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Autore: Queen of Superficial    12/07/2022    2 recensioni
“C’è qualcosa di strano, qui,” disse il Carro, infilandosi la t-shirt alla rovescia.
“Il tuo senso estetico,” ribatté l’Eremita.
“Qualcos’altro. È nell’aria. È come se ci trovassimo fuori dal tempo canonico.”
“Quanta tequila ha bevuto?”, si informò prosaicamente il Sole.
“Non abbastanza, evidentemente,” ribatté Brian.
“Finitela, sono serio.”
“E da quando tu credi ai fantasmi, Zacky?”
Il Carro sfilò pensieroso dalle mani di Jimmy il romanzo russo e lo aprì ad una pagina a caso: quindi, diceva il libro, ieri agli stagni Patraršie lei ha incontrato Satana.
“Da tutta la vita,” rispose.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: The Rev
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Per forza di cose, talvolta si scrive di spettri

 

“Era quella l’epoca in cui agivano impunemente le forze occulte della natura umana e il buon umore divino, provocando uno stato di emergenza e di sussulti nelle leggi della fisica e della logica.”
— Isabel Allende, La casa degli spiriti

 

Il giorno in cui Sasha morì io ero con lui.
A dire il vero ero sempre con lui, per mille motivi e altrettante valide scuse; il dolore, la gioia, il terrazzo con le rose di cui non sapeva prendersi cura, il vasto mistero del suo fornello a induzione, il romanzo di Hanya Yanagihara che gli avevo lasciato sul tavolino da caffè accanto al pollo decorativo che, un Natale di tanti anni prima, gli aveva regalato sua madre: insomma, il vario frastuono della vita.
La telefonata, come una lama che squarci il buio, ci colse mezzi addormentati nel corso di una difficile conversazione sull’eventualità di abbattere un bagno per costruirci una stanza per dipingere, anche se nessuno dei due sapeva anche solo lontanamente tenere in mano un pennello e, dettaglio non trascurabile, ufficialmente non vivevamo affatto insieme. Rotolai verso il suo lato del letto e mi stesi addosso a lui, che sbuffò flebilmente, per afferrare il cellulare che poteva essere indifferente mio o suo: “Pronto?”
“Sei tu, baby?”
Devo aver pensato che baby era l’unico nome a cui rispondevo, in California, e deve essermi perciò venuto in mente quel personaggio di un libro di Toni Morrison con lo stesso nome. Baby Suggs era la struggente matriarca di una complicata famiglia che un bel giorno si mise a letto e, in attesa della morte, pensò soltanto ai colori; aveva deciso di sostituire il suo nome di battesimo con Baby perché così la chiamava l’uomo che era stato l’amore della sua vita. Solo, baby. Ascoltai la voce che mi comunicava con poche, misurate, compassionevoli parole quel che era accaduto. Jimmy, richiamato al mondo fenomenico dal suo sesto senso per i cuori che si spezzano, si girò verso di me con tutto il corpo; le molle del letto cigolarono, instillando un sospetto strisciante nel mio interlocutore.
“Ho interrotto qualcosa?”
“No… ma poi, come…”
“Ho chiamato Jimmy ed hai risposto tu, non serve mica un indovino.”
Zacky non era un indovino, e neppure io. Jimmy un po’ sì, invece. Mi accarezzò il viso con la mano aperta; una mano ruvida, abituata al legno scheggiato, ai colli di bottiglia, ai bicchieri, a me.
“Sasha?”, disse soltanto, e la penombra si rischiarò di un po’ di luce.
“Sasha.”
“E come è successo?”
“Si è buttato. Nel vuoto. Si è buttato nel vuoto, dalla finestra del suo appartamento negli alloggi universitari del Memorial.”
San Sullivan sospirò forte, disse tra sé “che vecchio stronzo,” mi guardò intensamente, saltò giù dal letto e si infilò i pantaloni: “D’accordo, andiamo.”
Un quarto d’ora dopo eravamo in macchina. Lui guidava con una lucidità di cui di solito era capace solo dopo l’una di notte. Io guardavo ovunque tranne che la sua mano sulla leva del cambio, fumando la sigaretta che aveva acceso per me.
“Jimmy,” gli dissi, “perché non ci mettiamo insieme e la facciamo finita una volta e per tutte?”
“Intendi farla finita nel senso di morire? Romeo e Giulietta? Io mi avveleno e tu ti accoltelli?”
Non ne avevo nessunissima intenzione, eppure scoppiai a ridere. Nella radio, John Cale cantava Barracuda.
“Puoi mai farmi ridere in un momento del genere?”
