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Autore: sakura_hikaru    23/07/2022    0 recensioni
[Green Creek - T.J. Klune]
Fic nata da un esercizio giornaliero intitolato "creatura" del gruppo "Fondi di caffè" di facebook.
Come spesso accade, una storia nasce in un modo e poi... lei fa quel che vuole.
Ambientata durante Ravensong. Kelly e Robbie si incontrano nella foresta e il giovane Bennett non è felice di aver interrotto la sua caccia solitaria.
Robbie, invece, è Robbie. Semplicemente.
Genere: Angst, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era la foresta a sussurrare, sempre.
Pareva un essere immoto, passivo a uno sguardo superficiale.
Ma la foresta brulicava di vita, respirava, tendendosi verso ogni direzione al respiro di ogni suo albero, di ogni suo abitante, della terra e dell'acqua e dell'aria che permeavano i suoi confini.
La foresta era viva, ed era magica.
Il giovane uomo camminava solo, con le mani infilate in tasca, il capo che si muoveva, di tanto in tanto, da un lato all'altro della spalla, a saggiare con gli occhi, le orecchie e il naso ciò che la foresta aveva da offrire.
Si muoveva lento, piuttosto rigido, memore ancora di un viaggio durato tre anni dove quella pace era stata solo un lontano desiderio. I passi saggiavano il terreno, ne riconoscevano la morbidezza nel fango, il crepitare delle foglie secche sotto i piedi, il vibrare a ritmo costante del cuore della foresta.
Kelly alzò il viso verso il cielo e prese un lungo respiro, saggiando sulle labbra il sapore del muschio e del sole tra le fronde, la rugiada sui fiori e l'umida linfa sulle cortecce.
Si sentì vivo. Tremendamente vivo.
Con un gesto veloce, le mani andarano alla giacca, poi alla maglia e ai pantaloni. E fu un attimo che si ritrovò con la pelle accarezzata dal vento, i piedi affondati sull'erba e... l'ululato in fondo alla gola.
Umore di ossa che si schiantavano, un lieve grugnito e non vi era più l'umano Kelly, ma il lupo: grande e slanciato, più piccolo dei fratelli, aveva macchie bianche e nere che gli coloravano il muso fino alle spalle, rendendo il suo sguardo più intenso e, al tempo stesso, malinconico. Poi, era tutto un manto grigio, scuro come quello di Carter, zampe enormi che lasciavano chiare impronte sul terreno umido.
Gli occhi sbatterono, da azzurri divennero un arancione brillante.
Il lupo beta era vigile, eppure pronto a gettarsi nella foresta, a correre tra le radici degli alberi più antichi. Sentire ogni cosa con intensità moltiplicata all'infinito. Assaporare la gioia di essere lupo, di essere vivo, di essere libero.
Le grandi zampe si mossero verso un punto indefinito, come a fiutare qualcosa, una preda?
La corsa partì all'istante.
L'uomo Kelly era lì, sempre presente, ma da lupo l'istinto e i pensieri erano semplici, intensi, sinceri.
Erano

acqua fango aria erba

e

gioia caccia preda mia

Puntò una scia, una piccola lepre, e corse, corse per la gioia di correre, di essere nella loro foresta, col pelo accarezzato dal sole e l'odore di suo padre e del brancobrancobranco.
Il guizzo, là sulla destra, e lo scarto nelle zampe di Kelly fu improvviso, pronto. Si accorse appena di un altro odore, famigliare eppure sconosciuto, ma non percepì pericolo e così non frenò lo slancio e la gioia.
Un altro guizzo, sotto un cespuglio, così vicino.
E la bocca di Kelly si dischiuse, mentre le zampe posteriori si piegavano per prendere l'energia della spinta.
Fu un attimo.
Le grosse zampe, poi il muso e il resto del corpo piombarono sul cespuglio e sulla preda.
Ma la preda... non era la preda.
Sotto il suo corpo, stretto tra le sue grosse zampe, c'era un lupo.
Uno sciocco lupo.
Kelly ringhiò, con la voce più profonda e minacciosa che riuscì a trovare.

Sciocco, vattene via

Il lupo, dal manto grigio-argentato, più piccolo di lui e, quasi, smilzo, non si mosse, dimenando appena la coda, con un'espressione che, da umano, Kelly avrebbe potuto definire come “patetico”.

