Film > Star Wars
Segui la storia  |       
Autore: Clownqueen_oa    18/08/2022    0 recensioni
Modern AU | ObiKin | Demon!Anakin x Jedi!Obi-Wan
"Il viso della donna tornò a essere una maschera gelida, rispecchiando la voce con cui gli aveva risposto al citofono, anche se per un momento nei suoi occhi brillò di nuovo quel dolore senza fondo. Giusto una scintilla, prima che la sua espressione affondasse nell'apatia più completa.
«Mia figlia è morta, signor Kenobi» gli disse. «E fino a pochi minuti fa lo era anche lei»."
Oppure:
A causa di un esorcismo finito male, Obi-Wan resta intrappolato in un limbo tra il mondo umano e quello demoniaco. Quando finalmente se ne libera, per lui è passato soltanto un istante, per tutti gli altri cinque anni: in questo lasso di tempo, Anakin è diventato un assassino sociopatico (complice il cuore spezzato) e Ahsoka segue allegramente le sue orme.
Genere: Dark, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ahsoka Tano, Anakin Skywalker/Darth Vader, Mace Windu, Obi-Wan Kenobi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Alcune premesse:

  • quasi sicuramente non riuscirò a far quadrare tutto quanto in cinque capitoli, quindi probabilmente questo AU avrà delle One-Shot a parte;
  • OOC fortissimo soprattutto in Ahsoka per motivi di background, non vogliatemene ma è andata così;
  • i personaggi non si fanno scrupoli ad ammazzare la gente perché questa è una mia ff dopotutto, quindi era inevitabile che si sporcassero le mani. Se può farvi stare meglio, Obi-Wan si sente molto in colpa.
  • il titolo è una semi reference al film “Il diavolo veste Prada”, con la differenza che Anakin veste giubbotti di pelle e quindi l’ho modificato di conseguenza ;)


 




Obi-Wan si guardò intorno, disorientato.

Il vicolo in cui era sbucato era sudicio, maleodorante e decisamente diverso dal soggiorno in subbuglio dell’appartamento 2B, dove si trovava fino a un attimo prima.

Si passò una mano tra i capelli, poi sgranò gli occhi non appena gli tornò in mente cos’era successo. “Anakin”.

Non solo Anakin, ma anche la donna che erano venuti a salvare. Si chiamava Celine, sapeva il suo nome perché glielo aveva rivelato con voce strozzata mentre si nascondevano in cucina; un demone aveva preso possesso di sua figlia, e loro erano intervenuti dopo aver sentito le urla fin dalla strada.

Obi-Wan sbatté le palpebre, e alzando lo sguardo riconobbe le tende a fiori della finestra del secondo piano - per qualche motivo era stato teletrasportato fuori dalla casa, dal demone forse. Si fece strada fuori dal vicolo e risalì le scale che portavano al portone del condominio, ma da subito qualcosa gli apparve fuori posto: qualcuno aveva appeso dei volantini sulla porta, volantini che era quasi sicuro non ci fossero prima, e diversi cognomi mancavano dalla plafoniera del citofono, ora rugginosa e semi vuota.

Scosse la testa, e suonò il campanello. Non gli rispose nessuno.

Obi-Wan alzò di nuovo la testa, ma non sentì alcun rumore provenire dall'interno del complesso. Il che era singolare, visto che fino a quel momento il demone si era divertito a scagliare di qua e di là mobili e quant’altro (Obi-Wan compreso) con il pensiero. Che Anakin lo avesse già sistemato per conto suo?

La mente di Obi-Wan però non stava collaborando. Non riusciva a ricordarsi i momenti salienti dello scontro appena interrotto, solo il pianto disperato di Celine e la fitta di dolore alla schiena quando il demone lo aveva sbattuto contro il muro come una bambola di pezza; poi il ringhio furibondo di Anakin, Obi-Wan che gli intimava di non dare di matto e restare concentrato… E poi?

Come diavolo ci era finito in quel vicolo, tanto per cominciare?

Obi-Wan suonò di nuovo, e finalmente dall’altra parte sentì il ricevitore attivarsi con un suono raschiante.

«Sono impegnata» la voce di Celine gli giunse bassa e sbrigativa, come se fosse stata interrotta nel bel mezzo di una riunione di lavoro e non fosse in pericolo di vita. «Se è per vendermi qualcosa, non sono interessata».

«Sono Obi-Wan. Per qualche motivo sono finito qui fuori. Lei sta bene?»

Non gli giunse alcuna risposta, se non un silenzio abissale.

«Andate al diavolo» gracchiò infine Celine, e riattaccò.

