Videogiochi > Uncharted
Ricorda la storia  |      
Autore: _Lightning_    28/07/2022    8 recensioni
"Nathan sa perfettamente quale sia la sua paura più profonda.
Proprio per questo, evita di pensarci attivamente, perché la considera di una banalità tale da far impallidire il miglior romanzo adolescenziale abbandonato nei cestoni delle offerte dei Walmart."

[pre-Uncharted 4 // Nate&Sam // Introspettivo // Malinconico // Un pizzico di fluff // Rapporto fraterno]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nathan Drake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

✧ ✧ ✧

 
“It won't pull me down
The weight of impossible days
I'll stand tall
I'll rise up and carry us all the way”
 

Nathan sa perfettamente quale sia la sua paura più profonda.

Proprio per questo evita di pensarci attivamente, perché la considera di una banalità tale da far impallidire il miglior romanzo adolescenziale abbandonato nei cestoni delle offerte di Walmart. Solo che, per quanto vi getti sopra ogni giorno un abbondante strato d'incuranza e cecità mirata, quella finisce sempre per tornare a galla, appena visibile con la coda dell'occhio, come una boa mal ancorata e sospinta su e giù da onde inquiete.

Sarebbe di per sé una paura trascurabile, quasi scontata, se attribuita a una persona qualunque, una di quelle paure che prima o poi fanno capolino nell'inconscio di chiunque, per poi essere sedate dalla logica o smentite dai fatti.

Quando però tua madre si è suicidata nonostante avesse due figli ancora bambini, e tuo padre ti ha sbolognato meno di tre mesi dopo in un orfanotrofio cattolico, e le suore ti hanno ripetuto per anni di essere su una strada di perdizione senza ritorno, e tuo fratello si è fatto carico di te nonostante fosse poco più di un ragazzino lui stesso...

Beh, è a quel punto, che la paura di essere un peso per gli altri diventa molto più che tangibile, costantemente in agguato tra le pieghe dell'inconscio. Nathan ci prova, a non pensarci. Ma in fondo alle retine, a volte, gli balena un fotogramma in modo quasi ossessivo.

Lui e Sam mano nella mano, di fronte al cancello del Saint Francis in una giornata bigia di ottobre – perché papà non si era nemmeno degnato di accompagnarli all'interno, scaricandoli come bagagli smarriti di fronte alla dogana. Come spazzatura di fronte alla discarica. Ricorda, Nathan – c'era un profumo di caldarroste nell'aria, unito a zaffate fredde di ozono e foglie marce accatastate lì intorno – nella sua memoria di bambino di cinque anni, ricorda di aver alzato la testa verso Sam.

A dieci anni gli sembrava già un adulto, alto com'era, con quel volto accigliato, gli occhi stretti dalla diffidenza e la bocca sempre storta in uno sfoggio d'ostilità contro il mondo, un gatto selvatico col pelo dritto. E ricorda che Sam, in quel momento, aveva abbassato lo sguardo su di lui e aveva sorriso rassicurante, stringendogli la mano.

Prima del sorriso, però, c'era stato un lampo infinitesimale d'incertezza, un battito di ciglia che aveva suggellato un unico fatto: adesso erano soli.

Anni dopo, su un molo del porto di Boston, col giacchetto di jeans di Sam a scaldarlo dalla notte umida e la prospettiva di una vita in fuga, senza casa, senza legami – solo anni dopo Nathan aveva ripensato a quella giornata uggiosa, capendo che sulle spalle di suo fratello si poggiava anche il suo mondo, e che lui lo sorreggeva senza un lamento.

Con quella consapevolezza maturata nel tempo, è difficile dimostrarsi contrariati od opporsi quando Sam accetta lavori da solo, lasciandolo a Boston. È difficile imporsi sul comprare un volume di storia precolombiana, se Sam vuole comprare qualche accessorio per la sua moto coi pochi soldi della cassa comune. È difficile convincerlo a partire insieme con Sully per qualche avventura in capo al mondo, quando Sam preferisce chiaramente lasciarli per conto loro.

È difficile, perché Sam ha sacrificato metà e più della sua vita per lui, e Nathan non può pretendere che rinunci anche al poco che continua a dedicare a se stesso. Non può privarlo di quei momenti per sé, di quelle rare volte in cui può star solo coi suoi pensieri senza il suo fratellino costantemente alle calcagna di cui preoccuparsi. Senza quel fardello che gli pesa sulle spalle anche nel sonno e che gli ha incurvato la schiena già alla soglia dei venticinque anni.

Quindi Nathan, quelle rare volte che sono in pausa tra un viaggio e l'altro, si fa piccolo. Quando sono impegnati nella ricerca dell'ennesimo reperto o a esplorare qualche rovina perduta, Nathan riempie il silenzio di esplosiva vitalità, spara a raffica fatti e informazioni utili sulle più disparate civiltà, salta e si arrampica e si scapicolla e si getta nel pericolo a testa bassa – perché deve farlo, quello è il suo ruolo, è il suo essere utile.

E gli piace anche da impazzire, è una delle poche cose che lo fa sentire davvero vivo.