La mia preda

Kelly scusa stupidoconiglio

Il lupo più grosso sbuffò, l'entusiasmo si era smorzato, dissolvendosi nell'aria per colpa di quell'interruzione. Per un attimo pensò di sedersi direttamente addosso a quello sciocco piccolo lupo, mozzandogli l'aria dalle zanne e togliendogli quell'espressione tremendamente irritante dai canini. Poi, però, decise che era troppo al di sopra anche di quel tipo e, scavalcato il piccolo lupo, tornò nella direzione da cui era arrivato.

Kelly aspetta coniglio caccia con me

Il grosso lupo degnò l'altro di un breve sguardo brillante, sbuffò, più da umano che da lupo, e tornò a ignorarlo.

Sciocco lupetto

KellyKellyKelly

Stavolta, il grosso lupo grigio si girò di scatto e ringhiò un avvertimento: era paziente, più dei suoi fratelli, ma anche lui aveva dei limiti. E Robbie Fontaine riusciva sempre a oltrepassarli.
Il lupo più piccolo, un fascio di nervi ed energia, si acquietò, sedendosi a terra, lo sguardo incollato alla schiena che si allontanava oltre quel gruppo di felci. La sua coda continuava a muoversi, sbattendo allegramente su un mucchio di foglie secche. Sapeva che dava un po' sui nervi a Kelly (mai come a Joe), ma non riusciva a non farlo.
Era come un coniglio. E il lupo Robbie adorava i conigli. Anche se spesso non riusciva a catturarli. Stupidi conigli.
Il lupo Robbie era un lupo, ma non era un grande cacciatore.
Ma Kelly... Kelly lupo e Kelly umano gli facevano battere la coda a terra, ogni volta, e quando lo vedeva in officina finiva sempre per cadere per terra o andare a sbattere contro qualcosa.
Kelly faceva fare cose stupide a Robbie.
Faceva sentire un po' stupido Robbie.
Faceva ammattire Robbie, ma nel modo giusto.
Robbie pendeva dalle labbra e dalla punta della coda di Kelly.
Per questo, Robbie lupo gli andò dietro, coda scodinzolante, e corse per raggiungere il suo passo un po' altero, un po' nervoso.
Kelly si volse di nuovo, digrignando i denti.

