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Autore: Nao Yoshikawa    31/07/2022    2 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo trentasei
 
Qualche mese dopo…
 
Orihime era in ansia, ma una di quelle ansie positive che precedevano un lieto avvenire. Il viaggio in auto era stato silenzioso, eccezion fatta per Kiyoko che ultimamente era diventata molto loquace. Con la sua fidata macchina fotografica legata al collo, la bambina poneva molte domande a cui i suoi genitori non sarebbero stati in grado di rispondere, non ancora almeno. Ulquiorra era sempre il più bravo a non lasciar trapelare il nervosismo, al contrario di sua moglie. Orihime infatti non faceva altro che agitarsi sul sedile, mentre fantasticava.
«Orihime, ricordati di respirare» le suggerì Ulquiorra.
«Ma non ci riesco! E se non dovessimo piacergli?» domandò lei preoccupata.
Quello era il giorno in cui finalmente avrebbero conosciuto e portato a casa con loro il bambino che avevano preso in affido. Orihime non vedeva l’ora, ma allo stesso tempo aveva paura. Anche quando aspettava Kiyoko aveva avuto paura: di non essere capace. Ora che aspettava di conoscere quel nuovo membro della famiglia, le paure erano praticamente le stesse e anche nuove.
«Ma non è possibile che tu non gli piaccia, mamma. Tu sei la mamma più buona, bella e dolce del mondo» disse Kiyoko mentre armeggiava con la macchina fotografica. Ulquiorra fece spallucce.
«Hai sentito? E poi io sono d’accordo con lei. Comunque siamo arrivati» annunciò, mentre entrava nel parcheggio.
Almeno Kiyoko riusciva ad alleggerire l’atmosfera con le sue risate e le sue domande curiose. All’inizio era stato strano per lei abituarsi all’idea che sarebbe arrivato qualcuno di nuovo in casa sua, qualcuno con cui avrebbe vissuto e condiviso tutto. Adesso però l’idea la entusiasmava, era felice di avere un nuovo compagno di giochi e non solo.
L’attesa fu snervante per Orihime. Aveva passato la notte precedente a preparare montagne di dolci e di biscotti. Non aveva idea di cosa potesse piacere al nuovo arrivato, quindi aveva preparato un po’ tutto.
Kiyoko si stiracchiò e sbadigliò. Poi si aggrappò alla mamma, tirandola per un braccio.
«E io starò simpatica a Satoshi?» domandò, rivelando che in fondo qualche timore ce l’aveva anche lei.
Satoshi era il nome del bambino che avrebbero preso in affido. Orihime non lo aveva ancora mai visto, ma lo amava già. Non c’era niente di più naturale di questo.
«Certo che gli starai simpatica» disse Ulquiorra. «Io piuttosto spero di non spaventarlo, con la mia faccia.»
Non si sarebbe sorpreso in caso contrario, lui con la sua espressione sempre seria, mono espressiva.  Orihime rise.
«Ma la tua faccia non ha niente che non va, a me piace molto»
«Sì, anche a me. Oh!» esclamò Kiyoko tirando ancora più forte il braccio di Orihime. «Eccolo, forse arriva!»
La bambina non si era sbagliata. Accompagnato dall’assistente sociale, un bambino dall’aria timida, circa della stessa età di Kiyoko, era entrato nel loro campo di visivo. Orihime notò subito i suoi occhioni scuri, spaventati ma curiosi e come primo istinto ebbe quello di correre lì ed abbracciarlo. Ma non lo fece: per quello ci sarebbe stato tempo. Kiyoko fu la prima ad avvicinarsi, sembrava aver abbandonato la sua solita timidezza.
«Ciao, io mi chiamo Kiyoko e d’ora in poi vivremo insieme. A me piace scattare le fotografie, a te piace? Qual è il tuo colore preferito? E il tuo animale preferito? Ti piacciono più i biscotti o i muffin?»
In un primo istante Satoshi non rispose. Se ne rimase a fissare quella bambina dai grandi occhi verdi senza riuscire a dire una parola. Orihime allora si avvicinò, stringendo un braccio intorno alla figlia.
«Ciao, Satoshi» disse dolcemente. «Io sono Orihime. Adesso verrai a casa con noi. Lo sai, sono molto contenta di conoscerti, finalmente. Ero un po’ in ansia, ma adesso l’ansia è sparita.»
E non stava mentendo. Davvero, ogni ansia era sparita. Come quando aveva stretto per la prima volta Kiyoko tra le braccia. Ora come quella volta, sentiva solo il cuore traboccarle d’amore.
Il bambino parve rilassarsi nel sentirla parlare. Pensò che quella donna gli piaceva, sembrava proprio gentile e profumava di zucchero a velo.
«Ero ansioso anche io. Adesso però un po’ meno» poi sollevò lo sguardo su Ulquiorra ed ebbe un sussulto. Ulquiorra si disse immediatamente di cambiare espressione e di smetterla con quella faccia lugubre, avrebbe spaventato il bambino.
«Io… io sono Ulquiorra. Piacere di conoscerti, Satoshi. Spero che ti troverai bene, con noi» gli disse, un po’ ingessato, ma gentile. Ciò parve rassicurare un po’ il bambino, che finalmente accennò un sorriso.
Kiyoko si tolse la macchina fotografica dal collo.
«Satoshi, possiamo fare una foto? La nostra prima foto insiemeeee! Così poi l’appendo in camera» bisbigliò. Satoshi arrossì.
«Mi… piacerebbe. Non ho molto foto mie… con qualcuno…»
Orihime sorrise, intenerita e un po’ malinconica. Avrebbero fatto di tutto – lei, Ulquiorra e Kiyoko – per donargli la felicità, la serenità, come ogni persona, bambino o adulto che fosse, meritava.
«Con noi potrai averne quanto ne vuoi» Orihime gli porse la mano. Satoshi esitò qualche istante. Si vedeva che era diffidente, ma anche curioso e desideroso di affetto. Così poi strinse la mano di Orihime, che ancora non conosceva bene, ma da cui era già incredibilmente amato.
 