Quando sono nel loro monolocale sgangherato a Boston, però, si accoccola sul pouf rimediato chissà dove e legge e disegna in silenzio accanto alla finestra. Si incunea nella quiete e spegne con un interruttore tutta l'esuberanza e parlantina ed entusiasmo che lo animano quando sono in giro, come un giocattolo a molla che attende la ricarica. 

Nathan si ferma, in quei momenti.

Legge e disegna per ore e Sam dorme, gironzola per casa, sfoglia riviste di moto, mangia cibo spazzatura, si fa una doccia, fa pesi e flessioni in salotto, guarda un documentario sulla tv a tubo catodico, torna brillo da una serata con qualcuno, fuma una sigaretta buttato sul pouf di fronte al suo. In quei momenti, è come vederlo vivere una vita senza lui – Nathan non ha mai capito cosa gli provochi, quell'idea, ma si sente sempre due mani che gli affondano nel petto e tirano in direzioni opposte, aprendoglielo a poco a poco con un senso di vuoto.

Sollievo, ma anche angoscia, mischiate così profondamente da dargli quasi la nausea.

Però Sam, alla fine, torna sempre lì davanti a lui. Come adesso, seduto scomposto sul suo pouf, con una sigaretta in bocca e lo sguardo perso fuori dalla finestra. Una giornata uggiosa, molto simile a quella di quindici anni fa, picchietta i vetri di pioggia e rispedisce indietro i loro riflessi. 

Nathan continua a scarabocchiare sul suo quaderno, un occhio che legge su un libro la descrizione di un qualche manufatto Moghul e l'altro che segue il movimento della matita sul foglio nel tentativo di replicarlo minuziosamente.

E a volte, spesso, la matita si stacca da quell'esercizio e prende a disegnare cerchi, distrattamente, finché non si distoglie del tutto dal disegno principale e uno di quei cerchi non assume un contorno più spesso e definito; al suo interno appaiono linee frastagliate di continenti e oceani e poli, e una riga orizzontale all'equatore.

Sotto di esso, appena accennata, un'ombra informe a cui non dà fattezze umane. Si acciglia senza volerlo, stringe la presa sulla matita.

«Che disegni?»

La voce di Sam è un po' arrochita dal fumo e dal lungo silenzio, ma Nathan vi sente un sorriso di curiosità. Alza lo sguardo e lo vede premere agli angoli della bocca di Sam, gli occhi socchiusi in quella sua espressione da gatto contento acciambellato nel suo posto preferito.

Sorride a sua volta e abbassa le ciglia a schermare gli occhi, inclinando un po' il quaderno verso di sé per celarne le pagine. Un imbarazzo del tutto innecessario con suo fratello, che di lui sa anche più di quanto sappia lui stesso, ma prende comunque a strattonare l'anello di Drake sempre appeso al suo collo, in quel tic che non riesce a togliersi.

«Niente di che. Un khanjar Moghul del diciassettesimo secolo, impugnatura in giada e rubini, lama decorata con koftgari d'oro... a occhio e croce un anno e passa di affitto e spese.»

Sam sbuffa divertito e allunga una mano verso il quaderno, piegandolo di nuovo per sbirciare il disegno. Nathan non si sottrae, ma tiene un pollice strategicamente poggiato sullo scarabocchio nell'angolo. Sam lo nota subito e glielo scosta, inarcando un poco le sopracciglia nel riconoscere un globo terrestre.

«È un messaggio implicito per dirmi che ti sei rotto le scatole di me e Boston e vuoi girare il mondo in cerca di reperti Moghul?» ridacchia poi, senza alcun astio.

Nathan lo fissa quasi stralunato. Lui, rompersi le scatole di Sam? Si chiede, per un istante, se non intenda il contrario, se non vi sia una doppia chiave di lettura in quelle parole... ma no, il sorrisetto di suo fratello è genuino, la luce nei suoi occhi nocciola è limpida, il modo in cui si ravvia all'indietro i capelli diventati troppo lunghi è rilassato.

«Tu no?» ribatte, senza la vivacità con cui accoglie di solito quelle proposte – e Sam se ne accorge, sa perfettamente che se ne accorge.

«No,» risponde lui, per poi inclinare di lato la testa a correggersi. «Cioè, no, non mi sono rotto le scatole, e , non mi dispiacerebbe comunque qualche lavoretto in capo al mondo. In ogni caso sarei con te, no? Chi se ne frega di dove siamo.»

Lo dice ridendo piano, con una tale naturalezza che Nathan abbassa lo sguardo, un po' troppo velocemente.

«Sì, giusto,» risponde in ritardo con un sorriso frettoloso, realizzando di aver mancato il tempismo giusto per qualche battuta che Sam, chiaramente, si aspettava. «Cosa faresti senza di me?»

Nathan è consapevole di quanto poco ironico sia il tono di quella frase e Sam si fa serio per un istante. Batte lento le palpebre come a riscuotersi, un felino che studia la situazione mettendone a fuoco i singoli elementi – Nathan rivede, in controluce, quella stessa espressione di quindici anni fa, davanti all'ingresso dell'orfanotrofio. Dura un attimo, un frullio di ciglia, come ali che spiccano il volo e lasciano andare un pensiero.

