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Autore: sakura_hikaru    23/07/2022    0 recensioni
[The Seafare Chronicles by TjKlune]
Di come Oliver ha conosciuto Derrick e di quando è diventato Otter.
Prima che Derrick diventasse Bear e prima che Kid venisse al mondo.
Una storia accennata in "Bear, Otter e Kid" di TJ Klune, primo di una quadrilogia che mi ha spaccato il cuore nel migliore dei modi. Qui il punto di vista di Oliver/Otter.
Leggeteli e amateli che ne vale la pena.
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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È l'inizio dell'estate del 1995.
L'estate tiepida, pigra e affatto “estiva”, quando si parla di Seafare. Nulla di paragonabile a quelle californiane dove, perennemente, il torrido si mischia con il soffocante e con l'asfalto che sembra colare e svenire su se stesso.
Seafare è sull'oceano, nell'Oregon, nella parte verde e apparentemente temperata di quel pezzo di America.
È l'estate dei miei sedici anni. Mancano due anni al mio diploma, anche se non mi angustia tanto il pensiero di quello che farò “dopo”. Mi preoccupa più il presente, la scuola, i miei genitori, il mio fratellino dalla lingua lunga e dalla voce simile al fischio di una nave o, peggio, al richiamo di un gabbiano in calore.
Ha otto anni, è troppo vivace per chiunque e litighiamo spesso. Lui mi dà dello stronzo e io, di rimando, lo guardo con lo sguardo più schifato che riesco a imbastire e gli chiudo la porta della camera in faccia – non che lo faccia mai entrare. Ogni tanto uno “stronzetto” esce anche a me, ma, per chissà quale ragione, il mio riceve regolarmente uno sguardo riprovevole e un richiamo dei miei genitori. Creed – mio fratello, il super stronzetto – immancabilmente riesce a mascherare la parolaccia tra le urla sovraumane che gli escono subito dopo. E se la cava. Nano stronzetto.
Perché non siamo le due fette dello stesso panino?
Sì, immagino stiate pensando a loro. Ma loro hanno sempre avuto un rapporto speciale, qualcosa che dei fratelli difficilmente riescono a vantare. Io e Creed siamo sempre stati più simili ai classici fratelli che si fiutano da lontano, come avversari predatori sullo stesso terreno di caccia.
Beh, almeno finché non abbiamo incontrato lui.
Ma torniamo a quel giorno di inizio estate.

Le vacanze sono appena iniziate e io ozio nel letto fino a tardi, svegliandomi solo al suono della voce agitata ed eccitata di Creed che blatera «...è forte! Vedrete, vi piacerà un sacco, a me è piaciuto subito un sacco ed è il mio migliore amico di sempre!». Sbuffo maledicendo la sirena fastidiosa che mi ha strappato a sogni fastidiosamente piacevoli interrotti poco prima dell'irreparabile: l'unica nota positiva è che potrò fare la doccia normalmente, senza dovermi scontrare con la bestiola che mi chiede perchè tengo il pigiama a quella maniera e io che lo mando a quel paese perché mai che si faccia gli affaracci suoi! Credetemi: vivere in casa con un nano di otto anni che non capisce i drammi di un adolescente in pieno casino ormonale è la tragedia che non augurereste al vostro peggior nemico.
Sbuffo non ascoltando quella voce che continua, in sottofondo, ad essere snervante, e prendo il gameboy che ho abbandonato a terra ieri sera, troppo assonnato per continuare “The legend of Zelda”: ho lasciato Link nel bel mezzo di una foresta, di notte, e non vedo l'ora di continuare.
Quando la musichetta risuona nella mia camera, un flash mi attraversa la mente e il gameboy crolla, con la mia mano, sul materasso, al mio fianco. Ingollo un gemito e mi sento l'intera faccia un fascio di fuoco: Link!
