, ma pian piano aveva cominciato a prendere forma in lei. Ora ne era sicura. Si alzò dal piccolo divano e andò a trovare Matthew. Gli portò dei fiori e gli spiegò cosa voleva fare.
“Tu sicuramente saresti d'accordo” disse.
Lo salutò e andò da Marilla.
Era seduta nel portico antistante la casa.
“Si sente sempre odore di menta” disse la donna.
“Già” disse Anna mentre si avvicinava.
“Anche se non vedo più bene, ho riconosciuto il tuo passo.”
“Sei bravissima.”
Marilla aveva settant'anni e i suoi problemi alla vista, col tempo, erano peggiorati. Ci vedeva ancora ma poco, quindi non riusciva più a fare le cose velocemente come prima.
“Ah, beata te che sei giovane!” esclamò. “Io ormai sono vecchia. I miei occhi sono stanchi come le mie ossa” disse mentre si alzava. “Vieni, ti faccio un po' di tè.”
Entrarono in casa e Anna si sedette al tavolo della cucina. Dopo che Marilla ebbe disposto due tazze e dei biscotti davanti a due sedie vicine, Anna lanciò quella che, sicuramente, sarebbe stata una bomba.
“Ho deciso di adottare un bambino.”
“Cosa?” chiese Marilla sgranando gli occhi.
“Proprio così, hai sentito bene. Sono mesi che ci penso. All'inizio era stata sono un'idea, ma poi è diventata una realtà. Pensaci, Marilla: ho trent'anni, non ho un fidanzato, ho un lavoro, ho soldi perché risparmio da diversi mesi, da quando quest'idea ha cominciato a frullarmi in testa – non che prima sperperassi il denaro, comunque –, ho tempo di occuparmi di un bambino, ora che è estate.”
“Mio Dio, Anna, non me lo sarei mai aspettato. Non è che non approvo, sono solo preoccupata per te. Non sei sposata e…”
“Ci sono donne single che adottano bambino e riescono a dare loro amore e calore2 la interruppe Anna.
“Quindi sei proprio sicura della tua scelta?”
“Sì, sicurissima. Oggi stesso andrò all'orfanotrofio di Avonlea. Vorrei, però, avere il tuo appoggio.”
“Ce l'hai, e hai anche la mia benedizione. Sarai una bravissima mamma.”
“Grazie, Marilla!”
Anna la abbracciò di slancio. Aveva pensato, chissà perché, che sarebbe stato più difficile convincerla. Pranzò con lei, corse a casa a cambiarsi, indossò un vestito blu a fiori che le arrivava fino ai piedi e poi si diresse all'orfanotrofio. Era piccolo, aveva sentito dire che c'erano solo trenta bambini. Gli orfanotrofi erano diminuiti molto con l'inizio del Novecento, aveva letto in un giornale, e gli orfani erano lasciati da soli, per strada.
“Che ingiustizia” si disse. “Nessuno dovrebbe vivere per strada.”
Da fuori, l'orfanotrofio appariva un posto squallido. C'era un giardinetto con l'erba alta e Anna ebbe paura che ci fossero le vipere in mezzo. Era in mattoni rossi, aveva delle crepe sui muri e il vialetto che portava alla porta era pieno di fango dalla notte precedente.
“Possibile che nessuno tagli l'erba o pulisca?” si chiese.
Suonò un campanello appeso a cancello e notò la ruota degli esposti lì vicino, dove venivano abbandonati i neonati. C'era anche un campanello da suonare per attirare l'attenzione delle volontarie. Uscì una donna sui quarant'anni e si avvicinò al cancello.
“Sì?”
“Mi chiamo Anna Cuthbert, vorrei adottare un bambino.”
“Entri pure. Venga nel mio ufficio.”
L'interno era messo meglio. C'erano un piccolo ingresso e un salone nel quale i bambini giocavano con palline, bastoni, bambole e tanti altri oggetti. Anna li guardò e sorrise.
“Dovrete scegliere uno di loro” disse la donna, che si presentò come Milly.
Scegliere. Ad Anna quella parola non piacque. Non stava andando a prendere un gattino o un cagnolino ma un bambino.
“Sarà uno di loro a scegliere me” rispose.
L'ufficio della signora Milly aveva una scrivania piena di carte impilate l'una sopra l'altra.
“Perché vuole adottare un bambino?” chiese la donna, passandosi una mano fra i capelli neri.
Anna fu stupita sia di trovarsi ì, sia che la donna le avesse posto quella domanda. Quando era stata in orfanotrofio, i genitori arrivavano, sceglievano un bambino e poi se ne andavano. Ma forse nei primi anni del Novecento le regole erano cambiate.
