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Autore: vodkadratini    05/08/2022    2 recensioni
2021, una nuova generazione di Potter e Weasley calca i corridoi di Hogwarts e non ha mai conosciuto altro che pace. Non tutto è rose e fiori, però: sono figure distanti e privilegiate, così difficili da raggiungere anche per chi, come Hecuba Rathbone, ha letto e riletto le storie degli eroi della Seconda Guerra Magica fino allo sfinimento. Se c'è una cosa che non ti insegnano i libri, però, è che qualche volta le braci continuano a bruciare nascoste sotto la cenere.
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Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Famiglia Weasley, Lily Luna Potter, Lorcan Scamandro, Minerva McGranitt, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Disclaimer: non possiedo Harry Potter e non ricevo guadagno da questa fanfiction.
Miei sono solo i personaggi nuovi, ma il mondo in cui si muovono è di J.K.Rowling.
 
 
 Sotto la cenere
 
Prologo 


Reginald Moonshine era un uomo a modo, cortese e beneducato. Sorrideva di un sorriso tremulo ma genuino e adorava le strette di mano, anche se il palmo che offriva era sempre un po' sudato. Non si offendeva se qualcuno era scortese nei suoi riguardi; se la maleducazione era deliberata, Reginald offriva l'altra guancia, e questo era il tratto migliore della sua personalità: non la compassione né l'indulgenza, ma un fermo senso di indifferenza per quello che avrebbe pensato il prossimo. 
In effetti, Reginald Moonshine pensava di essere un uomo del tutto insignificante nel grande meccanismo del mondo, e questa era una condizione che gli stava benissimo. Era abituato a presentarsi alla gente una volta di troppo, come aspettandosi che nessuno si ricordasse chi fosse. L’effetto che otteneva presentandosi non era quasi mai significativo, ma talvolta, in qualcuno che fosse stato indottrinato all’arte pozionistica e che avesse in essa raggiunto un livello quantomeno dignitoso, poteva essere di immediato riconoscimento, seguito nell'ordine da sgomento e poi giubilo. “Non sarà mica parente di quel Moonshine, della pozione per le fattucchiere?” avrebbero detto allora, riconoscendo subito che non poteva trattarsi di Regulus Moonshine, celebre creatore, che tutti descrivevano come un uomo singolarissimo, esageratamente basso e con solo metà degli arti che avrebbe dovuto avere. 
Reginald non era che il fratello minore, che l’aveva assistito durante il corso degli esperimenti e si era occupato della parte meno gratificante del lavoro: dove Regulus metteva in atto un processo creativo, mescolando ingredienti e formulando ipotesi, Reginald aveva studiato le fonti letterarie e storiografiche che documentavo l’appetito innaturale delle creature per la carne umana. Studiando la casistica, aveva fornito al fratello il materiale per l’introduzione del suo articolo pubblicato nella rivista Annual Review of Potions Making, 1992, della Società dei Pozionisti e ciò gli era valso una menzione tra i ringraziamenti e una piccola percentuale sui guadagni. E non era forse abbastanza, come esperienza di popolarità?
Minerva McGranitt aveva deciso di offrirgli una cattedra ad Hogwarts, anche se gran parte dei contributi personali di Reginald erano stati tipo teorico prima che pratico. Era sicuramente un valido professionista, ma mancava del genio e della sregolatezza del fratello e, se c’era una cosa di cui era sicuro, era che non si sarebbe mai tagliato un braccio dal gomito in giù per un esperimento, né tantomeno per la gloria.
Si materializzò con uno schiocco a Bournemouth, Dorset. Era sufficientemente freddo perché nessuno facesse caso a un uomo comparso dal nulla sulla spiaggia deserta, i piedi lambiti dall’acqua gelata, benché fosse già giugno inoltrato. Un piccolo inconveniente, bagnarsi, ma in effetti le coordinate della sua materializzazione non erano state precise. L’orrenda presina da cucina che aveva usato come Passaporta perse l’ultimo bagliore azzurro della magia che l’animava e affondò silenziosa nei pochi centimetri d’acqua. Era stata una settimana particolarmente rovinosa per tutti quelli che avevano prenotato le loro vacanze lì: il tempo non era stato clemente, continuando a oscillare tra piogge torrentizie e raffiche di vento gelido, finché persino l’ultimo turista aveva dato forfait e aveva preferito passare la mattinata in albergo. 