Mi rotolo sul letto, finendo col viso sul cuscino e sperando di soffocare in qualche modo, visto che il sogno che ho abbandonato poco fa è tornato prepotente a ricordarmi chi mi si stava strusciando addosso con mio totale e incondizionato e imbarazzato piacere.
Ah! Perchè, chi voglio prendere in giro? Nel sogno non ero certo immobile come una mummia! Maledetti ormoni adolescenziali!
Mi alzo in fretta e caracollo fuori dalla camera a grandi falcate – le gioie dell'adolescenza che, almeno, ti fa torreggiare sulla bestiola così da poterla infastidire più facilmente quando fa lo stronzetto – e raggiungo il bagno senza incontrare nessuno. Getto qualunque cosa ho addosso nel cesto della biancheria, apro la doccia con forza e mi getto sotto il gettito dell'acqua ancora prima che riesca a scaldarsi quel tanto che mi piace. Ma in questo momento il gettito freddo è forse l'unica cosa utile...

Esco dalla doccia solo mezz'ora dopo – e al richiamo di mia madre che desidererebbe non dover sprecare l'acqua per una semplice doccia mattutina. Mi sono calmato. È tutto dimenticato.
Il là sotto non si ricorda nulla – o, almeno, tenta – di Link e delle sue dita addosso a me...
Maledetto videogioco!

***
È metà pomeriggio e io non ho ancora iniziato il mio solito battibecco con Creed perché sembra troppo preso da qualcosa di più importante di quello stronzo del suo fratello spilungone – parole sue! I nostri genitori sono in veranda a preparare tutto per la cena, Creed, per qualche strano e inspiegabile motivo, si è chiuso in camera sua negli ultimi minuti per fare qualcosa che suona, pericolosamente, come un mettere a posto. Ci credo poco, e dovreste farlo anche voi: Creed è sinonimo di disordine, caos, tifone. Io sarò anche un adolescente che dimentica i calzini tra le cartacce e nasconde fazzolettini fin troppo usati in un cestino ben nascosto sotto il letto... ma Creed riduce camera sua a un disastro. Mia madre è troppo paziente, meno mio padre.
Io penso che il suo tentativo di “sistemare” finirà per fare più danno che altro.
Sono di nuovo al Gameboy, stavolta su un innocentissimo Super Mario, e sto energicamente colpendo quanti più mattoncini possibili – potrei fare un record di raccolta monete – quando il campanello d'entrata risuona breve, quasi incerto.
Dovrei fare l'adolescente che ignora qualcunque cosa al di fuori del proprio campo visivo e uditivo, ma... non sono uno stronzo, non come dice Creed. Sono cresciuto ben educato. Più di mio fratello.
Sbuffo e mi alzo, Gameboy ancora in mano, ed esco dalla camera, scendendo le scale con poca grazia, ignorando le fotografie che ci ritraggono tutti, fin da quando eravamo in fasce, e ci vuole solo qualche secondo per raggiungere l'entrata. Il suono del Gameboy lo riporta sotto i miei occhi, il mio Mario sta per essere ucciso da una tartaruga e io apro, incurante di controllare prima chi sia.
Ma siamo a Seafare e qui...
Sbatto le palpebre un attimo e, lì in basso, più basso di Creed, ci sono due occhi grandi e sparuti che mi fissano come se fossi la cosa più spaventosa esistente sulla Terra. Non è che aiutino quelle spalline che reggono un vecchio zaino dei Transformers (davvero vanno ancora di moda?) e maglietta e pantaloni che, non ci vuole un grande osservatore, sembrano più vecchi e usati dello zaino.
E lui?
Capelli scarmigliati, magro, magrissimo...
Mario deve essere morto, vista la musichetta.
Aggrotto le sopracciglia, più per la scocciatura di dover ricominciare da capo, ma devo avere uno sguardo poco rassicurante.
«E tu chi sei?».
