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Autore: LadyPalma    16/08/2022    3 recensioni
Alastor/Dolores, ModernTeachers!AU
Dicono di Alastor Moody che gli anni passati sotto l'esercito lo hanno cambiato, che studiare la filosofia non è stato sufficiente a cancellare il suo disturbo post-traumatico e allora ha iniziato a bere.
Dicono che sotto la camicia e la barba nasconda delle cicatrici vere, ma guai a dirgli che il dolore fisso alla gamba destra e all'occhio non sia altrettanto reale.
"È una brava persona, uno dei migliori che questo liceo abbia mai avuto" dice Minerva McGranitt, l'algida vicepreside, troncando qualsiasi tentativo di scucirle informazioni in merito.
"Tra un gin e un whisky dev'essersi bevuto anche il cervello" commenta Severus Piton, il taciturno professore di chimica, che al contrario parla solo per sputare un po' di veleno sugli altri.
Dolores pensa soltanto che in Inghilterra la situazione scolastica sia ben peggiore del previsto.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Dolores Umbridge
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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NDA: L’Au scolastico, sebbene ambientato in Inghilterra, ha molto più della dinamica scolastica italiana (graduatorie di supplenze, filosofia come materia diffusa…). Spero questo ibrido non dia eccessivamente fastidio nella lettura.
 




 
 
Anche i filosofi fanno brutti sogni

 
 
 
A Dolores Jane Umbridge, insegnante supplente di filosofia, bastarono appena un paio di ore per accorgersi che del mondo lavorativo aveva avuto un'idea decisamente idealizzata. Gli studenti erano a un livello di preparazione a dir poco imbarazzante, i colleghi fin troppo indulgenti, e il resto del personale lento e pigro. In generale, l'atmosfera che aveva trovato nel liceo di King's Lynn si poteva riassumere in tre parole: mancanza di ordine, soprattutto dovuto alla totale ignoranza delle regole. Per capirlo, era sufficiente notare la lampante discrepanza tra i fogli affissi alla bacheca ("È vietato utilizzare il telefono negli orari di lezione") e i venti dispositivi – uno per ogni alunno – che aveva trovato in bella mostra sui banchi. Alla sua seconda ora buca della giornata, prese posto in sala docenti, dopo aver scrupolosamente igienizzato la sedia e la sua porzione di tavolo. Il suo piano per ingannare il tempo era prendere un tè (anche se chiamarlo tè era un complimento) caldo alla macchinetta e trincerarsi dietro l'ultimo numero della rivista Felini Felici che aveva comprato il giorno prima in edicola, ma non aveva previsto che avrebbe avuto compagnia.
"Ci siamo già visti da qualche parte?" domandò un uomo seduto esattamente di fronte a lei, fissandola con aria guardinga.
Dolores gli restituì lo sguardo, per un tempo sufficiente da catalogare l'individuo come una conoscenza inutile e addirittura potenzialmente poco raccomandabile, per poi sfoderare uno dei suoi falsi sorrisi di circostanza.
"Mi creda, me ne ricorderei se l'avessi già incontrata".