«Non voglio nemmeno pensarci,» replica a bassa voce.

Il suo sorriso da gatto si addolcisce, prima di diventare più amaro a celare più di un non detto, di quelli che spesso fanno male a entrambi. Perché, dopotutto, quella strada l'hanno sempre percorsa insieme, consapevoli di essere l'uno il mondo dell'altro, nel bene e nel male.

Nathan deglutisce in silenzio, scontradosi per un istante contro gli occhi intensi di suo fratello. Abbassa subito lo sguardo sul suo quaderno, sul globo pesantissimo che ha disegnato e che adesso, dopo le parole di Sam, gli sembra di percepire a sua volta al centro della schiena – ma è sempre stato lì, forse, da quel momento di fronte alle porte del Saint Francis.

La punta di grafite riprende a grattare contro il foglio, costante, riempiendo il silenzio di un rumore sottile.

«Allora,» esordisce Sam dopo un po' a voce più alta, dopo essersi schiarito la gola. «Dove sarebbe questo pugnale?»

Nathan scrolla le spalle – ora le sente più leggere, o solo più abituate, o consapevoli, non lo sa – e fa un sorriso sghembo.

«Al Louvre.»

«Oui, una sfida, mi piace.»

Sam si trasferisce dal proprio pouf al suo, scansandolo di lato senza tante cerimonie per leggere la pagina del libro in merito. Nathan alza gli occhi al cielo.

«Certo, ci mancano giusto le carceri francesi alla lista. Vuole che prenoti una cella già da ora, monsieur?»

«Prenotala singola,» ribatte Sam, con una gomitata nel fianco e un sogghigno furbo.

Nathan ricambia con una stoccata della matita tra le costole.

«Per te? Subito.»

Nel giro di pochi secondi, il bisticcio verbale diventa fisico: libro e quaderno scivolano dalle ginocchia di Nathan e i due fratelli finiscono ad azzuffarsi per terra a spintoni e strattoni giocosi, a cui si unisce qualche colpo di solletico a tradimento da parte di Sam, finché Nathan non è costretto a capitolare per salvarsi dall'asfissia, con un corredo di insulti da far impallidire uno scaricatore di porto.

Si tira su da terra ancora ridacchiando, seduto ai piedi del pouf, accanto a Sam, altrettanto senza fiato. All'improvviso, suo fratello gli getta bruscamente un braccio attorno alle spalle e lo stringe a sé, rapido, una mano che gli arruffa i capelli sulla nuca e l'altra che gli dà una pacca sulla schiena.

Rimane così per un istante, il tempo di un respiro profondo – e Nathan rimane immobile e sa che, in qualche modo, Sam ha capito tutto, o almeno l'essenziale.

La paura riscivola sul fondo, insabbiata, e Nathan chiude gli occhi. Vorrebbe dire qualcosa, ma sarebbe di troppo, sarebbe superfluo. Gli regala invece un mezzo abbraccio altrettanto impacciato, che si intreccia nel suo con lo stesso, immutabile significato: non me ne vado.

Sam lo spintona via e si alza in fretta, passandosi in modo discreto, ma non abbastanza, una nocca sotto la rima degli occhi. Si schiarisce con veemenza la voce.

«Allora, vediamo se ho ancora quelle vecchie planimetrie del Louvre da qualche parte...»

Gli offre la mano e Nathan la accetta, alzandosi per aiutarlo nella ricerca. Getta uno sguardo a terra, al quaderno ancora aperto sulla stessa pagina.

Nell'angolo della pagina, stilizzate ma riconoscibili, due figure umane sorreggono il globo sulle loro spalle, fianco a fianco.

 



 
“Don't give up now, there's already so much at stake
If Atlas falls, I'll rise up and carry us all the way”

[Shinedown – Atlas Falls]

 
✧ ✧ ✧
 

Note dell'Autrice:

Cari Lettori (?)
Ho già detto che amo Sam? Beh, se non si fosse capito, lo amo tantissimo e questo è un altro piccolo omaggio indiretto al suo personaggio.
Ha mille difetti, ma proprio per questo è estremamente interessante da scrivere, soprattutto attraverso gli occhi di Nathan.
In merito a quest'ultimo, amo sviscerare la sua parte più dark, perché con esperienze di vita del genere, sfido a negare che abbia la sua bella dose di paure e insicurezze – e qui siamo addirittura prima che perda Sam. Ovviamente, le battute sulla prigione assumono altri connotati se si pensa a ciò che succede in U4, ma prendetelo come un bisticcio leggero senza alcun riferimento al fattaccio.
Quindi, niente, spero che questo approccio un po' meno angst del solito vi sia piaciuto e, se così, un commento fa sempre piacere ♥

Alla prossima su questo fandom disabitato,

-Ligth-

P.S. La storia è stata concepita, scritta e pubblicata nel giro di due ore, quindi la revisione è praticamente inesistente. Mi è uscita di cuore e ho voluto lasciarla così ♥




 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Uncharted / Vai alla pagina dell'autore: _Lightning_