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Autore: nydrali    20/07/2022    1 recensioni
Isabel è una ragazza normale ... almeno fino al giorno in cui un magico talismano non la catapulta nell'Antica Roma. Riuscirà a sopravvivere e a tornare a casa?
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Talismano'
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« Domina … il generale vuole vedervi ».
Isabel balzò a sedere sul letto. Era sera, praticamente notte, e lei si stava già preparando per andare a dormire dopo una giornata chiusa in tenda a fingere di essere malata.
« Il generale? Quale generale? ».
« Caio Giulio Cesare, domina », rispose Chrysio , come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Isabel sospirò di sollievo: per un momento aveva temuto che si trattasse di quell’altro. Sarebbe stata una vera persecuzione!
« Ditegli che arriverò tra un minuto ».
« Domina … il generale è già qui ».
Isabel sgranò gli occhi: Cesare? Nella sua tenda?
« Fatelo entrare, naturalmente ».
Chrysio  aggrottò la fronte. « Domina, non sta bene che una fanciulla sola … ».
« Chrysio , mi preoccuperò della mia reputazione quando sarà una vecchia comare. Adesso fai entrare Cesare », tagliò corto lei. Il giovane schiavo chinò il capo ed uscì. Isabel si affrettò a rassettare il letto e lisciare alcune pieghe della sua tunica, prima che Cesare comparisse sulla soglia della sua tenda.
« Spero che vi sentiate meglio, amica mia. Ci siete molto mancata questa sera », esclamò lui, prendendole le mani e banciandone il dorso.
Isabel arrossì fino alla radice dei capelli. « Era un po’ indisposta, generale ».
« Capisco », mormorò lui, col tono di chi capiva davvero. Si sedette su uno sgabello pieghevole da campo, lasciandole la sedia più comoda. Con un sorriso di ringraziamento, Isabel sedette di fronte a lui, mentre Chrysio  si avvicinava con un vassoio porgendo loro del vino, che entrambi rifiutarono.
« Cosa vi porta qui, generale? », domandò Isabel, « E, vi prego, non rispondetevi il timore per la mia salute: sappiamo entrambi che sto benissimo ».
Cesare rise. « Siete acuta, ragazza mia », esclamò, come se la cosa lo riempisse di soddisfazione. Isabel si fece ancora più curiosa. « No, in effetti non sono qui per sentirvi mentire su quanto mal di testa abbiate avuto oggi pomeriggio. Sono qui per parlarvi di affari, se per voi va bene ».
« Per me, possiamo parlare di tutto quello che volete, generale », rispose istintivamente Isabel, soggiogata dalla presenza immane dell’uomo. Subito si morse la lingua, ma ormai era fatta e lei riuscì in qualche modo ad impedirsi di arrossire: come diceva sempre zia Dag, non c’è maniera migliore per mettersi in imbarazzo da sola che arrossire.
« Vi ringrazio. In tal caso andrò dritto al sodo: a Roma ho molti nemici ».
Isabel annuì, mentre alla mente le ritornava qualche vago ricordo delle lezioni di storia Romana. « Capisco ».
« Pompeo, Catone e gli optimates stanno facendo fronte comune contro di me. Non appena il mio mandato come proconsole scadrà - e non manca molto - mi salteranno alla gola come tanti lupi feroci ».
« Avete bisogno di amici, quindi ».
Cesare le sorrise. « Sapevo che avreste capito subito. Siete una donna straordinaria, Marta Alessandra! », esclamò, facendola infine arrossire sul serio, « E comunque sì, mi servono amici fidati a Roma. Non che non ne abbia già, ma ho bisogno di qualcuno come voi, amica mia ».
« Qualcuno come me? Una donna? », fece lei, stupita: da quel poco che sapeva di Roma Antica, le donne non godevano precisamente di uguali diritti, rispetto agli uomini.
« Una donna, esattamente », annuì però Cesare, « Voi non avete idea di quanto potere ci sia nel pettegolezzo e nelle feste dell’alta società ». Il volto del bellissimo generale si rabbuiò, facendosi mortalmente serio, « Voi non mi conoscete. Non sapete nulla della mia politica e dei miei intenti, e perciò capisco che le mie richieste vi possano sembrare … ».
« Accetto », lo zittì lei, « Di tutto cuore, accetto ».