La conversazione sarebbe potuta benissimo finire lì, ma la donna, per quanto poco incline a fare amicizia, non era altrettanto incapace di farsi i fatti propri. Così, dopo aver adocchiato un altro po' lo strambo uomo – i capelli grigi disordinati, un tic nervoso all'occhio e l'aria da folle non permettevano di giudicarlo altrimenti – non resistette all'impulso di tossicchiare per attirare la sua attenzione.
"Mi scusi, ma credo proprio che consumare alcolici sia vietato a scuola. E, ehm, bere alle undici del mattino non mi sembra un'ottima idea in ogni caso".
L'uomo puntò lo sguardo su di lei con aria evidentemente sorpresa, per poi spostarlo sulla fiaschetta in alluminio che stringeva tra le mani.
"Questa? È piena di Comforion, per le mie stra-maledette menomazioni. O anche curarsi è ora vietato?"
Dolores batté un paio di volte i grandi occhi verdi. Tracannare una fiaschetta di Comforion* non le sembrava affatto più salutare di una fiaschetta di Whisky, e soprattutto queste fantomatiche menomazioni – perlomeno a livello fisico – lei non le vedeva proprio. Tutto ciò che vedeva era un uomo apparentemente in salute e anche abbastanza affascinante, a dispetto dell'età avanzata e soprattutto dell'aria folle.
Tuttavia, prima che lei potesse esprimere ad alta voce il suo disappunto, fu lui a parlare, con una nota di provocazione nella voce.
"Hai preso la cattedra vacante di filosofia o quella di matematica? O forse… di ceramiche?"
Senza neanche rendersene conto, a quella frecciatina, Dolores fece scivolare prontamente la rivista nella sua borsa, anche se qualcosa nello sguardo dell'uomo le dava l'assurda impressione che avrebbe potuto scrutarla pure lì dentro.
"Filosofia, sono la professoressa Dolores Umbridge. Mi hanno assegnato il terzo anno, il quarto e…"
"Il quarto li ho avuti lo scorso anno… Quest'anno mi hanno messo al primo e al secondo. Ci sono un paio di elementi molto validi in quella classe, sicuramente".
"Oh, beh, il livello è terribile, a dire il vero, ma concordo nella presenza di qualche bella mente. Malfoy e Parkinson mi hanno fatto un'ottima impressione, non posso negarlo…"
Nell'udire i due nomi, il professore si lasciò sfuggire un grugnito di disapprovazione, prendendo un altro sorso di whisky/Comforion.
"Veramente stavo per dire Potter e Granger. Ma, del resto, non posso dire troppo visto che sono stato in malattia quasi tutto l'anno".
"Malattia?" gli fece eco lei, senza nascondere una nota di sospetto. Iniziava a capire, o così pensava: si trattava forse di una strategia per percepire lo stipendio senza lavorare?
Lui parve non udirla, restando per qualche lungo secondo con lo sguardo perso nel vuoto e la mente chissà dove, mentre si stropicciava in maniera quasi frenetica un occhio.
"Sta per iniziare l'ora, vado. Ci vediamo in giro, Bamboluccia!"
Dolores non rispose al saluto, assorbita da quel nomignolo curioso e, dal suo punto di vista, decisamente troppo confidenziale. Riuscì comunque a notare che, a dispetto del bastone che usava per sostenersi, zoppicava per davvero.
 


