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Autore: Iaiasdream    02/08/2022    0 recensioni
Storia appartenente alla serie "E fu così che disse ti amo"
La prima storie pubblicata nella seria s'intitola "Un articolo da poesia"
Debrah la conoscono tutti. Dopo essersi rivelata per quello che davvero è, ha perso tutti i suoi amici, la sua famiglia e a poco a poco sta perdendo quello che le rimane di più importante: la fama e se stessa.
Trovatasi in guai seri, decide di abbandonarsi al suo destino, ma un incontro casuale le farà riaccendere maliziosi istinti.
L'unica cosa che vorrà sarà vendicarsi di chi si è vendicato di lei e userà come pedina proprio chi cercherà di salvarla.
Ma cosa succederà nel moemento in cui i suoi sentimenti contrastanti cercheranno di trovare un equilibrio?
Genere: Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dajan, Debrah, Debrah
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'E fu così che disse Ti Amo'
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BAKA TIME: Quanti anni sono passati dall'ultima volta in cui ho scritto su questo fandom? Non contiamoli, per favore. Avevo promesso che sarei riotrnata e anche se dopo tanto l'ho fatto.
Come ho già scritto, questa storia appartiene a quella serie dove mi ripromisi di non inserire per nulla al mondo la dolcetta e che avrei parlato solo ed esclusivamente dei personaggi di DF.
La prima storia s'intitola "Un articolo da poesia" e ha come coppia, Lysandro e Peggy.
ogni storia che pubblicherò non sarà il seguito di nessuna, quindi potrete anche leggerle senza rispettare un ordine.
Mi sono prolungata anche troppo, quindi vi auguro una buona lettura.
 
IL GIOCO DELLA VEDOVA NERA
(Prima parte)
 