Reginald si asciugò con un colpo di bacchetta e risalì il tratto sabbioso lasciandosi dietro una scia di orme che all’occhio dell’osservatore attento non avrebbero dovuto davvero trovarsi lì. Minerva, che ancora si ostinava a chiamare Preside McGranitt perché la gerarchia lavorativa non era un fatto da sottovalutare, aveva dato direttive perché nessuno attirasse l’attenzione dei babbani, e probabilmente si rivolgeva a lui in modo particolare. Reginald era un ottimo ricercatore, ma tendeva a essere un po’ distratto, a tratti sconsiderato, quando operava sul campo. Era un difetto che aveva sviluppato in tempo di pace, in 23 anni di quiete. Poteva permetterselo, finché fosse stato abbastanza rapido nel correggere un errore con un incantesimo di memoria ben assestato, in caso qualche babbano avesse visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere.
Camminò per circa una mezz’ora, incrociando solo due o tre persone per le strade tutte troppo occupare a combattere con il vento per badare a lui, che indossava soltanto una giacca da mezza stagione e non sembrava comunque avere freddo. Arrivò all’appartamento in questione e suonò a “I. Farwell – C. Thorne”, che abitavano al secondo piano. Rispose una voce femminile. 
“Sì?”
“Cerco Adam Farwell, signora.”
“È mio figlio. Chi è lei?”
“Sono un professore di una scuola privata in Scozia. Suo figlio è stato selezionato per diventare nostro studente.”
“Ma Adam ha solo undici anni!"
“Se mi fa salire, potrò darle maggiori dettagli. In effetti la prego di farmi entrare, fa un freddo del diavolo qui fuori.” Reginald mentì tra i denti, la protezione dell’incantesimo riscaldante ancora attiva; e tuttavia sembrò aver usato la strategia giusta. 
Uno schiocco e il portone d’ingresso si aprì. L’uomo scivolò dentro silenzioso come un gatto, ma in modo un po’ scomposto, di gatto mezzo cieco, acciaccato e spelacchiato. Non era mai stato elegante nei movimenti: da quando, a tredici anni era cresciuto di quindici centimetri in una sola estate, si era portato addosso una certa goffaggine nel modo di muoversi, come se braccia e gambe fossero troppo lunghe e non rispondessero mai col giusto tempismo. Salì le scale fino al secondo piano, affannato, e lì trovò la porta d’ingresso sulla destra aperta di dieci centimetri e saldamente tenuta dov’era da un catenaccio. Dallo spiraglio di luce emergeva una donna dai capelli color miele. Non sembrava imprudente quanto era parsa al citofono, restava di guardia pronta a serrare la porta con un tonfo e non dava l’idea di scendere facilmente a compromessi.
“Non sono sicura di poterla aiutare,signore. Non ricordo nemmeno di aver iscritto mio figlio a una qualche scuola privata, men che meno in Scozia” esclamò, stringendo gli occhi. Il rotacismo insistente del dialetto di Dorset suonava minaccioso sulle sue labbra. “E poi, lei chi sarebbe, professore?"
L’espressione della donna era già molto intimidatoria così. Reginald si trovò a farsi indietro, con le mani in aria in segno di pace. Anche se si avvicinava ai quarant’anni e non poteva essere molto più giovane di lei, si sentiva ancora una volta un ragazzino, e non era una buona sensazione. Non era il modo migliore per comunicare affidabilità e buonsenso.
“Le assicuro che non ho cattive intenzioni, signora. Il mio nome è Reginald Moonshine, sono professore di Hogwarts.” Pescò in una delle tasche della sua giacca e trasse fuori una lettera con un sigillo di ceralacca molto vistoso. “Qui troverà le mie referenze.” 
La donna non riconobbe il nome della scuola, né il suo cognome (questa seconda occorrenza fu quasi rassicurante). Era una semplice babbana, incattivita dal sospetto. “Hog–warts?” Ogni sillaba suonava straniera sulla sua lingua, come una parola parodica non troppo diversa da qualcosa che avrebbe trovato in un libro a fumetti. “Mai sentita”, assicurò, nonostante le dita si fossero già mosse per afferrare la lettera e spezzare il sigillo. Dentro, nella calligrafia chiara e bella della Preside McGranitt, c’era un invito standard, proprio come quello che Reginald aveva ricevuto a 11 anni, e un foglio personalizzato che elencava le sue qualifiche come insegnante, qualcosa per cui aveva insistito molto. “Questa… Questa lettera dice che mio figlio è un mago. Un mago! Chiamo la polizia, io–”
Reginald sobbalzò. L’ultima cosa che si aspettava era un crollo isterico. La donna stava ridendo, no? Si spanciava dalle risate, il suo intero corpo era scosso da una forza invisibile. L’uomo estrasse la bacchetta e, in una mossa disperata per migliorare la situazione, accese la punta. La luce non era sufficiente a illuminare l’intero corridoio, ma gli occhi della donna si spalancarono prima di socchiudersi nuovamente.
