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Autore: MaxB    27/06/2022    3 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fine caccia, e inizio di un periodo un po' turbolento... chissà perché :P
Niente paura e buona lettura!! (Ho fatto la rima xD)


Capitolo 65

Quando Ofelia si svegliò, la mattina dopo, scoprì con orrore che l'alba era passata da diverse ore. Inciampò tra le lenzuola nella foga di scendere dal letto, sbattendo il polso quando ci atterrò malamente sopra dopo essere caduta di faccia. Corse in modo un po' sbilenco in cucina indossando una vestaglia sopra la camicia da notte, ma il fare più cose contemporaneamente non le veniva mai bene, e infatti urtò la porta con il piede e lo stipite con la spalla. Sul tavolo le avevano lasciato un bigliettino, la grafia era quella di Balder:
Torniamo presto, non angustiatevi mamma.
Avremo molta fame!
A dopo.
Il messaggio avrebbe dovuto calmarla, o quanto meno farla sorridere, invece non fece altro che crearle ansia. Si sentì in colpa. Aveva dormito così beatamente tra le braccia di Thorn, finalmente in pace tra loro, che non lo aveva nemmeno sentito alzarsi. Anzi, si sentiva fin troppo rilassata. Per un attimo l'assalì il dubbio che Thorn avesse chiesto a Balder di tramortirla un po' con i ponti, quella mattina, ma sarebbe stato un gesto troppo meschino da parte di Thorn.
Cercò di mangiare senza pensare a cosa potesse succedere, a come stessero le gemelle, se avessero paura. E se Balder si fosse ferito nel tentativo di usare i ponti sulle Bestie? Era testardo, in fondo. E se Thorn si fosse preoccupato così tanto degli altri da non prestare attenzione a se stesso? E se Tyr fosse stato troppo impulsivo o temerario, senza curarsi del pericolo? E Berenilde? Non era vecchia, ma ormai aveva una certa età... non era di sicuro agile come una volta.
Per distrarsi Ofelia decise di andare all'esterno a fare una passeggiata, cercando di mantenere la casa nel suo campo visivo per non perdersi. Quello sì, fra tutte le cose che potevano capitare durante quel soggiorno, Thorn non se lo sarebbe aspettato. Smarrita nei boschi durante una battuta di caccia. Ad Ofelia quasi sfuggì un sorriso al pensiero delle statistiche che avrebbe infranto. Sarebbe morta di freddo nell'arco di una notte, dato che stava iniziando a nevicare.
Neve in prossimità della bella stagione. Il Polo non avrebbe offerto il calore del sole nemmeno nel cuore dell'estate! Ofelia decise di rincasare prima che calasse il buio, altra controindicazione del vivere nel perenne inverno. Era giunta a metà strada, coperta da un piccolo boschetto, quando vide la sua famiglia che tornava. Thorn, poi Tyr, Balder, Mira, o era Belle?, e Berenilde. Ma l'altra gemella? Ofelia tirò un sospiro di sollievo quando vide entrambe: c'erano tutti. Nessuno perdeva sangue, tutti si reggevano sulle proprie gambe. Erano incolumi. Ofelia sentì un peso così grande levarsi dalle sue spalle che vacillò. Il suo scarso equilibrio, non aiutato dalla neve alta che le si stava infilando persino negli stivali, ghiacciandole i piedi, l'abbandonò completamente, e lei si ritrovò lunga distesa, sommersa.
In lontananza sentì le urla dei figli quando si resero conto che non era in casa, grida che si facevano via via più spaventate. L’idea di rovinare le statistiche di Thorn non la faceva più ridere. Thorn l'avrebbe ripresa per bene per la sua avventatezza. Per una volta, non poteva dargli torto. Cercò di rispondere che era lì, ma con la sua voce sommessa non la sentirono nemmeno gli scoiattoli sulla cima degli alberi. Con gli anni era diventata più udibile, lungi dall'essere la voce da passerotto che aveva all'epoca in cui aveva abbandonato Anima, ma non si poteva certo dire che fosse la voce più potente del Polo!
Alla fine riuscì ad agitare una mano mentre cercava di rialzarsi, inciampando sulla coda della sciarpa, che per ripicca le schiaffeggiò la faccia riempiendole gli occhiali di neve. Una volta in piedi, mulinando le braccia per mantenere l'equilibrio, Ofelia non fece in tempo a togliersi gli occhiali che qualcuno lo fece per lei. Sussultò, per poi rendersi conto che la figura sfocata che vedeva a poca distanza era troppo alta. Poteva appartenere solo a Thorn o a Balder.
- Thorn? - chiamò con voce dimessa, aspettandosi una sfuriata.
Thorn si lasciava andare raramente agli scatti d'ira, ma quando succedeva le faceva un pochino paura.
- Ti avevo detto di stare in casa - sibilò lui, con una furia a stento contenuta che trapelava dalla voce. - Potevano esserci delle Bestie qui in giro!
Le rimise gli occhiali, puliti, mentre lei si aggrappava al suo braccio per non cadere.
