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Autore: kissenlove    22/07/2022    0 recensioni
Nora, dopo un'infanzia tutt'altro che felice, compiuti diciassette anni decide di scappare di casa e sul suo cammino incrocia e si innamora follemente di Darren. Dalla loro bellissima unione, nasceranno due bambini: Anna e Charlie. Ma il matrimonio viene ben presto turbato dai problemi finanziari.
Darren, travolto dagli eventi, finisce a malincuore per abbandonare la moglie e i suoi due figli in cambio di una vita dignitosa.
Nora quindi è costretta a prendere in mano le redini e a tirare avanti per crescere da sola i suoi figli, lottando per la loro vita e felicità.
Durante questa lotta sempre più aspra, incontra Thomas e il suo destino prende una piega inaspettata...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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«E' un tale destino.
Una tale punizione per me.
Anche se spari mille volte,
NON MORIRÒ.»

FUGGITIVI
Capitolo 1
(prima parte)

La pioggia fitta batteva contro i vetri, i tuoni squarciavano il silenzio di una serata invernale e da poche ore avevo dato alla luce il mio bambino. Il mio secondogenito.

"È un neonato in buona salute. Stia tranquilla, signora." Aveva chiarito l'infermiera prima di consegnarlo nelle mie braccia e permettermi di scolpire ogni dettaglio di quel viso paffuto e innocente già desideroso di scoprire quel mondo sconosciuto. Afferrai il cellulare e composi un numero.

Ma non uno qualunque.

Aspettai con il cuore che batteva all'impazzata. Volevo sentire la sua voce e tenere in vita quella piccola speranza dentro di me.

"Avevo sbagliato in qualcosa, forse?"

«È così bello… Ha occhi minuscoli. Sai, ti assomiglia. E Anna è una brava sorella maggiore.» Rivolsi uno sguardo alla bambina, che mi stringeva forte il braccio, mentre un altro tuono rimbombava nella stanza della clinica. Mi feci coraggio e continuai. «L'ho chiamato Charlie. Significa "forte", "valente" e tu hai sempre detto che sarebbe stata la nostra forza e saremmo stati una famiglia felice.» Strizzai gli occhi che si erano inumiditi per le lacrime. Quello avrebbe dovuto essere un giorno meraviglioso, pieno di gioia, ma stava diventando un incubo massacrante da cui volevo svegliarmi al più presto.
«Non vuoi venire a vederlo?» Nel sentire la sua risposta altri singhiozzi sfuggirono al mio controllo e il petto iniziò a dolermi, come se ci avesse conficcato un pugnale. «Darren, ti prego, non lo fare. Ti prego, non lasciarci. Non posso dire loro che il padre li ha abbandonati e se n'è andato.» Mi tremava la voce e la vena sulla fronte pulsava sotto la pelle. «Ti scongiuro. Ti prego, non andare.»

Aprì una ferita profonda e sanguinante nella mia anima, che non avrei potuto cicatrizzare nemmeno tra un milione di anni, quando realizzai che aveva chiuso.

Allontanai il cellulare dall'orecchio e ripresi a piangere. Anna si rannichiò di più e le afferrai la testa per unirla alla mia, condividendo la stessa sofferenza.

Ero da sola con due bambini così piccoli e l'anima in pezzi, senza la più pallida idea di quale grave peccato mi fossi macchiata.

Per giorni e anni mi ero posta questa domanda, arrovellando il cervello per trovare una spiegazione che riempisse il vuoto. Alla fine però, smisi di rimanere intrappolata nel passato e mi sforzai di andare avanti per la mia strada.

I miei figli avevano bisogno di una madre forte e determinata, non di una che si piangeva addosso.







<Sette anni dopo>

La vita trascorse pacificamente nel villaggio marittimo dov'ero nata e cresciuta. La gente rimase la stessa, ma il paese progredì e diventò meta obbligata per molti turisti, tant'è che crearono infrastrutture facendo perdere la sua sfumatura di ruralità. Adesso c'erano due pub, un ristorante, un caffè, alcuni ostelli, dei B&B e anche un campeggio.

Camminavo per quelle strade sterrate, circondate dalla vegetazione brulla da una parte e da una schiera di casette dall'altra, tirando fuori il portafoglio dalla borsa per pagarmi il biglietto.
L'unica linea arrivò in quel preciso istante e vi salii, sedendomi nel posto vicino al finestrino. Posai il portafoglio in borsa e mi misi a contemplare il paesaggio con aria impassibile, dato che quel tragitto si ripeteva ogni singola mattina.