“Grazie a dio, sembrerebbe proprio di sì.”
Mi sorrise. Gli sorrisi.
“Comunque per me va bene,” aggiunse, guardando la strada, “io sto aspettando te, lo sai.”
“Potresti fare qualcosa.”
“Per esempio darti una botta in testa e trascinarti a letto?”
“A letto non mi ci hai mai dovuta trascinare, finora.”
“No, devo dartene atto: ci vieni sempre volentieri. Ma non facciamo che dormire.”
“Perché, che altro si fa a letto?”
Sorrise, guardingo. “Un sacco di cose divertenti.”
“Si gioca a Scarabeo?”
“Giocare a Scarabeo non è divertente.”
“Si disegna?”
“Quanti anni hai, cinque?”
“Vuoi sposarmi, Jimmy Sullivan?”
“Ancora? La risposta è sì. Sempre sì.”
Il cortile di quell’ospedale era diventato una sorta di parco a tema; la Mustang di Jimmy (un veicolo incomprensibile) si fece largo tra i van del telegiornale ed una piccola folla di curiosi a colpi di clacson. Smontai all’amazzone e Synyster Gates mi afferrò prima che potessi dare una facciata nel marciapiede.
“Stai perdendo il baricentro, baby.”
“Tu stai perdendo i capelli, Brian.”
Sorrise, mi diede un bacio e mi strinse forte. “So che eravate molto legati, mi dispiace. Il Reverendo ti ha consolata?”
“Il Reverendo non è la Madonna del Soccorso, contrariamente all’opinione pubblica. In ogni caso, non ne ha avuto il tempo.”
Brian rivolse al migliore amico uno sguardo severo da dietro agli occhiali da sole.
“Ti avevo o non ti avevo detto che la vulnerabilità è un grande afrodisiaco?”
“E io ti avevo o non ti avevo detto di non rivolgermi mai più la parola?”, rispose Jimmy, lanciando una sciarpa alla cieca sui sedili posteriori e sbattendo lo sportello.
“Almeno tre volte, questa settimana.”
“Non abbastanza, a quanto pare.”
Quando loro erano vicino a me né il mondo né la realtà avevano grande spazio di manovra, ma poi le vidi; le figlie di Sasha, curve nel dolore dall’altra parte del prato. Iniziai a correre. Più tardi, Jimmy mi avrebbe detto che sembravo lo spettro di una sposa, con il vestito bianco che frustava il vento. Jashe e Shoske mi si gettarono tra le braccia come se io fossi in grado di tenere insieme la fragile fibra di un universo in dispersione.
“Perché l’ha fatto, Viola?”
La risposta esatta, l’unica possibile, era: chi lo sa. Qualcuno alle mie spalle batté la notizia che Alexander Mangrove, Professore Emerito di Etnolinguistica dell’Università della California, Decano, autore di tre best-seller del New York Times, era morto suicida saltando da una finestra. Fu forse per il fastidio che mi provocò il pensiero che un intero individuo, con tutte le sue speranze e contraddizioni, potesse essere ridotto a qualche cenno di una brillante carriera e una tragica fine che dissi: “Perché non ne poteva più del rumore costante.”
L’afa aveva chiuso Los Angeles dentro un barattolo di densa foschia lattea; dalla nube si materializzò Jimmy, come un’apparizione. Shoske era amica di Zacky da quand’erano bambini. Lo guardai negli occhi e capii che qualcosa non andava; troppi Avenged Sevenfold tutti insieme senza strumenti musicali. “La polizia vuole parlarti,” disse, “hanno trovato una lettera indirizzata a te.”
“Che cosa?”
“Può seguirci, dottoressa? Solo lei, per favore.”
Jimmy sovrastava l’agente di una buona decina di centimetri. “Non va da nessuna parte, senza di me.”
“E lei sarebbe?”
“Io sono il fidanzato,” rispose lui, sostenendo impassibile lo sguardo.
Johnny Christ e consorte saettarono nel mio campo visivo da est. “Ed io sono il suo avvocato,” disse Lacey trafelata, tirando al marito una gomitata per estrarre in fretta dalla borsa la tessera dell’ordine. Synyster Gates mi staccò di dosso Jashe e Shoske con mano gentile, ma ferma; aiutò molto il fatto che, da quando il mondo ne aveva memoria, non c’era donna che non si facesse volentieri staccare di dosso a qualcun altro da lui. Il poliziotto squadrò l’improbabile congrega che evidentemente eravamo. “D’accordo,” disse, “l’avvocato e il fidanzato, però il fidanzato aspetta fuori.”
Jimmy gli rivolse un sorriso che era piuttosto un ringhio: “Veda di essere un gentiluomo e me la tratti bene.”
“Cerchiamo di calmarci.”
“Sono calmo.”
“Vogliamo fare un controllo alla fedina penale?”
“Non si disturbi, gliela riassumo: sono stato arrestato più volte. Comportamento violento.”