 
(Dicono di Alastor Moody che gli anni passati sotto l'esercito lo hanno cambiato, che studiare la filosofia non è stato sufficiente a cancellare il suo disturbo post-traumatico e allora ha iniziato a bere.
Dicono che sotto la camicia e la barba nasconda delle cicatrici vere, ma guai a dirgli che il dolore fisso alla gamba destra e all'occhio non sia altrettanto reale.
"È una brava persona, uno dei migliori che questo liceo abbia mai avuto" dice Minerva McGranitt, l'algida vicepreside, troncando qualsiasi tentativo di scucirle informazioni in merito.
"Tra un gin e un whisky dev'essersi bevuto anche il cervello" commenta Severus Piton, il taciturno professore di chimica, che al contrario parla solo per sputare un po' di veleno sugli altri.
Dolores pensa soltanto che in Inghilterra la situazione scolastica sia ben peggiore del previsto.)
 


Ad Alastor Moody, perché questo è il nome dell'uomo come risulta sul registro elettronico, Dolores non ci pensava quasi mai, se non quando lo incrociava tra i corridoi o in sala docente per qualche ora buca in comune. Quei brevi contatti furono comunque sufficienti per farle elaborare una teoria sul suo conto, una teoria che doveva per forza condividere col diretto interessato.
"Ehm, mi scusi, posso farle una domanda?"
L'uomo smise di tamburellare con le dita sul tavolo e abbassò il giornale che stava leggendo per lanciarle una rapida occhiata.
"Sputa il rospo, Bamboluccia".
"Volevo sapere, ehm, come è riuscito a passare per invalido e scalare così le graduatorie per arrivare a insegnare. Pensa che potrei inventarmi qualcosa di simile pure io?"
Lo aveva chiesto con un sorriso esagerato e un tono che credeva cordiale, per questo nella sua mente non aveva proprio preventivato una reazione negativa.
"Ma che cazzo stai dicendo? Io non mi sto inventando proprio niente!"
"Beh, insomma, è palesemente sano e i traumi psicologici lo sanno tutti che sono soltanto scempiaggini. Andiamo, non a caso psicologia qui la insegna qualcuno come quella Cooman lì. Sì, lo so che è stato in guerra e questo ehm le fa onore, suppongo, ma… la guerra è finita adesso, no?"
Per tutta risposta, Alastor fece schioccare la lingua contro il palato, emettendo uno strano suono, a metà tra una risata e un grugnito.
"Te non sai cosa sia la guerra, eh?
"I-io so bene cosa sia il male".
"Certo, scommetto che frigni vedendo un gatto randagio un po' ammaccato e ti divori su YouTube quelle cazzate che vanno di moda adesso, come si chiama? Ah, TrueCrime. Magari, dopo le riviste di ceramica, ti leggi pure qualche thriller… ma poi non ti sarai neanche mai spezzata un'unghia. Della vita vera, del male vero, credo proprio tu non sappia una cippa, ma fammi dire che… beh, ci sono più cose in cielo e in terra di quante ce ne siano nei libri di filosofia".**
Dolores avrebbe dovuto sentirsi offesa, ma in realtà si sentiva principalmente curiosa, forse proprio perché una cosa vera lui l'aveva detta: una certa morbosità per la crudeltà, per quanto da lontano, l'aveva avuta sempre, anche se si scontrava con la sua filosofia. Ché di filosofia ne riconosceva solo una, etichettando tutto il resto come spazzatura: quella hegeliana, per cui la realtà ha una struttura razionale e tutto ciò che deve esistere di fatto è. Netto, pulito, logico, in perfetto ordine, un ordine che lei avrebbe voluto pretendere in ogni aspetto della vita.
"Quali cose ci sono? Che cos'è davvero la guerra?" si ritrovò a chiedere, dunque, protendendosi leggermente in avanti.
E lui, brutalmente, esplose in un racconto secco, senza risparmiarle alcun dettaglio. All'inizio lo aveva fatto con rabbia per reagire a quella che percepiva come una provocazione, ma poi qualcosa nello sguardo attento di lei, o nel suo incoraggiante silenzio, lo aveva spinto a osare di più, a vomitare davanti a una quasi sconosciuta cose che non aveva avuto il coraggio di dire mai, nemmeno alla sua terapista. Cose come il rumore incessante delle bombe, i compagni morti a un passo di distanza, un proiettile che gli sfiora un occhio, una gamba fasciata per due mesi che anche se sana e guarita non tornerà a posto mai più. E ovviamente i sogni, sogni strani, dove il suo corpo è completamente ricoperto di cicatrici e gli sembra sempre di soffocare e soffocare dentro una valigia e… Sogni che portano a bere e a pensare che qualche soldato possa annidarsi ovunque pronto a sparargli contro e finire il lavoro. Voleva scandalizzarla, farla inorridire, ma soprattutto voleva parlare e fino a quel momento non si era mai reso conto di quanto.
"E studiare o lavorare non ti hanno aiutato neanche un pochettino?"
Alastor schioccò la lingua nel suo solito caratteristico modo e si strinse nelle spalle. "Come diceva Cartesio: anche i filosofi fanno brutti sogni".
La campanella decretò la fine di quello strambo colloquio prima che potessero farlo loro, ma entrambi sapevano che ce ne sarebbe stato un altro, e un altro ancora.
 


 
(Dicono di Dolores Umbridge che è un’incompetente, che di filosofia non ne sa molto di più del rozzo bidello Argus, che alla fin fine è solo un'arrivista che punta a quello che vogliono tutti i mediocri: il posto fisso.
Dicono che se lavora è perché ha amicizie altolocate, che forse addirittura potrebbe essere una spia per conto del Ministro dell'istruzione e conviene quindi starle più alla larga possibile.
"È alquanto particolare e inaspettata l'amicizia che stai intessendo con la nuova professoressa. Da vecchio amico, mi permetto di consigliarti di tenere gli occhi ben aperti. Del resto, non la conosci" si decide a dire il preside Silente con aria sospettosa, dopo un mese di osservazioni silenziose.
"Neanche tu la conosci" ribatte Alastor asciutto, e non sa neanche lui perché si ritrova a difenderla.
Forse perché di lei pensa soltanto che, nel bene o nel male, andrebbe tenuta sotto vigilanza costante.)
 