Le sue parole stupirono persino lei stessa. Certo, aveva trovato Cesare assurdamente sensuale ed incredibilmente bello e affascinante, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita col diventare una sua alleata, e soprattutto una sua alleata politica. E che diamine! Non sapeva un bel niente di politica, lei! Tanto meno di quella Romana…
Sarebbe stata un pesce fuor d’acqua ma - e che cavolo! - sentiva con ogni fibra del suo essere che ne sarebbe valsa la pena. Avrebbe aiutato Cesare: sapeva che era un uomo grande, valoroso, che aveva ottimi piani per Roma, e che una volta sconfitti i suoi nemici si sarebbe dimostrato pietoso e ragionevole. Avrebbe portato la pace e la prosperità a Roma, anche se solo per pochissimo tempo.
Poi si ricordò di Alessandria: merda! Se n’era completamente scordata! Dimenticata! Com’era possibile? Com’era umanamente possibile che in così poco tempo lei si fosse dimenticata dell’unica cosa veramente importante: ritornare a casa. Era assurdo: certo, Cesare era una meraviglia, ma a rigor di logica nemmeno il viso più bello del mondo avrebbe dovuto farle dimenticare casa in così poco tempo!
Scrollando il capo, cercò le parole più adatte per rimangiarsi quello che aveva detto. Ma Cesare in quel momento si alzò, la sollevò di peso e la abbracciò stretta, con affetto e gratitudine, e lei si sentì catapultata in paradiso.
« Ragazza… che tu sia benedetta! », esclamò, depositandole un sonoro bacio sulla fronte.
Letteralmente senza fiato, quasi incapace di pensare di fronte al sorriso del Romano, Isabel gli sorrise di rimando. Al diavolo Alessandria! Per tornare a casa c’era sempre tempo. Ora Cesare aveva bisogno di lei.
 
Il generale che aveva quasi stuprato Isabel attendeva assieme ad un uomo basso e tarchiato che Cesare uscisse dalla tenda. Se ne stava in silenzio, un po’ in disparte rispetto al suo compagno, e probabilmente per la prima volta in vita sua non faceva baccano coi soldati che di tanto in tanto passavano da quelle parti, diretti ai turni di guardia o alla latrina.
Finalmente, Cesare uscì.
Pythes, lo schiavo basso e tarchiato che seguiva Cesare ovunque, gli domandò: « Allora? ».
« Ha accettato », sorrise Cesare, trionfante: non era stato difficile convincerla. Fin da subito aveva capito che quella ragazza aveva un debole per lui e si era affrettato a sfruttarlo: aveva un disperato bisogno del suo aiuto a Roma.
« Magnifico. Ora andiamo », disse, piatto, il giovane generale, voltandosi. Cesare lo fermò appoggiandogli una mano sulla spalla.
« Che cosa c’è? Disapprovi forse? », gli domandò Cesare, voltandolo per guardarlo negli occhi. « Abbiamo davvero bisogno di qualcuno che muova i fili segreti della società e lei è perfetta: giovane, bella, apparentemente innocente. Ha una mente pronta ed è piuttosto intuitiva. Piacerà da morire alle matrone dell’Urbs: penseranno di potersela sbranare in un sol boccone. Ed invece rimarranno a bocca asciutta! ».
« Non la state sopravvalutando? », domandò Pythes. « È molto giovane, praticamente un’adolescente ».
Cesare scosse il capo. « Quell’adolescente ha preso venti uomini ed ha attraversato mezza Gallia per salvare due schiavi. E quando le ho chiesto il motivo lei mi ha risposto che non poteva lasciarli nelle mani dei barbari. Tutto qui: semplicemente non poteva. Due schiavi, capite? », scosse il capo, « È un cosino piccolo e grazioso, non più pericoloso di un pulcino, ma ha rischiato la vita per due schiavi. No, Pythes, non la sto sopravvalutando », garantì infine. Si voltò ancora verso il giovane generale. « Ma dimmi cosa pensi, Marco. Parla: sei stranamente silenzioso da stamattina ».
Marco Antonio fece una smorfia e scosse il capo. « No, Cesare, non ho niente. Anzi, credo che lei sia perfetta per questo compito: ha delle zanne niente male, per essere soltanto un pulcino ».
Cesare rise e gli passò un braccio attorno alle spalle. « Bene! Magnifico! Allora, amici miei, andiamo a festeggiare! ».
 
Isabel fece il calcolo e scoprì che quella era la trentasettesima alba Romana che vedeva. Ebbe un tuffo al cuore, ma si impose di riscuotersi e in fretta vestì: non aveva tempo di pensare a casa. Non adesso. Adesso doveva sbrigarsi a partire.