Milly parve accorgersi della sua perplessità e si affrettò a spiegare.
“Nel 1873 è passata una legge che dava la possibilità di adottare bambini che erano figli illegittimi a coppie che non avevano bambini, ma ora anche i single possono adottare. Le farò alcune domande per capire se è pronta a questo passo.”
Le offrì, come aveva fatto Marilla, una tazza di tè.
“È molto buono” disse Anna dopo averlo assaggiato.
Non aveva mai sentito un gusto del genere.
“È al gelsomino, lo do anche ai bambini. Mi spieghi perché vuole adottare un bambino.”
“Per molte ragioni” disse Anna. “Io sono stata adottata quando avevo undici anni e ho trovato una famiglia amorevole.” Saltò la parte in cui Marilla e Matthew erano rimasti sorpresi nel vedere una ragazza e non un ragazzo. “E vorrei dare anch'io amore a un bambino. Non ho un fidanzato, non sono sposata, ma faccio l'insegnante, ho una solida posizione finanziaria, e una casa dove vivo e che è già pronta per accogliere un bambino.”
“La vedo molto sicura di sé. Quindi si sente pronta a fare la mamma? Pensa di averne le capacità.”
“Be', genitori si diventa, non le pare? Ma amo i bambini e farò il meglio che potrò, anzi, anche di più.”
“Un'adozione richiede una partecipazione totale da parte o di una coppia, o di un genitore single.”
“Capisco. Ma la cosa che conta è che voglio un bambino. Non ho intenzione di sposarmi.”
“Perché dice questo? Lei è molto bella.”
“Grazie! Ma non mi sento portata per il fidanzamento o il matrimonio.”
“Non può esserne tanto certa, non le sembra?”
“A me non importa. Forse mi sposerò più avanti.”
“Perché ritiene che non troverà qualcuno?”
“Perché per adesso non mi interessa farlo. C'è Gilbert, un mio amico, che viene a trovarmi ogni fine settimana, perché fa l'insegnante in un'altra scuola. Ha lasciato a me il posto ad Avonlea, dove seguo varie classi. Ma siamo solo amici, niente di più.”
“Capisco. È stata piuttosto chiara. Com'è la sua casa?”
“Ha un grande salotto con un divano e una poltrona, una cucina, un bagno e due camere spaziose.”
“Pensava di adottare un neonato o un bambino più grande? O un bimbo con esigenze speciali?”
“Esigenze speciali?”
“Sì. Abbiamo un bambino su una sedia a rotelle e qualche altro bimbo con problemi.”
A questo punto Anna disse che non sapeva se avrebbe adottato un bambino con esigenze speciali, perché era sola.
“Ma non ne sono sicura” mise in chiaro.
“Venga a conoscere i bambini.
Oltre a sentirsi piena di speranza, Anna capì che Milly le piaceva tantissimo. Era gentile, simpatica, comprensiva.
Uscirono e andarono in salone, poi si diressero in un'altra stanza. C'erano tre neonati, due maschi e una femmina, ma Anna, dopo averli guardati con amore, disse che preferiva adottare un bambino più grande. Un neonato non le avrebbe permesso di lavorare e lei, a settembre, avrebbe dovuto ricominciare la scuola e portare il bambino a qualcuno che gli facesse da babysitter.
Tornarono in salone. Milly richiese il silenzio e i bambini smisero di giocare, guardarono Anna e le sorrisero.
“Anna è venuta ad adottare uno di voi. Presentatevi.”
“C-ciao, io sono Joseph” disse un bambino con i capelli rossi come i suoi.
La cosa colpì molto la donna.
“Io mi chiamo Amanda” disse una bambina di circa sei anni.
Si presentarono tutti, alcuni più timidi, altri meno, anche il bimbo sulla sedia a rotelle, che si chiamava Christopher, Mary, la bambina con la Sindrome di Down, e Victoria, una bimba di otto anni, con i capelli biondi e gli occhi azzurri, che non vedeva e che camminava con un bastone bianco in mano che sbatteva contro le pareti dell'orfanotrofio. Milly la portò da Anna.
“Victoria” si disse la donna. Ricordò quando aveva avuto il potere delle Driadi e ce n'era stata una che si chiamava così. Non poteva essere una coincidenza.
“Ciao” disse la bambina, allungando in avanti le mani come fanno i non vedenti.
“Ciao, tesoro2 rispose Anna. “Quanti anni hai?”
“Otto” rispose la piccola. “Questo mi serve per evitare gli ostacoli.”