- Non sono così sciocca! Ho visto che non c'era nessuno nei dintorni!
Sì, sarebbe stato giusto prendersi parole, ma non era così sprovveduta!
Thorn scosse la testa, dandole le spalle e afferrandole la mano. Se la trascinò dietro come una bambina, ma Ofelia non protestò: la neve era talmente alta che la figura imponente di Thorn la aiutava sgombrandole la strada. Non era così orgogliosa da staccarsi da lui solo per finire di nuovo con il naso per terra.
- Le Bestie sono estremamente veloci e hanno un olfatto molto sviluppato. Avrebbero potuto fiutare la tua presenza a diverse centinaia di metri di distanza, e non sono così intontite dal sonno da non percepire una preda facile.
Ofelia starnutì tre volte di fila.
- Hai preso freddo - constatò Thorn, come se non fosse evidente.
- La neve si sta sciogliendo. Penso mi sia entrata anche dentro il cappotto.
Ofelia udì chiaramente lo sbuffo di Thorn: - Nemmeno noi che siamo stati fuori tutto il giorno siamo ridotti così male.
Decisa a non raccogliere le frecciatine del marito, Ofelia tacque. Gli altri erano rientrati tutti, a parte le gemelle che l'abbracciarono, una per lato, non appena fu sulla soglia di casa. Thorn la lasciò a loro ed entrò senza degnarla di uno sguardo.
- Mamma, abbiamo avuto così paura! - disse Belle.
- Sì, tanta tanta paura!
Ofelia si rilassò, lasciandosi abbracciare dalle figlie come se fosse lei la più piccola.
- Oh, povere care, lo sapevo che vi sareste spaventate. Quelle Bestie devono essere state mastodontiche!
Mira scosse la testa contro di lei. - No, mamma, non paura per le Bestie.
Belle ridacchiò. - Paura per te! Non ti trovavamo più!
Ofelia cercò di dare un senso a quelle parole. Avevano avuto più paura per lei, perché non l'avevano vista per pochi minuti, che per le Bestie?
- Quindi non ne avete trovate, presumo.
Mira la guardò battendo gli occhioni grigi, visibilmente preoccupata. Preoccupata per lei. - Mamma, ne abbiamo uccise undici! Il guardacaccia, il signor Jean, ha detto che un bottino così non si vedeva dai tempi degli ultimi Draghi, la famiglia di papà. Gli altri anni i gruppi di Invisibili e gli altri non hanno mai avuto un grande successo.
Ofelia ringraziò che le figlie la tenessero in piedi, se no avrebbe di nuovo perso l'equilibrio. Undici Bestie?
Stava per porre una sfilza di domande quando Thorn si affacciò di nuovo, e lei starnutì.
- Per l'appunto, state facendo raffreddare tutta la casa. E tu ti sei già presa un raffreddore. Scaldati.
Ofelia cercò di non alzare gli occhi al cielo. Ora quel trattamento poteva avere una fine, aveva imparato la lezione. In ogni caso si lasciò trascinare all'interno, dove vide Tyr che metteva su il bollitore, con un biscotto in bocca, e Balder che se ne infilava in bocca un altro. Poi ne diede un secondo al fratello, che masticò con le guance piene come se avesse un'urgenza assoluta di mangiare.
Ofelia si rese conto solo in quel momento che in effetti l'ultimo pasto che avevano fatto era stata la colazione. Non era una buona idea lasciare che Thorn pensasse ai pasti, perché lui proprio non ci pensava, andava avanti per inerzia. Quando a Berenilde, era talmente abituata ad essere servita che sarebbe morta di fame se qualcuno non avesse provveduto a cucinare.
- Dovete essere affamati - mormorò Ofelia mentre Balder e Tyr, dopo aver finito con il bollitore, le si avvicinarono per abbracciarla a loro volta.
- Mamma ma cosa facevate lì fuori? - la riprese bonariamente Tyr.
- Il freddo è stato la parte peggiore, non capisco proprio per quale motivo vi siate inflitta una tale sofferenza! - commentò Balder.
Ofelia boccheggiò, in cerca delle parole, poi starnutì addosso ai figli.
- Scusate, scusate - balbettò, mentre la facevano sedere spostando giacche e cappotti che erano sparsi ovunque. Thorn li raccattò, dato che gocciolavano, per appenderli dove non dessero fastidio.
- Siete molto pallida mamma. Appena il tè sarà pronto ve ne servirò una bella tazza calda con tanto miele - la rassicurò Tyr, che sembrava diventato una chioccia.
Fin troppo docile. Ofelia avrebbe strizzato le palpebre, scettica, se non fosse stata così confusa dalla situazione.
Balder invece prese un altro biscotto, sputacchiando quando parlò. - Fei ficuro di fapere quello che fai?
Mira e Belle lo spinsero via, disgustate dalla fontana di briciole che soffiava fuori ad ogni parola. - Ci pensiamo noi, siamo più affidabili.
- Voi riposatevi, oggi avete fatto tanto!