“È così che ha intenzione di convincermi, con una cazzo di torcia? Qualcosa che potrebbe fare anche il mio cellulare?”
Non era abbastanza per offendere Reginald Moonshine, orgoglioso Tassorosso. Agitò la bacchetta e mormorò un altro incantesimo e un intero stormo di pappagalli, di quelli enormi e colorati, cominciò a svolazzare per il corridoio, costretti nel poco spazio a disposizione. Imitavano l’urlo che la donna lasciò uscire non appena li vide e le voci si riverberavano sulle pareti e nella tromba delle scale. Con un altro movimento del braccio, Reginald li fece sparire e il corridoio tornò quieto com’era all’inizio Con un tonfo sordo, la donna aveva chiuso la porta, sicura al cento per cento di avere a che fare con uno squilibrato.
“Mi scuso, signora. Avrei potuto avere maggiore tatto!" disse Moonshine, alzando il tono di voce per farsi sentire comunque. Dopo qualche istante di indecisione, la porta era tornata aperta di una decina di centimetri e dopo qualche altro istante la donna rimosse il catenaccio per poter guardare meglio il proprio interlocutore negli occhi, proprio mentre questi spiegava che "La magia esiste, anche io sono un mago. Non ho alcuna intenzione di far del male a lei o alla sua famiglia, glielo giuro. Sono qui come mero rappresentante della Preside Minerva McGranitt per consegnare la lettera ad Adam Farwell. È un mago residente in Inghilterra e come tale è stato ammesso alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dove potrà imparare a controllare i suoi poteri. Posso chiederle il suo nome, signora?”
“Clara. Clara Thorne.”
“Potrei gentilmente entrare in casa, Clara? Le darò ulteriori prove dell’esistenza della magia all’interno, dove nessuno potrebbe accidentalmente assistere. Basta pappagalli, promesso.”
E a Reginald fu concesso di entrare. Si trovò in un ingresso piccolo ma confortevole. L’arredamento era moderno, in tonalità di bianco e crema e sulle pareti c’erano diversi specchi che creavano un piacevole effetto di luci, facendo sembrare lo spazio più grande e luminoso di quanto non fosse in realtà. Uno scorcio di salotto gli fece intravedere uno splendido pianoforte. La cucina era di dimensioni modeste anch’essa, ma ben organizzata. Clara indicò una delle sedie attorno al tavolo da pranzo e cominciò ad armeggiare con la teiera, richiedendo una dimostrazione di abilità. Reginald trasformò la sedia in una chaise long, poi fece sparire e riapparire il tavolo in una manciata di secondi. 
“Ok, sì. Questo è fantastico. Potrebbe pure ripararmi la lavastoviglie?”
Il pozionista non poteva. Tecnologia e magia non funzionavano al meglio, assieme. Ciò che poteva offrire, però, era di rassettare l’intera casa con la magia. Gli ci vollero vari incantesimi distinti e una buona mezz'ora di lavoro, ma replicare il celebre momento con Topolino e le scope sembrava essere stato sufficiente per guadagnargli incrollabili fiducia e ammirazione da parte di Clara. Ora lo guardava con occhi scintillanti di meraviglia infantile. Travolta da un’improvvisa ondata di giovialità e buonumore, la donna gli confidò di aver sperato, sulle prime, che fosse un professore di musica di una rinomata scuola privata. Lui si accigliò e lei tornò sulla difensiva. “Una donna non può forse sognare?”
“Ma certo… Mi dispiace deluderla, allora. Sono un insegnante di Pozioni, ad Hogwarts. Però che io sappia una delle proposte extracurricolari di uno dei miei colleghi è il coro scolastico, c’è anche un’orchestra di accompagnamento.” Non disse che il Coro delle Rane di Vitious generalmente era accompagnato da strumenti che suonavano da soli. Temeva di offenderla, quando finalmente il colloquio aveva preso una direzione buona a giudicare dalla sua espressione e dal suono di approvazione che le aveva appena strappato. “Adam suona il piano, mi sembra di capire?" 