Vai dalla lepre, lupetto

Kelly seguo Kelly andiamo a casa Kelly

Robbie gli si fece vicino, ignorando le zanne, zampettando davanti a lui, con aria giocosa, quasi come quando era un cucciolo e tutto il suo mondo era sua madre.
Ma Kelly lo ignorava di proposito, un po' tronfio della sua mole che gli permetteva di tenere lo sguardo al di sopra di quella testa argentata.
Era talmente impettito che il salto improvviso di Robbie sul suo fianco lo colse impreparato, mozzandogli il fiato di gola e facendolo rotolare una volta sulle foglie. Robbie lupo, con l'aria felice di chi aspetta una risposta, sedeva nell'erba, la coda che smuoveva le foglie, sollevandole in aria, la bocca aperta con la lingua penzolante.
E lo guardava, con quell'aria felice di chi vede la cosa più bella della giornata – forse, come guardava la lepre che catturava, quando gli accadeva.
Kelly, per un motivo che non si spiegava, si risentì più per quello sguardo che per il ruzzolamento fuori programma, e, in una manciata di secondi, tornò a essere umano.
Si alzò, ergendosi sopra il lupo argentato con una smorfia che conteneva troppe cose, molte delle quali lui stesso non si spiegava.
«Non capisci quando è troppo?».
Di certo, Robbie non l'aveva capito. Ma uggiolò al suo tono troppo ruvido e, sì, Kelly capì di essere stato lui quello... troppo.
Scostò il capo e lo sguardo, mosse qualche passo in avanti, giungendo al fianco del lupo, la coda immobile, il muso puntato sulle foglie secche.
Qualcosa nel petto di Kelly si strinse e, nonostante la sua alterigia (che non aveva senso, perché lui non era così), abbassò il capo e sussurrò: «scusami».
Si allontanò a grandi passi, le mani si strinsero a pugno: qualcosa continuava a pungolare dentro, qualcosa che voleva e non voleva ascoltare, perché lui lo aveva già e non aveva bisogno-
«Kelly, aspetta!» la voce umana di Robbie, alle sue spalle. I passi di Kelly si fermarono, sopra le loro teste qualche uccellino cinguettò indisturbato, uno scoiattolo trotterellò tra due rami.
Erano soli, la foresta era l'unica testimone.
«Cosa c'è, Robbie?».
Il tono di Kelly era di nuovo normale: altero, rigido ma non cattivo.
A quello Robbie era abituato.
«Scusami... volevo... ecco» sentì il crepitare di foglie sotto i suoi piedi nudi. Come una calamita, il capo di Kelly si volse verso di lui. Gli occhi verdi di Robbie si dilatarono su di lui prima di scendere a terra con quel fare sottomesso che provocava sempre un uggiolio profondo nella gola di Kelly.
«Cosa?».
«Mi... diverto se siamo assieme. Io e te».
L'uggiolio si volse in un ringhiò gutturale, intenso.
La bocca di Kelly si aprì e si richiuse un paio di volte, prima che potesse dire qualcosa di sensato.
«Mi hai rubato la preda».
Avrebbe potuto anche fare un broncio e la cosa avrebbe funzionato perfettamente.
«Non volevo. E poi è sfuggita anche a me».
«Ovviamente».
Il viso di Robbie si colorò vistosamente.
«Non sono bravo come te nella caccia».
Kelly si ritrovò con una smorfia divertita sulle labbra. Come? Non lo sapeva proprio.
«Sei tutto pelle e ossa, lo so benissimo».
Quello avrebbe dovuto indignare Robbie, ma, chissà come, le sue esclamazioni erano imbarazzate, insensate e poco credibili.
E Kelly li vedeva, i suoi occhi. Si alzavano e si abbassavano su di lui. Erano entrambi nudi (e chissà dove il lupetto aveva lasciato i suoi abiti e i suoi occhiali da hypster!) ma era normale. Capitava ogni luna piena e, beh, ogni volta che si trasformavano. Robbie era lupo da sempre e si faceva tutti quegli scrupoli?
«Senza quegli occhiali sembri quasi un lupo rispettabile...».
Kelly tornò a guardare in avanti e si chiese quando come e dove avesse cominciato a prenderlo in giro in maniera tanto ostentata: era colpa di Gordo e di Rico, certo. Che si prendevano gioco di lui, anche se lo adoravano come se fosse il fratellino che non avevano mai avuto.
Kelly alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
«Spero tu non abbia lasciato i tuoi abiti dall'altra parte della foresta, perché non ti accompagno a prenderli».
«S-sono vicino a casa!».
E Robbie rispondeva mezzo balbettando, con frasi a volte troppo brevi. E dire che con Gordo e gli altri aveva una lingua talmente lunga...
Proseguirono la passeggiata in silenzio, Robbie costantemente alle sue spalle, lui e il suo sguardo che scivolava addosso alla sua schiena e poi a terra, trattenendo un ringhio incomprensibile.
Giunsero nei pressi del luogo dove Kelly si era spogliato e incontrarono Rico e Chris che si stavano allenando.
Subito fu uno scatenarsi di parole.