Berenilde si schiarì la voce, offesa per essere stata ignorata tutto quel tempo. Batté la mano sul divano accanto a sé, con le guance rosee e piene di vita, più bella che mai. - Sì, riposatevi miei cari, venite a sedervi accanto a me. Thorn, è stata una tale emozione poter partecipare a una caccia con te, con i tuoi figli. Non si nota, ma sono commossa.
Ofelia starnutì di nuovo. No, decisamente non si notava la commozione di Berenilde, che sembrava più che altro estatica. E pronta a vantarsi.
Thorn le passò un fazzolettino, spuntando da una delle camere. - Fai la doccia tu per prima o ti verrà la febbre.
- I vostri capelli gocciolano, mamma - le fece notare Mira mentre apparecchiava.
- Sì, fatevela prima voi. Quando avrete finito troverete tè e biscotti ad aspettarvi - disse Belle, prima di schiaffeggiare la mano di Tyr che stava giusto per prendere un altro biscotto. - Farò in modo che ne avanzi qualcuno.
Ofelia stava per ribattere che era lei quella che doveva pendersi cura di tutti loro, che erano loro quelli che avevano rischiato la morte e compiuto una grande impresa quel giorno, ma Thorn la prese con poca gentilezza per un braccio e la trascinò in bagno.
La doccia era già aperta e l'acqua calda riversava il suo vapore rilassante nell'ambiente, facendo fremere di gioia Ofelia. Caldo, finalmente.
Si arrese ad essere lei quella curata, spogliandosi per farsi una bella doccia bollente, quando si rese conto di non aver preso la biancheria. Stava per aprire la porta e avvisare Thorn quando lui entrò in fretta, chiudendosi la porta alle spalle e sbattendo contro di lei.
Iniziò a spogliarsi prima di accorgersi che Ofelia lo scrutava perplessa.
- Dentro - le ordinò, spingendola nella doccia con una mano sulla schiena.
Una mano gelida che la fece urlare.
Thorn si schiarì la voce mentre si toglieva la camicia, il suo tentativo di scusarsi. - In due faremo più in fretta.
Ofelia non osò ribattere. Le sembrava di vivere un'esperienza altrui, non era del tutto consapevole di quello che stava succedendo. Si tolse guanti e occhiali mentre Thorn finiva di togliersi i pantaloni, urtandolo quando entrarono in doccia insieme.
Ofelia si irritò. - Ho capito di averti contrariato, ma non mi sembra il caso di fare tutta questa scena per...
Thorn la zittì con un bacio che la sciolse come la neve tra i suoi capelli. La spinse contro il muro ancora freddo, facendole inarcare la schiena. Un lungo gemito di piacere e dolore si perse nel vapore. - Thorn, ma cosa...?
- Ho temuto che fossi scomparsa. Non fare mai più una cosa del genere, anche se farti promettere non servirà a nulla.
Thorn la prese in braccio senza darle il tempo di rispondere, aiutandosi con il muro per sostenerla. Ofelia non fece in tempo a ribattere o a prepararsi che Thorn si chinò su di lei per soffocare il suo gemito, questa volta unicamente di piacere, in un bacio umido e caldo.
Finalmente Ofelia tornò presente a se stessa, nella sua pelle, e pianse senza che Thorn la vedesse, mentre le lacrime si mescolavano all'acqua e sparivano nello scarico.
Perché era salvo. La sua intera famiglia era salva. Incolume. Per nulla spaventata. E Thorn era così solido contro di lei, così imponente e protettivo e possessivo che non poté che chiudere gli occhi e lasciarsi andare, mentre i suoi sospiri si mescolavano agli sbuffi dell'acqua. Sia lei che Thorn abbandonarono l'ansia, la paura, la rigidità e lo stress in quel modo, tra il calore della doccia e dei loro corpi, e Ofelia si strinse a lui così tanto che temette di fargli male. Ma Thorn non fece nulla per allontanarla, anzi, la spinse contro il muro quanto era fisicamente possibile per sentirla più vicina.
Ofelia gli morse una spalla per zittirsi quando arrivò il suo momento, seguita poco dopo da Thorn che la lasciò andare e alzò il viso verso il getto d'acqua calda, lasciandosi sommergere. Poi lei lo abbracciò, e rimase stretta a lui finché Thorn non chiuse l'acqua. Le baciò la testa e si allungò, senza allontanarsi, per prendere un asciugamano in cui avvolse entrambi. Ofelia ebbe il buongusto di starnutire di nuovo, spezzando l'atmosfera quasi romantica che si era venuta a creare.
- Devi bere il tè - le ordinò Thorn, asciugandole la schiena e poi le gambe, prima di fare lo stesso con se stesso. Ofelia si rimise prima i guanti e poi gli occhiali, del tutto inutili per via del vapore che si era attaccato alle lenti. Si rivestì cercando la biancheria a tentoni, aiutata da Thorn che tra un movimento e l'altro glieli girava nel giusto verso. Sembrava un automa da quanto era preciso e metodico, al contrario di Ofelia che faceva fatica a compiere i gesti più basilari anche in condizioni ottimali di vista e movimento.