“Esatto! È davvero bravo. Beh, col supporto di suo padre penso che fosse inevitabile, ma ha molto talento innato, capisci? O almeno così dice Isaac.”
“Anche suo marito è un musicista?”
“Sì. Anche lui faceva parte di un'orchestra, alcuni anni fa. Primo violino. Ci siamo incontrati così, a un concerto. Io ero fra il pubblico”. Lo sguardo di Clara sembrò addolcirsi al ricordo, come se potesse sentire di nuovo la musica del Quintetto in mi bemolle maggiore op. 44 di Schumann, pianoforte e archi. Reginald ascoltava in silenzio, annuendo per incoraggiarla a proseguire. Il repertorio classico di musica babbana aveva attecchito come forma di intrattenimento anche nei salotti magici, seppur con delle riserve e qualche ritardo nelle tempistiche.
Per un po’ conversarono di musica, Reginald piacevolmente colpito da riferimenti che non poteva carpire, poi si impose di riportare la conversazione sul tracciato previsto e domandò del primo episodio di magia accidentale di Adam. Clara dovette pensarci, ma ora che poteva dare spiegazione razionale anche all’inspiegabile, gli esempi le si presentavano sulle labbra da soli. Adam aveva rotto degli oggetti, qualche volta, mentre suonava. Bicchieri totalmente fuori portata, una volta un vetro di una finestra. Non l’aveva notato subito. Erano stati i commenti di suo marito sul fatto che il modo di suonare di Adam fosse troppo nervoso, teso, sempre discontinuo, mentre suonava Pollini. “Magari è troppo difficile per un bambino…” era stata la sua obiezione, ma se l’era rimangiata in fretta perché non essendo musicista non aveva il diritto di dire la propria a riguardo. Ricordava l’aria vibrare, però: qualcosa sembrava tendersi come un elastico per poi tornare in posizione con uno schiocco, rompendo ciò che trovava lungo il tragitto. Ricordava come Adam sembrava farsi a pezzi sulla tastiera, fisicamente incapace di staccarvisi. Se questa era potenziale inespresso, talento dormiente che non conosceva il mezzo giusto attraverso cui uscire, la visita di Moonshine non era che una benedizione. 
 Comunque, erano tutti dettagli che non avrebbe mai condiviso con un estraneo. Clara si limitò a parlare di vetri infranti, e andava benissimo così. 
 Il rumore della chiave nella toppa la interruppe. 
“Siamo a casa” fece una voce maschile, baritonale, dall’ingresso. 
“Sono in cucina” rispose Clara. 
Due persone fecero il loro ingresso: uno era un uomo adulto, più vecchio di Clara di almeno una quindicina d’anni, con una bella barba da filosofo e un completo tre pezzi color antracite; l’altro era un ragazzino mingherlino con capelli color miele e braccio destro ingessato. Isaac Farwell sollevò un sopracciglio alla vista dello sconosciuto attualmente intento a bere del tè con sua moglie, ma subito gli rivolse un cenno del capo e un “Buongiorno”, che suo figlio non fu per niente propenso a concedere. Adam squadrò Reginald dall’alto in basso, concentrandosi con particolare attenzione sulle sue scarpe e sul suo petto. 
Reginald scattò in piedi e porse la destra al signor Farwell, indossando subito un sorriso di scuse. “Buongiorno signore. Sono Reginald Moonshine, sono professore della scuola di Hogwarts, sono qui per –”
“E cosa insegna?” Fu la domanda dell’altro, che ora sembrava particolarmente sospettoso, anche se non troppo disturbato dallo stato sudaticcio della mano che aveva appena stretto. 
Reginald boccheggiò. Guardò Clara, chiedendo aiuto con gli occhi. “Ah, e-ecco, io… Pozioni.”
Il signor Farwell sbarrò gli occhi e le sue sopracciglia scattarono in alto quasi per volontà indipendente. “Prego? Pozioni, ha detto?”
Isaac Farwell era un uomo molto imponente, con spalle larghe e occhi intelligenti. Anche se il suo volto in sé non era particolarmente degno di nota, in lui c'era qualcosa di interessante, qualcosa che lo rendeva attraente nel modo in un orologio antico è affascinante per la trama sottile degli ingranaggi, o un manoscritto ingiallito risulta intrigante per la cura messa nelle incisioni miniate. Sembrava severo e vecchio, vecchio alla maniera dei professori che non smettono mai di essere tali, neanche dopo essere andati in pensione. Dalla sua presenza, Reginald si sentiva schiacciato e ricorse a una distrazione. Estrasse la bacchetta e la puntò verso la tazza di tè ancora mezza piena, ma fredda. In un attimo le tazze erano due. Il signor Farwell sbatté le palpebre, guardò la tazza e poi la bacchetta che l'aveva creata, poi si voltò di nuovo verso Reginald.