Da qualche anno, avevo trovato un buon impiego in una fabbrica tessile per far fronte alle spese.
Una volta arrivata a destinazione, entrai nello spogliatoio, salutando cordialmente alcune colleghe, che ricambiarono.
Qui in paese conoscevo tutti, non era come vivere nella capitale. Mi fermai davanti all'armadietto, con su scritto il mio nome su un semplice pezzo di carta e cercai la chiave nel cappotto turchese.

Mi spogliai velocemente, riponendo gli effetti personali e indossai la divisa: un camice rosa pastello, simile a quello degli infermieri, ma con i bordi bianchi. Legai i lunghi capelli biondi in una coda alta e mi diressi spedita alla postazione, occupata da una marea di tessuti.

«Buongiorno!» Salutai la mia collega di banco che era già sommersa di stoffe fino al collo e presi altro materiale da uno scaffale per mettermi all'opera.

All'orario di pranzo avevamo diritto a una piccola pausa di trenta minuti per mettere qualcosa nello stomaco.
Le mie colleghe ridevano e scherzavano, io invece mi limitavo a stare sulle mie e a  sorridere per i discorsi, quando si mettevano a giudicare i mariti che non facevano bene le faccende domestiche.

«Forza, signore! Andiamo! Il tempo sta per scadere. Avanti!» tutte accolsero quell'ordine con dei sonori sbuffi e mi alzai finendo di bere l'acqua.

Ben presto tornai alla mia routine, scaricando altre stoffe sul tavolo.

«Hai sentito cosa ha detto il supervisore, Nora?» Scossi la testa per dissentire. «Ci ha detto di completare tutto entro stasera, in modo da poterlo spedire in un'unica soluzione. Non ti pare esagerato?»

«Cosa vuoi che dica? Spero che saremo in grado di rientrare nei tempi giusti, Nancy.»

«Oh! Non mi interessa davvero! Che sciocco. Quando si tratta delle consegne ha una fretta bestiale, ma se si parla di stipendio ci chiede di aspettare. Com'è bello così!»

«Nora. Tua figlia è qui fuori.» Mi avvisò una collega passando di lì.

«Mia figlia? A quest'ora?» Guardai in direzione dell'entrata sorpresa e aggirai gli altri tavoli per raggiungerla. Di solito, non veniva fin qui per non disturbarmi sul lavoro. «Anna!» La ragazzina si girò di scatto e mi venne incontro. Doveva aver finito le lezioni da poco, visto che aveva lo zaino sulle spalle. «Che succede, tesoro? Perché sei qui?»

«Stamattina hai dimenticato di darmi i soldi, mamma e devo pagare la bolletta della luce.»

Mi coprii la faccia con la mano. «Scusa, io... Aspetta… prendo il portafoglio. No, anzi… Vieni con me. Le ragazze non fanno che chiedermi notizie. Saranno molto  contente di vederti.» le accerchiai le spalle e in risposta mi stampò un bacio affettuoso sulla guancia, mentre la portavo verso il mio tavolo. «Nancy, guarda chi ti ho portato oggi!»

«Oh, wow! Sei cresciuta moltissimo, cara. Ormai sei proprio una donna adulta.»

«Ho compiuto quindici anni il mese scorso, Nancy. Ovviamente sto crescendo.» affermò con un certo orgoglio nella voce.

«Non ho dubbi. Tu cresci e noi invecchiamo.»

«Chi sta invecchiando? Ma le hai viste! Sembrano due sorelle. Nessuno direbbe che Nora è sua madre.» commentò Corinne mentre indirizzavo un occhiolino ad Anna e mi sorrise di rimando.

«E' il vantaggio di diventare madre in giovane età.» Intervenne un'altra. «È così bello. Sembrano amiche.»

Stavo frugando nella borsa quando alzai lo sguardo per rispondere. «I miei figli sono il bene più prezioso che ho, Kate. Sono felice di averli partoriti.»

«Sì, certo. Spero che Dio vi protegga e vi tenga uniti per moltissimi anni.»

«Speriamo.» Bisbigliò mia figlia.

«Speriamo.» Ripetei.

«Ma devo dire che si è fatta proprio una bellissima ragazzina. Sono certa che ti supererà presto.» Continuò mentre mia figlia arrossiva sulle guance per tutti i complimenti.

«Spero che lei sia fortunata e che incontri brave persone sul suo cammino. Non voglio nient'altro.»

«Oh, te lo auguro di cuore.»

