Logico
Giugno 1996
Il San Mungo è freddo e asettico. È un via vai di maghi e streghe
trafelati, di espressioni appesantite e rari sorrisi.
Ogni volta che varca quella soglia, Remus ricorda la prima volta in cui si
è trovato lì. È il ricordo lontano e frammentato di un bambino, sembra quasi
che non sia suo, come fosse un racconto ascoltato da qualcun altro. Suo padre
trovava guaritori da portare a casa ogni volta che ne aveva bisogno perché
andare in ospedale era pericoloso, sconveniente.
Se solo suo padre sapesse che, in fin dei conti, Remus nel pericolo ha
scelto di viverci, gli direbbe che è un folle a tentare di mettere in ordine
una vita che non potrà mai essere definita tale. Probabilmente avrebbe ragione
perché Remus, in ogni passo appesantito che percorre verso il reparto, sente di
aver perso già così tanto da non riuscire a rimettere in ordine niente, in
quella vita.
James.
Lily.
Sirius.
Harry che si dimena nella sua stretta.
Ninfadora schiantata violentemente lontano da lui.
È l'ennesima zavorra che grava sui suoi pensieri. Giorni in cui
rivede e sente tutto, in ogni respiro.
Dovrebbe essere lui - il lupo mannaro - quello sacrificabile, lui a
perdersi.
Si chiede, mentre cerca e trova la camera di Tonks, se la vera maledizione
nel suo caso non sia proprio quella. Il mostro non è il lupo, è la terra
bruciata tutto intorno.
È la voce di suo padre radicata nella testa che gli spiega a ogni luna
piena quanto sarà difficile - impossibile - ambire a una vita
normale.
È con questo pensiero che arriva sulla soglia della stanza di Tonks e non è
un ricordo sfocato, tutt'altro. È nitido, limpido, e Remus lo detesta con la
stessa intensità del bambino che ascoltava quelle parole. Lo subisce ancora
come una tortura, la condanna a non affezionarsi, non amare, non cercare
salvezza, e si odia. Remus odia incrociare gli occhi di Tonks quando quei
pensieri che non fanno altro che avvelenarlo. Vorrebbe guardarla e riuscire ad
ammettere di essersi sentito debole e più vuoto di quanto pensasse in quei
giorni senza i colori che hanno macchiato gli ultimi mesi.
È il pensiero più egoista che la sua mente abbia mai partorito perché
desiderare di appoggiarsi a qualcuno - a lei - senza fardelli e senza dolore,
vorrebbe dire peccare di una leggerezza che non può permettersi.
Per un po’, però, ha bisogno di essere un uomo - solo un uomo - che ha
fatto delle scelte, che non ha una guerra dentro oltre a quella combattuta con
gli altri. Dieci minuti, solo dieci minuti, prima di pensare ancora a tutto
quello che ha perso, alle idee di Silente, alle missioni complesse.
Tonks è seduta sul letto, le gambe penzoloni, c'è Andromeda seduta vicino a
lei.
Gli occhi di Tonks che si illuminano nel vederlo, sono ancora una sorpresa
per Remus.
Non dovrebbero, pensa, ché per alimentare quello strano egoismo non c'è niente di peggio
della gioia che Dora non riesce a contenere vedendolo. Si ritrova a pensare e
non per la prima volta, che quegli occhi non dovrebbero assomigliare ai suoi
boschi, non dovrebbero illuminarsi come una notte stellata e stregarlo.
Dovrebbero essere grigi e spenti e amareggiati quando lui si presenta - come
quelli di Andromeda.
«Stai bene» la voce di Tonks è flebile, tradisce le sue condizioni, il suo
colorito è ancora un po' pallido, i suoi capelli opachi, ma la mano che tende
verso di lui per farlo avvicinare è l'ancora che Remus desidera e non è ancora
pronto a levare.
«Non sei tu quella in un letto d'ospedale?»
«Sto bene. Sarò presto a casa» Tonks scuote le spalle mentre le loro mani
finalmente si intrecciano.
«Tutti ne saranno sollevati»
Ninfadora alza gli occhi al cielo. È un'abitudine che Remus non riesce a
superare quella di tenderle la mano senza però parlare dei suoi sentimenti. Mai
una volta che sia riuscito a dirle a parole quanto di sé stesso le stia
regalando. Ai suoi gesti, alle carezze, ai baci, non ha fatto mai seguire nulla
che avesse la forza di sancire quel legame che nei mesi si è venuto a creare
con lei. Come se non esporsi possa farlo diventare trascurabile per entrambi.
C'è un lieve sospiro di Andromeda che - Remus ne è certo - sottolinea
quanto sia sconveniente il legame fra lui e Dora.
La vede alzarsi d'improvviso e, dopo una veloce carezza a sua figlia e un
altrettanto veloce saluto, guadagnare passi verso la porta della stanza, senza
rivolgergli uno sguardo.
«Fa così ogni volta?» Remus fa un cenno verso la sedia lasciata vuota.
«Ultimamente, solo quando tu sei nei paraggi.»
«Capisco»
«Si, anche io la capisco. Vuoi sapere cosa ha pensato?»
«Sei una Legilimens?»
«Siamo le parole che usiamo, Lupin» Dora fa il verso a sua madre e intanto
allunga l'altra mano verso il viso di Remus. Quella vicinanza sembra farla
tornare subito sé stessa «Tutti ne saranno sollevati?»
Ha preso l'abitudine di percorrere alcune delle sue cicatrici quando sono
soli, riesce a scoprirne sempre nuove, le memorizza sotto le dita.
Quel gesto piace a Remus più di quanto potrà mai riuscire ad ammettere.
«Qualcuno mi ha chiesto di te» sussurra.