Il cellulare continuava a squillare instancabilmente.
Debrah non si preoccupò di guardare il nome di chi la stava cercando, tenne premuto il pulsante di accensione fino a quando lo smartphone non si spense del tutto e così ritornò il silenzio.
Il parco a quell’ora era deserto, momento migliore per starsene tranquilli a pensare. Non che la ragazza avesse bisogno di perdersi nei suoi pensieri, ma qualche volta, concedersi al silenzio non le faceva male.
Aveva mal di testa. Aveva passato una notte di fuoco con la sua ultima conquista conosciuta in spiaggia durante una delle sue poche scappatoie che si concedeva quando la fama di cantante la metteva a dura prova. Purtroppo quella volta non l’era servita a dimenticare i suoi guai. Perché di guai, Debrah, ne aveva ed erano anche troppi.
Infatti chi la chiamava con insistenza ne era l’uccellaccio del malaugurio. Sapeva cosa voleva da lei, ma non aveva voglia di affrontare la situazione. Per di più in uno scorcio di lucidità, che aveva a tratti, prima che l’intero menefreghismo l’avvolgesse del tutto, si era resa conto che si trovava nella merda più nera. E tutto questo per cosa? Per esser voluta diventare quella che era?
Prima di essere cacciata di casa da sua madre, questa le aveva detto che non sarebbe mai andata lontana, imbrogliando le persone, che prima o poi sarebbe stata costretta a raccogliere ciò che aveva seminato e quelle sentenze si erano rivelate come oracolo di verità.
Stava inesorabilmente affondando nella merda. Non aveva idea di quando sarebbe successo, ma come aveva ben detto sua madre prima o poi sarebbe accaduto. Era inevitabile.
Scappare? Non sarebbe servito a molto, poiché la fine le stava alle costole come un cane rabbioso e affamato.
Deprimersi? Non era il tipo.
Affondare i suoi dispiaceri nell’alcol o nella droga? Non aveva un soldo. Aveva sperperato tutta la sua fortuna, accumulata durante i suoi pochi anni di carriera.
Darsi al sesso sfrenato? Neanche quello riusciva più ad appagarla.
L’unica cosa che aveva fatto senza pensarci due volte, era stata lasciare tutto e ritornarsene al paesello.
Era estate e come ricordava, durante le vacanze, in quella stagione, il paese si riduceva alla presenza di qualche anziano o tuttalpiù persone che a malapena potevano permettersi una mezza giornata al mare.
Poco contava per lei. In fondo non aveva più un amico lì, e tutti l’avevano disprezzata.
Sorrise al ricordo dei suoi primi due anni di liceo, all’ira del suo ex fidanzato e allo sconforto del suo nemico. Le vennero in mente anche le occhiate velenose che la reginetta della scuola serbava esclusivamente per lei e scoppiò a ridere ritenendola una nullità.
Chissà che faccia avrebbero fatto i suoi coetanei scoprendo che l’astro nascente dei Nightmare era stata denunciata per plagio, prostituzione e spaccio di stupefacenti?
Ritornò seria. Quanto di più vero poteva esserci in quella brutta faccenda? Non aveva mai venduto il suo corpo. Quello che faceva con gli uomini lo desiderava.
Si drogava? Qualche volta si era concessa il lusso di aprire la porta di quel mondo alterato che la faceva stare bene, anche se doveva ammettere che il troppo stava storpiando e il suo medico fidato l’aveva messa in guardia. Era plausibile la giustificazione ai suoi improvvisi cambiamenti d’umore, alle perdite improvvise di memoria che l’avevano messa il più delle volte in difficoltà sul palco e soprattutto al suo essere aggressiva con tutti.
L’ultima volta si era scagliata contro un fan solo perché questo le aveva scattato una foto col flash. Quella luce le aveva fatto perdere il senno e Gregor, il suo menager, era stato costretto a rimandare il concerto per salvarle il fondoschiena.
Come ultima accusa che incorniciava il quadro era quella del plagio e forse chi l’aveva querelata faceva parte delle sentenze di sua madre.
Ripensando a lei, non si era curata di andare a trovarla. D’altro canto a cosa sarebbe servito se rischiava di vedersi sbattere la porta in faccia?
Non aveva nessuno lì. E allora perché vi era ritornata?
Forse la consapevolezza di sentire il bisogno di essere confortata da una figura amica.
-Ma quale amica?- mormorò alzandosi dalla panchina e incamminandosi verso l’uscita del parco.
Fece un breve tragitto prima di fermarsi d’avanti a un campo da basket recintato da una rete di ferro filato, colpita alla schiena da una palla.
Presa alla sprovvista, imprecò preparandosi a inveire contro chi gliel’aveva lanciata, poi però rimase immobile immergendo i suoi occhi azzurri in quelli di un ragazzo di colore, alto, dal fisico atletico e da due occhi a mandorla color nocciola.
-Scusami tanto. Spero non ti sia fatta niente? – disse il ragazzo abbassandosi per raccogliere la palla.
Lo sguardo infastidito di Debrah tramutò all’istante stendendosi in un sorriso dolce e gentile –Non preoccuparti, sto bene.
Quell’atteggiamento era tipico di lei, aveva imparato col tempo a cambiare repentinamente umore che per un certo periodo aveva convito il suo medico che la droga non c’entrava nulla. Si era forgiata una maschera e la indossava con una certa abilità per poi toglierla nella stessa maniera.
-Sei nuova di qui? Non ti ho mai vista da queste parti.
Quella domanda la sconcertò. Stava sognando o quel ragazzo non l’aveva riconosciuta? Oppure era un modo per tentare di rimorchiarla?
Non aveva dubbi, molte volte si era imbattuta in quel tipo di ragazzi, che fingevano di non conoscerla per avere il suo numero e tutte le volte lei era stata schietta facendogli capire che se volevano scoparla, non c’era alcun bisogno di tattiche. Se lo voleva, lo faceva senza farsi troppi problemi.
Ma quel giorno, Debrah, non mostrò alcuna intenzione. Congedò il ragazzo e se ne andò.
Quest’ultimo rimase a fissarla, fino a quando non la vide sparire dietro l’angolo di un palazzo.
 
