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Autore: ElfaNike    20/06/2022    0 recensioni
Ormai la scuola è finita e Hiro si è diplomato. Per festeggiare, Tadashi lo porta con sé in vacanza su un'isola esotica, dove incontrano due sorelle così diverse da loro. Ma diverse davvero?
L'atmosfera magica delle notti d'estate porta a galla drammi segreti e ferite nascoste, e aiuta a guarire...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiro Hamada, Sorpresa, Tadashi Hamada
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non mi appartiene, ma è proprietà di Walt Disney.

L’aereo volava silenzioso sull’oceano. Le diverse sfumature di blu e azzurro tingevano orizzontalmente l’oblò, interrotte a sprazzi dalle nuvole bianche.
Tadashi guardava il mondo fuori da quella capsula magica, da sopra suo fratello Hiro, che si era addormentato conto la parete, che dalla frastornante San Fransokyo l’avrebbe trasportato in un luogo che, a detta della zia, sarebbe stato il premio perfetto per il traguardo raggiunto dal ragazzino.
Tadashi non ci credeva molto, conoscendo il carattere cittadino del fratello, ma aveva deciso di dare una possibilità a quel regalo fatto loro da una zia entusiasta e fiera.
Così erano partiti, e nelle ore di sospensione dal mondo il ragazzo aveva potuto osservare come gli ultimi avvenimenti non avevano reso suo fratello meno apatico rispetto a tutto quello che gli capitava intorno. Probabilmente non si era neppure accorto delle ore di attesa per l’imbarco, e forse non aveva fatto caso neanche a quelle passate seduto lì al suo posto, da tanto era immerso nel suo mondo tutto virtuale attraverso il telefono.
Tadashi scosse tristemente la testa.
L’aereo atterrò dolcemente e i due ragazzi scesero senza scambiarsi una parola. Raccattarono le valigie e poi si diressero a prendere un taxi: quello li portò verso l’interno dell’isola, dove raggiunsero l’hotel. Da lì potevano vedere il massiccio centrale da una parte e, dall’altra, le lunghe spiagge brillare sotto il sole del pomeriggio.
Tadashi sospirò, pensando al suo progetto lasciato in sospeso alla scuola di nerd, chiedendosi se quella perdita di tempo fosse stata davvero necessaria. Poi vide suo fratello stravaccato in fondo al letto che continuava a guardare il cellulare, e si disse che forse sì, era stato necessario per potersi dedicare a lui.
 
La prima sera cenarono direttamente all’hotel, senza avere davvero voglia di uscire. Adducendo la scusa del volo, del cambio di ambiente, delle comodità della camera, Hiro rifiutò la proposta di Tadashi di esplorare i dintorni e risalirono subito nella loro camera, dove si sdraiarono sui morbidi letti, sotto le finestre spalancate, a perdersi nei meandri della rete. Mentre Hiro girava su canali di bot duelli, Tadashi scriveva ai suoi amici: andava tutto bene, il volo era stato tranquillo, il posto era bellissimo, presto ci sarebbe venuto anche con loro.
La notte fu fresca e riposante, e quando al mattino si alzarono Tadashi si accorse che i muscoli del volto si erano rilassati dal cruccio del giorno prima.
I due fratelli si misero i costumi che zia Cass aveva messo nelle loro valigie, Tadashi inforcò il suo fidato cappellino e sequestrò il cellulare a Hiro, e dopo un’abbondante colazione finalmente misero piede fuori dall’albergo.
Il sole era quasi accecante e la cittadella, perlopiù composta di bungalow e di edifici in legno, era immersa nel verde di piante esotiche dalle enormi foglie ombrose.
La gente passava davanti a loro abbronzata, i massicci abitanti e i grossi turisti carichi di surf, ombrelloni, asciugamani e qualunque altro attrezzo in plastica dura e colorata per portare cibo o giocare con la sabbia. I due ragazzi seguirono il flusso di altri individui palliducci dalle sole braccia di una curiosa tinta ‘aragosta cotta’ verso la spiaggia più vicina.
Pestare la sabbia tiepida fu una sensazione bizzarra, quasi piacevole. Tadashi e Hiro cercarono un angolino riparato e andarono a piantare il loro ombrellone. Stesero gli asciugamani e si sedettero.
-Vuoi fare il bagno?- chiese Tadashi dopo qualche istante di silenzio.