Chiese a Chrysio  di occuparsi di quanto rimaneva del loro bagaglio – ben poco – e di svegliare Melite ed Oreste che ancora dormivano, dopodiché si affrettò alla tenda di Cesare.
Il generale era già sveglio – un soldato le aveva detto che in realtà non dormiva mai più di tre o quattro ore a notte – e stava diramando ordini ad alcuni centurioni. Vedendola arrivare, allargò un sorriso mozzafiato e le venne incontro, baciandole i palmi delle mani e guardandola come se fosse l’unica cosa esistente al mondo.
« Amica mia, buongiorno. Non vi aspettavo così presto ».
« Se devo partire voglio farlo per tempo », rispose lei.
« Partire? Per dove? », le domandò Cesare, confuso.
« Ma per Roma, naturalmente! », esclamò Isabel.
Cesare sbatté le palpebre, meravigliato. « State… state dicendo che intendete mettervi in marcia per Roma … oggi stesso? ».
Isabel annuì. « Stamani », confermò.
Cesare la fissò per un altro momento, allibito, poi gettò la testa indietro e scoppiò in una sonora risata. « Che gli Déi mi siano testimoni, siete impareggiabile! », esclamò.
« Perché? », fece lei, imbarazzata.
« Perché? Mia cara, come potete chiedermi perché? », rise lui, « Siete la sola donna di mia conoscenza disposta a partire da un momento all’altro per un viaggio così lungo, senza alcun bagaglio né una casa ad attendervi ».
Isabel fece spallucce. « In realtà pensavo di passare da Marsiglia, prendere del denaro di mio padre da Simone l’Ebreo, imbarcarmi su una nave e affrontare così il viaggio fino ad Ostia », spiegò: ci aveva pensato tutta la notte, e quella le era sembrata la scelta più comoda e veloce, « Una volta a Roma, alloggerò in una locanda, finché non avrò trovato una casa adatta ».
« Amica mia, potreste sempre alloggiare nella mia casa. Sono sicuro che Calpurnia … ».
Isabel scosse il capo. « Vi ringrazio generale, ma dormire nella vostra casa sarebbe come mettere un grosso cartello luminoso con su scritto “sono una alleata di Cesare “ e questo non lo voglio ».
« Non lo volete? », ripeté lui, confuso.
La ragazza annuì. Quella mattina, svegliandosi, prima di riflettere su quanti giorni avesse trascorso nell’Antica Roma, aveva messo insieme un piano. Forse non se ne intendeva di politica, ma – per Dio! – era un’adolescente del Maine e quanto a pettegolezzi e sotterfugi non la batteva nessuno. « No, non lo voglio. Ho intenzione di fingermi neutrale, per un po’ di tempo, anzi, magari addirittura blandamente filo-ottimate », si riferiva alla fazione degli optimates, i nemici giurati di Cesare, « Questo mi aprirà molte porte, almeno credo, e mi porterà ad ascoltare discorsi molto più interessanti. Col tempo, farò credere di interessarmi alle vostre posizioni, generale: questo mi permetterà di raggiungere accordi in nome vostro senza destare alcun sospetto ».
Cesare scoppiò di nuovo a ridere, le prese il volto tra le mani e le baciò le guance. « Ragazza mia! Atena vi ha benedetta con l’astuzia di Ulisse! Ah, Giove, che grande alleata ho trovato! ».
Isabel fece spallucce. « Semplicemente, generale, avete trovato una donna ».
 
Non appena Cesare le ebbe spiegato che cosa si aspettava da lei nei dettagli, Isabel lo salutò con un lungo abbraccio - ma mai abbastanza lungo, per i suoi gusti – e si diresse all’uscita dell’accampamento.
Lungo la strada incrociò il suo giovane generale, il quale si affrettò a voltare lo sguardo dall’altra parte e la superò senza dire una parola. Negli occhi, però, gli brillava la stessa espressione di quella mattina al lago. Isabel rimase un momento ferma in mezzo alla via principalis, tentando di decifrarla e quando finalmente riuscì a trovare la parola che più la descriveva, rimase senza fiato.
« Triste. È la parla giusta: triste », mormorò, allibita: com’era possibile?
« Domina! », la chiamò un soldato, distraendola. Isabel si riscosse e si voltò verso di lui. « Dimmi, legionario ».
L’uomo le indicò il bardotto carico di provviste che stava conducendo. « Queste sono per il viaggio, domina », e le allungò una ricevuta da firmare. Quanto ad organizzazione, i Romani non avevano proprio da nulla da invidiare agli eserciti più moderni.