Quegli occhi, già grandi, si fanno enormi e passano dal Gameboy – sorpresa? Curiosità? – a me – timore, timidezza?
Lo vedo ingollare, prima di abbassare lo sguardo e borbottare:
«D-d-derrick». Poi lo sento prendere un grande respiro, come se potesse stare tutto in quel corpicino così piccolo. «C-c'è Creed?».
Ah. Lo stronzetto.
Guardo ancora per un attimo quella testa arruffata – quasi che non si fosse pettinato. Mia madre pettina ancora Creed, ma è una battaglia persa in partenza, visto che le mani di mio fratello sono sempre piene di qualcosa di appiciccaticcio – prima di girarmi verso l'interno di casa e chiamare Creed a gran voce:
«Creed, è per te!».
Torno dentro, lasciando la porta spalancata, quasi percependo un respiro rilasciato, quasi a singhiozzo alle mie spalle. Ma è talmente leggero e i passi di mio fratello sulle scale così pesanti che giurerei di essermelo immaginato.
Mi rinchiudo in camera e faccio partire a tutto volume “To forgive” degli Smashing Pumpkins, almeno fino a quando non sarò richiamato all'ordine per il pranzo – spero che mia madre non abbia fatto nulla di diverso dal solito. Non vorrei che l'amico di Creed decidesse di mollarlo, dato che la cucina di mia madre è a dir poco tremenda (lo pensa anche mio padre, anche se non lo dice). Si limita a preparare poche cose, ormai rodate, ma se azzarda qualcosa di nuovo...
Poco dopo essere tornato a Mario – livello da ricominciare! – sento la voce di mio fratello che sovrasta qualunque cosa, così come i suoi passi. Alzo gli occhi al cielo e mi perdo nel mondo di Mario per almeno una mezz'ora, fino a quando, sopra le note più dolci di “Jagged Little Pill” mi arriva la voce di mio padre a chiamarmi a cena.
Metto in pausa Mario e mi rialzo con uno sbuffo, pregando tutti gli dei di non essere costretto a uscire, poi, a prendere una pizza.
Scendo le scale e sento, oltre la voce di Creed, quella dei miei genitori... e c'è qualcosa che ho sentito solo in occasioni speciali: c'è qualcosa di indefinito, un misto di dolcezza affettuosa, di risate morbide e... non so. Lungo la schiena passa uno strano brivido e ricordo, allora, quando lo stronzetto era un affarino piccolo e tutte risate e fame: rideva e mangiava, muovendo quegli occhi così simili ai miei tra tutti noi. E faceva quei versi che fanno solo i neonati e che tirano fuori un tono ai genitori che, se hai otto anni, pensi che, allora, sarebbe stato meglio prendere un cane.
Non che ora stiano parlando proprio a quel modo, ma... questo moccioso chi è?
Esco in veranda e sono tutti seduti a tavola: qualcosa di fumante simile a una qualche pasta con strane verdure è al centro della tavola. Credo che la pizza sarà inevitabile.
Il mio sguardo scivola dal probabile orrore culinario a Creed, totalmente perso a parlare con il ragazzino strano che, con un sorriso incerto lo guarda, mentre, con la coda dell'occhio e un rossore che va e viene sulle guance, sembra volersi volgere verso di me.
Mi hanno lasciato il posto tra mia madre e lui e devo solo passare dietro di lei per raggiungere la sedia e sedermi con un sospiro.
«Derrick, hai già conosciuto Oliver?» lo apostrofa mio padre come se non fossi capace di presentarmi. Ma come ci si presenta a un moccioso?
È una mia impressione o si è teso lentamente?
Ora che lo vedo più da vicino, è un fascio di nervi e ossa. È pallido come un cencio e così quegli occhi scuri come castagne sembrano ancora più spauriti, anche se il rossore sulle guance li macchia di un qualche lucore che non mi spiego.
