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Autore: Lorenzo Zappelli    14/08/2022    0 recensioni
Il protagonista della storia, Renzo, si risveglia da un terribile incubo mentre è in viaggio in treno per raggiungere la fidanzata che abita a La Spezia.
La realtà che lo aspetta al suo arrivo però è ancora più tremenda di quella che ha sognato e scoprirà, suo malgrado, che decidere di aspettare la fidanzata in albergo non è una scelta saggia.
Il racconto si svolge in un clima fantasy-mitologico, con richiami al mondo nordico, con situazioni al limite tra illusione e realtà.
Sarà il lettore a dover stabilire cosa è reale e cosa non lo è, anche se non potrà averne mai del tutto la certezza.
Buona lettura!
Se il racconto vi è piaciuto lasciate un commento! :-)
P.s. se qualche sceneggiatore fosse interessato a trasformare il racconto in una sceneggiatura per un cortometraggio, mi scriva in privato o mi lasci un commento; così da elaborare un progetto.
Genere: Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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106

Avanzò lentamente nella nebbia tetra e grigia, ad ogni passo si sentiva affondare nella cenere che copiosamente copriva il terreno sotto di lui.

Ogni movimento era un tormento ed ogni respiro un’agonia, con i polmoni che ad ogni contrazione bruciavano, quasi stesse respirando della lava incandescente.

Davanti a lui si prospettava una visione tremenda e orribile allo stesso tempo.

Vide uomini che calpestavano donne, donne che calpestavano uomini, mariti che calpestavano le mogli, madri che calpestavano i figli. Famiglie intere, generazioni intere, intente a calpestarsi a vicenda e che sembravano disperatamente lottare per un po' d’aria.

Il terreno li avvolgeva e loro, gli uni contro gli altri, lottavano per la vita come se fossero all’interno di gigantesche sabbie mobili che li trattenevano e li intrecciavano; come radici morenti di un campo d’erba prima rigoglioso.

Luminoso sullo sfondo appariva un gigantesco albero contornato da nove stelle e davanti ad esso un uomo anziano con una cappa grigia combatteva armato di una lancia contro un lupo; sicuramente il più grande che il mondo avesse mai visto.

Ad un certo punto si sentì strattonare e cadde a terra. Centinaia di mani lo avvolsero in un istante e affondarono le dita nella sua carne, squagliandola al solo tocco.

“Vi prego basta” gridò in preda alla disperazione, “Vi scongiuro lasciatemi andare” continuò supplicando.

Un sussurro sibilante gli arrivò all’orecchio: “Unisssciti a noi, qui nell’eterno limbo del nulla, dove tutto ha fine e dove tutto ha inizio”.

Venne strattonato ancora e affondò fino quasi a non vedere più nulla sopra di sé.

“Nooo vi prego, vi scongiuro!” urlò con tutto il fiato che gli rimaneva in corpo. La voce sussurrante riprese a parlare: “Sssvegliati allora, destati oggi nonostante l’oscurità imperante”.

Le nuvole scure e cariche di tempesta si andarono ad addensare in quel piccolo scorcio di cielo che ancora riusciva a scorgere, ma non poté muoversi, non riuscì a muoversi.

Sssvegliati e sssscegli se stare alla luce dell’albero dove tutto cresce o alla sua ombra dove tutto muore!” urlò la voce con la potenza di mille tuoni.

SSSVEGLIATI!” tuonò ancora più forte la voce.

Siamo in arrivo a La Spezia Centrale, La Spezia railway station, grazie per aver viaggiato a bordo dei nostri treni” . Questa volta a parlare era stata la voce robotica e meccanica che proveniva dall’altoparlante della sua carrozza.

Fu questo a svegliare Renzo dal sogno tormentato che stava facendo, giusto in tempo per scendere alla sua fermata.

Raccolse velocemente lo zaino e scese di corsa giù dal treno.

Una volta che ebbe posato i piedi sul cemento del binario prese un enorme boccata d’aria.

Ne sentiva il bisogno, quasi come se avesse viaggiato in apnea, quasi come se gli fosse rimasta nei polmoni un po' di cenere del suo sogno.

Si accese una sigaretta e s’incamminò verso l’uscita adiacente al binario, facendo attenzione a non venir risucchiato dalla bolgia di persone accalcate davanti alle macchinette automatiche.

