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Autore: Knight_7    04/07/2022    0 recensioni
Nella mia mente ho sempre paragonato il movimento del respiro a quello delle onde.
Forse perché il mare è il primo ricordo che ho, oltre a una delle pochissime immagini nitide che conservo dei miei primi anni di vita.
L’oceano riempiva ogni mio pensiero all’epoca, perciò non mi sorprende che abbia finito per spazzare via tutto il resto nella mia memoria.
Ora che sono cresciuta è tutto diverso, certo…
Anche se ultimamente ho scoperto che l’immagine delle onde mi aiuta a inspirare ed espirare lentamente quando nel cuore della notte vengo svegliata dagli attacchi di panico.
Ma questo è successo dopo.
Molto dopo.
E forse per evitare che anche l’ultimo briciolo di sanità mentale che mi resta venga sommerso dalla marea, meglio ricordare tutto dall’inizio.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarisse La Rue, Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Nella mia mente ho sempre paragonato il movimento del respiro a quello delle onde.
Forse perché il mare è il primo ricordo che ho, oltre a una delle pochissime immagini nitide che conservo dei miei primi anni di vita.  
L’oceano riempiva ogni mio pensiero all’epoca, perciò non mi sorprende che abbia finito per spazzare via tutto il resto nella mia memoria.
Ora che sono cresciuta è tutto diverso, certo…
Anche se ultimamente ho scoperto che l’immagine delle onde mi aiuta a inspirare ed espirare lentamente quando nel cuore della notte vengo svegliata dagli attacchi di panico.
Ma questo è successo dopo.
Molto dopo.

E forse per evitare che anche l’ultimo briciolo di sanità mentale che mi resta venga sommerso dalla marea, meglio ricordare tutto dall’inizio.

 

All’età di 7 anni, avevo intuito di non essere una figlia modello.
Mia madre dice sempre che ha compreso di che pasta fossi fatta nell’istante in cui mi sentì scalciare nella sua pancia. Gli ultimi mesi di gravidanza pare fosse stata a malapena in grado di camminare da quanto insistevo nella mia violenza, obbligandola a un dolore da cui non poteva difendersi.
Dopo, beh, non posso dire di averle dato tregua.
Come ho già detto, non conservo molti ricordi del periodo della mia prima infanzia, ma col tempo – molto, troppo in effetti – ho imparato a fidarmi di ciò che dice mia madre…. E vedo i suoi occhi gonfiarsi dalla frustrazione quando racconta di quanto fossi intrattabile e capricciosa da piccola.
Non dovete provare empatia nei miei confronti, non immaginatemi come la simpatica, piccola peste della porta accanto che sfoga la sua irrefrenabile voglia di vivere.
L’unica persona per cui provare simpatia è mia madre. Lei sì che se la merita.
E se sto provando a tenermi a galla in questa tempesta è anche perché glielo devo, dopo tutto…

Ma sto divagando ancora, perdonatemi.

 
Abbiamo vissuto nella piccola città balneare di Montauk, sulla punta di Long Island, fino ai miei otto anni.
Abitavamo in un minuscolo bungalow, mamma mi dava lezioni a casa (quando non era occupata dai suoi due lavori) e gli unici amici che avevo erano dotati di branchie.
Sembra l’esperienza triste e solitaria di una bambina che da grande si trasformerà in una killer seriale, ma in realtà fatico a ricordare periodi della mia vita in cui sono stata tanto felice.

Passavo la maggior parte del mio tempo immersa nell’acqua, mi spingevo al largo per ammirare l’immensità dell’oceano, giocare con gli squali toro o a farmi trascinare dalle correnti che formavano vortici simili a montagne russe.
Non ho idea di come facessi a non trovare strano quanto a lungo fossi in grado di nuotare… quanto a fondo riuscissi a spingermi… quanto l’acqua del mare fosse simile all’aria che respiravo…
Forse semplicemente la mia mente era troppo presa da cose come la schiusa delle uova di tartaruga, dall’inquinamento di plastica e altre schifezze nel mare e dalle numerose ferite che gli ami da pesca infliggevano ai poveri pesci, che venivano continuamente a chiedermi aiuto.
Sono sempre stata convinta che la singolare forza dei miei poteri sia derivata dallo stretto contatto che ho avuto con l’elemento che li nutriva.
E naturalmente questo attirò presto la loro attenzione.
 
Il tempo che non passavo in acqua, lo trascorrevo sulla terraferma a far disperare mia madre.
Scenate isteriche fatte di urla e piagnistei erano all’ordine del giorno, ma non riesco a ricordare per quali motivi scoppiassero… so solo che riuscivo sempre a trovare una scusa per rovinarle la giornata.
Quando tornava a casa dai suoi due sfiancanti lavori sottopagati, che ci assicuravano il minimo indispensabile, doveva cavarsela da sola nel gestire una bambina con diagnosi di iperattività e difficoltà di apprendimento.
Sola, perché i suoi genitori erano scomparsi quando lei era molto piccola, quanto a mio padre… beh, andiamo per gradi.
 