-Magari più tardi.- rispose Hiro lasciandosi cadere sdraiato.
Tadashi non insistette oltre e decise di rilassarsi a sua volta. Zia Cass non era lì con loro, nessuno avrebbe potuto metter loro fretta.
Durante la giornata fecero il bagno, presero un gelato, mangiarono dei panini comprati al villaggio. Si accorsero che il giorno dopo sarebbe piaciuto loro prendere due sedie a sdraio, si ripromisero di noleggiarle il mattino presto.
La sera, dopo essersi fatti una bella doccia ed essersi messi pantaloncini e magliette, si recarono in un ristorante locale, dove venivano offerti spettacoli di giochi col fuoco e dove le cameriere portavano i capelli sciolti, fiori dietro alle orecchie e parei colorati legati ai fianchi.
Al tavolo accanto al loro era seduta una bambina che disegnava su un quaderno, sola. Probabilmente era la figlia del proprietario o qualcosa del genere.
I primi tre o quattro giorni non variarono molto nel programma, e tutti i giorni i due ragazzi andavano a prendere posto sempre nello stesso angolino di spiaggia e tutte le sere andavano a sedersi sempre allo stesso ristorante, allo stesso tavolo. Erano quasi a metà delle due settimane di vacanza quando, una sera, Hiro si sedette al tavolo con aria più cupa del solito, mentre Tadashi lo guardava dispiaciuto. Senza volerlo, Tadashi aveva fatto riferimento a quell’ultimo anno scolastico, e lui aveva reagito in malo modo. Il ragazzo si era morso la lingua mille volte, e si ripromise per l’ennesima volta di rimandare il discorso a dopo le vacanze.
Durante l’attesa per il dessert, sul tavolo dei due ragazzi atterrò un foglio a righe, palesemente strappato da una quaderno, con sopra scarabocchiate delle parole.
-È una formula del mio libro.- disse in tono serio la bambina che stava sempre seduta al tavolo accanto al loro -Serve per vendicarsi degli amichetti. Io la uso spesso.-
I due ragazzi la guardarono perplessi, e Hiro mormorò: -Come, scusa?-
-Oggi hai la faccia cupa. Ho pensato che questa formula potesse aiutarti.- e saltellando tornò al suo posto.
Quando arrivò il dessert, la cameriera che li servì portò una fetta di torta anche alla bambina. Allora Tadashi ebbe un’idea: si alzò e andò da lei: -Vuoi venire a mangiare il dolce con noi?- chiese.
Hiro lo guardò stralunato, preso completamente alla sprovvista.
La bambina scosse la testa: -Non posso disturbare i turisti, se no mia sorella mi sgrida.-
-Non disturbi affatto! Lo dirò io a tua sorella!- il ragazzo le fece l’occhiolino e lei lo seguì col suo piatto.
-Allora...- esordì quindi il ragazzo sotto lo sguardo di fuoco di Hiro: -Come ti chiami?-
-Lilo.- la bambina masticò una ciliegia e sputò il nocciolo. Era troppo piccola, per cui stava ginocchioni sulla sedia e si teneva sul tavolo coi gomiti -E voi?-
-Io sono Tadashi, e questo è mio fratello Hiro.- rispose lui con un sorriso cordiale -Siamo qui in vacanza.-
-Lo so... lo sono tutti quelli che vengono a mangiare qui.- quella bambina era strana. Non sorrideva, e quando parlava era fattuale, diceva solo lo stretto necessario. Tadashi si chiese cos’avesse, per essere così a quell’età.
-Lilo!- una voce femminile fece alzare la testa a tutti e tre: -Che cosa fai qui? Ti avevo detto di stare tranquilla al tavolo!-
Una ragazza, che chiaramente lavorava lì come cameriera, si avvicinò con passo deciso.
-Mi hanno detto loro che sarei potuta stare qui.- rispose Lilo alzando il naso verso di lei.