Da quell'animato confronto sulla guerra, in maniera spontanea i due professori caddero in una routine: incontrarsi tutte le mattine nella sala docenti (ora buca, saluti fugaci, ricreazione), prendere una bevanda insieme (caffè espresso per lui con qualche sorso di fiaschetta, tè caldo al limone per lei) e poi parlavano. Della guerra, di filosofia, dei gatti, della scuola, di politica, di libri, di film… impossibile o quasi che avessero una opinione in comune, eppure era proprio questo che rendeva la conversazione stimolante: si mostravano vicendevolmente punti di vista mai pensati e, sotto la maschera superficiale di critiche serrate, si ascoltavano con curiosità e interesse. Da quando conosceva Dolores, Alastor aveva capito come tenere la sua agenda molto più ordinata e faceva molta meno fatica a organizzarsi il lavoro; da quando conosceva Alastor, Dolores aveva imparato a essere in qualche modo più empatica con gli studenti, o perlomeno a concedere loro più tempo prima di una nota o un compito a sorpresa. Le opinioni originarie che si erano formati e le tante dicerie che avevano udito perdevano consistenza a ogni conversazione, mentre allo stesso tempo la sensazione di essersi già conosciuti da qualche parte svaniva.
Alastor ne era certo: una donna così non l'aveva mai conosciuta prima, né in questa né in un'altra vita, ché se l'avesse incontrata se ne sarebbe ricordato, ché se l'avesse incontrata forse non l'avrebbe lasciata andare. Eppure, mentre ogni giorno si alzava con l'assurdo speranza di incrociarla e vedeva la sua vita arricchita da quella semplice speranza, si convinceva sempre più che tra loro c'era un filo speciale, che dopotutto Platone nei suoi deliri romantici non aveva troppo torto col suo mito degli androgini. Forse quella donna lì era la sua anima gemella, ma un'anima gemella che non aveva ancora mai incontrato, che nelle vite precedenti aveva soltanto sfiorato e mai afferrato davvero, anche se questa teoria non l'avrebbe mai e poi mai affermata ad alta voce.
Ad alta voce, piuttosto, continuavano a battibeccare e a punzecchiarsi, e le dicerie che prima li vedevano come entità separati adesso li concepivano come un fenomeno nuovo unito di cui sparlare.
"Buongiorno Alastor, ti stavo cercando!" esordì un giorno Dolores con il solito sorriso che indossava, ma che da qualche tempo ormai vibrava di una sfumatura diversa, sincera.
"Che ho combinato, Bamboluccia?" rispose lui con tranquillità, ben consapevole che non doveva aver combinato per forza qualcosa perché lei lo cercasse, ché tutte le mattine alla fine si cercavano sempre.
Dolores esitò, tossicchiando svariate volte, prima di dirgli in maniera solenne: “Stanotte ho trovato il tuo occhio! Ecco, sì… quello che dici di aver perso".
Alastor quasi sputacchiò il caffè che stava bevendo prima di riservare un'occhiata interdetta.
"Ma sì, ho fatto un sogno molto bello. E il tuo ehm occhio – di vetro e blu elettrico, però, che strano – era attaccato alla mia porta e mi fissava. Ed era tuo, ne sono certa, lo sentivo… anche se non me lo hai detto tu, perché tu eri morto".
Lui restò per qualche istante in silenzio. Sarebbe volentieri scoppiato a ridere – come stavano già facendo silenziosamente i colleghi presenti, Vitious di letteratura e la Sprite di scienze – se non fosse per il fatto che quell'occasione, così come lei lo aveva descritto, se lo sognava pure lui e la porta…
"Mi manca il pezzo in cui questo sogno è bello".
"Oh, ecco" iniziò lei, e il suo sguardo sembrò quasi accendersi di un'atmosfera sinistra che per l'ennesima volta lui si ritrovò incoerentemente a giudicare adorabile. "Sulla porta, proprio sotto all’occhio c’era scritto: Dolores Umbridge, Sottosegretario Anziano del Ministero. Non so cosa voglia dire di preciso, ma sembra una ehm cosa grandiosa, giusto?”
A quelle parole, lui scoppiò finalmente a ridere, e in qualche modo quella porta che si apriva tra i loro sogni riuscì a rendere il loro rapporto ancora più stretto. Per quanto apparisse assurdo agli occhi dell'intera scuola, risultava ormai ben difficile incontrare l'uno senza l'altra, fatta eccezione per le lezioni – o quasi, considerata la collaborazione tra le reciproche classi per un debate sulla natura dell'uomo.
Non fu, dunque, del tutto una sorpresa quando all’annuncio delle gite scolastiche di fine anno, Alastor Moody si decise a rispolverare il vecchio, triste baule che non toccava dai tempi della guerra, pronto a dirigersi in qualsiasi meta europea prevista. L’unica tacita condizione era, ovviamente, che l’altra accompagnatrice della destinazione prescelta fosse la professoressa Umbridge. Dopo aver dato una rapida occhiata all’elenco dei viaggi d’istruzione in programma affisso nella sala docenti, non ci volle molto al professore – lo stesso che aveva rifiutato da sempre un simile impegno al grido di “Dovrei vigilarli costantemente i ragazzetti, non sono mica una balia!” – per apporre la sua firma accanto al nome della collega. E Venezia sia, allora… ma dov’è poi? In Italia, no?
 
