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Autore: _Equinox    14/07/2022    0 recensioni
Fantasy!AU || HisoIllu, prevalentemente || Elf!Illumi, Devil!Hisoka
✧.*.✧
[...] Aveva un fascino macabro, mentre danzava sul filo sospeso tra la vita e l’aldilà, e, se l’incantesimo non avesse funzionato, avrebbe assistito ad una delle morti più estasianti che potesse chiedere. Un peccato, stando ai pensieri di Hisoka, che preso dai rituali si perdeva ad ammirare il candore della pelle elfica e i ghirigori che i lunghi e setosi capelli neri stavano creando sul terreno – quasi disgustoso era, secondo il diavolo, che la terra sudicia osasse sporcare una chioma tanto bella. [...]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hisoka, Illumi Zaoldyeck
Note: AU, OOC, Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Era un cinguettio puro, quello che stava accarezzando le orecchie di Illumi, ancora abbandonato tra le braccia del dio del sonno, inconsapevole di quanto fosse avvenuto. Una brezza leggera gli stava baciando la pelle esposta, assieme ad alcuni raggi di sole che, morbidi, illuminavano la carnagione pallida. Si avvertiva, nell’aria, il fresco profumo della primavera, accompagnato da una fragranza assai dolce, che sapeva di casa e di buono.
L’elfo aprì lentamente gli occhi, con un senso di intontimento ad abbracciarlo. Le immagini attorno apparivano ancora un po’ confuse, ma la prima cosa che realizzo fu di non essere nelle sue ampie stanze. Si trovava infatti in una camera ben più piccola, dal mobilio semplice e caldo, che si articolava in forniture legnose come l’armadio, lo specchio, il divanetto posto in un angolo. Sulla sua sinistra figuravano un piccolo comodino ed un caminetto in mattoni, chiaramente spento viste le alte temperature. Le pareti avevano i toni del verde, suo colore prediletto insieme all’azzurro, e la piccola finestra sulla destra, esattamente sopra al letto, mostrava la quotidianità cittadina.
Si mise dritto, constatando che il fianco gli facesse ancora male, però le garze apparivano pulite – quando le aveva cambiate? Poi, il dettaglio di un violino, adagiato tra i cuscini del sofà, lo travolse impetuoso, facendogli ricordare quanto fosse successo la sera prima. Scattò avventatamente in piedi, senza curarsi di poter danneggiare la natura del segno impresso su di sé, e a stento riuscì ad arrivare di fronte lo specchio. Aveva i capelli sciolti, che delicati ricadevano lungo il corpo sinuoso e perfettamente proporzionato. Aveva la giusta massa muscolare, quella necessaria a mettergli in risalto l’addome e le braccia, senza però risultare troppo, come nel caso di suo padre. Indossava solo la biancheria e non sembrava ci fosse qualcosa fuori posto, il che era positivo considerando la propria natura, messa a repentaglio da quella vulnerabilità che infestava le sue giornate. Si diede un’ulteriore occhiata attorno, per individuare i vestiti, piegati e messi sul comodino, giusto accanto ad una tinozza d’acqua, che pensò di utilizzare per risciacquarsi il viso. Anche l’arco con la faretra era lì vicino, pronto all’utilizzo nel caso qualcuno si fosse avvicinato. E, proprio a tal proposito, le sensibili orecchie vibrarono e gli imposero di imbracciare l’arma, puntando una freccia dritta verso la porta. Si udivano dei passi, quasi irriconoscibili e delicati come quelli di un felino. Sempre più vicini, ma non minacciosi.
Poi, Illumi scattò. Un dardo colpì lo stipite in legno, nel momento esatto in cui una folta chioma di capelli rossi fece il suo ingresso nella stanza.
Era il musicista che, la sera prima, lo aveva incantato con le sue ballate e la sua straordinaria padronanza del violino, però non per questo poteva abbassare la guardia. Non aveva idea di chi fosse, tuttavia già il fatto che possedesse un insolito magnetismo, vista la sua condizione di umano, poteva essere sinonimo di qualcosa di ben più pericoloso.