-Ha ragione.- prese la parola Tadashi, scuotendo la mano -L’ho invitata io. È qualche giorno che la vediamo lì seduta da sola...-
-Oh...- sorrise la ragazza interdetta -Non dovete preoccuparvi... il padrone del ristorante le ha dedicato il tavolo per tutte le sere in cui sono in servizio...-
-Non è un problema... sempre che non lo sia per voi. A noi fa piacere avere un po’ compagnia. Vero, Hiro?-
Hiro roteò gli occhi e il ragazzo rise: -Io sono Tadashi, lui è mi fratello Hiro.-
-Piacere. Mi chiamo Nani e questa peste è mia sorella Lilo.-
Ci fu uno scambio di sorrisi cortesi mentre i fratellini li guardavano perplessi, poi Nani alzò lo sguardo e vide che c’era bisogno di lei: -Vogliate scusarmi...- e ripartì col vassoio in spalla.
Quella sera, quando tornarono all’hotel, Hiro andò subito a dormire, mentre Tadashi rimase ancora sveglio qualche momento. Ripensò alla bizzarra sensazione che aveva provato quando, dopo tanto tempo, aveva sorriso spontaneamente a un’altra persona, e si addormentò con il cuore un pochino più leggero.
 
La sera dopo Tadashi invitò Lilo a sedersi con loro per tutta la cena, e cercò di conversare con lei, nella speranza che questo aiutasse anche Hiro ad aprirsi un po’. Lilo gli mostrò il suo quaderno, in cui aveva segnato formule vudu alternate a pezzi di brani di Elvis e disegni di pesci colorati e di danzatrici hawaiane.
-Questa sono io.- disse la bambina indicando una figura con la gonnellina verde: -La settimana prossima faccio uno spettacolo con le altre bambine del mio corso.-
-Davvero? E potremmo venire a vederti?- chiese Tadashi, beccandosi una gomitata da Hiro.
-Stai scherzando?- gli sussurrò quest’ultimo all’orecchio.
-Ma dai, sarà divertente!- rispose il fratello.
Nani si occupò di servire tutte le portate personalmente, e rivolse a Tadashi un sorriso grato, probabilmente perché intrattenendo Lilo la sollevava dall’incombenza di dovervi badare durante l’orario di lavoro.
Tadashi le sorrise di rimando e la seguì con lo sguardo mentre si allontanava, e smise di sorridere solo quando suo fratello gli diede un’altra gomitata con sguardo perplesso.
Il giorno dopo Lilo comparve alla spiaggia con una sacca a tracolla e un costumino intero a righe gialle e rosse. Li vide e venne a salutarli.
-Sei venuta a farti il bagno?- chiese Tadashi.
-È il giorno del panino.- rispose lei al sommo della serietà.
-Il giorno del panino?-
-Sì. Ogni giovedì devo portare a Pudge il suo panino al burro di arachidi.-
-Chi è Pudge? Un turista? È qui alla spiaggia?-
Lilo sospirò forte, come se dovesse ripetere una spiegazione data ormai troppe volte: -Pudge è un pesce.-
Hiro sorrise divertito: -E perché devi portate a un pesce un panino al burro di arachidi?-
Lilo lo guardò gravemente: -Perché controlla il meteo.- e se ne andò a compiere la sua importante missione.
Tadashi e Hiro si guardarono interdetti, poi si coprirono la mano con la bocca per non scoppiare a ridere.
Quella sera ritrovarono Lilo al tavolo e le chiesero se era riuscita nella sua missione. Lei annuì gravemente.
-I tuoi genitori cosa dicono di questo tuo amico? Si fidano a lasciarti andare la mare da sola?- chiese Tadashi nella foga dell’allegria.
Lilo guardò il ragazzo come l’avesse schiaffeggiata. Tadashi si sentì profondamente in colpa, non sapendo bene perché la bambina avesse reagito così. Sentì l’improvviso bisogno di sprofondare sottoterra.
-Non vogliono che tu vada da Pudge?- chiese allora per rimediare -Non ti preoccupare, manterremo il segreto, non devi spaventarti così!-
Lilo scosse la testa, poi disse con una vocina sottile: -I miei genitori sono morti quest’anno. Pioveva, e sono usciti in macchina.-
I due fratelli si guardarono, senza parole. Dopo qualche istante Hiro disse: -Anche i nostri genitori non ci sono più. Erano andati nei Paesi poveri per aiutare chi ne avesse bisogno. Non... sono più tornati.-
Lilo lo guardò con gli occhioni spalancati: -Per questo non sorridi mai?- poi tornò ad abbassare lo sguardo: -Si vede che sei triste. Però non pensavo per questo.-
Tadashi osservò i due bambini chiusi nel loro silenzio spezzato, e improvvisamente mise in prospettiva anche Nani: capì perché Lilo era sempre al ristorante la sera, capì che non era perché tutta la famiglia lavorava, e capì perché anche la sorella maggiore aveva sempre quello sguardo desolato.