“Capisco,” disse quindi, nel tono neutrale di chi si sente dire che le persone si trasformano in gatti e i gatti in persone. “E perché è qui?”
Il mago si voltò in direzione del ragazzino, rimasto in silenzio per tutto il tempo. Aveva ereditato la combinazione cromatica della madre, capelli di miele e occhi nocciola, ma qualcosa nella sua espressione ricordava in pieno suo padre. Adam lo fissava come un falco, come se si aspettasse che potesse diventare giallo. Quasi gli dispiaceva deluderlo, pensava Reginald, con un piccolo sorriso. Nessuno sarebbe diventato giallo, quel giorno. “Adam, sei stato scelto per studiare alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Hai il potenziale per diventare un grande mago.”
Il bambino non rispose subito. “È magia quella?” domandò poi, indicando le tazze sul tavolo. “Ha– ha qualcosa del genere tutt’attorno a sé. Sulle caviglie, sul petto.” 
I coniugi Farwell, che avevano realizzato solo in quel momento che il figlio poteva vedere qualcosa che non era lì, squadrarono prima Reginald e poi Adam con apprensione. Il signor Farwell difficilmente cadeva nell’imbarazzo di chi non sa che cosa dire, ancor più improbabile era non riuscire a interpretare da sé i segnali di un possibile squilibrio. Reginald non sembrava avere alcunché di strano ai suoi piedi né sul petto. Era ancora un uomo ossuto con barba rada di un rosso grigiastro, proprio com’era appena entrato, con una giacca troppo leggera per il freddo che c’era fuori. 
 Quando finalmente si decise a parlare e lo fece con molta cautela: “Che cosa intendi?”
 Il ragazzino vacillò, la voce poco più di un pigolio. “Io… c'è come... una specie di ombra. Tipo qualcosa di sfocato attorno ai suoi piedi e alle sue caviglie e anche al suo petto. E vedo qualcosa di simile anche sulle tazze, ma è molto più brillante.”
 Il mago tacque di nuovo, pensieroso. Il suo silenzio disturbava sia i coniugi Farwell che il loro figlioletto: se il signor Farwell non era ancora del tutto convinto del fatto che Reginald non fosse un ciarlatano, Adam temeva di aver fatto una pessima figura dicendo qualcosa di sbagliato. Nel cervello di Reginald vari ingranaggi giravano assieme cozzando selvaggiamente in un suono tutt’altro che armonico e la ragione era che Adam apparentemente era in grado di vedere i residui degli incantesimi e distinguere la firma magica degli individui, un talento che non era per niente comune, anche se non si poteva dire che fosse unico. 
“Beh… Non ho alcun dubbio che farai strada nel nostro mondo, Adam. Il tuo è un talento raro. Dovresti essere in grado di evocare magie potentissime con un autocontrollo simile. Solo in pochi sono in grado di farlo.”
 “Posso provare?” domandò con un improvviso lampo di coraggio e il professore ridacchiò. 
 “Non fuori da scuola. È la legge. Il Ministero della Magia tiene traccia dei casi di magia minorile. E comunque, dovrai prima procurarti una bacchetta da Ollivander, a Londra. Potrò farti da guida, se vuoi, prima di settembre, oppure posso fornirvi le indicazioni per arrivarci da soli.”
 Lo sviluppo più naturale era rivolgersi alla madre, speranzoso. “Possiamo andarci oggi?”
 “Con quel braccio ingessato?” Fu la risposta. “Non se ne parla. Ci andremo appena sarai guarito. È pure il braccio destro, non saresti neanche in grado di impugnarla per bene.”