Isabel gli sorrise. « Ti ringrazio, soldato », corrugò la fronte, « Posso farti una domanda? ».
L’uomo annuì, « Ma certo, domina ».
« L’ufficiale che è appena passato. Quello vestito dell’armatura dorata … ».
« Il generale Marco Antonio? ».
Isabel sgranò gli occhi. « Quello era Marc’Antonio? », domandò, incredula.
Il soldato annuì. Non sembrava sorpresa che lei lo conoscesse. « Il solo ed unico, domina; perché lo chiedete? ».
 
Joseph rigirava tra le mani, totalmente allibito, la tunica di stoffa chiara e lisa che Zia Dag aveva tirato fuori da un baule polveroso. Sebbene non fosse mai stato un asso in storia, Jo non aveva dubbi sulla fattura di quell’abito: era Romano. E che Dio lo aiutasse, non sembrava decisamente un vestito di Halloween. Tanto per cominciare non era cucito a macchina e poi – osservò lui rabbrividendo – era sporco di sangue. Sangue vero.
« Questo … questo da dove arriva? », domandò a Zia Dag, indicandole una macchia scura.
« Ah, quello. Mi hanno sparato », spiegò lei, distrattamente, come se fosse una cosa di poco conto, « Te l’ho già detto: sono apparsa in Francia nel millenovecentoquarantadue. Cosa credi che abbia incontrato, eh? La guerra! ».
Jo le tese la veste. « Va bene. Diciamo per puro amore della conversazione che io ti credo. Dove si trova ora Isabel? ».
Zia Dag sospirò, levando le braccia e gli occhi al cielo. « Ma mi ascolti, ragazzo? L’ho già ripetuto duemila volte: si trova a Roma. L’Antica Roma. Hai mi visto Ben Hur? ».
« Una Roma parallela alla nostra », mormorò Jo.
« Esatto. Una Roma parallela alla vostra », confermò Zia Dag.
« E tu … tu come fai a dirlo? Cioè… ne sembri certa … ».
Zia Dag sospirò e andò ad aprire un altro baule, rivelando una montagna di libri gettati all’interno senza alcuna cura. Ne prese in mano uno, borbottò qualcosa e lo lanciò alle sue spalle. Ne prese un secondo e gli fece fare la stessa fine. Scorse in quel modo forse una ventina di volumi, prima di trovare quello che stava cercando con un grido di trionfo. Ne soffiò via la polvere e fece cenno a Joseph di avvicinarsi.
« Guarda: questo è un ritratto di Gaio Mario ».
Jo osservò il busto: raffigurava un uomo dalle folte sopraciglia e con una profonda stempiatura, un po’ rozzo nei lineamenti e decisamente poco attraente.
« Magnifico », commentò, ironico.
« Gaio Mario era identico a Brad Pitt ».
« Che cosa? ».
Zia Dag annuì. « Ti giuro. Quando ho visto Intervista col Vampiro per poco non ho avuto un colpo: si assomigliano come due gocce d’acqua. Se non gemelli, li si può tranquillamente dire fratelli. Ora dimmi, quest’uomo ti sembra Brad Pitt? ».
Jo fece una smorfia.
« Per l’appunto. Ed ora guarda questo », disse, voltando alcune pagine. Joseph guardò e lesse una cronologia di date che andavano dal duecento al cento avanti Cristo.
« Che cosa dovrei notare? », domandò, confuso.
« Qui dice che Gaio Gracco morì suicida nel centoventuno avanti Cristo. Io invece di dico che ho saputo della sua morte quando avevo otto anni, ossia nel centoventiquattro ».
« Cambia poco », commentò Jo.
« Però cambia », puntualizzò la donna, richiudendo il libro, « Potrei andare avanti per ore: tra la Roma che conosco io – quella in cui è finita Isabel – e la tua Antica Roma ci sono un sacco di piccole differenze, imprecisioni, date che non coincidono, nomi che cambiano, occhi azzurri invece che scuri … un milione di incongruenze che hanno una sola spiegazione possibile … ».
« Non è la stessa Antica Roma », mormorò Joseph, lasciandosi cadere sul pavimento, di colpo senza forze, « Oh, mio Dio … Isabel! Come facciamo a riportarla indietro? ».
Zia Dag scosse mestamente il capo. « È proprio questo il punto, Jo. Non si può tornare indietro ».
   
 
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