Ofelia attese che Thorn finisse di vestirsi per uscire, seguita da lui che sbatté contro la sua schiena quando lei sbatté contro Balder. Le sembrava di stare tra due colossi.
Gli occhiali iniziarono a disappannarsi poco a poco, permettendole di vedere l'espressione sbigottita del figlio. - Stavo cercando papà per dirgli del tè. N-non sapevo che vi foste fatti la doccia ins... cioè... - balbettò, paonazzo, schiarendosi poi la gola. - Il tè è pronto in tavola.
Ofelia ebbe giusto il tempo di vedere Tyr che ammiccava a Balder prima di diventare rossa d'imbarazzo anche lei. Anche a casa si facevano spesso la doccia insieme, ma avevano il bagno in camera e nessuno vedeva i loro spostamenti, o cosa facevano. Soprattutto, non i loro figli.
- Miei cari nipoti, dopo sei figli direi che è più che ovvio che qualche doccia insieme l'abbiano fatta - sogghignò Berenilde, intervenendo in aiuto di Ofelia ma nella maniera peggiore.
Ofelia rischiò di strozzarsi con un sorso di tè, trovando che Berenilde fosse del tutto fuori luogo. Arrischiò un'occhiata verso Thorn, imperturbabile, e le sembrò di sentire la sua voce dire: - Anche un po' di più -, anche se lui non aveva aperto bocca.
Fortunatamente, ci pensò Mira a salvarla da quella situazione scomoda. - Avete tutto il naso rosso mamma.
- Temo di essermi presa il raffreddore.
- O magari un colpo di calore - cantilenò Berenilde, facendole l'occhiolino.
Ma insomma! Possibile che nessuno lì badasse ai fatti propri? Mentre Balder e Tyr, già dimentichi della questione doccia, si litigavano i biscotti, tornò il guardacaccia. Fuori era ormai buio nonostante non fosse nemmeno sera.
- Le Bestie sono state caricate sulla slitta che le porterà a Città-cielo, mio signore - borbottò con il suo accento marcato che Ofelia ancora faticava a comprendere. - Presto la carne verrà macellata e distribuita, e le pellicce riutilizzate. A parte quella destinata a voi per i cappotti dei vostri figli.
Mira e Belle quasi saltarono sulla sedia: - Cappotti papà? Come il vostro?
- Una pelliccia tutta morbida? Vi prego posso quella della Bestia grigia? Aveva un colore così elegante.
Thorn però le ignorò, intento a calcolare: - Considerando il peso delle Bestie senza la pelliccia e il numero di abitanti del Polo, anche considerando una percentuale extra di consumo pro-capite dovuto alla lunga penuria di carne sulle nostre tavole, arriveremo tranquillamente al prossimo disgelo. Per quest'anno, i viveri sono assicurati.
Jean, che era impallidito visibilmente ad ogni parola pronunciata da Thorn, rilassò le spalle quando capì quello che era necessario capisse: il cibo sarebbe stato abbastanza per tutti.
- Vi ringrazio per il vostro illustre lavoro, illustrissimo... ehm... illustre. E i vostri illustri figli. L'illustre zia. E l'illustre moglie che ha partorito i vostri figli. Illustr...
- Abbiamo capito - tagliò corto Thorn, accendendosi la pipa.
Jean si tolse il cappello e accennò un inchino. - Perdonate la mia eloquenza, mio signore, ma era da così tanto che non ricevevamo una notizia così bella! Gli anni scorsi le cacce sono state disastrose, c'erano da rimuovere più cadaveri umani che di animali. Vi farò recapitare il primo taglio di carne già arrostita per cena, come da consuetudine. Grazie per... grazie.
Thorn alzò gli occhi, guardandolo in viso per la prima volta. Annuì una sola volta, prendendo coscienza delle sincere parole del guardacaccia.
Non appena uscì, le gemelle si misero ad applaudire contente, andando dalla zia Berenilde per farsi spiegare la questione dei cappotti. Tyr invece si alzò mulinando un pugno in aria, urtando il braccio di Balder che si sparse il tè addosso. Evitò per un soffio l'ustione, ma tirò giù Tyr perché si sedesse, sibilando: - Se non ti calmi subito ti tramortisco con i ponti.
- Eddai fratello, lasciami esultare! Avremo le pellicce! E la carne per cena! Fresca e abbondante!
Balder sentì lo stomaco brontolare in risposta. Da quando lui e Tyr avevano superato i quattordici anni, la loro fame era raddoppiata. E il fatto che avessero saltato il pranzo di sicuro non aiutava a renderli più tranquilli, soprattutto perché i biscotti non li potevano saziare. Ofelia si alzò per preparare dei panini che potessero intanto placarli un po', specialmente dopo lo sforzo. Intanto si fece raccontare la loro avventura dai due fratelli che continuavano a battibeccare. Avevano ceduto il posto alle gemelle e alla zia perché si lavassero per prime, ma così ad Ofelia risultò ancora più arduo riuscire a non ferirsi o rompere qualcosa.