Obi-Wan aggrottò la fronte. “Non c'è tempo per questo”. E allora perché il suo corpo non gli trasmetteva neanche un grammo di adrenalina? Anzi, era intorpidito e rigido come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno. Non gli faceva neanche male la schiena, eppure l’impatto con la parete era vivido quanto doloroso nella sua memoria.

Obi-Wan riprovò a citofonare, e questa volta Celine rispose immediatamente. «Ho detto di andare al diavolo. Se non la smette chiamo la polizia, mi ha sentito?»

«Celine» tentò, diplomatico «la prego, non faccia così. Va tutto bene lassù? Anakin è con lei?»

«Giuro su Dio, se non se ne va io-»

«Mi dica solo se sua figlia sta bene. C'è qualcosa di strano, credo che il demone abbia danneggiato la mia memoria».

Celine non sembrava in pericolo, soltanto fortemente scocciata, perciò l’ordine di priorità di Obi-Wan virò sulle condizioni della bambina e sul suo ipotetico salvataggio. Provò una leggera ansia al pensiero, Anakin non aveva mai compiuto un rituale di esorcismo senza la sua supervisione, ma se al piano di sopra tutto taceva in qualche modo doveva avercela fatta.

Celine non gli rispondeva più, ma non aveva neanche riattaccato. Dopo qualche secondo, Obi-Wan sentì il portone aprirsi con uno scatto secco.

Salì le scale rapidamente, aggrappandosi al corrimano di legno, e in men che non si dica raggiunse il secondo piano - proprio nel momento in cui la porta d'ingresso dell'appartamento 2B veniva aperta con violenza, rivelando la padrona di casa e un pregnante odore di fumo.

Celine pareva invecchiata di colpo. Non vi era dubbio che fosse lei, i lineamenti dolci - seppur aggravati a profonde rughe - erano quelli della donna che lui e Anakin avevano soccorso; i capelli biondi erano raccolti in una crocchia alla base del collo, mentre gli occhi chiari erano due aghi puntati su di lui. Indossava una vecchia vestaglia rattoppata ed era scalza.

«Va tutto bene?» le chiese di nuovo Obi-Wan, con delicatezza.

Celine schiuse le labbra, ma non disse niente. Continuò a guardarlo, pallida come un cencio, finché i suoi occhi non si dipinsero di una tristezza così profonda e dolorosamente evidente che quasi lo spaventarono.

«Signor Kenobi» mormorò alla fine, e suonò più esausta che altro «Questo è proprio uno scherzo crudele, sa? Venire qui oggi, da me. Non mi avevano detto che era tornato».

“Tornato?”

Obi-Wan misurò cautamente le sue parole, perché l'espressione guardinga di Celine non era ancora del tutto sparita dal suo viso. «Mi dispiace, non credo di capire. Eravamo qui per aiutarla, si ricorda? Per salvare sua figlia da quella creatura».

Un demone di bassa lega, a onor del vero, ma comunque una minaccia se incarnato in un essere umano. Probabilmente la bambina era stata maledetta toccando qualcosa mentre giocava al parco - non era insolito che luoghi come quello nascondessero demoni desiderosi di un corpo arrendevole da abitare. E i bambini erano anche più gettonati degli anziani, erano meno fragili di quanto si credesse e la loro mente in via di sviluppo calzava i bisogni dei demoni come un guanto.

Il viso della donna tornò a essere una maschera gelida, rispecchiando la voce con cui gli aveva risposto al citofono, anche se per un momento nei suoi occhi brillò di nuovo quel dolore senza fondo. Giusto una scintilla, prima che la sua espressione affondasse nell'apatia più completa.

«Mia figlia è morta, signor Kenobi» gli disse. «E fino a pochi minuti fa lo era anche lei».

Obi-Wan non sapeva cosa dire. Per qualche motivo, decise di non trattare Celine come una pazza e di abbandonare il suo tono volutamente cauto, in favore di un approccio sempre gentile ma più risoluto.

«Possiamo ancora salvarla, Celine. Mi basta sapere dove si trova, e-»

«Dieci metri sotto terra» replicò lei, gelida. «È tardi, signor Kenobi. Sia per mia figlia, che per me. Vada a casa, sono sicura che saranno felici di rivederla».

Obi-Wan frappose il suo piede tra lo stipite e la porta prima che Celine potesse chiuderla.

«Il demone gioca con le nostre menti» insistette, anche se sembrava star provando a convincere più se stesso che la donna. D'improvviso sentiva una leggera nausea pungolargli lo stomaco. «Non ceda alla sua influenza, la prego. C'è ancora tempo».