C’è anche da riconoscere che non me la stessi passando proprio bene.
Una strana inquietudine iniziava a pervadere ogni cosa… mi sembrava che le ombre si allungassero per arrivarmi sempre più vicino.
Non so dirvi cosa vedessi o sentissi, ricordo solo che spesso, quando vagavo per la spiaggia e mi spingevo troppo vicina alla strada, c’era sempre qualcosa pronto a spaventarmi.
Ricordo la sensazione di dolore ai polmoni e dei polpacci in fiamme, mentre correvo a perdifiato sulla sabbia in direzione del mare, e il rumore di passi in corsa alle mie spalle.
Dopo un paio di volte, capii che semplicemente tuffarsi in acqua significava salvezza, perché, qualunque cosa fosse, non aveva mai provato a inseguirmi lì.
E ricordo anche di una litigata tra me e mia madre ,per non aver rispettato il castigo che mi aveva inflitto, trasformarsi in una lotta per la sopravvivenza… lei che cercava di infilzare, con un forchettone da cucina, un indiavolato serpente cornuto a tre teste, spuntato dal rubinetto, mentre io brandivo il largo coperchio di una padella per farci da scudo.
Probabilmente fu da quella volta che iniziai a sviluppare più rispetto per mia madre.
 
Ci fu una volta, tuttavia, in cui neanche l’oceano bastò a salvarmi.
Fuggii come al solito in direzione dell’acqua, ignara che ciò che stava tendando di acciuffarmi era diverso da qualsiasi altro mostro avessi seminato.
Mi gettai tra le onde all’ultimo secondo, spingendomi verso il fondale per sicurezza, e respirando profondamente per il sollievo.
Fu in quel momento che venni afferrata per i capelli.
Resa folle dal panico, usai tutte le mie forze per invocare le forti correnti nelle vicinanze e scaricarle contro il mio aggressore, che perse la presa su di me.
Il muro di bollicine che avvolse la creature, impedendole la visuale, mi permise di fuggire lontano senza essere vista, nuotando a perdifiato.
Ma io una cosa di lui l’avevo vista bene: un gigantesco occhio giallo venato di sangue.
Ancora terrorizzata, mi spinsi sempre più lontano, gettandomi ossessivamente occhiate alle spalle per assicurarmi che nulla mi stesse inseguendo, finché non andai a sbattere contro una femmina di orca.
Disperata, mi aggrappai forte alla sua pinna e singhiozzai, pensando:
“Portami in un luogo sicuro”
 
Reggendomi alla sua pinna, mi feci trasportare dal gigantesco animale per un tempo lunghissimo.
Continuavamo a scendere verso il basso, giù negli abissi, dove ero sicura di non essere mai stata.
Tutto si fece buio, ma io avevo la piena percezione di ciò che mi circondava: un calamaro gigante a qualche metro di distanza, un’antica nave affondata poco sotto di me, enormi razze che si muovevano sul fondale marino.
Poi, ad un tratto, la luce fu abbagliante.
 
Ero una bambina di 7 anni che respirava sott’acqua, parlava con i pesci e scappava dai mostri.
Eppure ciò che vidi fu impressionante perfino per me.
Un immenso e splendido palazzo, proprio come quelli che avevo visto sui libri di storia che mamma mi forzava a leggere, dal quale entravano e uscivano creature di ogni forma, anche le più stravaganti.
Sirenette, tritoni, ciclopi, balene, cavallucci marini giganti…
Ma non riuscii ad ammirare ciò che avevo davanti per più di una manciata di secondi.
Percepii una presenza soprannaturale vicino a me… qualcosa che non aveva nulla a che fare con i mostri da cui fuggivo, neanche con l’ultimo terribile incontro.
Era… in tutto ciò avevo intorno.
Con il cuore in gola, mi diedi all’ennesima fuga della giornata.
 
Quella strana sensazione non mi abbandonò finché non misi piede sulla terraferma.
Fu l’unica volta che abbandonare il mare per toccare la sabbia mi diede un forte sollievo.
Quando misi la mano sulla maniglia della porta del bungalow, pensai di essere finalmente salva, ma decisi comunque di guardarmi alle spalle.
Il mio cuore perse un battito.
Spalancai la porta di casa, bagnata fradicia e con il fiatone, e me la richiusi subito alle spalle.
“Melody… è proprio necessario fare il bagno con i vestiti addosso?” mi rimproverò mia madre dai fornelli con voce esausta, guardando la chiazza d’acqua ai miei piedi che si allargava sempre di più.
“Un uomo è uscito dall’acqua” mormorai, tremando come una foglia.
Mia madre perse la presa su un bicchiere che stava lavando, mandandolo in frantumi sul pavimento.
Si precipitò alla finestra e vidi dipingersi sul suo volto un’espressione che mai avevo visto e che non seppi interpretare.
Ma non era paura.
“Resta qui, Melody. Non uscire per nessun motivo al mondo”
 