Al secondo piatto che le cadde nel lavandino, fortunatamente incolume, Thorn si alzò e le si avvicinò, prendendole il coltello dalle mani per tagliare lui stesso il pane. Tra i figli che raccontavano dello sterminio delle Bestie e Thorn che cucinava di fianco a lei, le sembrava di vivere un'esperienza surreale. Non che preparare dei panini potesse essere considerato cucinare, ma ci si avvicinava...
Ofelia scoprì che Balder, Tyr e Thorn avevano lavorato alacremente per far sì che la zia e le sorelle faticassero il meno possibile e fossero ben salve, anche se il loro aiuto fu davvero prezioso. Il loro compito era quello di sfiancare le Bestie, recidendo le articolazioni nei giusti punti, affinché Tyr potesse finirle con la sua forza, superiore a quella degli altri. La precisione millimetrica di Thorn gli era stata utile per non sprecare energie o perdere tempo; Balder invece era stato ineccepibile, grazie alla sua conoscenza ormai naturale del sistema nervoso, persino delle Bestie, nel riportare le recisioni maggiori e più gravi. Le gemelle e Berenilde si erano invece dedicate a finire le Bestie quando queste erano a terra, in attesa del colpo di grazia, per permettere agli altri di guadagnare tempo e non lasciarle contrattaccare. Balder non aveva provato nemmeno a usare i suoi ponti, obbediente e giudizioso.
- Ma l'anno prossimo ci proverò. Potrebbe essere una tecnica ancora più efficace - concluse, addentando l'ultimo pezzo del panino che i genitori gli avevano servito.
Con sorpresa di Ofelia, persino Thorn ne aveva presa una metà.
Tyr gli diede una gomitata. - Non servono i tuoi ponti quando ci sono i miei super artigli! Questo è il mio campo d'azione, tu occupati del tuo.
- E pensare che qualche anno fa non volevi averci nulla a che fare - commentò bonariamente Ofelia.
Tyr sorrise colpevolmente passandosi una mano tra i capelli, che rimasero dritti in testa, umidi per la neve. - Non avevo capito appieno... be', non avevo capito nulla. Pensavo che avrei ferito senza distinzione. Ero spaventato! Così invece posso renderli utili.
Thorn lo guardò con la fissità di un rapace, facendogli perdere il sorriso. - Ti è piaciuto uccidere quelle Bestie?
Anche Balder osservò il fratello, in attesa di una risposta.
Tyr abbassò lo sguardo, riflettendoci. - Mi... mi è piaciuto usare gli artigli. È come se anche i miei nervi si scaricassero quando li uso. Ma le Bestie mi facevano pena quando mi guardavano, in attesa che ponessi fine alla loro sofferenza. Non mi avevano fatto nulla. E tutto quel sangue... No, non mi è piaciuto ucciderle, ma era necessario per tutto il Polo.
Thorn annuì seccamente, come se Tyr avesse appena passato un test. Rendendosene conto, si rilassò.
In quel momento tornarono le gemelle, stropicciandosi gli occhi per il sonno.
- La zia ha quasi finito, tra poco potete andare voi - biascicò Mira.
Belle invece si lasciò cadere sulla sedia, sfinita, e Ofelia le mise davanti un piatto con i panini avanzati. O meglio, i panini che aveva nascosto per evitare che Balder e Tyr se li mangiassero tutti. Quando Tyr allungò la mano per rubarne uno, Ofelia lo schiaffeggiò blandamente.
- Andate a lavarvi, chissà che sia pronta la cena per quando avrete finito.
- Carne carne carne - cantilenò Tyr avviandosi, seguito da Balder.
Ofelia legò i lunghi capelli rossi delle gemelle in una treccia. Erano ancora umidi, così raccomandò loro di stare accanto al camino perché si asciugassero.
Come sperato, Ofelia aveva appena finito di apparecchiare per la cena quando Jean si palesò portando una grossa casseruola da cui si sprigionava un odorino appetitoso. Persino Ofelia sentì salire l'acquolina in bocca, mentre Balder tratteneva Tyr per la collottola per evitare che si fiondasse come un cannibale sulla carne. Avevano finito di lavarsi giusto in tempo.
Quella che ne seguì fu la cena più strana cui Ofelia avesse mai partecipato, persino più di quella consumata a bordo del dirigibile che per la prima volta l'aveva portata da Anima al Polo. I ragazzi erano così stanchi che le teste ciondolavano sul piatto. Due volte Ofelia dovette scuotere Mira, che mangiava praticamente a occhi chiusi, mentre Berenilde non disse nulla a Tyr che aveva la testa poco educatamente appoggiata al braccio. Persino lei, Berenilde, la dama di corte che rincasava all'alba, era silenziosa, quel silenzio stanco di chi desidera solo andare a letto.
Cosa che accadde subito dopo cena, senza nemmeno la consueta richiesta del dolce.