Allora si alzò e andò da Nani: -Stasera offro a Lilo e a Hiro dessert doppio. Dici tu al tuo capo che pago quando usciremo?-
Nani lo guardò interrogativa ma annuì.
Quella sera Hiro e Tadashi rimasero fino quasi all’ora di chiusura. Hiro aveva il volto nascosto nelle braccia, incrociate sul tavolo, e Lilo dondolava la testa dalla stanchezza, seduta sulla sedia, e Tadashi sorrise a Nani quando lei venne a sparecchiare.
-Avete fatto tardi, stasera.- commentò la ragazza mettendo i piatti sul vassoio.
-Né io né Hiro avevamo molta voglia di rientrare.- confessò Tadashi.
-È successo qualcosa?-
-Lilo ci ha raccontato dei vostri genitori.-
Nani si fermò per un momento e lo guardò con occhi tristi, presa alla sprovvista e senza sapere cosa dire.
Tadashi sorrise tristemente: -E noi le abbiamo detto dei nostri.-
Nani prese un momento per interpretare quella frase, poi disse: -Mi dispiace tanto. Credimi, se ti dico che ti capisco.-
Tadashi non perse il suo sorriso gentile: -Se vuoi, finché siamo qui possiamo occuparci noi di Lilo. Mi sono occupato di Hiro da quando era bambino, so come si fa.-
Nani ricambiò il sorriso: -Grazie, ma in giornata non ce n’è bisogno. E poi Lilo è molto indipendente, non gradirebbe un baby sitter.-
-Almeno la sera? Così puoi lavorare tranquilla.-
Nani rifletté un momento, poi accettò con un sorriso. Portò via i piatti e andò a cambiarsi. Ricomparve con una maglietta arancione e dei jeans a pinocchietto, salutando due ragazzoni che si diressero al loro pickup tutto scassato.
-Sono i ragazzi che si esibiscono nei giochi di fuoco.- spiegò al ragazzo prendendo in braccio Lilo.
Tadashi si era già caricato in spalla Hiro: -Non li avevo riconosciuti. Da questo angolo non vediamo bene il palco...-
-Volete cambiare posto?-
-No, no! Lì dove siamo va benissimo... e poi a me piace parlare con Lilo.-
Nani rise piano, uscendo con il ragazzo dal ristorante: -Era una bambina adorabile, fino a qualche tempo fa. Quando è successo... l’incidente... è cambiata molto. È cresciuta, credo... non lo so. Per certe cose mi spaventa, perché sembra più vicina a un mondo al di là che al nostro mondo al di qua.-
Hiro ascoltava lo sfogo della ragazza, e intanto pensava a suo fratello, alla sua passione per i bot duelli, e si chiedeva se si sarebbe limitata ai video in rete o se l’avrebbe spinto più in là... in un mondo più adulto.
-Io devo andare di qua.- mormorò ad un certo punto Nani -Il tuo hotel da che parte è?-
-Per di là.- Tadashi indicò la direzione opposta.
-Allora ci vediamo domani.- Nani sorrise, ma il ragazzo la trattenne.
-Magari sei stanca, però... Ti andrebbe di venire su da noi?-
Nani lo guardò inarcando un sopracciglio: -Non ci starai provando, spero?-
-No, no! È solo che è da un po’ che non parlo con qualcuno in questo modo.-
Nani lo squadrò per un attimo, poi alzò le spalle e accettò.
Arrivarono alla porta della camera di Hiro e Tadashi e il ragazzo stortò le spalle cercando di non far scivolare il fratellino addormentato mentre estraeva la chiave della stanza.
I due entrarono sussurrando, Hiro fu posato sul suo letto e Lilo fu fatta sdraiare su quello di Tadashi. Poi il ragazzo spalancò la porta-finestra e Nani si accomodò su una sedia pieghevole. Lui arrivò dal frigo-bar con due bottiglie di vetro e ne porse una alla ragazza.
-Non ho il diritto di bere, non sono ancora maggiorenne.- declinò lei.