Viola adorata, non ho tempo di spiegarti e forse nemmeno troverei le parole giuste. Sappi che ogni cosa che ho fatto, inclusa questa, l’ho fatta soltanto per te. Molto rumore per nulla; niente è vano come la vita, bambina mia, ma… una vita per una vita: è questa la regola. Do in pegno ciò che resta della mia perché tu possa avere quella che vuoi.
Con amore,
Sasha


La stanza profumava di magnolia.
“Di che natura era, esattamente, il suo rapporto con il Professor Mangrove?”
“Eravamo amici. Gli ho fatto da consulente per due dei suoi tre romanzi ed ho spesso tradotto per lui. Ma soprattutto eravamo amici.”
“Dottoressa, il Professor Mangrove aveva settantotto anni.”
“Lo so, gli ho fatto fare io la torta per l’ultimo compleanno. E allora?”
“E allora quanti anni di differenza c’erano, tra voi? Cinquanta?”
“E allora?”
“È anche amica delle sue due figlie, non è vero?”
“Sono andata in collegio in Europa con Jashe Mangrove, siamo coetanee. Shoske è più grande di noi di quasi dieci anni, l’ho conosciuta dopo.”
“Aveva una relazione con Alexander Mangrove?”
Jimmy, che non ne aveva proprio voluto sapere di restare in corridoio, si staccò dal muro a cui era appoggiato e rivolse all’agente un’occhiata così intensa e minacciosa da bucargli il cranio.
“Abbiamo detto niente scene, signor Sullivan, o sarò costretto a farla uscire.”
“Abbiamo anche detto che sarebbe stato un gentiluomo.”
“No, non avevo una relazione con Alexander Mangrove,” tagliai corto.
“Questo biglietto… una vita per una vita, significa niente per lei?”
“Tutto e niente. Parlavamo molto, e di molte cose; ci vedevamo per cena una volta alla settimana.”
“Da soli?”
“Sì, il più delle volte da soli.”
“E a lei stava bene?”, chiese il poliziotto a Jimmy.
“Sono il fidanzato, non il carceriere. Non doveva certo chiedermi il permesso.”
“Vivete insieme?”
“Sì.”
“Bambini, cani?”
“Un’iguana.”
“Posso chiedere perché tutte queste domande per una lettera?”, si intromise Lacey, sporgendosi verso l’agente. Lui la guardò.
“Abbiamo trovato anche il testamento del professore; al netto di due decorose rendite ed una proprietà per le figlie, ha lasciato tutto a lei.”
Lacey non batté ciglio. “Mi quantifichi questo tutto,” disse, asciutta.
“Di preciso non so dirle, ma ad un’analisi superficiale direi un sacco di soldi ed almeno tre case, oltre alla sua biblioteca personale.”
“Non vedo il problema,” dissi, “rifiuterò l’eredità.”
Il poliziotto guardò me.
“Dottoressa, lei può fare quello che vuole, ma spero capisca che io ero tenuto a porle queste domande. Per me può andare, grazie del suo tempo e mi perdoni la mancanza di tatto.”