«Cielo, che buongiorno insolito. Fate così, voi elfi?~» era un commento sarcastico, che strideva alle orecchie del giovane, che immediatamente prese un’altra freccia, con cui seguì i movimenti dell’altro. Indossava le stesse vesti della sera prima, assieme a quel ghigno canzonatorio che avrebbe volenti strappato via con un pugnale. Aveva tra le mani un vassoio in argento, che si premurò di appoggiare sul tavolino davanti al sofà; da esso proveniva un odore invitante, che fece ricordare all’elfo di essere ancora a digiuno.
«Ho portato la colazione, non sapevo se preferissi dolce o salato, quindi ho fatto mettere entrambe le cose»
«Chi sei e che cosa vuoi. Ti conviene rispondere se non vuoi che la tua vita finisca qui oggi» dritto al punto, il giovane tese l’arco, stavolta mirando ad un punto preciso tra gli occhi cerulei dell’uomo.
«Che sgarbato, hai ragione!» cominciò, prima di fare un plateale inchino «Il mio nome è Morou, piacere di conoscerti! Sono un semplice artista di strada, un umano che adora portare gioia alle persone che lo ascoltano!»
Illumi non si mosse, si limitò a tenere lo sguardo ben puntato sull’altro, aspettando finisse di rispondere alle proprie domande. Parlava con una strana cantilena nella voce, una musicalità che tanto ricordava le belle melodie che era capace di suonare.
«Ieri sera sei svenuto e mi sono offerto di aiutarti. Stavi perdendo molto sangue, sai? Fortunatamente, c’ero io lì per te ~»
I suoi erano movimenti morbidi, delicati, mentre afferrava alcune posate e le disponeva sulla superficie ruvida. Non sembrava importargli del dardo puntato addosso e non pareva mostrare segni di insicurezza di fronte al suo potere. Era assurdo, ma in qualche modo intrigante, pensò.
Fu proprio per quella ragione che, affascinato da un’incognita del tutto novella, abbassò l’arma e, con i sensi sempre all’erta, si avvicinò all’uomo, che aveva preso a mangiare una brioche alla crema. Non gli importava di essere ancora senza indumenti, la nudità non gli aveva mai dato fastidio, però vedeva le occhiate che di tanto in tanto lo scrutavano da capo a piedi, fermandosi sui piccoli dettagli. Tra le pietanze sul vassoio, c’erano per sua fortuna le pagnottelle al vapore, ripiene di carne di cervo, che fin da piccolo aveva adorato mangiare. Gli davano sempre la giusta carica quando, stremato da una giornata di allenamento, aveva lo stomaco che doleva per la fame. E i ricordi, mentre addentava la pagnotta morbidissima, lo cullarono dolcemente ad ogni boccone. Gli piaceva riesumare le reminiscenze di un tempo, soprattutto quando piacevoli – com’era bello abbandonarsi a quel solitario vuoto, persino con lo sguardo.
«E tu, Illumi?»
Quel piacere temporaneo venne interrotto dalla voce di Morou, il quale prese ad ammirarlo meglio, con il capo appena inclinato di lato e alcuni boccoli che, morbidi, ricadevano su quella pelle lattea.
«Io cosa?»
«Non mi hai detto cosa ci facessi giù in città ieri» rispose, con un sorriso innocente che nascondeva all’interno tutta la falsità del mondo. Doveva essere un bravo manipolatore.
«Non vedo perché dovrei dirlo ad uno sconosciuto» rispose secco l’elfo, inacidendo la voce, complice il fatto che il suo flusso di pensieri fosse stato interrotto. Si trattava di un banale umano, tuttavia non poteva – e voleva – spingersi oltre con le spiegazioni.
«Mh, che bel caratterino~»
Decise di non rispondere alla provocazione, proseguendo con il proprio pasto silenzioso, con le sopracciglia aggrottate e il cervello intento a programmare mille e altre prospettive per capire come andare avanti. Se ricordava bene dai suoi libri, la città di York Nuova brulicava di gente competente e preparata, capace di rispondere a più domande. Dovevano certamente trovarsi dei guaritori e, di conseguenza, qualcuno in grado di fornirgli delle spiegazioni circa la sua ferita. Era un viaggio lungo, avrebbe dovuto attraversare ben tre terre emerse, per raggiungerla, e viaggiare con dei portali, per troppo tempo, poteva portare a distorsioni fisiche sgradevoli. L’ipotesi migliore era quella di varcarne uno per raggiungere il Regno di Kukan’yu e arrivare fino a Zeban, dove partivano spesso dei battelli per arrivare a Saherta. Da lì, sarebbe stato relativamente semplice giungere nella captale. Sembrava un piano discreto, che però non teneva in considerazione due fattori fondamentali: la ferita e il suo essere un fuggitivo. Storse il naso.