Di foto in effetti ne scattarono più di una.
Una delle più belle, Orihime la inviò alle sue amiche, a Rukia, Neliel e Tatsuki. Ritraeva tutti e quattro, la loro famiglia al completo.
Tatsuki si commosse quando vide la fotografia. Era giusto così: conosceva Orihime da una vita e sapeva che aveva troppo amore nel cuore, da voler donare. Quel bambino si sarebbe trovato bene con loro, era stato fortunato.
«Mamma, ma piangi?» domandò Yuichi. Finalmente le cose andavano bene, perché la sua mamma e il suo papà erano tornati insieme. Anche se la vita era frenetica perché non mancava molto all’arrivo della sua sorellina (che non vedeva l’ora di conoscere).
«Mi sono solo commossa» rispose Tatsuki. La gravidanza la stava prendendo bene. Certo, arrivata quasi al termine si sentiva ipersensibile, stanca e anche un po’ troppo grossa, e di sicuro non aveva smesso di avere paura. Ma Uryu si prendeva cura di lei. Come sempre.
«Papà, dai, sbrigati! Avevi detto che mi insegnavi a giocare a dama, uffa!» si lamentò Yuichi, semi accasciato sul tavolo. Ishida lo raggiunse, con gli occhiali storti sul naso e le guance rosse. Si dava molto da fare e inoltre era in ansia, perché sapeva che il momento de parto era imminente. Il solito esagerato, ma Tatsuki lo adorava, era così carino.
«Arrivo, arrivo! Stavo mettendo a posto. Adesso mi siedo e ti insegno.»
Tatsuki sorrise, bevendo un sorso di limonata ghiacciata. Uryu doveva davvero calmarsi, perché rischiava uno svenimento.
«Uryu, riposati per un po’, davvero. È tutto sotto controllo, non c’è bisogno di stare sull’attenti.»
«Sull’attenti, io? Non vedo di che parli, io mi limito solo ad avere un piano organizzato per tutto» rispose, aggiustandosi gli occhiali. «Ah, Yuichi. Ho scordato la scatola della dama.»
Yuichi si alzò e quasi non scivolò su una pozza scivolosa sul pavimento.
«Ma… mamma, per caso ti è caduta della limonata sul pavimento?»
Tatsuki fece una smorfia e poi abbassò lo sguardo. In effetti a causare quella pozza era stata lei, peccato non si fosse accorta di niente: le si erano rotte le acque.
«Oh, accidenti.»
«Oh, accidenti» ripeté Ishida alzandosi in piedi. «Va bene, niente panico. Yuichi, abbiamo provato un sacco di volte.»
Yuichi scattò, veloce come un soldatino. La cosa assurda era che Tatsuki fosse assolutamente tranquilla.
«Uryu, guarda che non stiamo andando in guerra, sto solo andando a partorire. Io, appunto, non tu!»
Suo marito però non l’ascoltava. Aveva preso in mano la situazione, meglio non contraddirlo.
«Andrà tutto bene. Respira. Senti dolore? Ce la fai a camminare?»
Qui l’unico che avrebbe avuto davvero bisogno di respirare era Uryu, sull’orlo dell’iperventilazione. Dolore non ne sentiva ancora e poi ce la faceva benissimo a camminare fino all’auto.
«Yuichi!» chiamò Ishida, carico di borse. «Sbrigati!»
Il bambino raggiunse il salotto poco dopo, aveva uno zaino in spalla: i suoi genitori lo avevano preceduto. Spalancò gli occhi quando si accorse che le chiavi dell’auto erano ancora appese vicino alla porta.
«Papà, aspetta, stavi per scordarti una cosa importante!» disse esasperato, afferrando le chiavi e correndo fuori prima di assistere ad uno sclero senza precedenti.
 