«¡Dios mio! Io non mi abituerò mai! Ma non avete degli abiti? Siete umani, lobos! Vestitevi, una buona volta!»
Kelly alzò un sopracciglio e poi fece spallucce, chinandosi a raccogliere i vestiti abbandonati e proseguendo verso casa.
Robbie, guardando Rico e poi Chris, fece spallucce, guadagnandosi un «¡ay, lobito! I miei occhi!» da parte del primo. Chris alzò gli occhi al cielo.
Avanzarono ancora, la casa ormai vicina. Robbie raccolse i propri abiti sotto lo sguardo di Kelly, ormai mezzo vestito.
«Perché mi segui?».
Gli uscì così, perché era una domanda che da tempo lo perseguitava. La domanda E Robbie.
«Perché anche io sto andando a casa».
Le risposte di Robbie a volte erano spiazzanti.
«Non ora. Intendo...» le braccia di Kelly si mossero a indicare qualcosa di indefinito. «Sempre».
«Oh». Robbie arrossì, fino alle orecchie. «N-non ti seguo... sempre. Qualche volta».
«Sempre» rispose secco Kelly. «Ogni volta. O segui me o segui Ox. Ma Joe te lo impedisce, il più delle volte. Così sei quasi sempre dietro a me».
«N-non è v-vero».
Anche la punta del naso era rossa. Come quella di Babbo Natale.
«Dillo al mio sedere».
Non l'aveva detto con troppa ironia, anzi. Gli era uscita molto spontanea.
Ma Robbie non resse e scappò in casa.
Kelly sbattè le palpebre, poi sospirò: era l'unico del branco che anche da lupo non riusciva a comprendere. Era strano, stranissimo. Ma la cosa più strana era che con lui si comportava in maniera completamente diversa... con gli altri sembrava se stesso.
Finì per infilarsi la maglietta, sistemandosi sovrappensiero i capelli, tornati lunghi come un tempo. Girò una ciocca tra le dita, con occhi semichiusi, ma li rialzò subito alla sensazione di uno sguardo spudorato appiccicato addosso.
Eccolo lì. Con quegli sciocchi occhiali da hypster, gli occhioni verdi e i capelli privi di una forma sensata.
Robbie.
Kelly sospirò, lanciandogli uno sguardo d'avvertimento, ma quando quello gli rispose con un sorriso sognante lui si paralizzò, sentendo per un momento un intenso profumo di corteccia nei polmoni: cos'era quello?
Si massaggiò la nuca, nervoso e confuso, e forse Robbie trovò che quel gesto fosse un invito, perché se lo ritrovò in piedi sulla veranda, il suo sguardo sfrontato un ricordo dietro alle lenti, i piedi nudi che parevano incapaci di ricordare cosa fosse la coordinazione.
Come da manuale, anche quel giorno Robbie cadde ai suoi piedi: scivolando, annaspando, guaendo e infine capitombolando come un lupetto alle prime armi.
Kelly si ritrovò a fior di labbra una risata, ma si frenò al più sguaiato scoppio di risa dall'interno della casa.
La bocca di Kelly si stese in un'espressione compita – non certo per nascondere la propria di risata, proprio no – ma ebbe almeno il cuore di accovacciarsi di fronte al ragazzo, il capo inclinato a cercare di comprendere quale legge fisica Robbie avesse usato per ritrovarsi in quella posizione.
«Magari se abbandonassi quegli inutili occhiali non finiresti per perdere l'equilibrio ogni volta...».
Il verde dei suoi occhi si sollevò a fissarlo con un'intensità fastidiosa. Kelly ingollò, incosciente, si morse appena le labbra e scostò lo sguardo.
«Non sono gli occhiali a farmi perdere l'equilibrio».
Il mormorio di Robbie non era tale che le parole fossero solo per le orecchie di Kelly – tanto più che i lupi sentivano rumori più lievi da distanze ben più importanti – ma qualcosa impedì che le boccacce presenti in casa se ne stessero zitte e mute.
«E... cosa sarebbe?».
Gli occhi di Robbie si fecero di una gradazione più scuri, l'espressione lievemente più seria. Kelly, che lo guardava di tre quarti, ingollò, di nuovo. Il battito del lupo argentato era più rumoroso del solito, eppure anche più sicuro.
Una manciata di secondi passarono, poi il verde si rischiarò e la punta del naso di Robbie bruciò come un piccolo sole.
«Non lo so».
Quel cuore, infingardo cuore di lupo argentato, aveva mentito.
Lo sapeva.
Kelly non si sentì troppo in colpa quando spinse via Robbie – troppo vicino, troppo sciocco, troppo... – né quando Gordo infierì su di lui con un “lupetto scemo”, graziandolo di uno scapellotto sulla nuca piuttosto rumoroso.
Davvero, Kelly non si sentì proprio in colpa. Piuttosto, sentì qualcosa che non aveva mai sentito e, con un brivido, la ricacciò sotto un mucchio di foglie secche.
Ancora non immaginava che un certo lupo argentato adorava rabbuffare proprio le foglie secche... e che sarebbe toccata anche alle sue, prima o poi.

  
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