Celine tacque. Dopo qualche istante, sciolse la tensione delle spalle ed emise un piccolo sospiro, come se si trovasse dinanzi un bambino capriccioso e insistente, per poi farsi da parte.

«Venga a vedere con i suoi occhi, se non mi crede».

Obi-Wan non se lo fece ripetere. Seguì Celine dentro casa, i nervi tesi e l’adrenalina che finalmente prese a fluirgli nel corpo.

Nell’appartamento non c’era un capello fuori posto. Il salotto era rimasto lo stesso, tranne per il divano di pelle che era stato sostituito con un modello più alla mano e con un paio di giunture scucite; la televisione era accesa e trasmetteva una vecchia soap latina, mentre la ventola dell’aria sfarfallava pigramente sulla parte alta della parete scrostata. Sul tavolino di vetro giaceva un portacenere con diversi mozziconi di sigarette, uno dei quali ancora acceso.

Non c’era traccia di Anakin, della figlia di Celine o di alcuna presenza demoniaca.

Obi-Wan avvertì il malessere nello stomaco acuirsi un poco, mentre si voltava a guardare la padrona di casa con un’espressione smarrita. Di solito rimaneva impassibile di fronte a possibili clienti, ma in quel caso il suo cervello faticava a processare le informazioni.

«Io non capisco» ammise «E vedo che la cosa le causa dolore, ma devo chiederglielo: che cosa è successo, Celine?»

Sorprendentemente, lei sorrise – o arricciò un poco le labbra verso l’alto, per un momento. «La creatura dentro mia figlia stava vincendo» raccontò, portando di nuovo gli occhi sul soggiorno vuoto. Obi-Wan notò una ragnatela crepe in un angolo del muro che qualcuno aveva provato a riparare con dello stucco. «Me lo ha detto lei, signor Kenobi. Poi mi ha assicurato che l’avreste liberata, dovevate solo riuscire ad avvicinarvi a lei. Il suo assistente era molto contrariato all’idea che lo facesse lei, ma le ha dato retta».

Le labbra di Obi-Wan si incresparono appena alla parola “assistente”. Ricordava vagamente l’espressione di puro disappunto sul viso di Anakin quando, nascosti dietro il piano della cucina per sfuggire alla tempesta di mobilia che stava scatenando il demone in salotto, aveva illustrato il piano per il rituale. “Ti prenderai una poltrona dritta in faccia, Maestro”.

Era l’unica soluzione, non potevano rischiare che il demone espandesse la sua sfera di influenza e toccasse anche Celine. Obi-Wan e Anakin non correvano grandi rischi, ma le persone comuni erano quasi sempre indifese anche davanti a demoni molto deboli come quello. “Tutto fumo e niente arrosto” si ricordava di aver pensato Obi-Wan, abbassando la testa per schivare una cornice che gli era volata addosso.

E lo pensava davvero, rispetto a situazioni passate era un lavoro piuttosto facile.

Allora perché Celine aveva detto che sua figlia era rimasta uccisa?

«Ci è riuscito» continuò «Non so come ha fatto, non l’ho mai capito. E ci penso spesso. L’ha presa in braccio, ha evitato che gli oggetti che volavano per la casa la colpissero e si è inginocchiato» per un po’ non disse più niente, e Obi-Wan capì che stava rivivendo la scena nella sua testa. «Pensavo davvero che… I mobili erano fermi, e anche il vento. Ha detto qualcosa al ragazzo, ma lui le ha gridato di allontanarsi. Se n’è accorto prima di lei e di me, presumo».

Obi-Wan si ritrovò quasi in automatico ad annuire. Era uno dei doni di Anakin, riuscire a percepire molte cose prima delle altre persone. Per questo fino all’ultimo aveva insistito di andare a sigillare il demone al posto suo, forse.

«Si sono svegliate» disse Celine, a voce bassa. «La creatura, ma anche mia figlia. L’ho guardata negli occhi, sapevo che erano i suoi. Poi non ho visto più niente, era come se qualcuno avesse spento tutte le luci. Quando sono tornate lei non c’era più, signor Kenobi, e nemmeno il demone. C’era solo la mia Judith».

Celine prese un respiro profondo che le uscì come un tremito, e si stropicciò gli occhi con due dita. «Non ho idea di cosa sia successo. Nessuno lo sa. Ma Judith era morta, e lei non c’era più».

L’angustia alla bocca dello stomaco di Obi-Wan si era tramutata in nausea. Strinse gli occhi, e rinunciò a ogni parola di cordoglio in favore della sincerità.