(Dicono di Dolores Umbridge e Alastor Moody che sono un’accoppiata improbabile, e che però allo stesso tempo non possono essere altro tranne che questo, un’accoppiata, è innegabile.
“Non credo sia appropriato farti entrare nella mia stanza” dice lei, sulla soglia della sua stanza d’albergo italiana, con i bigodini in testa e una vestaglietta con i gattini che avrebbe fatto di certo orripilare qualsiasi altro uomo che non fosse lui. “Di certo non ho voglia di… svegliarmi nel cuore della notte per i tuoi ehm brutti sogni cartesiani”.
“Oh, Bamboluccia” dice lui ridacchiando, con un tono esplicitamente ammiccante che ben poche persone lo hanno mai sentito usare, “a volte anche i filosofi fanno brutti sogni, ma spesso ne fanno di belli”.
Ciò che succede a Las Vegas resta a Las Vegas, ma ciò che succede a Venezia torna pure a King’s Lynn – e quando tutti li vedono insieme senza più equivoci, non pensano più a un pettegolezzo da corridoio ma soltanto a una cosa assolutamente normale. Del resto, si sa, i filosofi sono strani.)
 
 
 
 
 




 

NDA: Si ringrazia tantissimo Nirvana in quanto la storia è stata pensata per il suo contest “Vorrei incontrarti tra cent’anni” sul forum “Ferisce più la penna”, per cui bisognava scrivere su una coppia in un contesto diverso rispetto a quello canonico, senza che i due avessero ricordi reali della vita alternativa/passata (pur essendoci degli indizi chiave nella storia). Allo stesso modo, ringrazio VigilanzaCostante, preziosissima Beta di questa storia, nell’ambito dell’iniziativa “La Penna del Beta” indetta da Legar e Futeki sempre sul forum “Ferisce più la penna”.
La citazione di Cartesio è tratta dalla corrispondenza con Elisabetta di Boemia. La scelta di Cartesio come filosofo preferito di Moody deriva dalla tematica del dubbio (la prima fase del pensiero cartesiano riecheggia la paranoia di un personaggio come Moody, a mio modesto parere, quindi mi piace immaginare che il suo punto di partenza possa proprio essere un filosofo del genere per avvicinarsi alla disciplina). Sul perché Hegel sia il preferito di Dolores, invece, c’è poco da dire: l’ordine nel sistema hegeliano è tutto, e lasciamo anche stare la parte del diritto del filosofo…
*Equivalente dell’Oki usato in Gran Bretagna, come suggerito da VigilanzaCostante.
**Citazione tratta dall’Amleto di Shakespeare.
   
 
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