“Capisco, sembra molto utile.”
“Lo è.”
Anna strinse la mano alla bambina, come aveva fatto con tutti gli altri, e si avvicinò a Milly.
“Vorrei adottare Victoria. Mi parli un po' di lei.”
Tornarono in ufficio e la donna tirò fuori un plico di fogli.
Questo è il suo fascicolo. È stata abbandonata da neonata nella ruota degli esposti e nessuno l'ha mai voluta adottare a causa della sua cecità. Ormai ha accettato il suo destino. È la bambina più grande che abbiamo e se non verrà adottata, a diciotto anni finirà in mezzo a una strada.”
“Sembra molto dolce e carina” disse Anna. “Ma il fatto che sia non vedente mi spaventa. Come riuscirei a prendermi cura di lei? Non so niente di bambini non vedenti.”
“Dev'essere lei a decidere chi adottare” le disse Milly.
Anna ci pensò per un attimo. Certo, sarebbe stato più facile adottare lei che Christopher o Mary che, lo sperava, avrebbero trovato presto una famiglia. Aveva visto negli occhi di Victoria una grande tristezza dietro quel sorriso, una sorta di rassegnazione.
“Come fa a scrivere?” chiese Anna.
“Usa la Dattilo braille. Gliela mostro.”
Aprì un altro cassetto e tirò fuori una specie di macchina da scrivere a nove tasti: tre a destra, tre a sinistra tutti ovali, uno più grande in mezzo e altri due, tondi, a destra e a sinistra.
“Con questa. Le spiegherà Victoria come funziona, se deciderà di adottare lei. Ci sono questi fogli che servono per scrivere. Li vendono in un negozio qui ad Avonlea.”
Le disse il nome e Anna, quando Milly le passò inchiostro e calamaio, se lo appuntò su un foglietto.
“Adotterò Victoria” decise.
“D'accordo.”
Milly uscì e tornò con la bambina per mano. La piccola teneva il bastone nell'altra mano.
“Mi vuoi davvero adottare?”
Era sorpresa.
“Sì, voglio darti una famiglia. Saremo solo noi due, ma avrai una nonna che ti vorrà tanto bene, e anche zia Diana e zio Gilbert.”
La bambina si mise a saltellare.
“Grazie!” esclamò poi, commossa. “Pensavo nessuno mi avrebbe più adottata.. Le famiglie che arrivavano dicevano che ero troppo grande.”
“Per me non lo sei.”
Le due si abbracciarono-
Milly fece compilare ad Anna un certificato di nascita nel quale scrisse il nome e il nuovo cognome della bambina e Anna firmò con il suo nome e cognome.
“Questo documento resta a lei” disse ad Anna.
Ne fece un altro e la donna firmò.
“E questo a noi.”
Lo mise in un cassetto.
“Victoria, vai con Anna a preparare le tue cose.”
La bambina la guidò su per una rampa di scale. Sembrava conoscere molto bene l'orfanotrofio. Si ritrovarono in una grande camerata piena di letti e comodini.
“Qui dormono i bambini dai tre agli otto anni, quindi i venticinque che hai visto, fra cui io. Il mio letto è il primo.”
E c'erano anche degli armadi.
Victoria tirò fuori una valigia e lei e Anna cominciarono a mettere dentro i vestiti ben piegati. Molti erano scuciti in più punti.
“Te li sistemerò, non preoccuparti.”
Quel giorno Victoria indossava un vestito bianco che le arrivava alle ginocchia e stivaletti dello stesso colore. Aveva i capelli sciolti che le ricadevano sulla schiena come una cascata lucente. Più la guardava, più si meravigliava di quanto fosse bella.

“Perché mi guardi?” ciese la bambina.
Anna sgranò gli occhi.
“Come fai a saperlo?”
“Non te lo riesco a spiegare, ma a volte mi sento osservata. Magari non è vero, o forse invece sì.”
“Sì, ti stavo guardando. Sei un genio!”
“Sono solo una bambina.”
“No, sei una bambina speciale. E non perché sei non vedente, ma perché sei mia figlia.”
“Posso chiamarti mamma!” esclamò la bambina, come se l'avesse realizzato solo in quel momento.
“Sì, infatti.”
“Mamma. Mi piace come suona. Non sai per quanto tempo ho sperato di chiamare così qualcuna.”
Anna le diede un bacio su una guancia.
“Ti voglio bene” le disse. “Ti amo.”
“Anch’io, e grazie di essere la mia mamma.”
Anna sorrise.
Prese la valigia, che non pesava poi molto.
“Non posso portarmi via nessun giocattolo?” chiese la bambina a Milly.