Il reparto era silenzioso. Troppo silenzioso. Kurostuchi non poteva dire di esserci abituato, anzi. Era però in quei momenti che stava sempre con la guardia alta. E di solito non sbagliava mai. Hanataro quasi gli cadde addosso nella sua sfrenata corsa.
«Yamada! Non si corre nei reparti, ma quante volte te lo dovrò ripetere?» si lamentò, scocciato.
«Ma dottor Kurostuchi, la moglie di Ishida-senpai è in travaglio, devo andare! Kurosaki-senpai, sbrigati!»
Ichigo sbucò da dietro l’angolo, altrettanto concitato.
«Arrivo! Scusi dottore, siamo in pausa da adesso!»
«Voi cosa…? Che?! Vi ho detto che in reparto non si corre, idioti! Tsk, ragazzini» borbottò, facendo ridere Nemu, che dietro la sua scrivania sistemava alcuni documenti.
«Non te la prendere, Mayuri. Una nascita catalizza sempre tutte le attenzioni su di sé»
«Ahimè, lo so bene. Ma gli farò fare gli straordinari, a quei due» disse ricomponendosi. Si ritrovò ben presto il braccio di Urahara intorno alle spalle. Il primario si era preso troppa confidenza. Anzi, era più giusto dire che Mayuri gli avesse concesso di prendersi un po’ di confidenza. Adesso lo definiva quasi un amico.
«Ah, certe cose non cambiano mai, sei sempre troppo severo con quei ragazzi.»
«E tu sei sempre troppo indulgente. E molesto. Che dici, pensi di togliere il braccio da lì o devo staccartelo con un bisturi? Nemu, guarda che ti sento che ridi. Non è divertente. Non vi mettete contro di me»
Minacce inutili le sue, lo sapeva bene. Oh beh. Era un prezzo che poteva pagare senza troppi problemi.
 