Fa un cenno affermativo e da quella bocca appena rosata, che sembra tempestata dal segno dei suoi morsi, esce una vocina flebile:
«s-sì, l'ho conosciuto».
Non che ci siamo presentati.
«Lui è il mio amico Derrick» fa lo stronzetto e sento una punta di... cosa? Possessività? Da quando in qua?
«... ok».
Che dovevo rispondere?
«Derrick, sicuro di non voler chiamare a casa?» fa mia madre.
Allungo una mano, recalcitrante, lo giuro, verso la cosa fumosa al centro della tavola e sobbalzo, di riflesso a un tocco nervoso sulla gamba.
Mi volto sorpreso e colgo lo sguardo spaurito e imbarazzato del moccioso che guarda tra me e mia madre, incerto di dove voler posare lo sguardo.
«N-no. Mamma ha da fare».
Ecco che si morde il labbro inferiore e scende con lo sguardo sul suo piatto, prima di voltarsi verso di me con un singhiozzo: ci fissiamo l'un l'altro negli occhi e, non chiedetemi cosa, ma un angolo della mia bocca trema per alzarsi in un mezzo sorriso.
Lui forse lo capisce, forse no.
Ma arrossisce e... trovo quel moccioso carino.
«Tanto sta qui da noi tuuuuutta la notte e domani, visto che siamo in vacanza, stiamo tutto il giorno assieme, vero, Derrick?».
Creed è agitato, come sempre, ma ha negli occhi un affetto che scivola addosso a quel ragazzino come una valanga inarrestabile.
E lui la sente tutta.
Scuote la testa con energia, per la prima volta come se, finalmente, mostrasse al mondo quanto pieno di vita sia.
Mi riscuoto da quell'osservazione e torno a fissare, probabilmente con un certo cipiglio, la mia (prima) cena che, finalmente, infilo nel mio piatto.
Grandioso. Pasta pallida e qualcosa che sembra ricordare il campo di battaglia di cervella fatte di piselli e cavoli! Gioite per me.
«Ah, sai, Oliver, cos'ha detto prima Derrick?». Mi volto quasi sorpreso verso Creed che, per una volta, mi rivolge la parola senza quel tono noioso e irritante.
«Cosa?».
Il mio sguardo scivola da mio fratello al ragazzino e, quell'energia che gli ho visto poco fa pare trasformarsi in un terremoto. Il suo sguardo enorme si sposta tra me e Creed con una velocità che non gli credevo possibile, mentre il suo pallore scompare sotto una vera e propria lava di rossore. La voce se ne è andata.
Poverino...
«Che credeva che tu ti chiamassi Otter».
La voce di Creed scoppia come una bomba in una risata, seguita da quelle più trattenute – ma non troppo – dei miei genitori.
Otter... lontra?
Credo che, se potesse seppellirsi sotto terra, lo farebbe volentieri.
Questo... Derrick... mi guarda come se potessi mangiarlo.
Ed è vero che ho fame e quello che ha preparato mia madre... vabbè. Ma...
«C-c-c-credevo...» un pigolio che sento oltre la voce ilare di mio fratello. «D-d-di aver letto... Ot-ter... non... O-o-oliver... sulla porta...».
Ah, sì. Si vorrebbe proprio sotterrare.
È così rosso e piccolo e innocente... che vorrei quasi stringerlo.
Invece – perché sarebbe troppo strano e mio fratello credo mi mangerebbe le mani... e, forse, a buon ragione – faccio un sorriso, mezzo... sghembo. E lo guardo fissarmi, occhi liquidi e così intensi, e il calore delle sue guance dev'essere enorme che, quasi, sembra mettersi a piangere.
E, invece, sorride.
Piccolo, minuscolo sorriso.
Ma c'è.
Faccio un respiro e lo trattengo. Il cuore salta in maniera strana in gola.
Rilascio l'aria e ritrovo il mio equilibrio.
Stavo cadendo?

Otter.
Mi... piace.

  
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