 Adam si rabbuiò. Il signor Farwell si accarezzava la barba, pensoso e ammutolito, mentre sua moglie si mostrava per la prima volta inquieta. Aveva realizzato, forse, che un bambino del genere, una volta acquisita la consapevolezza della propria forza, di tutto il potere che aveva a disposizione e che gli altri, comprese le autorità in casa, non avevano, poteva facilmente diventare difficile da gestire. Poteva decidere di non mangiare mai più la verdura o di mandare indietro il tempo per poter restare alzato più a lungo, e lei non avrebbe avuto nulla per contrastarlo; avrebbe potuto evocare ogni specie possibile di pappagallo esotico e lei non sarebbe stata in grado di fare nulla se non restare a guardare. Per un istante tutto le era parso nero, senza speranza, prima di ricordare che si trattava pur sempre di Adam, un bambino dolce, così talentuoso nel piano, mai del tutto a proprio agio in mezzo agli altri ma sempre molto rispettoso. Quasi si vergognava ora di aver permesso alle insicurezze di avere la meglio, di non farla sentire all’altezza della situazione. Se Reginald fosse stato un uomo meno distratto, non si sarebbe perso il repentino cambio di espressione e avrebbe lasciato cadere l’argomento così; era convinto di fare un favore a tutti, invece, quando aveva proposto di guarire il braccio rotto con la magia. Colto dall’adrenalina e dall’esaltazione, aveva spiegato: “Una frattura non è niente di grave nel mondo magico. Si può guarire facilmente con un singolo incantesimo.” 
 Con un colpo di bacchetta il gesso si ruppe in due e il braccio di Adam, arrossato e ancora un po’ gonfio, scivolò fuori. Il ragazzino teneva gli occhi sulla punta della bacchetta, acceso di un entusiasmo mai provato prima. Di colpo avvertì il flusso di energia partire dal braccio di Reginald, passare attraverso il legno e concentrarsi al centro del suo avambraccio. Lo percepiva come calore, febbrile, vibrante, d’improvviso davvero vicino, così vicino che poteva toccarlo, e toccarlo era altrettanto improvvisamente un desiderio irresistibile, quella che suo padre avrebbe definito col suo bel tono baritonale una “pulsione endogena”, perché era un gentiluomo erudito che leggeva di psicologia nel proprio tempo libero. Adam non seppe cosa stesse succedendo, ma nel momento stesso in cui l’incantesimo di Reginald aveva aggiustato il suo braccio, capì che qualcosa non era andato come doveva: la magia si era distesa fino al centro del suo animo, l’aveva avvolto completamente come se avesse contribuito a lanciarla e veicolarla, invece che limitarsi a sentirne l’effetto. E Reginald Moonshine era stato sbalzato indietro da una forza invisibile, pallido come un cencio, e non si era mosso più. 
 
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“Mi stai dicendo che un semplice Epismendo ha prosciugato l’intera riserva magica a sua disposizione?” sibilò Minerva McGranitt, al quarto piano del San Mungo, Ospedale per malattie e ferite magiche. 
 Il guaritore Vera Chapman, addetta al reparto lesioni da incantesimo non aveva mai visto un caso del genere: Moonshine mostrava tutti i segni di qualcuno che avesse pericolosamente sorpassato il limite magico fisiologico consentito a un mago adulto, ma all’indagine del Prior Incantatio la sua bacchetta non aveva eseguito incantesimi tali da poterlo giustificare. 
 “C’è la possibilità che non recuperi più l’uso della magia come una volta” aggiunse Chapman dopo un po’, sottovoce. 
Minerva spiò la figura che giaceva sul letto. Reginald appariva malandato, più vecchio che mai, con labbra screpolate e bluastre. Ad Hogwarts si erano tutti preoccupati quando non aveva preso contatto per oltre tre ore consecutive e Paciock era stato mandato sul posto per cercarlo, solo per scoprire da una signora Farwell molto agitata che il signor Moonshine era svenuto mentre lanciava un incantesimo ed era stato ricoverato con urgenza in un ospedale babbano, dove era ancora incosciente. Paciock aveva modificato i ricordi dei Farwell e aveva lasciato casa Farwell in un lampo, e aveva dovuto confondere ben tre infermieri prima che Reginald potesse essere rilasciato. A quel punto, aveva lanciato un incantesimo per muovere senza ripercussioni il corpo inerme del collega di pozioni e l’aveva trasportato direttamente al San Mungo. Lì, sotto le cure di due guaritori specializzati, l’uomo era riuscito a svegliarsi e a descrivere l’accaduto come la più strana e terrificante esperienza mai provata: la magia gli era stata strappata via dal braccio. 



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Nda: 
Moonshine, Regulus: personaggio canon inventore della pozione contro l'appettito delle fattucchiere (hags). Suo fratello è mio personaggio originale.
   
 
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