Mentre uscivamo dalla stanza sentii il braccio di Jimmy che mi afferrava la vita.
“Così adesso state insieme?”, chiese innocentemente Lacey.
“Siamo sempre stati insieme,” risposi io, distratta. C’era qualcosa che volevo vedere.
Il guardiano del campus sorvegliava la porta dello studio di Sasha: “Dottoressa Grail,” mi disse, “lei non può stare qui, e infatti io non l’ho vista.”
Si voltò dall’altra parte per lasciarci entrare. Lacey si confuse, ma Jimmy aveva capito. “Cosa cerchiamo?”
“Una commedia di Shakespeare: Molto rumore per nulla. E qualsiasi altra cosa ti sembri utile.”
“Definisci utile.”
“Conoscevi Sasha.”
La stanza odorava di legno di sandalo. Jimmy si bloccò davanti ad uno scaffale.
“Baby…”
Io avevo appena sfilato il libro che mi serviva dal cassetto in cui Sasha mi lasciava sempre le traduzioni da fare e le pagine da correggere, insieme al suo mazzo di tarocchi marsigliesi.
“Baby.”
Nella polaroid che teneva in mano, io e Jimmy eravamo di schiena, seduti su una panca che guardava Dana Point; la mia testa sulla sua spalla, il suo braccio intorno a me. Sul retro il professore aveva attaccato l’arcano maggiore numero 6: gli amanti.
“Dov’era questa, Jimmy?”
“Proprio qui.”
Mi indicò i dorsi di due romanzi.
“Prendili, per favore. E andiamocene in fretta, prima che al custode torni la memoria.”
Uscii di corsa infilando i libri nella borsa di tela e afferrai Jimmy per il polso in un moto inconscio di disperazione; lui convertì il gesto in un discreto, ma solido, prendermi per mano. Ci fermammo soltanto in cortile, quando gli dissi: “Ho freddo,” e lui si sfilò la giacca di pelle per darla a me. Brian faceva avanti e indietro senza pace nei pressi di una siepe, in disparte; andammo da lui e crollammo a sedere sulla panchina che il chitarrista stava ignorando. Mi presi la testa tra le mani, i resti di un gelido inverno che mi franavano dentro la cassa toracica da qualche punto molto in alto. Ero rimasta orfana altre volte e di molte cose, ma mai in questo modo.
“Ho bisogno che tu mi dia tutti i dettagli, baby, oppure non saprò cosa fare nel caso in cui i poliziotti insistano.”
Guardai Lacey, la sua calma; si era vestita in fretta ed ora suo marito le porgeva un caffè da asporto. L’altro era per me, macchiato freddo, con latte scremato e poco caramello. La nebbia non accennava a diradarsi. Jimmy era sempre lì, inamovibile al mio fianco su quella scomoda panca di marmo oppressa dal ligustro. Un uomo che chiaramente amavo, e che chiaramente amava me, ma con cui non ero mai andata oltre qualche bacio.
“La lettera era un messaggio; voleva che andassi nel suo studio, che trovassi quella commedia e probabilmente anche la foto. Ci saranno altri indizi sparsi nei tre libri che ho nella borsa. È un enigma; lui è sempre stato così.”
“Un enigma? Per arrivare a cosa?”
“Al tempo.”
“Al tempo? Non capisco, dammi un attimo. Sapevi che aveva intenzione di uccidersi?”
“Certo che lo sapevo.”
Sospirò e si rivolse a Jimmy con un cenno del viso: “Tu lo sapevi?”
“Ovviamente sì,” risposi, prima che potesse farlo lui, “Da quando lo conosco non c’è stata una sola cosa che io non gli abbia detto.”
“Reverendo e confessore.”
“Come se non sapessi anche tu che tutti quanti si confessano con lui,” sorrisi dietro il cappuccino. Fu doloroso.
“Hai qualche idea del perché Mangrove ti abbia lasciato una tale eredità?”
“Sì, una,” risposi, con tranquillità.
Lacey mi guardò intensamente.
“E quale?”
“Credo che Sasha fosse mio nonno. Il padre biologico di mia madre.”