***
 
-Dajan, ma che cavolo fai? – si lamentò un ragazzo riccioluto – stai giocando come una vecchia decrepita!
Il diretto interessato diede un ultimo schiaffo di palleggio alla palla e fece segno di fermarsi. – Non ho più voglia di giocare! – annunciò passandosi il dorso della mano sulla fronte a detergersi il sudore.
Gli altri giocatori obiettarono, lamentandosi del fatto che non avevano ancora decretato la squadra vincente, ma a Dajan non importò un granché. Non poté ammettere davanti ai suoi compagni che l’incontro con quella ragazza lo aveva destabilizzato.
Di sicuro vi chiederete il perché. Allora, dovete sapere che Dajan non era un ragazzo come tutti gli altri. Aveva il potere, se così si può dire, di leggere l’animo delle persone. Gli bastava guardarle negli occhi.
Ciò che era riuscito a leggere in quella sconosciuta era stato un turbinio di emozioni contrastanti capeggiati dalla paura, sposa dello sconforto.
Per lui era la prima volta sentirsi curioso e attratto da qualcuna e non riuscì a negare a se stesso che voleva saperne di più su di lei.
Prima di decretare la fine del gioco, aveva chiesto ai suoi amici se l’avessero mai vista, ma tutti scossero il capo, alcuni affermarono di non aver fatto nemmeno caso alla sua presenza.
Nel tragitto che fece per ritornarsene a casa, pensò a quanto poteva essere sfortunato. Era da poco giunto in quel paese per lo scambio culturale indetto dal suo liceo e divideva la sua stanza con un altro ragazzo, Jade, che come lui aveva accettato lo scambio nel liceo Dolce Amoris.
Pensando a lui, il cestista, fu assalito dall’invidia. Avevano due caratteri totalmente diversi, Jade era sì simpatico, ma asocievole. Al contrario di lui che, grazie anche ai suoi poteri “soprannaturali” socializzava con tutti, anche con gli insetti, infatti, era talmente abile in questo che era riuscito a farsi amico anche il bulletto del liceo, Castiel, il chitarrista dai capelli rosso fuoco.
Giocavano insieme nella squadra di basket.
Era invidioso di Jade perché era riuscito in poco tempo a conoscere tutti gli abitanti del paesello. Ci era riuscito grazie anche alla sua innata passione per il giardinaggio. Avendo adornato i giardini del liceo, si era fatto una certa fama, e molte donne, anche attratte dalla sua semplice bellezza, lo avevano ingaggiato per ristrutturare i loro giardini, dei quali, magari, non avevano alcuna importanza.
Ritornando al presente, si ritrovò davanti al portone del palazzo in cui abitava e sperò di trovarvi Jade, così ne avrebbe approfittato per chiedergli se conoscesse la ragazza dagli occhi cristallini ma dall’animo cinereo. Le sue aspettative, però, furono presto interrotte dal copioso squillo del cellulare.
Rispose svogliato, ma doveva farlo, si trattava di Castiel e sapeva che se ne avesse rifiutato di rispondergli, quest’ultimo lo avrebbe di sicuro tartassato di chiamate.
-Ehi, Cioccolato! Dove sei?- risuonò allegra la voce del chitarrista dall’altro capo.
-Sono appena tornato a casa- sospirò Dajan.
-Allora preparati. Passerò a prenderti tra qualche ora. Stasera si festeggia!
-Cosa?
-È una sorpresa.
Il cestista alzò gli occhi al cielo. Conosceva ormai a memoria le sorprese di Castiel. Di sicuro, si disse, aveva pagato un barista spacciandoli per maggiorenni, avrebbero bevuto birra come se non ci fosse stato un domani e si sarebbero svegliati il giorno dopo sulle panchine del parco, nel tentativo di farsi passare la sbornia e alla reminiscenza di quello che avevano combinato da ubriachi.
Lì per lì fu tentato di rifiutare, poi però il pensiero della sconosciuta gli accese un’altra lampadina.
Anche se in cuor suo sperava che Castiel non centrasse niente con lei, sapeva che il chitarrista aveva la fama di playboy ed era sicuro che potesse conoscerla, così accettò.
 