Yuichi attendeva pazientemente seduto tra i suoi nonni. Si chiedeva quanto ci impiegasse un bambino per nascere. Nove mesi erano già tanti, quanto ancora bisognava attendere? Però aspettava paziente, soprattutto perché la signora Kurosaki era venuta e aveva portato con sé Masato. Quest’ultimo ci teneva a stare psicologicamente accanto al suo migliore amico, alla sua persona speciale.
«Allora, allora, come ti senti? Io non so come ci si sente ad essere un fratello più grande, perché sono il più piccolo. Ma tu invece come ti senti?» domandò Masato. Yuichi fece spallucce.
«Sono molto curioso. Chissà se la mia sorellina mi somiglierà come vi somigliate tu e Kaien.»
«Beh! Sono sicura che se somiglierà a te sarà tanto, tanto carina!» gli sussurrò e poi arrossì. Si era fatto più audace e perché non avrebbe dovuto? Voleva bene a Yuichi, cosa c’era di male a dimostrarlo?
Ichigo e Hanataro arrivarono come due furie, quasi cadendo sul pavimento. In veste di migliore amico pseudo apprendista/ammiratore di Ishida, dovevano essere presenti ad un momento così importante.
«Siamo… arrivati… in tempo?» ansimò Ichigo, che avrebbe potuto sicuramente riprendersi meglio se Hanataro non si fosse aggrappato a lui. Sua moglie si alzò, andandogli incontro.
«Ancora tutto tace. Sei adorabile a voler essere presente a questo momento.»
Ichigo arrossì. Lui, adorabile? Non era proprio il termine che avrebbe usato per definire sé stesso.
«Io? Ma va. È che io e Ishida ci siamo sempre stati l’uno per l’altro. Questo mi sembrava il minimo. Hanataro, ma perché piangi?» domandò esasperato.  Oramai avrebbe dovuto farci l’abitudine con l’emotività di quel giovane chirurgo dall’animo sensibile.
«Per due motivi. Perché mi commuovo sempre a questi eventi e perché lei, signora Rukia, è davvero gentile e altruista, si compensa bene con Kurosaki-senpai…»
Ichigo lo guardò con un certo fare omicida. Da quando Hanataro aveva conosciuto Rukia, le si era affezionato. E di questo non si sorprendeva, perché tutti amavano Rukia. Lui l’amava. Perché era altruista, gentile, era luce nel buio.
«… Vorresti indirettamente dire che io non sono né gentile, né altruista?» domandò minaccioso e Hanataro andò a nascondersi dietro Rukia, nonostante fosse un po’ più alto di lei.
L’entusiasmo lasciò posto ad un moderato silenzio, interrotto ogni tanto dal chiacchiericcio dei bambini. Ichigo si era ritrovato seduto, Rukia con la testa poggiata alla sua spalla, Hanataro poggiata alla sua altra, dolorante spalla. E attese. Se tutto stava andando bene, Ishida al massimo era solo svenuto per l’agitazione, oppure Tatsuki gli aveva dato un pugno mettendolo KO.
In ogni caso se la sarebbe cavata.
Quando oramai non ci speravano più, scorsero finalmente Ishida, il quale non era però da solo.
«Uryu» lo chiamò sua madre, destandosi dal suo torpore. Yuichi saltò su, notando subito il fagottino che suo padre teneva in braccio.
«È nata?!»
Lui annuì, visibilmente commosso.
«Vi presento Yoshiko» sussurrò e accarezzò delicatamente la testa della sua bambina. Yoshiko dormiva beata tra le sue braccia, il viso paffuto ancora un po’ arrossato.
Circondata da gente che già l’adorava pur conoscendola appena.
«Oh, Ishida. Ma è bellissima» disse Rukia, commossa. «E come sta Tatsuki?»
«Sta bene, ora sta riposando. È stata una forza, non che avessi dubbi.»
Hanataro piagnucolava. Ryuken, suo padre, gli aveva detto ben fatto. E Ishida capì che si stava riferendo a tutto. Yuichi guardava incanto la bimba. Allungò un dito e le sfiorò una manina: questa si chiuse subito a pugno attorno al suo dito.
«Hai visto cos’ha fatto?» domandò Masato, incantato altrettanto. Yuichi annuì. Era felice che Yoshiko fosse nata. Le voleva già un bene immenso.
«Ciao, Yoshiko. Io sono Yuichi, tuo fratello maggiore. Sei molto carina e tonda!» disse, non staccandosi dalla presa salda della sorellina.
Ishida si sentì fiero. Di Yuichi, di Yoshiko, di Tatsuki e anche di sé stesso. Perché non si era arreso.
«Sai, un pochino ti somiglia. Però è più bella di te» gli disse Ichigo.
«Su questo non ci sono dubbi, Kurosaki. Comunque… grazie»
Ichigo non chiese a cosa si riferisse. Aveva già capito ogni cosa.
«Ma figurati» fu la sua semplice risposta.
Yoshiko era già molto contesa. Hanataro voleva tenerla in braccio ma Ishida, già colto da un grande istinto di protezione, gli aveva detto che se prima non si calmava, non gliel’avrebbe data nemmeno morto. L’onore di essere il primo toccò a Yuichi.
Kurostuchi li guardava. Nessuno si era accorto di lui, ma era tanto meglio così, non era ancora così tonto da farsi coinvolgere anche nei sentimentalismi altrui. Non lo avrebbe mai detto esplicitamente, ma alla fine era fiero di quei tre (perfino di Hanataro).
«A cosa pensi?»
Nemu era arrivata silenziosa, accanto a lui.
«Inevitabilmente penso a quando è nata Ai. Dimmi che non avevo la stessa espressione idiota di Ishida» le disse, con il suo solito tono serio e che fingeva di essere sprezzante.
«… Amh, solo un pochino. Però hai ragione a ripensarci. È stato un bel momento, uno dei tanti» Nemu si fece vicina e lui le circondò le spalle con un braccio.
«Comunque il nostro turno è finito. Andiamo a casa da nostra figlia?» domandò Mayuri.
Lei annuì, felice. Perché finalmente aveva davvero un posto da poter chiamare casa.
 