«Sai, la cucina qui è veramente buona, non pensavo»
Su quelle parole leggere, Illumi si alzò, intenzionato a vestirsi. Si diede un’altra sciacquata al viso e alle mani, poi lesto indossò gli abiti con gli stivali. Doveva eseguire movimenti svelti, che tuttavia non dovevano compromettere la ferita. Quando gli sembrò di avere tutto con sé, prese la faretra e se la portò dietro la schiena, assieme all’arco. Si stava dirigendo verso la porta, quando d’un tratto la voce dell’uomo alle sue spalle lo fece paralizzare sul posto.
«Con una ferita di entità demoniaca non andrai molto lontano, ma se poi vuoi morire fa’ pure ~»
Cadde un silenzio talmente pesante da riuscire quasi a spaccargli i timpani e non seppe dire se dipendesse dal tono con cui erano state pronunciate quelle parole o dalla consapevolezza di essere vulnerabile di fronte ad un estraneo. Era certo, ormai, che le garze fossero state cambiate da quell’uomo, e tuttavia non si aspettava ugualmente un commento simile. Il sangue nelle sue vene sembrava essersi fatto gelido e fermo, malgrado il cuore stesse pulsando più forte del dovuto e l’aria, tutta intorno, diventava satura di una forte aura omicida – da chi provenisse, non si poteva ben dirlo.
Era in pericolo? Si trovava di spalle ad un essere umano, non avrebbe avuto motivo di avvertire quella sensazione di ansia, nel petto; eppure, pareva che i suoi sensi lo stessero mettendo in guardia.
«Come… Sai…» provò a sussurrare, in un sussurro di morte che preannunciava un imminente attacco.
«Mio padre è stato ammazzato da un demone, so riconoscere una ferita di quel tipo, quando la vedo ~»
Poi, improvvisamente, tutto si dissolse, come se fino ad un attimo prima quella stanza non potesse essere uno scenario di crudeltà.
«Ah» disse solo Illumi, voltandosi verso il violinista, che teneva un sorriso raggiante stampato sul viso, il naso colmo di lentiggini appena arricciato.
«Però sai, conosco un uomo che potrebbe aiutarti! Non mi è troppo simpatico, ma sono certo che sarebbe in grado di curare quella brutta piaga»
Quelle parole non suonavano come una menzogna, però il sesto senso dell’elfo gli imponeva comunque di tenere le distanze.
«E perché dovrei fidarmi di te?»
«Perché…» ma la frase non venne conclusa, perché immediatamente il giovane Zoldyck scattò verso la finestra, come richiamato da qualcosa. Vagò con le iridi profonde lungo i viali ciottolati e la vegetazione rigogliosa, fino a fermarsi sulla figura di un uomo alto, estremamente pallido, con i capelli pettinati all’indietro e un filo di barba sotto al mento. Si muoveva lento, ma sicuro nell’andatura, mentre le orecchie lunghe erano ben tese all’ascolto di qualcosa.
«Merda, è Gotoh» mormorò, stringendo i denti. Era ovvio che la sua famiglia avrebbe mandato qualcuno a cercarlo, Kikyo aveva un’apprensione nota in tutto il mondo verso quei figli per cui provava un morboso attaccamento. Evidentemente, perdere tempo a causa del mancamento della sera precedente gli stava costando caro. Doveva assolutamente sparire, andare verso il portale da cui era arrivato e dileguarsi quanto prima dalle sue terre.
«Cielo, quel tipo mette i brividi. È amico tuo? ~»
«No, è uno dei nostri domestici e sicuramente sta cercando me. Devo andarmene»
«Dobbiamo, forse ~»
Illumi sbatté le palpebre un paio di volte, poi piegò il capo di lato, interrogativo.