“No tesoro, i giocattoli appartengono all'orfanotrofio. Ma vedrai che con la mamma ne comprerete degli altri. Questa è la dattilo braille nella sua borsa e questi sono i fogli.”
Anna infilò anche quelli in valigia. La dattilo braille pesava qualche chilo, quindi ora il bagaglio era più pesante. Tenne per mano la bambina e, dopo aver salutato i compagni e Milly, che la abbracciò, Victoria uscì con mamma Anna dall'orfanotrofio.
“Non mi sembri addolorata nel lasciarlo” disse. “Non ti sei fatta degli amici?”
“Quando hanno capito che non vedevo mi hanno lasciata sola. Giocavo per conto mio” disse la bambina con tristezza.
“Ti porterò in un parco giochi dove potrai giocare con altri bambini. Sono sicura che ne troverai di simpatici.”
“Cos'è un parco giochi, mamma?”
“Un parco dove ci sono delle giostrine e i bambini vanno lì per giocare. Per esempio, ci sono lo scivolo e l'altalena.”
“Non ne ho mai sentito parlare.”
Arrivate a casa, Victoria si mise ad esplorarla. Con la mano sinistra toccava la parete, con la destra teneva il bastone.
“Questo è il salotto” disse Anna. “Se cammini lontana dalla parete troverai un tappeto.”
La bambina camminò, insicura perché non aveva punti di riferimento, fino al tappeto.
“E poi?” chiese.
“Continua pure a esplorare.”
Anna la guardava, preoccupata che si facesse male, ma la bambina seguitava ad andare avanti e indietro. Quando trovò un tavolo disse:
“Immagino che questa sia la cucina.”
“Sì. Ora esci e gira a destra. C'è un corridoio.”
Victoria lo fece. Trovò una porta chiusa.
“Questa è la mia camera. Apri pure.”
C'era un letto matrimoniale.
“Perché così grande?”
“L'ho preso quando ho pensato di adottare un bambino, anche se era solo un'idea vaga, allora. Così, se ce ne fosse stato bisogno, sarebbe venuto da me. Potrai anche tu, se vorrai.”
La seconda e ultima camera era quella di Victoria.
“Una camera tutta per me!” esclamò. “Non ne ho mai avuta una.”
La bambina trovò un letto singolo, una scrivania con una cassettiera e, vicino al comodino, un cesto con tante bambole e animali di pezza.
“Li ho presi qualche mese fa, ma forse sei toppo grande per giocare con questi.”
“No, mi piacciono molto” disse la piccola. “Grazie, mamma.”
“Figurati. Per la cena che ne dici se cucino uova strapazzate e bacon?”
“Sì! Non li ho mai assaggiati, ma ne ho sentito parlare.”
La cena fu deliziosa. Anna si rese conto che la bambina sapeva mangiare da sola e che, quando si versava l'acqua dalla bottiglia, metteva il dito nel bicchiere per capire quando era pieno.
La prima notte passò tranquilla. Anna aveva temuto ce la bambina avrebbe potuto avere degli incubi e immaginato che sarebbe venuta a cercarla, ma non lo fece.
Il giorno dopo, si ritrovarono in salotto, sedute sul divano. Victoria si era cambiata indossando un abito rosa.
“Come hai dormito?” le chiese la madre.
“Benissimo mamma, il letto era comodo, sembrava una nuvola.”
“Ti va di andare a trovare la nonna? Se è troppo presto lo capisco.”
“Sì, è un po' presto. Magari fra qualche giorno.”
“Mi spieghi come funziona la dattilo braille?”
“Certo!”
Anna l'aveva appoggiata sulla scrivania di Victoria.
“I tre tasti a destra e quelli a sinistra servono per scrivere” spiegò la bambina. “La a minuscola si fa premendo il tasto a sinistra più vicino a quello al centro, che è lo spazio.”
Le spiegò come scrivere tutto l'alfabeto, come mettere in maiuscolo una parola e come scrivere i numeri. Anna era affascinata.
“Io insegno in una scuola. A settembre la comincerai anche u. Pensi che ti troverai bene con altri bambini, ma che ci vedono?”
“Credo di sì, ma tu dovrai spiegare alle maestre le mie difficoltà. Per esempio, se loro scrivono alla lavagna dovranno dettare, così io potrò riportare tutto con la mia dattilo braille.”
“Certo, sta' tranquilla, parlerò con loro.”
Quel pomeriggio Anna portò Victoria nel bosco.
“Dev'essere piovuto di recente” disse la bambina. “Sento odore di pioggia.”
“Sì, stanotte.”