***
 
Come sempre, per una scusa o per un’altra, Castiel non si presentò sotto casa sua per prelevarlo. Questa volta aveva dato la colpa a Lysandro, il cantante del suo gruppo musicale, giustificando la sua sbadataggine, poiché aveva dimenticato l’appuntamento e dove si trovasse il pub.
Così Dajan dovette recarsi nel posto prestabilito, solo.
Quando vi entrò la musica a palla inondò le sue orecchie premendo con ferocia sui timpani, nonostante la potenza del suono, riuscì a sentire le urla euforiche di Castiel e lo trovò in piedi, dietro un tavolino, mentre stappava la prima bottiglia di quello che sembrava champagne e a giudicare da questo, Dajan intuì che la sorpresa accennata doveva trattarsi di qualcosa di molto importante, per aver spinto il chitarrista a non accontentarsi della solita birra economica.
Notò che al tavolo erano sedute parecchie persone, tra cui Lysandro, con la sua solita ed elegante compostezza, e altri che aveva solo intravisto al liceo. Si avvicinò a loro, richiamando l’attenzione del cantante e salutò anche gli altri non appena si accorsero di lui.
Castiel che sembrava già brillo, non appena lo vide, balzò sul tavolino per poi scendere a due passi da lui. Gli circondò la spalla con un braccio e lo salutò baciandolo sulla guancia. Nell’altra mano aveva ancora la bottiglia pregiata, che sciabordava schiuma a ogni suo movimento.
-Cioccolato! Mi mancavano solo i tuoi auguri.
Dajan, strattonato, volse lo sguardo verso Lysandro alla ricerca di spiegazioni. Quest’ultimo alzò le spalle, per poi roteare l’indice come a voler dire che avrebbe parlato in seguito.
-Ragazzi!- urlò Castiel ritornando sul tavolino, con un segno del braccio fece segno al dj, suo amico, di abbassare il volume, fregandosene degli altri clienti che ballavano ignorando la situazione, poi picchiettò l’anello sulla bottiglia e riprendendo equilibrio sulle proprie gambe annunciò: -Oggi è un giorno davvero molto speciale per il sottoscritto e sapete perché?- aspettò che gli altri lo rispondessero e quando da loro ricevette un diniego col capo, riprese: -Perché ho vinto la mia lotta contro Debrah!
-Ma di che sta parlando?- chiese il cestista a Lysandro che si limitò solo a rispondere “Ti spiegherò dopo”.
-Quella puttana ha perso. È stata accusata di plagio e il sottoscritto ha riacquistato i diritto delle proprie canzoni!
Un fragoroso battito di mani sovrastò il rumore della musica.
-Barista, da bere per tutti!- fu il suo ultimo urlo prima di sprofondare sulla poltrona e tracannarsi l’intera bottiglia.
Le urla eccitate di tutti non tardarono a farsi udire, il dj alzò il volume e in quel fracasso, Dajan capì che non avrebbe potuto farsi raccontare nulla.
Castiel era ormai in balia dell’effetto dell’alcol e non aveva perso tempo ad abbordare una ragazza e in quel momento pomiciavano come se fosse solo quello l’importante. Lysandro si era allontanato non si sa dove e gli altri erano tutti in pista a ballare.
A quel punto, Dajan decise di recarsi al bar per prendere qualcosa di fresco da bere, dopo di ciò sarebbe sgattaiolato via, convinto che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza.
Era felice per il suo amico, anche se aveva poco compreso le sue parole, ma non aveva assoluta voglia di festeggiare, quella sera.
-Una coca fredda, grazie- ordinò al barista, poi nell’attesa si volse verso la pista da ballo, troneggiata al centro da tre pali su cui si avvinghiavano tre ballerine a ritmo di musica.
Dei fischi di apprezzamenti attirarono la sua attenzione e vide che il palo centrale era padroneggiato da una ragazza con i capelli lunghi castani, ricci che sembrava più esperta delle altre due.
Il gioco di luci che illuminava il palco non concedevano un’ottima visuale, ma i movimenti sensuali e provocatori della ballerina non passarono inosservati. Dajan, come tutti gli altri che la guardavano, rimase stregato e non negò che quel modo di ballare era un qualcosa di provocatorio, quasi una descrizione erotica di quello che voleva trasmettere la ragazza. Ondeggiava il bacino contro l’asta, sfiorandola con la sua vulva, aveva degli shorts che lasciavano poca immaginazione, e un top dai cui lati fuoriuscivano i seni tondi.
Il cestista si immerse tra la folla di maschi eccitati, inconsapevole. Aveva gli occhi puntati su di lei, sul suo corpo, sul suo fondoschiena che in quel momento era diventato protagonista della danza. Lo strusciava lungo l’altezza del palo permettendo alle natiche di accoglierlo tra esse.
Poi accadde qualcosa. Dajan parve l’unico a riprendersi dall’estasi, dopo aver visto una ragazzo invadente salire sul palco circolare e iniziare a palpare la ragazza, che dapprima permise quelle vemenze, poi parve infastidita. Nessuno però prendeva provvedimenti. A quel punto, Dajan, colto da un’inspiegabile sensazione, si fece largo tra la folla, balzò sul palco e colpì il ragazzo, con un pugno in pieno volto. Nella colluttazione, la ballerina perse l’equilibrio e cadde di lato. Al ché il cestista ignorò il molestatore e soccorse lei.
Quando andò per sollevarla e girarla verso di sé chiedendole se stava bene, la luce dei faretti passò di striscio sul suo volto e su quegli occhi azzurri, causa del suo sconcerto.
-Tu?- le chiese prima di essere colpito violentemente  alla tempia e sentirsi il freddo pavimento urtargli il volto.

 
   
 
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