È una mezza verità e sa che Dora lo sente. Se ne accorge dalla brevissima
pausa nei suoi movimenti e nonostante lui abbia gli occhi chiusi. E - di nuovo
- si odia per ciò che prova mentre le dita di lei si muovono senza nessun
ordine sul suo viso. Ama quelle sensazioni e le teme anche, al punto da voler
scappare. Uscire dalla stanza, ora che si è accertato delle sue condizioni, che
ha avuto la possibilità di riprendere fiato da quei giorni solo guardandola.
Sarebbe meglio.
«E cosa gli dirai?»
«Che sei scolorita»
«Ti somiglio?»
«Mi sembra ovvio che sono ancora il più carino»
Le parentesi di spensieratezza con Dora si sono allargate. Adesso
custodiscono mesi e stagioni, un’estate e un inverno, e hanno dato un senso a
tutto. Al movimento della sua mano che non riesce a controllare mentre le
sposta i capelli dal viso, alle dita che non riesce a slegare da lei.
Ancora un po'.
«Remus»
«Mmm»
«Mi dispiace. Per Sirius»
Remus non riesce a capire se quel nodo allo stomaco è dato dalle dita di
Ninfadora che si sono allontanate dalle sue cicatrici o dal ricordo prepotente
di quel velo nero.
«Già… È stato avventato, come al solito»
Un incosciente, per aver voluto correre in aiuto a Harry. Un disperato, nel
voler difendere a costo della sua stessa vita l’impronta di James e Lily.
James.
Lily.
Sirius.
Harry che si dimena nella sua stretta.
Ninfadora schiantata violentemente lontano da lui.
Passato, presente, futuro.
«Avrei fatto la stessa cosa, Remus. Per te.»
Quelle parole hanno il potere dello stesso schiantesimo che ha colpito lei,
in quel momento. Chiudono la parentesi e lo riportano sulla strada tracciata da
suo padre.
Sconveniente.
Non c'è futuro per uno come lui, nessun legame senza rischi. La terra bruciata
arriverà anche ai piedi di Dora e allora non resterà niente.
«Non sai cosa dici» Remus si allontana, lascia andare carezze, dita e
respiri.
«So esattamente quello che dico»
«Non capisci»
Non è come pensi. Non puoi capire. Sottovaluti tutto. Sono parole che usa ogni
volta che con disperazione si aggrappa a lei.
«Cosa non capisco, Remus?»
Dora è rimasta l'unica a far sembrare banale ogni sua ragione.
Come faceva James. E chissà che con lei non stia cercando solo la
spensieratezza di quegli anni, quando qualcuno gli ha voluto così bene da
vedere oltre quella sua condanna.
«Non è questo il punto»
«E qual è il punto, Remus?»
«Hai appena detto che andresti a morire per un mostro.»
«Non sei un mostro, sei un idiota!»
«Dora, non puoi arrivare a questo punto. Ho una maledizione...»
«E sei troppo logico. Sempre. Troppo. Logico. Non c'è niente di logico
nella vita, Remus, niente»
Ha ragione lei, niente di logico, nemmeno quella discussione in una stanza
di ospedale. Se fosse stato logico non sarebbe andato a trovarla, è stato
avventato. Voleva solo tornare a respirare ancora, togliersi la forza di Harry
impressa nelle ossa e dimenticare, solo per un momento, un altro pezzo di vita
svanito nel nulla. Dietro un velo.
«Remus»
Remus. Remus. Remus.
Tonks ha il tono dei momenti in cui gli scava dentro, di quando si prepara
a demolire muri e raziocinio, mostrandogli cosa c'è dietro, dentro, sotto,
quando lui cocciuto non vuole vedere.
«Mi ami?»
Quella domanda suona quasi come un'offerta alle orecchie di Remus. Il dono
di un sentimento intenso e inaspettato, di una promessa.
Sì.
Ma non può - davvero, non può - contaminare Dora con la sua maledizione e
la tristezza che si porta dietro. Non può permettere che lei sia parte della
terra bruciata tutto intorno, che la sua giovinezza non fiorisca, che consumi
sorrisi per lui, inaridito dalla sua condanna, dalla sua infanzia e da una
guerra che già una volta lo ha lasciato senza nessun legame.
Forse è ancora in tempo per raggiungere Andromeda, immagina di
tranquillizzarla su quel legame e sui passi indietro che farà.
Siamo le parole che usiamo, Lupin. Avrebbe detto e voluto questo, ne è certo
anche lui.
«No, non ti amo» un mormorio, nessuno a parte lui e Tonks avrebbe capito. A
nessuno, a parte loro due, avrebbero fatto così male.
Gli occhi di Ninfadora sono ancora verdi come la selva e brillano come una
notte stellata, quando Remus si allontana e lascia la stanza.
***
Ciao a tutti!
Io e l’ansia da prestazione - mia eterna compagna di pubblicazioni
– torniamo per aggiungere un nuovo momento a questa raccolta. Sono tutte
circostanze che ho abbozzato quando ho deciso di cominciare questo percorso (?)
e che a quanto pare arriveranno qui quando avrò tempo/voglia/ispirazione a
sufficienza per concluderli.
Come sempre, non sono sicura di essere riuscita ad infilare in
questa shot tutto quello che mi passa per la testa su questi due. Sappiamo che
lei è stata violentemente colpita durante gli scontri nell’Ufficio Misteri e io
ho sempre immaginato che i giorni immediatamente successivi a quegli
avvenimenti abbiano messo Remus nella condizione di pensare ancora di più al
suo legame con Tonks. E lo immagino abbastanza duro da aver provato ad
allontanarsi da lei già durante la sua degenza per farlo poi definitivamente
con la missione affidatagli da Silente.
Spero di non avervi annoiato troppo,
grazie!
Mano sul cuore,
gabry