«Non ho detto di voler seguire il tuo piano» disse solo, mentre si avviava nuovamente verso la porta.
«Vero, ma hai altre alternative, Illumi? ~»
La verità era che no, altre ipotesi non erano possibili. Non sembrava ci fossero menzogne nella voce di quell’uomo così fastidioso e, all’effettivo, senza l’aiuto di qualcuno si sarebbe dovuto muovere alla cieca, sperando di arrivare a destinazione senza avere dei mancamenti – o, nel peggiore dei casi, delle emorragie mortali. D’altronde, se Morou avesse davvero voluto fargli del male, ne avrebbe approfittato quella notte stessa, quando era incosciente e privo di forze per reagire ad ogni stimolo; da un altro lato, però, a lui la compagnia di altri individui non piaceva. Amava lavorare in solitario, perché almeno non doveva avere pesi con sé. Stava inoltre parlando di un umano, una creatura priva di qual si volesse potere magico, che con alte probabilità lo avrebbe solo rallentato.
Maledizione.
«Giuro che se mi intralci, io-» ma non riuscì a concludere la frase, perché l’altro lo afferrò per mano e lo scaraventò a terra, mentre il forte rumore di vetro infranto si propagava per tutta la stanza. Cristalli taglienti rivestirono il pavimento sotto ai loro piedi, dalla cui superficie usciva, in quel momento, l’asta di una lancia dal motivo intricato.
«Mi sa che si sono accorti di noi ~»
Illumi accelerò il proprio respiro, irregolare mentre teneva gli occhi sgranati fissi sul corpo sopra di sé. Si era accorto, ben prima di lui, del colpo in arrivo, una cosa praticamente impossibile per un normale essere umano. Tuttavia, decise di non fare domande, per il momento, preoccupato a rialzarsi. Dovevano andare via quanto prima da lì e non lo avrebbero fatto guardandosi negli occhi – erano di una sfumatura cerulea davvero bella, quelli dell’umano.
«Riesci ad arrampicarti sui rami degli alberi?»
«Eh?»
«Ce la fai? Con la ferita»
L’elfo guardò verso il basso. Non stava sentendo dolore, però doveva pensare rapidamente: era certo non fosse la cosa più indicata improvvisarsi acrobata tra tetti e fogliame, tuttavia conosceva delle tecniche che forse avrebbero potuto dargli una mano.
Annuì deciso, imbracciando le proprie armi, i sensi sempre attivi per captare ogni sbavatura imperfetta potesse compromettere la fuga. Iniziarono a muoversi in ginocchio, abili come serpi, verso la porta che dava sul corridoio.
«Usiamo le scale, all’ultimo piano c’è un’uscita sul tetto che dà sul retro del locale, ci farà guadagnare del tempo»
Era un uomo razionale, glielo doveva concedere, e anche rapido nel pensare. In pochi minuti aveva avuto la capacità di elaborare un piano quasi eccellente e non era da chiunque. Allo stesso tempo, però, l’intricata mente di Illumi non poteva fare altro che pensare potesse essere pericoloso: c’era un’evidente disparità tra loro, dovuta all’appartenenza a razze diverse, ma lui era indebolito e vulnerabile. Rimuginava su questo, mentre saliva rapido quei gradini in legno e osservava la schiena dell’altro.
Arrivarono su un ampio balcone, la cui vista, in altre circostanze, sarebbe anche risultata piacevole. Offriva una splendida panoramica della capitale, che con il suo viavai già era viva e ricca di movimento. Intorno alla balconata, una serie di rami intricati formava un percorso tra un edificio e l’altro. Non si trattava di una conformazione artificiale, checché se ne potesse pensare considerando la precisione con cui le fronde andavano discendendo lungo le case – strutture variopinte, ornate da rigogliose edere fiorite.
L’elfo seguì con gli occhi color pece l’andamento dell’umano dai capelli di fuoco, osservando come già si stesse adoperando per accertarsi della stabilità della flora. Quando parve soddisfatto, allungò una mano verso la creatura alle sue spalle, che, nel suo silenzio, teneva stretta la corda dell’arco al petto.