«Non le avevo mentito» mormorò, «riguardo al demone. Non lo avrei mai fatto, se avessi saputo. Qualcosa è andato storto».

«Il suo assistente ha detto la stessa cosa» rispose lei. «E’ stato molto gentile. Era sconvolto, ma credo che… Non avesse ancora realizzato la sua scomparsa. Pensava di poterla riportare indietro, e a quanto pare ci è riuscito. Sempre se è opera sua».

Diviso tra il lutto per la figlia di Celine e la viva preoccupazione per Anakin, Obi-Wan si voltò a guardare la donna. «Non credo che ci siano parole per tutto questo. Mi dispiace tanto, Celine».

La donna però non reagì, limitandosi a guardarlo con una strana espressione. Sembrava perplessa, ma anche desolata e triste. «Signor Kenobi… Sa che giorno è oggi, per caso?»

La domanda lo colse di sorpresa. «E’ il tredici settembre. Perché?»

Celine annuì lentamente, senza interrompere il contatto visivo. «Lo è» concordò «ma temo che non siamo allineati sul resto. Ha idea dell’anno in cui ci troviamo?»

Perché era lei a parlargli con estrema cautela? Aveva appena perso una figlia, e Obi-Wan ne era il fautore in qualche modo. Il peso di non averla salvata si era appena aggiunto al conteggio dei suoi fallimenti, e di sicuro avrebbe dovuto farci i conti per il resto della vita.

Obi-Wan la assecondò, dicendole l’anno, e Celine strinse le labbra.

«Siamo stati derubati entrambi, a quanto sembra. Quel mostro si è portato via mia figlia e il suo tempo».

Obi-Wan aggrottò la fronte. «Il mio tempo

«Mia figlia è morta il tredici settembre» si spiegò «ma non oggi. E’ successo cinque anni fa, signor Kenobi».

La realtà delle cose colpì Obi-Wan come un pugno.

Aveva provato a schermarsi da quella possibilità, aveva scosso le spalle dinanzi alle numerose stranezze dell’intera situazione e ignorato i dettagli… Quando mai il Negoziatore chiudeva gli occhi di fronte all’evidenza? La verità era che i sospetti c’erano fin da quando era uscito dal vicolo, ma si era rifiutato di prendere in considerazione l’ipotesi.

Il demone doveva averlo trascinato dall’Altra Parte. Era l’unica spiegazione, e anche il motivo per cui le cose erano andate come erano andate.

Ricordava ancora le parole di Qui-Gon Jinn, risalivano a una delle primissime lezioni che gli aveva impartito quando era il suo apprendista. “E’ semplice, Obi-Wan” aveva spiegato “Più semplice di quanto uno possa pensare: la formula è sempre la stessa ed è valida in tutte le lingue, diffida di chi dice che soltanto in latino può funzionare, una volta pronunciata gli effetti si vedranno comunque. L’unica costante è il tributo da pagare”.

Il prezzo era una vita. Un’anima umana per un portale temporaneo sul mondo dei Disumani. Pur di non farsi sigillare il demone aveva ucciso Judith per tornare a casa, forse sentendosi messo all’angolo, e nel processo aveva portato Obi-Wan con sé.

E se le cose stavano così, allora non era l’unico a essere tornato da quella vacanza fuori programma.

«Non siamo al sicuro» mormorò.

La casa era completamente silenziosa, fatta eccezione per la ventola in salotto. Obi-Wan portò una mano alla cintura, sentendo la pressione della sua arma contro la coscia al di sotto del cappotto, e rimase in attesa.

Fu questione di un attimo. Uno scricchiolio, un movimento fugace che uno si sarebbe perso sbattendo le palpebre, e il demone si fiondò contro di loro.

Era mosso dall’urgenza più che dalla voglia di uccidere, senza un corpo da abitare poteva fare ben poco, ma Obi-Wan sapeva come cavarsela. Sfoderò il pugnale in un luccichio argentato, e si frappose tra Celine e la creatura.

«Si allontani» ordinò, indicandole la cucina con un cenno del capo. «Questa volta le cose andranno diversamente».

Il distacco emotivo era il minimo indispensabile quando si aveva a che fare con i Disumani e la devastazione che si lasciavano dietro, ma Obi-Wan non poté farne a meno. Gli sfuggì un ringhio, mentre l’informe massa nera che si agitava di fronte a lui mollò la presa sul pugnale e tentò di scavalcarlo per raggiungere Celine.