Il supervisore passò di nuovo come una mosca fastidiosa per ricordarci di non perdere tempo a chiacchierare e la mia collega alzò gli occhi al cielo, mentre porgevo il foglio a mia figlia.

«Questa è la ricetta per la medicina di Charlie. Compragli questo sciroppo e faglielo prendere, ok?»

«Mamma, è testardo! Non vuole prenderlo e mi fa impazzire.»

Feci un'alzata di spalle. «Allora costringilo oppure legalo alla sedia, non so, ma deve prenderlo. Ha iniziato a stare bene da poco e non possiamo sospendere il trattamento che ci ha consigliato il dottore.» Aprii il portafoglio e tirai fuori una banconota da venti euro porgendogliela. «Ecco. Tieni.» In seguito, cercai in un altro scomparto e trovai anche una dieci.

«Mamma, non hai più soldi.» Avrei voluto rispondere di non preoccuparsi, ma mi anticipò. «Quando ti pagheranno?»

«Dicono domani, ma si vedrà.»

Anna non volle insistere sulla faccenda, sapeva che il suo unico dovere era andare bene a scuola e badare a suo fratello quando non c'ero. Tutto il resto era da sempre stato compito mio.

«Allora io vado. Charlie vedrà la partita con i vicini e io devo andare a comprare qualche ingrediente per lo stufato.»

«Va bene, cara.» Le presi il viso e le stampai un bacio sulla fronte.
«Stai attenta quando torni.»

«Arrivederci! Buon lavoro a tutte!» Esclamò con un sorriso smagliante sulla bocca per poi andarsene. Nel frattempo tornai a rimboccarmi le maniche.

~♦~

Era sera quando finimmo di completare le consegne in programma e finalmente tornavo a casa dai miei ragazzi stanca e affamata. Anna era diventata brava in cucina e inoltre badava anche a Charlie, nonostante avesse già i suoi di problemi di "crescita" da affrontare.

Non mi ero mai lamentata, dopotutto avevo allevato i miei bambini senza l'aiuto di nessuno, avevamo ancora un tetto sopra la testa e un piatto caldo sulla tavola, quindi non ci mancava niente.

Superai il ponte di legno, dove scorreva un fiumiciattolo e arrivai sulla strada principale, Fisher Street.
Passai davanti a una taverna ancora aperta con l'intonaco rosa e il tetto in paglia, dove risuonava musica tradizionale irlandese e salutai alcuni conoscenti.

La mia casa non differiva dalle altre di Doolin: era verde, con il tetto a spiovente e piccola.

Ma, per noi, era confortevole.

Spalancai la porta d'ingresso, non venendo accolta da nessun odore di cibo o di schiamazzi.

«Anna! Charlie! Sono a casa.» Tolsi gli stivali sulla soglia ed entrai. «Ma dove siete finiti, bambini? Perché non rispondete?» mi chiusi la porta dietro, posando le chiavi sul mobiletto e la borsa sull'attaccapanni.
Ero stranita da quell'atmosfera silenziosa. «Anna?» Aprii la porta a destra, quella del salotto, trovandoli rannicchiati sul divano l'uno nelle braccia dell'altra, con i visi pallidi di chi aveva appena visto un fantasma. Sgranai gli occhi. «Anna?» Quest'ultima mi fissava di sottecchi e stringeva Charlie, che tremava come una foglia. «Che cosa sta succedendo?» Avanzai verso di loro scattante più di un felino e mi inginocchiai. «Che cosa è successo, tesoro? Cosa c'è? Perché quell'espressione?»

«Mamma… è successa una cosa terribile.»

«Dimmi cos'è successo!» Balzai in piedi gesticolando con nervosismo. «Non farmi impazzire!»

«I-In… cucina…» Biascicò.

Mi voltai di scatto rivolgendo uno sguardo confuso al corridoio, poi mi affacciai dallo spigolo e iniziai a camminare.
Il cuore mi martellava nel petto mentre mi avvicinavo sempre di più guardinga. Non ci fu bisogno di fare altri passi perché l'avevo visto chiaramente. Strabuzzai gli occhi e mi coprii la bocca per soffocare un urlo.

"Non era un sogno, era dannatamente vero. Troppo vero. C'era un uomo sul pavimento… forse era morto. Non ne ero certa." Pensai.

Incrociai il viso di mia figlia che mi aveva raggiunto alle spalle. Aveva gli occhi persi nel vuoto, i capelli in disordine e le braccia inerte ai fianchi. Mi rivoltai, prendendole il viso e le circondai le spalle, premendola sul mio petto.