Tre mesi dopo
 
Gin rideva. E rideva davvero, perché oramai aveva imparato come si faceva. La vita sembrava più leggera quando si lasciava andare qualcosa e quando si trovava la giusta attenzione da dare a ciò che contava davvero.
«La prossima volta devi portare Shuhei. Mi diverto troppo a stuzzicarlo, è proprio il tuo opposto» aveva detto Gin rivolgendosi a Kira. I due oramai erano tornati amici come un tempo. Anche di più.
«Sì? Beh, posso provarci. Lo sai, lui a volte tende ad essere un po’ asociale. Ma per me farà questo piccolo sforzo» gli rispose Kira. Che oramai frequentava casa Ichimaru come se fosse casa sua, che oramai si era affezionato a Rin come se fosse davvero un po’ sua.
«Avanti, dobbiamo andare in vacanza tutti insieme, noi. A Rangiku piacerebbe. Con Aizen e Momo le uscite non erano granché. Ma è chiaro, loro non si amavano nemmeno lontanamente rispetto a te e Shuhei.»
Kira era timido e Gin si divertiva a metterlo affettuosamente in imbarazzo. Già, proprio come i vecchi tempi.
Rangiku entrò in soggiorno e quando vide i due, beati a chiacchierare e bere come se nulla fosse, corrugò la fronte.
«Gin, non sei ancora pronto?! Guarda che tu sei il testimone, sbrigati!»
«Ops» sorrise suo marito. «Hai ragione, il dovere mi chiama. La nostra Rin è pronta?»
«Da un pezzo, anche!» rispose lei, sistemandosi i boccoli sulle spalle.
Rin in effetti era già pronta, nel suo vestito candido e bianco. Era dicembre e nevicava. Amava l’idea di un matrimonio in inverno, era così romantico.
«Toshi, allora quando tornate tu e Momo?» domandò Rin, seduta sul letto ad osservare Toshiro che cercava di infilare gli ultimi vestiti in valigia. Lui e Momo sarebbero partiti per un lungo viaggio in Europa. Aveva messo in pausa l’università e l’avrebbe ripresa una volta tornato. E poi, magari, sarebbero anche andati a vivere insieme.
«Credo tra un mese, circa. Non sono mai stato in Inghilterra, ma sono sicuro che sarà forte» rispose Toshiro, lanciando poi uno sguardo alla bambina, che sembrava un po’ malinconica. «Non essere triste, Rin. Tornerò.»
«Sì, ma non qui» rispose facendo spallucce. «È che sai… l’idea di averti qui a casa con me mi piaceva. So che non può essere più così. E sono contenta se tu sei felice, però è comunque triste.»
A quel punto Toshiro lasciò perdere la valigia e si inginocchiò davanti a lei. Rin aveva preso le parti migliori di Rangiku. E anche di Gin, a cui si era suo malgrado affezionato.
«Rin, anche se non vivremo insieme, ci vedremo tutte le volte che vorrai. Lo sai che ti voglio bene, vero? Non voglio bene a nessuno come a te. E di questo puoi starne certa, sei l’unica.»
E Rin, che tanto amava essere l’unica, arrossì e gli gettò le braccia al collo, stringendolo.
Rangiku era andata lì per richiamare sua figlia, ma quando li aveva visti abbracciare, si fermò un attimo, intenerita.
«Toshiro» lo chiamò ad un tratto. «Se non ti sbrighi, tu e Momo perderete il volo. E noi il matrimonio.»
«Sì, certo. Fate voi gli auguri a Shinji da parte mia. E voi, riguardatevi, eh.»
Rangiku ebbe quasi l’impressione che gli occhi di Toshiro fossero lucidi. E dire che lui a certi sentimentalismi non si lasciava mai andar, quella era una sua prerogativa. Il suo Toshiro era cresciuto, doveva farsene una ragione.
«Riguardati anche tu!» esclamò, abbracciandolo all’improvviso, quasi soffocandolo. Toshiro fece per lamentarsi, ma poi decide di godersi l’abbraccio. Anche lui si sentiva cresciuto. Adesso avrebbe iniziato la sua vita insieme a Momo e la cosa lo elettrizzava. E lo spaventava, inevitabilmente, come accadeva per ogni nuovo inizio.
 