Solitamente, un divieto simile mi avrebbe spronata a disubbidire solo per il gusto di farlo, ma ero così stremata fisicamente ed emotivamente che, mentre lei si chiudeva la porta alle spalle, andai a stendermi sul piccolo divano del salotto.
Non ricordo se mi addormentai, ma passò molto tempo prima che trovai le forze per spingermi verso la finestra a sbirciare fuori.
Poco distante dalla battigia, mia madre era girata di spalle, i lunghi capelli scuri che ondeggiavano nel vento, mentre parlava con un uomo alto, dai capelli neri che gli sfioravano alle spalle, vestito con una camicia in stile hawaiano.
Pensai fosse molto bello e per qualche ragione mi suscitò l’immagine di un tramonto a picco sul mare.
Ma fui comunque attraversata da un brivido di paura quando mia madre si voltò verso la finestra da cui mi affacciavo per farmi cenno con la mano di avvicinarmi.
 
Camminai lentamente verso quell’improbabile duetto, i muscoli in tensione e pronti a scattare…
Anche se avevo l’impressione che non esisteva posto né sulla terra né nel mare in cui avrei potuto nascondermi da quello strano individuo.
“Mel, tesoro… non aver paura” mi incoraggiò mia madre, notando il mio atteggiamento guardigno.
“è tutto finito ora, nessuno vuol farti del male. Vedi, questo signore… è il tuo papà”
Mi immobilizzai, sconvolta.
Non avevo mai analizzato il pensiero di possedere un padre.
Certo, avevo già scoperto come funzionassero certe cose, ed era inevitabile che ne avessi uno, ma…
Semplicemente non avevo mai pensato a lui… né alla sua assenza.
 
Le mani di mia madre mi spinsero delicatamente per le spalle mentre mio padre si piegava sulle ginocchia.
Il suo viso, davanti al mio, si aprì in un sorriso talmente luminoso da oscurare tutta la luce che si rifletteva sulla sabbia.
“Ciao Melody. È un piacere conoscerti”
 
Fui diffidente per tutto il tempo che trascorse insieme a noi, quel pomeriggio.
Il fatto che mio padre fosse di una bellezza a malapena concepibile per la mente umana non lo scagionava dall’essere un perfetto sconosciuto.
Persi la mia consueta parlantina quella sera e mi limitai quasi del tutto a osservare quei due che chiacchieravano e ridevano come vecchi amici.
Li ascoltai rammentare vecchi momenti vissuti insieme e aggiornarsi sulle ultime novità: mia madre parlò dei suoi nuovi lavori e mio padre si lamentò della scarsa quantità di plancton nell’Oceano Pacifico del Nord.
Mangiai in fretta la mia cena (davanti a mio padre che non toccò cibo) e cercai di dileguarmi in camera senza destare l’attenzione.
“Melody”
Il sua voce risuonò dolcemente, ma riuscì a bloccarmi sul posto.
“Lo so, il mare è spesso irrequieto, ma ha bisogno di pace tanto quanto ne ha di tempesta”
Lo disse piantandomi addosso quei suoi occhi azzurro mare, di una tonalità più chiara rispetto ai miei, che mi fecero tremare le ginocchia.
 
Quella strana sensazione non mi abbandonò finchè non mi chiusi la porta della camera alle spalle.
Scivolai sul pavimento, con la schiena appoggiata alla porta, ancora frastornata da tutti gli inaspettati e spaventosi accadimenti della giornata.
Percepii solo qualche strascico della conversazione che ebbero i miei genitori.
 
“…Troppo forte. Se qualcuno l’avesse vista oggi, a palazzo…”
“… Non potete più stare qui…”
“… Sono sempre più frequenti…”
“… Se i miei fratelli scoprissero la sua esistenza…”
“… Non fanno che tormentarci…”
“… Se venisse con me, potrei spacciarla per una semplice sirenetta…”
“… Un modo per nasconderla…”
“… Al sicuro dai mostri…”
“…. Non chiedermelo mai più…”
 
Mi trascinai fino al letto, talmente esausta da sprofondare subito nel sonno e senza neanche la forza per avere un incubo.

 
Fu la notte in cui venne concepito mio fratello.
 


Bene, se siete arrivati fin qui nonostante la mia memoria sconclusionata, la confusione cronica e le mie scarse facoltà di oratrice, vi meritate un grazie.
Non sarà semplice ripercorrere tutta la mia esistenza e andando avanti potrà solo peggiorare.
Siete avvisati.
  
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