-Nessuno ci vede, qui. Neppure io sono maggiorenne, ma penso che questa non ci farà male, per una volta.-
Lei alzò di nuovo le spalle e accettò la bottiglia. Poi si appoggiò col gomito alla balaustra e guardò il mare.
Lui non si era ancora seduto. Appoggiò a sua volta i gomiti alla ringhiera e guardò il paesaggio, facendo roteare lentamente la bottiglia con tre dita.
-Perché dicevi che è da tanto che non parli così con qualcuno?- chiese ad un tratto lei.
A quel punto fu il turno di Tadashi di fare spallucce: -Quando abbiamo ricevuto la notizia, anni fa... ho avuto come l’impressione che la gente avesse cambiato il modo di parlare con me. Come se provassero pena, ma non osassero dirmelo. Sono passati tanti anni... ma quella sensazione non è mai davvero andata via, come se non riuscissi a trovare davvero qualcuno che mi capisse.-
Nani annuì piano e portò la bottiglia alla bocca.
-È successo tanto tempo fa?- chiese dopo una sorsata.
Lui abbassò la testa: -Parecchio. Hiro aveva tre anni. I nostri genitori erano sempre in giro per il mondo a salvare vite. E quello è sempre stato il nostro orgoglio. Non era strano che io e Hiro rimanessimo qualche settimana da soli a casa, ma nessuno ci ha mai trattato come bambini abbandonati: ho imparato molto presto a occuparmi della casa e di mio fratello.- prese un sorso con un movimento rapido della bottiglia -Invece, quando è successo... sono cambiati tutti. Come se la nostra vita da soli a casa fosse una novità!-
-Be’, avevano ragione, in un certo senso.-
Tadashi scosse la testa: -È stato davvero difficile. Tutte le volte che qualcuno ci guardava... glielo leggevamo in faccia, che pensava a quello. E io non sono mai riuscito a sopportare la pietà degli altri.-
-Posso capire.- Nani era seduta sulla sedia con una gamba piegata sotto il sedere, il busto sbilanciato verso la ringhiera, il braccio sul corrimano e il mento appoggiato alla mano.
Lui si alzò e la guardò interrogativo, così lei continuò: -Noi non abbiamo nessuno, ora che i nostri genitori non ci sono più. E ovviamente i servizi sociali si sono immischiati. Vengono tutte le settimane per vedere se riescono a trovare un buon motivo per portarmi via mia sorella.- spiegò con una golata alla bottiglia.
Tadashi la guardava allibito, così lei si lasciò sfuggire un sorriso ironico: -Lo stai facendo tu, adesso.-
-Cosa?-
-Mi stai guardando con pietà.-
Il ragazzo ebbe un sussulto e spostò di scatto lo sguardo: -Scusami! Non me ne ero reso conto.-
Lei rise sommessamente scuotendo la testa: -Grazie per la chiacchierata.- disse, alzandosi.
Tadashi la guardò rientrare nella stanza.
-Nani...- la chiamò. Lei si girò a guardarlo e lui non seppe bene come continuare, così mormorò: -Se lavori così tutte le sere... sono sicura che non troveranno mai un buon motivo. Sembri molto forte.-
Lei sorrise e replicò: -Io vorrei non doverlo essere. Però grazie.-
Nani prese in braccio la sorellina. Tadashi andò ad aprirle la porta e si appiattì contro il muro per lasciarla passare. Lei salutò con un sorriso, e lui la guardò allontanarsi per il corridoio.
Poi richiuse la porta e andò in bagno. Dopo una doccia rinfrescante si buttò sul letto con la mente in subbuglio e una sola immagine in mente: gli occhi neri dallo sguardo pungente di Nani, e le sue domande acute.
 
Nani arrivò a casa e per prima cosa mise a letto la sua sorellina, rimanendole seduta accanto per qualche minuto ad accarezzarle la testa. Poi con un sospiro andò a lavarsi la faccia, e si buttò sul suo letto con il volto ancora fresco. Lei sapeva che aveva una sola missione, in quel momento, nella sua vita: occuparsi di Lilo, e non farle mancare mai niente.
Però si concesse, quella sera, di indugiare con la mente ripensando a quel turista dall’aria dolce, dallo sguardo gentile e l’espressione così persa e innocente. E al suo respiro tiepido, che l’aveva sfiorata quando gli era passata davanti per uscire dalla stanza.
  
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