 
«… Così, il giorno del nostro matrimonio, tuo padre era in anticipo. Io penso che fosse un po’ nervoso»
«Ma per favore, eri tu ad essere in ritardo. Voi spose vi fate sempre attendere.»
«Ero in perfetto orario. Credimi, Ai. Quando mi ha visto mi ha guardata come se fossi un angelo. Non è uno sguardo che riserva a tutti.»
Ai si era portata le mani sulla bocca, emozionata e sorridente. Ah, quindi il matrimonio dei suoi genitori era stato bellissimo. Stava amando sentirne parlare e si disse che un giorno anche lei avrebbe avuto un amore e un matrimonio altrettanto belli.
«Tsk, che esagerazione» disse Mayuri, tenendo Ai per mano. «Piuttosto, perché l’idea di sposarsi a dicembre? Il freddo è atroce.»
Fuori era tutto imbiancato, ma la cerimonia si sarebbe tenuta all’interno. I tre erano appena entrati, quando scorsero Kisuke e Yoruichi con i gemelli. Quei due non avevano pudore, stavano appicciati a scambiarsi effusioni come se fossero da soli.
«Ah, eccovi arrivati» disse Yoruichi. «Non è che avete visto uno dei due sposi? Sembra essersi defilato!»
«No, in realtà no» disse Nemu, guardandosi intorno. Aizen era già lì, tranquillo almeno all’apparenza. Era stato appena raggiunto da Gin, in clamoroso ritardo, ma almeno ce l’aveva fatta.
«Oh, guardate!» esclamò Kisuke. «Ci sono Ishida e Tatsuki con la piccola! Voglio andare a vederla!»
«Eh, lasciami!» si lamentò Mayuri, poiché Kisuke si era aggrappato al suo braccio. «Sei fastidioso come al solito!»
La piccola Yoshiko aveva per il momento attirato le attenzioni su di sé. Anche se aveva solo tre mesi, era molto allegra e sorrideva a tutti.
«Ciao, Yoshiko. Come stai crescendo» disse Orihime con dolcezza, accarezzandole una manina. «Tatsuki, posso tenerla?»
«Poi tocca a me, a me!» esclamò Neliel, tutta entusiasta. Ma anche Rukia e Karin volevano avere l’onore di tenere tra le braccia quella paffuta neonata. Tatsuki alzò gli occhi al cielo e promise che a turno l’avrebbe data a tutti.
«Tua figlia piace» disse Nnoitra a Ishida. «E pensa un po’ quando sarà un’adolescente.»
Ishida gli lanciò uno sguardo omicida (cosa sorprendente per lui).
«Per favore, nessuno è degno di lei» disse sistemandosi gli occhiali.
Nnoitra gli disse che lo capiva. E anche Ulquiorra. Ichigo invece lo prese bonariamente in giro dicendogli che la sua apprensione adesso era del tutto venuta fuori.
 
I bambini, come al solito, facevano gruppo per i fatti propri. Satoshi era stato accolto immediatamente da tutti, in particolare aveva stretto amicizia con Naoko e Kohei, due personalità diverse ma a cui si sentiva affine.
Rin arrivò correndo, fiondandosi su Miyo.
«Waaah! Miyo, sei stupenda!» gridò. Miyo indossava un abito rosa chiaro molto delicato e aveva insistito per la coroncina di fiori veri sulla testa. Visto che era la damigella, voleva fare la sua figura.
«Grazie, anche tu! Non pensi che pure Hayato stia bene?» domandò tirandoselo per un braccio. Hayato era in effetti molto elegante, imbronciato ma sereno.
«Sì, state tutti e due bene! Ma allora quando inizia la cerimonia?»
Hayato si infilò le mani nelle tasche.
«Boh, quando Shinji si decide, penso. Miyo, tuo padre mica cambia idea, vero?»
«Ma no! Va bene, ci vado a parlare io, sono brava con queste cose!» decise la bambina.
 