«Anna…» Mi strinse forte e crollai in ginocchio trascinandola con me. «Oh… Anna!» Serrai le palpebre, dondolando avanti e indietro.

«Io… Non volevo che succedesse, mamma. Mi ha aggredito. Ha detto ch'ero cresciuta.» Ogni parola era puro veleno, che assorbivo in silenzio. «Voleva… violentarmi.»

«Va tutto bene.»

«Ho tentato di fermarlo… Gli ho urlato di starmi lontano, ma non mi ascoltava, così… Ho preso il coltello.» mi raccontò fortificando l'abbraccio e stritolando un lembo del cappotto. «E' stato un incidente, mamma.»

«Ok. Non è colpa tua. Va bene?» Mi staccai per studiare il suo viso bagnato dalle lacrime e le diedi un altro bacio, riprendendo a stringerla.

«Mamma, lo giuro! Lo giuro! Non volevo.»

Le massaggiai le spalle scosse dai singhiozzi con gli occhi arrossati dal pianto.

Quel mostro non avrebbe dovuto metterle le mani addosso per sfogare i suoi istinti da parassita su una ragazzina.

«Oh, Anna

«Mamma…»

Posai le labbra sulla sua tempia destra e continuai a stringerla.
Avvertii un macigno posarsi sullo sterno e schiacciare le costole, impedendomi di respirare.

«Va tutto bene, tesoro.» La feci staccare per fissare i suoi occhi azzurri screziati di verde vitrei, privi di ogni emozione. «Resta qui.» Mi rimisi in piedi e allungai il braccio nella direzione di mio figlio. «Aspetta qui, ok? Charlie! Non entrare, ok?»

Lui annuì e mi addentrai, vedendo il braccio insanguinato spuntare dalla soglia e poi il corpo del ragazzo che giaceva in una piccola pozza di sangue. Mi abbassai, rasente al muro, e avvicinai la mano per toccargli la testa. Non appena riconobbi il figlio della vicina, il mio cuore perse un battito e schizzai fuori, prendendo Anna per le spalle.

Riportai entrambi nel salotto e iniziai a camminare ossessivamente avanti e indietro, rischiando di scavare una fossa per il nervosismo.

"Che dovevo fare? Probabilmente era morto e mia figlia rischiava di finire in carcere. Non avevo altra scelta, dovevo lasciare i miei figli fuori da quella vicenda e costituirmi al più presto."

«Voi non eravate qui, ok? Eravate fuori da qualche parte. Ok, Charlie?» Il bambino scosse il capo con le manine avvolte attorno alle gambe, seduto sul divano. «Ok, bambini?!»

Mi sporsi ancora per tenere d'occhio il corridoio.

«E'... morto, mamma?»

«Non lo so, Anna.» Estrassi il mio cellulare dalla tasca.

«Chi vuoi chiamare?»

«La polizia.»

Mi si parò di fronte e mise le mani sopra lo schermo, i suoi occhi furono subito invasi di terrore. «No! Ti prego, non chiamare la polizia. Ti prego!»

Le afferrai il mento. «Anna! Ho accoltellato io Henry. Va bene? L'ho fatto io. Dirò che sono stata io.»

«Sorellina, tu davvero hai accoltellato Henry?!» chiese Charlie sconvolto e mia figlia si immobilizzò all'istante, sgomenta.

«Vieni. Siediti.» La condussi vicino al divano facendola accomodare e mi inginocchiai. «Anna, promettimi una cosa.» Alzai l'indice contro la sua faccia. «Quando i poliziotti arriveranno qui, non dovrai dire una sola parola, ok?» Lei continuò a scuotere energicamente la testa. «Non devi fiatare. Anche tu, Charlie. D'accordo?! La mia versione dovrà essere credibile.»

«Ma ti manderanno in prigione, mamma.» Si sporse in avanti, stringendo il cellulare con una presa ferrea. «Non puoi sacrificarti! Non sei stata tu a farlo! Non diventerai un'assassina!»

«Anna, dammi questo telefono. So quello che faccio! Ho già deciso!» Alzai la voce di qualche decibel per superare la sua e mi rimisi in piedi.

Il bambino mi si buttò addosso, accerchiandomi il busto. «No, per favore, non andare in prigione! No, mamma!» Mi tolse il cellulare di mano scaraventandolo a terra e alzai gli occhi. Anche Anna poi si catapultò fra le mie braccia.