Le raccontò delle Driadi e di quello che era successo.
“Davvero le hai viste? Posso anch'io?”
Anna si era aspettata che la bambina non le avrebbe creduto, invece la sua fantasia volava come quella di lei quando era piccola.
Faceva fatica a camminare con il bastone nel bosco, tra radici e foglie che s incagliavano sulla sua punta. A un certo punto sentirono un canto provenire dal fiume. Si avvicinarono e videro delle donne bellissime danzarvi intorno.
“Sono le Naiadi, le ninfe dei fiumi” disse Anna. “Ciao.”
Loro si fermarono, la guardarono e la riconobbero.
“Tu sei quella che ha chiesto a una di noi se poteva fare il bagno” disse una di loro.
“Sì, esatto. Questa è mia figlia Victoria.”
“Ciao, piccola. Io sono Evie” disse una di loro. “Ti faremo un dono: per un po' avrai i nostri poteri.”
Il fiume era quasi in secca, nonostante la pioggia della notte precedente.
“Stiamo cantando affinché piova” disse Evie.
“E di solito funziona?” domandò Anna.
Victoria non ci capiva più niente. Allora le ninfe esistevano davvero. E le avevano dato un potere, ma lei non sapeva come usarlo. Poi, quando mosse una mano, un lungo spruzzo d'acqua calda si riversò nel fiume.
“Allora è questo il mio potere” disse. “Aiutarvi.”
“Esatto.”
La bambina lo fece ancora e ancora, fino a riempire il fiume. Era incredibile avere un potere magico. Poi crollò a terra.
“Victoria!”
Anna le andò vicino. Non era svenuta, stava solo dormendo. La portò all'ombra di un albero e la lasciò riposare.
Poi videro anche le Driadi, tra le quali Victoria.
“Mi hai adottata perché la Driade si chiamava come me?”
“Me l'hai ricordata, ma no, ti ho adottata perché sei una bambina meravigliosa.”
“Grazie. Non mi porterai indietro?”
Gli occhi della bambina si riempirono di terrore.
“Mai, te lo prometto.”
Victoria trasse un sospiro di sollievo.
“Gli altri dicevano che ero una stupida.”
“Non lo sei affatto, amore, non pensarci nemmeno, okay?” le disse Anna con dolcezza.
La abbracciò, e Victoria si sentì avvolgere da un calore e da un amore che non aveva mai provato. Scoppiò a piangere dalla felicità. Anna la lasciò sfogare.
“Perché piange?” chiese una Driade, dopo aver riparato il tronco di un albero, che aveva perso un pezzo di corteccia.
“L'ho adottata. Non ha mai avuto una famiglia e ora è felice di averne una.”
La Driade sorrise.
Victoria usò il proprio potere per dar da bere agli alberi che, secondo ciò che le dicevano le Driadi, ne avevano bisogno, ma a un certo punto, verso sera, il potere sparì.
“È successo come a te, mamma” disse.
“Esatto. Ora salutiamo e andiamo a casa.”
La sera le ninfe danzavano e cantavano, ma il bosco poteva anche essere pericoloso di notte e non voleva che Victoria si paventasse. Aveva confessato, nel pomeriggio, alla mamma di avere paura del buio se si trovava fuori di notte.
Tornarono a casa.
“È stato fantastico! Avevo un potere, ero magica!” esclamò Victoria, tutta contenta.
Anna rise.
Dopo cena andarono entrambe a letto. Erano stanchissime. Anna lesse un po' alla luce di una candela, poi a un certo punto sentì qualcuno che bussava.
“Avanti.”
“Posso dormire con te, mamma? Mi sento sola nella mia stanza.”
“Ma certo, vieni.”
Victoria si rannicchiò vicino alla mamma. Anna la accarezzò le raccontò la favola di una fata e un folletto che diventavano genitori per la prima volta.
“Bella storia, davvero” disse Victoria.
“L'ho scritta anni fa. I miei genitori erano insegnanti e lo sono anch'io, come ti ho detto. Mi è sempre piaciuto scrivere e immergermi nelle mie fantasie, anche se ora che sono adulta lo faccio di meno.”
La bambina si addormentò mentre la ascoltava. Anna rimase a guardarla dormire. Era così bello vederla rilassata. Sì, si disse, aveva fatto la scelta giusta. Victoria sarebbe cresciuta circondata dal suo amore, da quello di Marilla e di Gilbert. E chissà, magari loro si sarebbero messi insieme, un giorno, e sarebbero diventati tutti e tre una famiglia. Ma per il momento lo erano loro due, ed erano felici così.
   
 
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