Shinji non era scappato. Certo che no! Per essere nervoso e in ansia però, lo era. Non avrebbe mai immaginato di sposarsi, soprattutto non con Sosuke. Ancora dopo mesi faticava a crederci. Quello era un passo importante. Il più importante di tutti.
«Sono questi i giorni in cui vorrei tanto ricominciare a fumare» disse mentre camminava avanti e indietro. Hiyori lo osservava annoiata, seduta sulla sedia con le gambe accavallate. Anche se era la sua ex, voleva comunque essere presente al matrimonio. Anche perché se sono presenti tutti i membri della band, non posso certo mancare io, ma ti pare!
«Non svenire, eh. Comunque, il tuo abbigliamento è un po’ tamarro, in questo non cambi mai.»
«Che?! Io non sono tamarro, sono originale!» si lamentò, Solo perché aveva deciso di indossare il cravattino arancione e solo perché sulla giacca bianca aveva ricamato dei ghirigori blu, non voleva certo dire che fosse tamarro o chissà cosa.
«Dai, ti prendo in giro. Respira, andrà tutto bene. Quello non ti molla più. L’ho visto poco fa, è nervoso anche lui. Solo che è più bravo a nasconderlo.»
Shinji respirò profondamente. Se solo ripensava a tutto quello che avevano passato, se solo si riguardava indietro… Il sé stesso di qualche anno prima non ci avrebbe mai creduto, vedendolo.
«Non ho mai avuto paura dei rischi. Proprio oggi dovevo cominciare»
«Come sei noioso, stupido di uno Shinji! È come quando abbiamo formato la band e come quando abbiamo deciso di tenere Miyo. Ci siamo buttati ed è stata la scelta migliore. Magari è così anche questa volta.»
Hiyori lo stava davvero tranquillizzando. Shinji gliene fu grato. Forse come coppia non avevano funzionato, ma come amici e genitori di Miyo invece funzionavano benissimo.
La bambina entrò e si fermò, una mano poggiata sul fianco e l’altra mano che reggeva il bouquet.
«Papà. Lo sai vero che la cerimonia sta iniziando?»
«Eh? Ah, sì. Sono solo un po’ ansioso.»
«Ma non ti devi preoccupare! Ci siamo io e Hayato accanto a te, coraggio» disse porgendogli una mano.
Ma sì, si disse. Quello era uno di quei casi in cui abbracciare l’avventatezza. Le strinse la mano.
«E va bene. Facciamo questa cosa.»
 
Presero tutti posto. C’era un grande fermento e un chiacchiericcio, da un lato i bambini che chiacchieravano, da un lato Renji che raccontava a Yumichika e Ikkaku della convivenza con Byakuya iniziata qualche mese prima.
Sosuke era in piedi, teso. Gin, accanto a lui, faceva quello che ogni bravo testimone faceva.
«Vedo che siamo un po’ in ansia. Non avrei mai pensato di vederti così.»
«Così intendi in ansia o sposato con un uomo?»
«Amh, tutti e due. Questo farà scalpore» disse con un sorriso.
Sosuke chiuse gli occhi, annuendo.
«Oh, lo so. Ma non temere. Ho la vaga impressione che a Shinji un po’ di notorietà piaccia»
Gin gli diede una gomitata quando, nello stesso momento, vide Shinji e sentì il suono della musica, non una marcia nuziale classica. Shinji era rosso in viso, un po’ in imbarazzo perché in fondo tutti gli occhi erano su di lui. Hayato gli camminava a destra, Miyo gli camminava a sinistra, stringendogli la mano come a infondergli coraggio e sorridendo a tutti in modo raggiante.
«Ah, Sosuke. Ti ammazzerei quando mi porti a fare cose che altrimenti non fare mai e poi mai» disse fra sé e sé. Aizen sorrise nel vederlo. Adesso aveva l’impressione (anzi, la certezza) di essere al punto giusto e al momento giusto. Diede una carezza ad Hayato e una a Miyo e poi guardò Shinji. Quest’ultimo assottigliò lo sguardo,
«E così ci siamo, Aizen» sussurrò.
«A quanto pare è così. Sappi che ti sono grato per non esserti arreso con me» gli sussurrò, accarezzandogli una guancia. Il colorito di Shinji divenne bordeaux ed ebbe l’impressione che qualcuno dei suoi amici lo trovasse divertente. Ma il suo sguardo si addolcì.
«Figurati. Sono uno che non si arrende. Nemmeno tu lo hai mai fatto.»
Si guardarono e per un attimo ebbero l’istinto di scambiarsi un bacio. E lo avrebbero fatto se Miyo non li avesse richiamati.
«Emmmh! Il bacio dopo, eh!»
«Sì, hai ragione piccola Miyo» rispose Sosuke, allontanandosi appena. Hayato arrossì.
«Pff, sdolcinati» disse. Ma in realtà era sereno. Lo erano tutti. E quella era la sua famiglia. Allargata, strana, ma sua.
 