«Mamma, mi dispiace. È tutta colpa mia. Scusa! S-Scusami!» Singhiozzò avvolgendo le braccia attorno alla mia schiena e alzai gli occhi in alto, schiacciando la mano contro le labbra, mentre i miei figli si sciogliere l'abbraccio.

Sapevo che le cose si sarebbero complicate, che non potevamo più rimanere in questa città, che la polizia ci avrebbe cercati e l'unico modo per proteggerli era portarli in un posto sicuro e dopo tornare per regolare i conti una volta per tutte con la giustizia.

~♦~

Entrai nelle nostre camere per svuotare gli armadi, infilando i vestiti in un borsone.
In seguito, cercai i nostri documenti e un po' di soldi, anche se avevo acchittato pochissimi risparmi.
Infine sbucai nello stesso corridoio, gettando un altro sguardo alla cucina e appoggiai il borsone sul pavimento.

Tornai esattamente dov'era il ragazzo, determinata a eliminare ogni traccia facendo sparire l'arma. Recuperai un panno da sopra il lavello e mi accovacciai per raggiungere meglio il coltello. Mi ci volle tutto il coraggio per estrarlo, rischiando di vomitare per il disgusto. Poi lo coprii e a quel punto abbassando lo sguardo, notai le chiavi dell'auto.

"Era l'unica chance." Le raccolsi, macchiando le dita di sangue.

I bambini saltarono in piedi appena mi videro uscire. «Psst! Prendi. Forza, non c'è tempo.» Bisbigliai dando le chiavi a mia figlia e gettando nervosamente occhiate sulle finestre altrui. Dopodiché le porsi il borsone e sbloccò subito la sicura dell'auto. «Ok. Charlie, apri il portabagagli. Svelto.» Tornai dentro per sollevare il televisore, decisa a ricavarci un po' di soldi vedendolo, e Anna corse ad aiutarmi a scendere quegli scalini, poi le dissi di chiudere la porta e Charlie mi aiutò a portarla fino alla macchina, poi tutti e tre la mettemmo nel cofano, ma esso non si chiudeva.
"Accidenti."
Consegnai la borsa ad Anna e scavai alla ricerca di qualcosa per legare, trovando delle corde.

Ordinai al bambino di salire mentre facevo il nodo, in modo da non perdere l'oggetto per strada.

Ad un tratto le risate spensierate di due uomini che stavano passando in quel momento mi fecero gelare il sangue nelle vene e paralizzarmi. Per non dare nell'occhio, feci finta di niente e mi ripresi la borsa, sussurrando ad Anna di salire. Quest'ultima obbedì. Io la seguii a ruota e le passai la borsa.
«Qual era? Aspetta… Ah, sì… Questa.» Infilai la chiave nel quadro mettendo in moto e la macchina venne improvvisamente invasa da luci di mille colori, tanto che sembrava una discoteca ambulante più che un vecchio catorcio.

Che razza di marchingegno aveva questo tipo e perché se ne andava in giro così?

«Cos'è questo, mamma?»

«Non lo so. L'importante è andarcene via da qui.»

Tirai giù il freno con fatica e partimmo subito.
Non avevo ancora in mente dove andare, ma era l'ultimissimo problema.

Premetti sul pedale dell'acceleratore, superando il ponte e ci lasciammo alle spalle il paese. La strada dopo poco era immersa nell'oscurità e non c'erano lampioni in grado di rischiarla. Nell'abitacolo era calato il silenzio e rivolsi uno sguardo fulmineo a mia figlia, che guardava il finestrino, poi riportai gli occhi sulla strada.

Dovevamo allontanarci in fretta prima che rinvenissero il cadavere. Dovevo proteggere i miei figli a tutti i costi.

~♦~

Guidavo in direzione Sud-Est sulla strada regionale R479, cercando di non farmi assalire dall'angoscia o da pensieri brutti.

Anche se fossimo rimasti a Doolin, non avrebbero mai assolto Anna per legittima difesa, l'avrebbero richiusa in carcere con l'accusa di omicidio colposo. Non potevo fare altrimenti. Quelle luci psichedeliche e l'atmosfera da disco anni 90 iniziava a darmi ai nervi, così trovai i cavi alla cieca sotto il sedile e li ruppi, guastando il meccanismo.

«Mamma. Dove andiamo?» Domandò Charlie.

«Sto pensando, tesoro. Sto pensando.»

Sicuramente la polizia avrebbe settacciato la zona, non ci avrebbero impiegato molto a denunciare la scomparsa di quel maledetto approfittatore.