Ofelia portò ai figli del latte caldo per conciliare il sonno dopo il lauto pasto e le forti emozioni della giornata, aggiungendo, contro ogni sua abitudine, un goccino minuscolo di grappa per scongiurare il mal di gola. Lei stessa ne bevve una tazza con una dose un po' più abbondante, sentendo già l'irritazione nell'anticamera della gola. Erano tutti a letto e lei stava finendo di sorbire il suo latte quando si accorse degli occhi implacabili di Thorn su di lei. Più intensi del solito.
Thorn le si avvicinò e si chinò in un lungo e lento movimento per baciarle con leggerezza le labbra che sapevano del gusto zuccherino dell'alcol.
- Mi è venuta in mente la conversazione che ho avuto con Balder quando mi ha rivelato di essere innamorato di Ilda.
Ofelia appoggiò la tazza sul bancone, temendo di romperla. Percepiva qualcosa di importante in quello che Thorn stava per dirle.
- Mi ha chiesto quando ho capito di essermi innamorato di te.
Ofelia sgranò gli occhi. Aveva sempre pensato che Thorn non fosse il tipo di uomo che parlava di sentimenti e apriva il suo cuore, ma nemmeno lei, in effetti, riusciva ad esprimere con tranquillità quei concetti. Il fatto che Thorn tirasse fuori un argomento del genere la sorprese non poco.
- E... quando lo hai capito?
- Dopo trentaquattro minuti dal nostro primo incontro. All'osservatorio di Anima.
Ofelia si morse la lingua nel tentativo di parlare, ma non sapeva cosa dire. All'osservatorio di Anima... era sicura di non aver fatto un'ottima impressione, né di aver detto qualcosa di incredibilmente arguto. Anzi, la conversazione era stata stentata, solo sua mamma aveva intrattenuto un monologo con se stessa. Lei non aveva aperto bocca e, oltretutto... era scivolata sul ghiaccio. Aveva rotto gli occhiali, quello se lo ricordava bene. Aveva visto Thorn in triplice copia per quasi tre giorni, mentre loro si riparavano. Non era stata proprio un esempio di femminilità.
Ofelia sentì il latte scaldarle lo stomaco più di quanto fosse normale. Che fosse per colpa della paura di perdersi che tutti e due avevano cercato di ignorare, che sentivano così tanto il bisogno l'uno dell'altra? Come se i loro corpi avessero capito meglio di loro cosa significavano l'uno per l'altra, e il rischio che avevano corso. Non sarebbe stata la prima volta, dato che più volte Ofelia aveva ignorato i messaggi che il suo stesso corpo le lanciava. Il suo cuore ci aveva messo molto, troppo tempo a capire di amare quell'uomo troppo alto, troppo spigoloso, troppo duro... e troppo incompreso.
- Come? Perché? - chiese in un sospiro. Per una volta, non era lui che poneva laconiche domande da gendarme.
- Non lo so.  È stata la prima volta in assoluto che hai messo a soqquadro il mio mondo, che hai infranto ogni buonsenso e logica. Mi sono girato appena, ti ho vista lì per terra, insofferente alle continue chiacchiere di tua madre, in difficoltà per via delle lenti rotte e... ho sentito come un senso di affinità. Ho anche pensato che il matrimonio con te sarebbe stato un disastro. Se non ti reggevi in piedi a casa tua, al Polo avresti avuto una percentuale fin troppo elevata di problemi. Il mio cuore ha aumentato il battito del ventisei percento.
Ofelia sbatté le palpebre come se avesse qualcosa nell'occhio. Ma perché d'un tratto Thorn si metteva a fare dichiarazioni del genere?
- Il trattamento che mi hai riservato non è stato esattamente lo specchio di quello che provavi - commentò lei, forse un po' troppo acida data le parole in fondo dolci di Thorn.
Ma non aveva potuto evitarlo: si ricordava ancora le parole gelide di Thorn quando la zia Roseline l'aveva spinta da lui con una tisana. L'aveva ritenuta incapace persino di sopravvivere.
Thorn fece una smorfia appena accennata. - Avevo... ero confuso. Non capivo cosa mi stesse succedendo. E tu non mi rendevi il compito facile, imprevedibile com'eri. Mi turbavi, e volevo tenerti lontana. Ma mi... incuriosivi, anche. Eri un'anomalia.
Ofelia non era certa che essere definita un'anomalia fosse un complimento. Però capiva Thorn, capiva il suo linguaggio, e capiva la sua difficoltà nel tirare fuori l'argomento. Da un certo punto di vista, lo ammirava. Avrebbe voluto anche lei dirgli qualcosa di carino, ma le parole le sfuggivano. Di solito era lui a decidere quando una questione era chiusa, ma in quel momento ci pensò lei.
Si allungò sulle punte per baciarlo, sorridendo quando sentì la barba pungerla. Una barba talmente chiara da passare inosservata, eppure presente.
Più tardi, a letto, dopo aver finito il latte ed essere riusciti a scaldare un po' le coperte gelide con il tepore dei loro corpi, Ofelia si strinse a Thorn, aderendo il più possibile a lui.
Rimase immobile per molto, molto tempo, osservando il buio fuori dalla finestra e ascoltando il respiro regolare di Thorn, lento e profondo.