Calò un silenzio surreale che non seppi come riempire; le parole mi sfuggivano da tutte le parti come perle di una collana rotta e, in ogni caso, erano cose da pazzi. Cose che solo Jimmy poteva ascoltare senza vacillare, con concentrato e sereno interesse e dalla viva voce di Sasha, nel suo salotto con le pareti verde acqua e le litografie di Cuba sui muri, il camino sempre acceso, il mobile bar di un altro secolo, i manufatti etnici dei quattro angoli del mondo e un’infinità di misteri travestiti da oggetti d’arredamento. Cose che solo io potevo trascrivere e alle quali potevo credere, perché ero stata educata fin da bambina a prestare attenzione a quella parte di realtà che prescinde il carcere dell’aria ed esiste solo perché invisibile all’occhio umano.
“Ascoltami bene, Lacey. Non distrarti, non fermarmi, fammi domande solo alla fine.”
Lei mi guardò, tranquilla. Non disse niente. Quando anche Brian fermò il suo vagabondare per sentire l’assurda storia — solo allora, iniziai.
“Sasha sosteneva che in ciascuno di noi esistesse, dalla nascita, una mappa rudimentale di tutti i nostri possibili futuri; trovata la chiave interpretativa, era possibile vederla e prevedere i diversi esiti e percorsi della vita di qualcuno, come osservare un labirinto sotto vetro. Ma ogni labirinto ha un centro, un cuore; una specie di punto fisso verso cui le diverse vie inevitabilmente convergono. Diceva che al cuore del mio labirinto, indipendentemente da quale strada io prendessi, c’era sempre lo stesso uomo. Il problema era che al centro del labirinto di quest’uomo, invece, c’era sempre la morte.”
Brian si sedette accanto a me, dall’altra parte; più precisamente si lasciò cadere, perché seppe all’istante e senza chiedermelo chi era l’uomo in questione.
“Hai visto Il settimo sigillo di Ingmar Bergman: la morte non si può sconfiggere, è cosa nota. Si può solo rinviare. Credo che Sasha, uccidendosi, abbia offerto gli anni che gli restavano a quell’uomo. Gli ha dato tempo. Non sappiamo quanto. E lo ha dato anche a me, perché trovassi il modo di rubarne ancora.”
“Rubare il tempo?”
“E ingannare la morte.”
“Chi altro lo sa, baby?”, mi chiese, seria, Lacey.
“Nessuno, a parte Jimmy, conosceva la storia per intero. Comunque, Zacky e Matt si sono prestati al gioco ed ora hanno il loro arcano. E Valary, ovviamente.”
Estrassi il mazzo di tarocchi dalla borsa, lo aprii a ventaglio e lo porsi alla donna che mi stava di fronte perché scegliesse una lama: “Mi dispiace, Lace, ma questa cosa riguarda tutti. Anche te.”
Sfilò una carta e la guardò, stranita: la Giustizia. Spostai il braccio verso Brian, che fece lo stesso: “L’eremita,” mi informò, fissando l’uomo con il cappuccio e la lanterna.
Porsi il mazzo a Johnny, che estrasse il Papa.
“Questo è affascinante,” commentai, “era la carta di Sasha.”
“La tua qual è, baby?”, si informò il bassista.
“L’Imperatrice.”
“Io sono il Sole,” si intromise Shadows, facendomi una carezza in testa a titolo di saluto. Nessuno capì da dove era spuntato, ma qualcuno gli rispose: “non ci saremmo mai permessi di dubitarne.”
“Io sono il Carro,” aggiunse Zacky.
“E Jimmy?”
“E Jimmy, come al solito, non si capisce: oscilla tra l’Arcano numero 1, il Mago, e quello numero 0, il Matto.”
Lacey stava ancora fissando la Giustizia con diffidenza.
“È parte dell’enigma, che a sua volta è parte della ricerca.”, provai a spiegarle. In realtà non c’era molto da spiegare.
“È una cosa da pazzi, lo sapete?”
“Per fortuna noi siamo sempre stati tutti pazzi.”
Alzai lo sguardo verso Zacky e gli fui molto grata per quella frase.

   
 
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