All'improvviso il suono delle sirene alle nostre spalle fece agitare Anna da sopra al sedile.

«Mamma! Mamma, c'è la polizia! La polizia!»

«D'accordo, calmati.»

«E se ci catturano?» ipotizzò Charlie.

«Mamma! Che facciamo?» strillò in preda al panico.

«E se ci sparano?» aggiunse Charlie.

«Va tutto bene, state tranquilli. I poliziotti non ci faranno niente. Andrà tutto bene. Intesi?» Osservai nel retrovisore ingoiando quando la vedetta accelerò. «Calmati, piccolo. Sono qui con te. Non aver paura.»

Mantenni una posizione rigida sul sedile e sangue freddo, guardando davanti, mentre la vedetta con le sirene spiegate si affiancava a noi. Poi, stranamente, ci superò e buttai fuori un sospiro, espellendo anche la tensione che mi aveva stretto la gola e svuotato i polmoni.

«Mamma...»

Mi girai verso i sedili posteriori quando Anna mi chiamò, inquadrando i pantaloni di Charlie. Erano bagnati. Si era fatto la pipì addosso.

«Scusa, mamma.»

«Non preoccuparti, tesoro.»

Almeno la polizia non ci aveva acciuffati e questa era una cosa positiva. Facemmo una breve sosta e trovai un luogo con una fontana in mezzo a una radura.

Anna lo cambiò in un batter d'occhio e tentò di cancellargli il broncio raccontando di un aneddoto del passato. Ma non seguii il loro discorso, dato che stavo sciacquando il pantalone per eliminare l'odore.

«Avanti! Salite in macchina! Abbiamo ancora molta strada da fare.» Tornai da loro e andai ad aprire lo sportello posteriore. «Charlie, su! Sali. Sali.»

«Mamma, dove stiamo andando?» Domandò mia figlia.

«A Maynooth.»

«Maynooth? Chi c'è lì?»

«Zia Joyce, la sorella di mia madre.» Risposi finendo di strizzare il pantalone, per poi stenderlo dietro per farlo asciugare.

Feci un mezzo giro della vettura e mi infilai nel lato guida, ripartendo.

~♦~

Non sapevo quanto tempo fosse passato dalla fuga rocambolesca, non avevo chiamato nessuno e il cellulare giaceva sopra il cruscotto senza batteria.
Dopo quella caduta non sapevo neppure se funzionasse.

Mi reggevo il capo con la mano e avevo il gomito appoggiato alla portiera, mentre guidavo.

«Mamma… Maynooth è molto lontana?»

Mi drizzai fissando mio figlio dallo specchietto centrale.
«Un po' lo è, ma prima o poi ci arriveremo. Vi ricordate che c'era una fotografia di alcuni bambini su una terrazza. Giusto?»

«Sì! Era una casa così bella!» esclamò Charlie.

«Stiamo andando lì. Quella è la casa di zia Joyce.»

«Non dovremmo informarla? Possiamo chiamarla mamma? Posso farlo io, se vuoi.» propose la ragazza, prendendo il telefono.

«Non chiamarla a quest'ora o si prenderà uno spavento. Ci parlo io domattina.»

«Ma i poliziotti possono venire anche lì, mamma?» intervenne Charlie.

«Perché, tesoro?»

«Intendo... a Maynooth, non riusciranno a prenderci, vero?» riformulò.

«Non ci prenderanno. Non possono, fratellino.» mi precedette Anna.

«Mamma.» Riprese. Quando era nervoso, era un tale chiacchierone. Lo guardai di sfuggita. «Ti ha insegnato papà a guidare, vero?»

«Sí, tesoro. Me l'ha insegnato tuo padre.»

«Wow! Anch'io da grande voglio fare il tassista come lui.»

«Speriamo che non gli assomigli.»

«Anna.» la ammonii stringendo i denti e scoccando un'occhiataccia.

«Cosa c'è? Così che anche lui scappi alla prima difficoltà, come ha fatto quel codardo?»

Non potevo biasimarla per la rabbia che aveva, ma suo fratello non sapeva tutta la storia e, per il suo bene, non avrebbe dovuto scoprirlo o ci sarebbe rimasto malissimo.

Continuare a credere che il padre fosse morto prima della sua nascita, era stata la soluzione per preservarlo dal dolore e dalla vergogna di essere stato rifiutato.

Riportai gli occhi sulla strada.

«Mamma, mangiamo qualcosa?»