«Possiamo scendere da qui ~»
Ma il giovane Zoldyck scosse il capo, richiudendosi ancora di più, per quanto possibile. Non gli piaceva il contatto, gli causava sensazioni sgradevoli che portava su di sé per parecchio tempo. Gli spettri di dita ignote sulla pelle rimanevano lì per ore, con il loro tocco assente che bruciava più della lava.
«Preferirei fare da solo, grazie» e, detto ciò, mosse dei passi a ritroso. Prese un po’ di rincorsa e saltò, con la grazia di un felino, avvertendo l’aria fresca scomporgli i lunghi capelli. Sapeva muoversi egregiamente, grazie ai duri allenamenti imposti in giovane età, ed era dannatamente veloce. Senza problemi, infatti, riuscì a saltare prima su due rami, poi, grazie al sostengo di una liana pendente, poté lasciarsi scivolare lungo la parete di mattoncini dinanzi a lui. Piano, infine, fece uso dell’edera per raggiungere i balconi più bassi, da cui poi raggiunse la strada. Il suo primo pensiero fu quello di controllare il fianco, dove sembrava ci fosse una situazione stabile – non sanguinava, sentiva giusto la pelle tirare leggermente a causa dello sforzo.
Con aria di sfida, portò le iridi corvine sulla figura dell’altro, da cui non si aspettava di certo una simile bravura. Scendeva deciso, aggrappandosi come meglio poteva ad ogni sporgenza o rilievo. Era aggraziato, quasi troppo per appartenere ad una razza la cui eleganza non era certo nota nel mondo, e ancora una volta si stava dimostrando un pericoloso compagno con cui viaggiare.
«Cielo, sei stato velocissimo! Il fianco sta bene? ~» domandò Morou, il suo solito sorriso sornione stampato sul volto. Illumi rimase in silenzio: detestava quell’estroversione e detestava quella confidenza, però sopportare era l’unico modo che aveva per sperare di risolvere la più spiacevole delle situazioni nella propria vita. Con passo leggero si incamminò quindi nei variopinti vicoli, attento a non uscire nella strada principale dove avvertiva l’imponente presenza del maggiordomo. Lui, al contrario, non avrebbe avuto motivo di preoccuparsi, poiché tra le molteplici abilità possedute vi era la capacità di scomparire, di confondersi in quell’ambiente rumoroso e a tratti anche fastidioso. Le orecchie lunghe si piegavano di tanto in tanto e, abili, filtravano ogni suono o rumore. Gotoh era in prossimità dell’ingresso della locanda dove erano stati, il che dava loro un ottimo vantaggio: avrebbero dovuto approfittare di quella deviazione per precipitarsi verso il portale.
«Per tutti gli Dei! Ho scordato il violino su in camera! Devo andare a recuperarlo!» fu però l’improvvisa e neanche troppo velata esclamazione del musicista, il cui ghigno beffardo già stava piegando pericolosamente le labbra all’insù. Era più forte di lui, assume quelle caratteristiche caotiche e imprevedibili, derivanti dalla doppia natura di cui l’elfo – ancora più turbato – non era a conoscenza.
«Di cosa stai parlando? Lascialo lì, non ci servirebbe a molto» la risposta razionale e brusca del giovane Zoldyck arrivò rapida, quando la creatura stava tenendo le iridi sgranate sulla figura dell’uomo che, noncurante, già stava cambiando strada.
«Tranquillo, ci impiegherò il tempo di un battito di ciglia ~» e, senza null’altro aggiungere, si dileguò rapido, con uno scatto che lasciò maggiore turbamento nell’animo di Illumi.
«Idiota» commentò solo a se stesso, pensando già al corpo forato dell’altro accasciato sul pavimento della stanza.
✧.*.✧
Hisoka, a dire il vero, sperava più di ogni altra cosa che la camera fosse occupata dal loro inseguitore. La brama di uccidere, il desiderio di dilaniare la pelle fresca con i propri artigli e i propri denti, la voglia di vedere il sangue sgorgare sul pavimento: tutti elementi in grado di mandarlo in estasi, di far sì che la lingua percorresse le labbra fino ad inumidirle. Aveva il bisogno di rubare l’ennesima vita in un gioco folle fatto di ferite e sofferenza.