Perché se respirava, significava che era vivo.
Era ancora con lei.
 
Il viaggio di ritorno sembrò molto più breve di quello di andata, grazie al fatto che tutti erano più rilassati e non sentivano più sulle spalle il rischio di una morte imminente. Almeno per un altro anno.
I cappotti dei figli sarebbero arrivati nel giro di pochi giorni, e le gemelle e Tyr non stavano più nella pelle. Balder sarebbe stato più interessato se fosse stato un camice bianco. Lui fu l'unico nervoso durante il rientro, come se fosse più preoccupato di tornare a casa che di lasciarsela alle spalle. Ofelia sospettava che Ilda c'entrasse qualcosa, ma non voleva chiedergli nulla di fronte agli altri, anche se erano suo padre e suo fratello. Sapeva cosa voleva dire vedere i propri fatti messi a nudo di fronte a tutti come se fossero banalità, non voleva turbare o mettere a disagio il figlio.
Se lo sarebbe dovuto aspettare, però, che una volta rientrati non avrebbe avuto il tempo di chiamarlo in disparte: la zia Roseline li fagocitò, urlando e chiedendo ragguagli, palpeggiando Tyr per vedere se fosse ferito e dando pacche alle gambe di Balder per vedere se zoppicava, perché era troppo bassa per controllargli la parte alta del corpo.
Ofelia accolse con gratitudine l'abbracciò di Serena, che si fece carico dei bagagli mentre Archibald lanciava in giro il cilindro. Salame prese a scorrazzare tra le gambe di chiunque, facendo inciampare Balder, mentre Renard elargiva pacche sulle spalle e copriva ogni chiacchiera con la sua risata tonante. Gaela fu l'unica ad andare in suo soccorso, trascinandola in disparte per un braccio e rispondendo con un grugnito ai suoi ringraziamenti. Però aveva l'angolo della bocca incurvato in un sorriso, nonostante la sigaretta tra le labbra. Ilda esitò quando vide Balder, però alla fine corse incontro agli amici e abbracciò sia lui che Tyr contemporaneamente, facendo cadere tutti per terra.
Ofelia ridacchiò. - Ilda sembra piccola, ma ha una grande forza.
Gaela parve gonfiarsi d'orgoglio. - Donna è, altro che!
Randolf rimaneva seduto a tavola, terrorizzato dal trambusto, e le gemelle ne approfittarono per scoccargli due baci identici sulle guance, spaventandolo.
Thorn svettava su tutti con una smorfia di disgusto sul volto, mentre cercava una via di fuga. Alla fine riuscì ad uscire dalla massa di corpi avvinghiati e sparì a lunghe falcate nel suo studio, in cerca di pace. Ofelia rise. Alla fine era riuscita a trasformare dei rispettabili abitanti del Polo in una famiglia animista fatta e finita. Solo più contenuta: se fossero stati tutti animisti, persino le sedie si sarebbero messe a galoppare in giro, e per cena i piatti si sarebbero distrutti da soli a forza di saltare sui tavoli per la gioia.
Archibald lesse a gran voce, in qualità di ex ambasciatore, le ultime testate giornalistiche, che per una volta non infamavano nessuno della loro famiglia, anzi, li proclamavano eroi.
La cena fu tutta un racconto. Tyr diede il meglio di sé nell'infarcire la storia di dettagli sensazionalistici e palesemente inventati ed esagerati. Balder lo correggeva ogni due frasi, sia per punzecchiarlo che per amore di precisione, e alla fine si misero ad accapigliarsi verbalmente. Non litigavano solo quando Tom catturava l’attenzione di Balder per chiedergli qualche particolare realistico di quella caccia, curioso. I due erano davvero spiriti affini: pacati, onesti e curiosi. Tom aveva qualche difficoltà a sostenere l’esuberanza di Tyr, ma compensava del tutto con Balder. Renard rabboccò il bicchiere dei due fratelli per farli smettere, ma brillo com'era sporcò tutta la tovaglia. Ofelia rise come non rideva da mesi, con l’addome contratto. Persino sulle labbra severe di Thorn vide la fugace ombra di un sorriso, quasi impercettibile. Ofelia lo apprezzò solo per il fatto che non si era dato alla fuga, anche se sapeva che avrebbe sfruttato il primo attimo libero per fiondarsi a recuperare il lavoro arretrato. Dubitava che lo avrebbe visto, quella notte. Infatti quando gli altri decisero di trasferirsi sui divani per il dessert, Thorn bisbigliò qualcosa a Serena e si dileguò.
Ofelia aveva notato in Serena, durante la serata, un'ombra. Era gioiosa, sì, e sollevata per il ritorno della famiglia incolume, ma qualcosa la turbava. Ofelia avrebbe voluto avere un po' di tempo per parlarle, ma chiamarla in disparte quella notte sarebbe stato impossibile. Renard l'agguantò per trascinarla al centro dell'attenzione, distogliendola dai suoi pensieri.
Quando si girò di nuovo in cerca della figlia, vide che era sparita. Probabilmente per andare da Thorn.