«Hai ragione. Non avete mangiato nulla. Ora provvediamo subito.»

Ben presto, trovai un minimarket aperto affianco a una pompa di benzina. Lasciai i ragazzi in auto ed entrai da sola, venendo accolta da un giovane commesso che mi salutò.

Mi avventurai subito tra gli scaffali, prendendo due confezioni di succhi di frutta dal frigo, avevo intenzione di prendere del formaggio fresco, ma era caro. Non potevo permettermi spese eccessive.

«Prendo tre baguette.» dissi avvicinandomi alla vetrina.

«Sono lì da stamani signora, non sono più fresche. Se posso consigliarle... prenda i panini, sono più buoni.»

Guardai i prezzi. "Tre e cinquanta l'uno, un vero furto!"

«Ne prendo due.» Li infilai nel sacchetto commestibile e posai tutto sul bancone.

«Signora, ho finito le buste. Aspetti qui che vado a prenderle.»

Annuii e infilai le mani nel cappotto, poi le immagini mostrate dal telegiornale, con il primo piano dell'uomo accoltellato catturarono la mia attenzione. Agguantai subito il telecomando e alzai il volume per sentire meglio.

"La madre di Henry Ford che vive a Doolin, un piccolo villaggio marittimo dell'Irlanda occidentale, era molto preoccupata perché dopo molte ore il figlio non era tornato a casa. Pertanto è andata dalla sua vicina e ha trovato il figlio in una pozza di sangue nella cucina della vicina, così ha immediatamente allertato l'ambulanza e le forze dell'ordine."

«Eccomi qui, signora.» Il ritorno del commesso mi fece distogliere gli occhi dallo schermo.

"I vicini sono ancora in fuga e le condizioni di Henry Ford non sono state accertate.
Si presume sia grave, la prognosi resta riservata.
"

Mi schiarii la gola. «Potresti fare più in fretta? I bambini mi stanno aspettando in macchina.»

«Le persone sono così crudeli. Cosa volevano i vicini da lui? Perché accoltellarlo così? La gente sta davvero impazzendo.» commentò. Guardai ancora le immagini del ritrovamento, i soccorsi che tiravano fuori il ragazzo sulla barella per caricarlo su un'ambulanza davanti a una folla di curiosi. «Si sta perdendo completamente la testa!»

«Quanto ti devo?»

«Undici euro.»

Gli porsi quello che avevo, raccolsi il resto e uscii in tutta fretta, infilandomi nell'auto.

«Ho comprato succhi e panini. Non aveva nient'altro.»

Misi in moto e all'improvviso Charlie iniziò ad avere un pesante attacco di tosse.
Mi voltai e gli passai la mano tra i ricci, scoprendogli la fronte.
«Va tutto bene? Tesoro, ehi, stai bene?» Il piccolo fece sì senza smettere di divorare il panino. Poi, sbuffai, gesticolando con la mano. «Ah! Abbiamo dimenticato la medicina. Almeno l'ha presa la dose di oggi?»

«Sì. Ha bevuto fino all'ultima goccia.» affermò Anna.

«Comunque... non importa, lo compreremo quando saremo in città.» Mi sistemai meglio sul sedile e mi allungai per prendere il telefono rigirandolo tra le dita. «Che succede? Non funziona?»

Anna deglutì il boccone. «Ci ho provato, ma non sono riuscita a sbloccarlo. Prova tu.» Tenni premuto il tasto con la cornetta verde e lo schermo si illuminò di nuovo. «Mamma, non hai comprato un panino anche per te?»

«No, sto bene così.» Mi spostai nel menù e dopo nella casella messaggi, dicendo tra me e me:
«Denise... Chiamata persa...»
Spensi il motore e feci l'atto di scendere.

«Parlale qui, mamma.»

Feci un cenno con la testa al bambino. «Non c'è campo qui.» Era una scusa, ovviamente. Scesi e mi allontanai abbastanza. Non volevo turbarli più di quanto non lo fossero. Charlie era troppo piccolo e stava già vivendo una situazione paradossale per la sua età. «E' in ospedale, vero? È vivo?»

«E' vivo… o almeno è quello che dicono. Ma ha perso molto sangue ed è in condizioni critiche.» spiegò Denise.

«Quel bastardo merita di morire.»

«Nora. Cos'è successo? Dimmi che ti è capitato da indurti a scappare via così. Ti conosco e non è da te! Senti, non voglio impicciarmi dei tuoi affari, ma… ha cercato di farti qualcosa?»

«Non a me. Ad Anna. Ha... tentato di violentarla.»