A cerimonia finita, Ichigo espresse il suo stupore dicendo che non ci poteva credere, che sembrava tutto assurdo e che, di nuovo, non ci poteva credere. Però era così e adesso Sosuke Aizen e Shinji Hirako erano sposati. Robe da pazzi, ma che quei due si amassero era evidente a tutti.
«C’è da impazzire» disse mentre seduto al tavolo beveva un drink. «Non ci posso credere.»
«E che cavolo, sembri un disco rotto!» si lamentò Nnoitra. «Penso che l’unico che possa gestire Aizen sia proprio Shinji. Poi oh, non sarà poi così male se si è innamorato.»
«Sei così profondo, Nnoitra!» esclamò Grimmjow. «Però hai ragione. Per esempio, Tia ha saputo vedere i miei lati positivi!»
Nnoitra e Ichigo si guardarono e mormorarono un non di nuovo. Grimmjow innamorato e con una relazione da qualche mese era di un melenso senza eguali. E chi lo avrebbe mai detto?
Byakuya si avvicinò, guardandosi intorno.
«Dov’è mia sorella?»
«Si è allontanata un attimo. Emh… sei sicuro che sia saggio lasciare il tuo compagno da solo? Renji mi pare aver alzato un po’ troppo il gomito» disse Ichigo. Renji infatti stava abbracciando tutti, grandi e piccini, talvolta beccandosi qualche insulto. Byakuya sospirò.
«Magari dopo, se lo faccio adesso si appiccicherà a me. Vado a cercare Rukia.»
 
Rukia non sentiva il freddo. Fuori c’era silenzio e la neve scendeva. Guardava il panorama, il laghetto ghiacciato davanti a lei. E sorrideva, beata, le braccia poggiate al muretto di pietra. Byakuya la trovò dopo un po’ e nel vederla così assorta si avvicinò.
«Non hai freddo?» domandà.
«Byakuya! No. Mi stavo solo godendo un po’ di silenzio. Tutto a posto con Renji?»
«Sì, sta solo molestando gli invitati, tutto nella norma
Byakuya guardò insieme a lei il panorama. E poi rimase in silenzio, lo rimasero entrambi.  C’era tanto da dire, eppure non c’era niente. Era tutto lì, tutto lì,
«Rukia, come stai?» domandò Byakuya ad un tratto. Rukia lo guardò e sorrise.
«Sto bene. E tu?»
Byakuya annuì, serio.
«Sto bene.»
Poi tornarono a guardare il panorama.
 
 
scorre via la più piccola amarezza
l'utopia si trasforma in certezza
che vuoi che sia
tutto passa in un istante
troverai nel tuo cuore le risposte che non hai

è tutto qui
è la tua vita
piccoli istanti che scorrono così
tutto va via
ma i tuoi ricordi puoi portarli dentro te*
 
Fine
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(per ora).


 
*canzone del film I Robinson - Una famiglia spaziale.

Nota dell'autrice
Ebbene sì. È la fine. Dopo mesi, tanti scleri, risate, lacrime e sofferenza, questa storia giunge al termine. Alla fine hanno tutti avuto il loro lieto fine, anche Shinji che, poveraccio, ha sofferto per anni e che adesso è sposato con Aizen (che finalmente ha messo la testa a posto). Yoshiko è nata e sarà amata dalla sua famiglia, che poi è allargata visto che comprende un sacco di amici, grandi e piccini. E Orihime e Ulquiorra accolgono Satoshi, un bambino che ha bisogno di una famiglia e di amore, che di sicuro non gli verrà negato. 
Mi piaceva concludere la storia così com'è inizata: con un dialogo tra Byakuya e Rukia. Adesso stanno entrambi bene. Davvero bene.
Ma la cosa importante è: è la fine PER ORA.
Sì, perché vorrei pubblicare un sequel (di cui ho scritto poco più che una decina di capitoli), ambientato qualche anno dopo. Non era mia intenzione all'inizio, ma ci sono delle cose che voglio ancora raccontare. Mi piacerebbe pubblicarlo a ottobre, assieme all'uscita del continuo dell'anime, sigh.
Intanto, spero che questo lungo viaggio vi abbia lasciato qualcosa.
Un abbraccio a tutti.
Nao
   
 
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