Non fece caso al fatto che mancava anche Archibald.
 
Serena camminò velocemente lungo il corridoio, grata delle lunghe gambe e meno grata per la grandezza mastodontica di quel castello.
Negli ultimi tre giorni, quando era rimasta sola con la zia Roseline, Archibald non si era fatto vedere. Lei aveva trascorso quasi tutto il suo tempo nello studio del padre, a cui aveva fatto aggiungere un'altra scrivania per sé, e all'intendenza, dove aveva preso confidenza con il segretario del padre. Era riuscita a farlo smettere di tremare di paura quando gli aveva portato un croissant, la mattina prima, ingraziandoselo. A quanto pareva, lavorare con Thorn non doveva essere una passeggiata. Lei stessa ne sarebbe stata terrorizzata, se non avesse avuto la sua stessa memoria.
Grazie al lavoro aveva potuto distrarsi, invece di accanirsi sul pensiero di Archibald. Aveva potuto pensare a lui in modo più... equilibrato. Meno equilibrato era stato il suo tentativo di attraversare gli specchi. In quei tre giorni in cui la famiglia era stata lontana, in lei si erano susseguiti talmente tanti sentimenti confusi e contraddittori da lasciarla quasi tramortita. Non capiva più chiaramente cosa fare e cosa provare. Gli specchi la respingevano, non la volevano, nemmeno il suo fedele specchietto sul retro della collana. La sera precedente era stata talmente esasperata da scoppiare a piangere e tempestare di pugni lo specchio di camera di sua. Era crollata a singhiozzare sul pavimento, sentendosi sola, incompresa, vuota, nonostante la vittoria e l'incarico appena ottenuti. Aveva raggiunto un traguardo incredibilmente ambito... eppure era insoddisfatta. Aveva passato ventotto minuti immobile a rivedere nella mente il ritratto di Archibald, quella tristezza che sicuramente faceva eco alla sua. Ma per un motivo diverso. Archibald non si sentiva solo perché era innamorato di lei.
Lei sì. E quando lo aveva ammesso a se stessa in modo chiaro e sincero le si era stretto lo stomaco in una morsa. Era... sbagliato.
Archibald era stato come uno zio per lei. Aveva ricordi di lui da quando era neonata. L'aveva vista crescere. Poteva essere suo padre! Era innaturale una cosa del genere! Ma per quanto quel sentimento la facesse sentire sporca, la faceva sentire anche viva. Nonostante i punti a sfavore di quel sentimento superassero un numero a due cifre, lei non poteva evitare di provarlo. Sapeva che avrebbe deluso suo padre, sua madre... persino Balder era rimasto scandalizzato all'inizio, e Serena dubitava che l'avesse presa sul serio. Vedeva ancora il cinismo nel suo sguardo quando gliene parlava, così cercava di farlo il meno possibile. Però... sentiva di assomigliare ad Archibald. Il peso che gravava sulle spalle di entrambi, le aspettative, la diversità, i pettegolezzi. Serena era certa di aver visto un lato di Archibald che lui aveva mostrato a pochi. Un lato tenero, divertente, talvolta persino goffo, di fronte all'abissale differenza di conoscenza tra loro. Aveva visto com'era amorevole, con lei e con i fratelli, aveva visto il suo bisogno di essere accettato, di trovarsi un posto in un mondo in cui era difficile vivere.
Aveva visto la disperazione che albergava nei suoi occhi. Voleva estirparla.
Sobbalzò quando vide Thorn incedere verso di lei nel corridoio. Assunse la consueta facciata impassibile, copiata proprio dal padre, per nascondere la paura.
Thorn aggrottò la fronte: - Stai già venendo in studio?
- Oh, no... sto andando in camera mia. Devo prendere alcune cose prima di venire. Ci vorrà un po' - mentì.
Si sentì male: non aveva mai mentito ai suoi genitori.
Thorn fece un impercettibile cenno del capo e la superò: - Mi troverai là quando sarai pronta.
Serena mugugnò un assenso e si chiuse in camera, respirando affannosamente. Non poteva tornare in corridoio. Non poteva lasciare che altri la vedessero avvicinarsi alla camera di Archibald. Si voltò verso lo specchio. Non aveva più provato ad attraversarlo dopo la crisi di pianto del giorno prima.
Quella sera però si sentiva diversa. Strinse i pugni e si avvicinò.
Anche i suoi genitori non avevano avuto un inizio felice. Anche i suoi genitori erano diversi quanto un numero e una lettera, una moltiplicazione e una divisione. Eppure funzionavano.
E lei voleva provare a... voleva tentare con Archibald. O, in ogni caso, chiedergli una spiegazione per il suo gesto inconsulto di tre giorni prima. Per il bacio.
I suoi genitori non erano codardi. Suo padre aveva combattuto, a modo suo, per un amore in cui solo lui credeva. Forse poteva farlo anche lei.
Di sicuro ci avrebbe provato.
Racimolò il coraggio.
Finalmente affrontò il suo riflesso nello specchio. Il suo vero riflesso.
Si immerse senza esitazione.
  
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