«Cosa? Ad Anna? Che stai dicendo? Maledetto bastardo!» spinsi il dorso della mano sulla bocca per frenare i miei singhiozzi. «Anna è ancora una bambina. Una bambina!» Tuonò, seccata. «Come ha osato fare una cosa del genere? Come cazzo si è permesso di toccare quell'anima innocente! Canaglia! Stronzo! Ma...» fece un attimo di pausa, come se le costasse dirlo. «Nora, quindi… l'hai fatto tu? L'hai visto e così l'hai accoltellato?»

Alzai il viso, lasciando scivolare una lacrima sulla guancia.
«Ha messo le mani addosso alla mia bambina. Quindi, se mi stai chiedendo se l'ho fatto.» Assottigliai le labbra mordicchiandole con i denti. «Sí, sono stata io. E lo rifarei mille volte.»

«Ok, cosa intendi fare adesso? Dove andrai?»

«Stiamo andando a Maynooth, da mia zia Joyce. Con l'auto di Henry.»

«Ma, tesoro, sanno che hai preso la sua auto. Il poliziotto mi ha detto che hanno emesso un mandato di perquisizione. Satacceranno tutta l'Irlanda per trovarti. Che farai se vi trovano?»

«Che mi trovino pure. Lascerò i miei figli fuori da questa storia e mi assumerò tutta la responsabilità. La cosa più importante per me è che loro stiano bene e al sicuro. Del resto non m'importa.»

«Oh, santo cielo! Vorrei poterti dire che mi occuperei di loro, ma…»

«Lo so che hai altro da fare. Auguraci solo buona fortuna.»

«Oh, Nora! Maledizione! Anche questo doveva capitarti.»

«Ora devo chiudere. Ti farò sapere qualcosa quando arriverò lì. Ti voglio bene, amica mia.»

«Anch'io, Nora. Pregherò affinché la polizia non vi trovi. Tu fai molta attenzione e dai un bacio ai piccoli. Prenditi cura di te e dammi presto tue notizie, ok?»

«Certo, grazie.»

Staccai la chiamata e tornai vicino alla macchina. Anna non mi lasciò salire e subito cominciò a farmi l'interrogatorio.

«Mamma, che ha detto Denise? Che succede?»

«E' arrivata la polizia e l'hanno portato in ospedale.» risposi girando la chiave per accendere l'auto.

«Quindi è ancora vivo?!» Si lasciò cadere sullo schienale e tirò un sospiro di sollievo. «Speriamo che non muoia. Non voglio che muoia, mamma.» La fissai con gli occhi velati di pianto, per poi distoglierli. «Mamma? Allora torniamo a casa, giusto? Se sopravvive, non dovremmo essere dei fuggitivi. Sarà tutto come prima, vero?»

Le accarezzai la guancia con affetto e mentii. «Certo, lo faremo. Un giorno...»

La ragazzina rincuorata dalla cosa annuí e si allacciò la cintura, così ripartimmo.

~♦~


Dopo un paio di ore, i bambini si erano addormentati provati da tutto quello che avevamo passato, mentre io ero alla guida.

Notai la spia della benzina accendersi, segno che il carburante stava per finire.
Il freddo stava creando una spessa condensa sul parabrezza e nebbiolina fittissima rendeva più difficile la visione della strada.

I miei occhi iniziarono ad appesantirsi e chiudersi tanto da costringermi a sbattere le ciglia più volte al secondo.

Mi sforzavo di tenerli spalancati ed essere vigile, ma alla fine non riuscii più a resistere e cedetti al bisogno fisiologico del mio corpo. Il sonno mi sopraffece, ero ormai allo stremo delle mie forze.

Quando il rumore assordante del clacson mi fece sussultare e spalancare di nuovo gli occhi, la luce intensa dei fanali di un camion mi abbagliò e le ruote stridettero sull'asfalto.

“Continuing...”

Nuova storia che ho iniziato anche su Wattpad e che ha come protagonisti gli attori che vedete nella foto principale: Amybeth McNulty (Interprete di "Chiamatemi Anna", la serie di Netflix) Lucas J. Zumann (Interprete di Gilbert Blyhe nella stessa serie), Timotheè Chalamet e Ashleight Stewart. Questa storia è un misto tra thriller e dramma allo stato puro e spero che la lettura vi appassionerà. Se volete, fatemi avere qualche vostra opinione. 
Baci, Kissenlove.
E scusate tanto per la mia improvvisa sparizione.

   
 
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