Non fu deluso quando, varcando la soglia della stanza, si ritrovò davanti ad un elfo alto, dai capelli scuri, portati molto corti, con due basette ed un pizzetto di media lunghezza. Era in piedi nel bel mezzo di una perlustrazione, tuttavia bastò un passo in più da parte del demonio per far sì che l’altro si voltasse e scagliasse qualcosa in sua direzione. I pronti riflessi del diavolo gli permisero di scansarsi con facilità, ma la curiosità lo pervase quando constatò di aver schivato una moneta, scagliata con la stessa forza di un proiettile.
«Oh, questa cosa sembra molto interessante ~»
«Chi sei, tu?»
«Solo un semplice musicista intenzionato a recuperare il proprio violino ~» rispose canticchiando Hisoka, indicando con il capo lo strumento posto nella custodia che stava alle spalle della creatura, che immediatamente sistemò meglio gli ochhiali sul proprio naso dritto e ben definito.
«Se quest’oggetto ti appartiene, significa che sai anche dov’è Illumi. Parla, e non ti verrà fatto del male»
Nel sentir nominare il compagno di viaggio, il sorriso del demone si allargò selvaggiamente. Doveva essere davvero una preda succulenta se tanto lo si voleva tenere a casa e, il fatto che fosse ferito e chiaramente in difficoltò, quasi a sua completa disposizione, gli stava facendo ribollire il sangue nelle vene. Doveva assolutamente adempiere al proprio piano e non c’era ostacolo che glielo avrebbe impedito.
«Be’, se Illumi vive con gente simpatica come te credo che difficilmente sarebbe ben disposto a tornare ~»
«Ciò che deve fare non ti riguarda. La situazione, con lui, è molto più delicata di ciò che credi. Se mi accompagni da Illumi, la famiglia Zoldyck ti darà una lauta ricompensa» erano parole calme, dettate da una razionalità cauta che ben si addiceva all’aspetto austero dell’elfo, avvolto da un semplice completo nero elegante dai ricami intricati che riprendevano la classica tradizione della sua specie.
«Mmh, e se invece…» gli occhi del diavolo iniziarono a mutare, il ceruleo venne pian piano sommerso dall’aureo mellifluo, così brillante da far venire i brividi «… La mia ricompensa fosse proprio Illumi?~»
Fu questione di pochi attimi, ma bastarono a Gotoh per racimolare altre monete da scagliare contro l’avversario. Quelle iridi così intense poteva appartenere solo una razza, esattamente come l’aura oscura che stava emanando. Iniziò a scagliare quanti più proiettili possibili, che tuttavia vennero intercettati facilmente da una bizzarra barriera rosea che l’altro aveva materializzato tra le sue mani.
«Cosa…-» i suoi erano sensi all’erta e riflessi prontissimi, ma che non bastarono di fronte la furia omicida del demonio, le cui dita in quel momento stringevano due carte, pescate rapidamente dal mazzo in tasca. Vi diede una rapida occhiata, mentre con fulmineità dissolveva la sua energia per poter assalire l’elfo.
Un battito di ciglia, e il pavimento legnoso della stanza già assumeva le sfumature dell’argento più intenso. Le diramazioni di sangue brillavano alla luce del sole, con uno splendore tale che Hisoka rimase ad osservare incantato lo spettacolo ai suoi piedi, con l’altro che si accasciava e che, invano, provava a bloccare il flusso di sangue che defluiva dal taglio in gola.
«Non deludete mai, bambine mie ~» mormorò, osservando i due tarocchi tra le sue mani: cinque di spade e arcano della morte, una combinazione a dir poco sublime.
Il diavolo mosse dei passi, per recuperare il proprio strumento musicale mentre leccava via il sangue dalle carte, poi con sguardo annoiato si rivolse alla propria vittima, ormai morente.
«Non sopravvivrai. C’è del veleno qui sopra, e di solito taglio abbastanza in profondità da creare danni permanenti. È stato un piacere però ~» disse solo, soddisfatto.
Le imprecazioni strozzate e incomprensibili di Gotoh lo accompagnarono fino all’uscio della porta: si stava prospettando un’avventura entusiasmante, e non era nemmeno agli inizi.
   
 
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