Con il finire dell’alta stagione, gli ultimi turisti si accaparravano i posti sui treni per le Cinque Terre con una foga tale che quasi sembrava che quegli incantevoli borghi dovessero sparire da un momento all’altro, per ritornare nella nebbia che li tiene sospesi nel tempo durante l’inverno.

Conosceva bene quella situazione, La Spezia per tre anni era stata la sua casa e la sua vana speranza. Adesso vi ritornava frequentemente solo per incontrare colei che illuminava la sua vita, colei che dava un senso a tutto, la sua dolce Alice.

Prese in mano il telefono e trovò un messaggio di lei che lo avvisava che l’autobus diretto in stazione che avrebbe dovuto prendere era in ritardo. Pertanto, vista la tempesta imminente, gli consigliava di aspettarla nella camera d’albergo che avevano prenotato.

Mai previsione metereologica fu più esatta, non appena finì di leggere l’sms si sentì bagnare la punta del naso e da li a poco la pioggia cadde a secchiate, bagnandolo completamente e spegnendo la sua sigaretta.

«Dannazione!» « Beh non potevo di certo sperare di trovare il sole ed il caldo di agosto al 31 di ottobre, per fortuna la strada da fare non è molta» pensò tra sé e sé mentre scendeva la scalinata in pietra che portava alla strada sottostante.

Verso la metà della gradinata notò, posato sul corrimano, un corvo con le piume nere come la notte ed il becco rosso sangue.

Al suo passaggio l’animale lo fissò all’improvviso e incominciò a beccarlo furiosamente.

Ad ogni battito delle ali cercava di infliggergli un colpo e dopo ogni tentativo andato a vuoto, aumentava a dismisura il suo verso stridulo.

Sembrava quasi una di quelle persone che in preda alla follia urla e alza le mani contro il povero malcapitato di turno.

Nel tentativo di liberarsi da quella morsa, mise male il piede e cadde per alcuni scalini.

Non appena si riprese dalla caduta d’istinto si parò con il braccio destro il volto, aspettandosi da un momento all’altro un altro affondo del corvo. Ma con sua grande sorpresa dell’oscuro volatile non c’era più traccia.

Era come se non ci fosse mai stato, come se non fosse mai esistito.

Un po' malconcio dallo scontro, ma senza per fortuna aver riportato nessuna ferita, Renzo si rialzò.

Ora più che mai sentiva il bisogno di una doccia calda, per lavarsi via di dosso la sensazione di terrore che quello scontro gli aveva lasciato.

Alzando lo sguardo, trovò dalla parte opposta della strada la sua destinazione, l’Hotel Byron. Anche se tra sé e sé, avrebbe giurato che poco prima lì davanti vi fosse solo un normale palazzo residenziale.

Da fuori l’albergo appariva nuovo e moderno, con le lettere dell’insegna nuove di zecca e ben illuminate, dentro invece raccontava tutta un’altra storia.

Il bancone, pieno di crepe, aveva visto di certo giorni migliori e ovunque nella hall si potevano notare distintamente dei cumoli di polvere grigia, un misto di sabbia e di cenere delle sigarette.

Quello che però metteva più di tutto inquietudine erano senza ombra di dubbio le fotografie in bianco e nero appese vicino alla teca delle chiavi.

Raramente in vita sua Renzo aveva visto delle foto di famiglia che trasmettessero meno gioia di vivere.

I volti delle persone esprimevano solo una profonda e rassegnata tristezza, niente felicità, niente emozioni; quasi fossero tutti degli spaventapasseri inanimati.

Di colpo cigolando si aprì la porta posta dietro al bancone, distraendolo dai suoi pensieri, e apparve una donna sulla sessantina dai lunghi capelli neri ricci come coralli.

Non doveva essere più alta di un metro e sessanta e da vicino dimostrava ben più dell’età che le aveva dato inizialmente; il viso schiacciato, inoltre, la faceva assomigliare più ad un rospo con una strana acconciatura che ad una persona.

Con un accenno di sorriso la donna esordì dicendo: “ Benvenuto da Lord Byron Signor Renzo”.

“Io sono Utagurta la proprietaria di questo albergo” proseguì non curante dell’espressione di stupore sul volto di Renzo.

“Lei è il primo nuovo ospite dopo molto tempo, sa?” esclamò eccitata, “qui di solito abbiamo solo ospiti fissi”.

Cercando di ricomporsi Renzo disse: “Tra non molto dovrebbe arrivare anche la mia fidanzata”.

“Buon per lei!” tagliò corto l’albergatrice senza dargli troppa corda. Di fatto dopo il benvenuto tutta l’attenzione di quella strana donna era tutta focalizzata sull’impolverato registro che aveva appena aperto.

All’improvviso esclamò: “Eccola qua!” indicando con l’indice un punto della pagina che stava leggendo.

A quel punto si voltò e prese alle sue spalle una pesantissima chiave che poi porse a Renzo.

“Per lei sarà la 106, prenda il corridoio alla mia sinistra e poi segua le indicazioni”.

“Ah! E se dovesse perdere la strada, non si disperi, quello che diceva sempre mia madre in queste situazioni era che una parola aiuta a trovare la via mentre due possono smarrirla”.

Con un cenno della testa Renzo ringraziò la signora Utagurta e si incamminò lungo il corridoio alla sinistra della reception.

Man mano che si addentrava, però, il passaggio diventava sempre più buio e non c’era nessuna traccia né di porte né tantomeno di indicazioni.

Si potevano scorgere a malapena delle grosse lettere nere sul muro bianco e freddo. Vide per prima la R, poi la A, la G, la N, la A; più avanti vide tutte insieme la R, la O e infine la lettera K.

La prima cosà che esclamò fu: “Ma che diavolo?” e istantaneamente una lampadina esplose emanando una terribile luce accecante che lo costrinse a chiudere gli occhi.

Una volta riaperti, si accorse che era comparsa una bara aperta al centro del passaggio. Sopra di essa lo stesso terribile corvo della stazione gracchiava verso di lui minaccioso.

Si sentì improvvisamente tirare la caviglia, abbassò lo sguardo e vide per terra a strisciare una donna vestita da suora.

A riempire d’orrore Renzo, però, fu ciò che successe dopo; la monaca alzò improvvisamente il viso e Renzo vide che indossava una maschera di cera bianca. Dai buchi vuoti degli occhi e della bocca fuoriusciva costantemente una maleodorante melma verde.

NON SONO MORTA, NON SONO MORTA” e “AMAMI, TU DEVI AMARMI” gridava incessantemente lei.

Renzo si voltò cercando di scappare, ma scoprì che dietro di lui non c’era più la strada dalla quale era venuto.

Ora si trovava d’innanzi a lui soltanto un solidissimo muro in pietra.

A quel punto pianse, oh se pianse, non riuscendo a trovare un senso a tutta quella follia.

Inaspettatamente però, come uno scoglio in mezzo al mare in tempesta, riemersero le parole enigmatiche che poco prima gli aveva rivolto l’inquietante albergatrice.

Come d’istinto mise insieme tutte le lettere che aveva visto e urlò: “Ragnarok!”

Tutto all’improvviso svanì come era arrivato, con un lampo accecante.

Riaprì gli occhi è questa volta al centro del corridoio vide una porta in legno, in alto la cornice dove doveva essere riportato il numero della stanza era vuoto.

Come se fosse stato colpito da un forte vento, il portone si aprì sbattendo contro la parete. Non si capiva bene cosa ci fosse aldilà, l’unica cosa che si intravedeva sullo sfondo era un gigantesco albero con nove radici luminose come stelle.

Il telefono di Renzo a quel punto vibrò, lo estrasse dalla tasca e vide che l’applicazione che registrava i battiti cardiaci ne segnava 106.

Dopo quello non vide più nulla, gli sembrò di essere stato afferrato dalla mascella gigante di un’orrenda bestia, probabilmente un lupo, e trascinato dentro la stanza, ma la sua mente a quel punto era in preda alla follia e tutto poteva essere il contrario di tutto.

Si rivide per un istante per terra vicino alla scalinata della stazione con la testa sanguinante, il secondo dopo era in mezzo alla nebbia del suo sogno, quello dopo ancora veniva divorato dal lupo.

L’unica cosa certa è che da quel giorno nessuno seppe mai più nulla di lui.

A chi lo cerca ancora, se qualcuno lo cerca ancora, potete dire che ormai lui è oltre il bene e il male, oltre lo spazio e il tempo, oltre l’illogico caos e l’oscurità dell’universo.

Potete dire che lui è come una triste fotografia in bianco e nero sulla parete bianca della storia.


 


 


 


 


 


 


 


 


 

   
 
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