Obi-Wan non glielo permise. Affondò la lama del pugnale nell’agglomerato di oscurità, alla ricerca del cuore; il demone strillò all’intrusione, e si arrampicò lungo il suo braccio come un polipo nel tentativo di arrivare alla bocca o alle orecchie in modo da intrufolarsi dentro di lui. Obi-Wan lo afferrò a mani nude, i palmi che affondarono nella sostanza vischiosa, e lo scagliò contro la parete.

«Gli umani da usare come pass per il tuo mondo sono finiti» esordì. «E a quanto pare ti sei preso cinque anni della mia vita, quindi scusami se non sarò gentile con te».

Il suo cuore ebbe un lieve sussulto a quelle parole, ma Obi-Wan non si permise di distrarsi. Avrebbe avuto il tempo di elaborare il tutto in seguito, ora come ora l’importante era sigillare quella creatura e dare un po’ di pace a Judith e sua madre.

Obi-Wan iniziò a borbottare la formula, e al demone la cosa non piacque affatto. Si aggrappò faticosamente a una lampada, tentando di scagliarla con la telecinesi, ma senza un corpo riuscì a malapena a spostarla dal tavolino; strisciò allora in direzione della parete, probabilmente mirando a scappare tramite i condotti dell’aria connessi alla ventola.

Obi-Wan lo raggiunse senza neanche dover correre. Finì di recitare la formula e si punse la punta del pollice con l’estremità del pugnale, strofinando il sangue tra le dita intanto che sentiva l’incantesimo scorrergli nelle vene.

Il demone strillò di nuovo, questa volta in modo tanto acuto e disperato da sembrare quasi umano, e prese a restringersi e allargarsi in preda agli spasmi: si contorse, poi si accartocciò come una pallina di carta e venne avvolto da un grumo di fiamme bianche che lo incenerirono.

Obi-Wan rimase in attesa qualche secondo ancora, poi rinfoderò il pugnale. Sul pavimento del salotto, vicino alla parete, si era disegnato un cerchio bianco contornato di simboli geometrici: al centro di esso vi era una runa, la prova che il rituale era stato ultimato a dovere e il demone era definitivamente morto.

Celine riemerse lentamente dalla cucina con una padella in mano. «Se n’è andato?» quando Obi-Wan glielo confermò lasciò andare un sospiro, abbassando l’arma improvvisata.

Obi-Wan si avvicinò per sistemare la lampada che il demone aveva spostato.

«Mi dispiace tanto» le disse di nuovo, sinceramente amareggiato. «Immagino che i miei colleghi abbiano già fatto tutto il possibile per aiutarla quando è successo, per quanto niente possa… Riparare le cose».

Celine annuì distrattamente. Continuava a guardare il sigillo sul pavimento. «Mi hanno dato un risarcimento. Erano parecchi soldi, potevo andarmene da qui. Non l’ho fatto perché non mi importava, quello che è successo quel giorno mi avrebbe seguita comunque».

Dal tono sembrava ci avesse provato. Obi-Wan aprì la bocca per parlare, ma Celine lo fece prima di lui.

«Non si flagelli troppo, signor Kenobi» gli accennò un sorriso tirato «Aveva ragione, in condizioni normali l’avrebbe salvata. L’ho potuto vedere qui oggi».

«Avrei dovuto impedirlo» disse con voce rauca. «Proprio perché era semplice da sigillare, avrei dovuto farlo».

«Almeno ora sappiamo che non tormenterà più nessuno» Celine aveva gli occhi lucidi, si affrettò a ricomporsi e respirò con forza dal naso. «Signor Kenobi, credo che lei debba andare ora. Io sto bene, con quello che ho perso ci convivo ogni giorno. Lei invece non se n’è neanche accorto».

Aveva ragione. Obi-Wan si sentì male per lei, per il dolore che aveva dovuto rivivere nell’ultima ora, e poi finalmente si permise di essere sconvolto.

“Anakin”. Che cosa aveva fatto dopo la sua sparizione? Era stato dato per morto? Doveva chiamarlo al più presto. Doveva chiamare al più presto parecchie persone.

Obi-Wan prese un respiro profondo. Era appena tornato da cinque anni nel limbo tra il mondo umano e quello dei demoni, e aveva già una marea di cose da fare. Tipico.

 

-

 

Padre Roosevelt non era morto in modo indolore.

Non che ad Anakin fregasse qualcosa, di solito non stava molto simpatico agli uomini di Chiesa, e di conseguenza a lui non stavano molto simpatici loro.

Il prete era riverso a terra, gli occhi vitrei puntati sul soffitto ad archi della chiesetta e la tunica bianca e verde completamente impregnata di sangue; non aveva opposto resistenza, Anakin lo aveva colto di sorpresa e con un taglio netto sulla carotide lo aveva sgozzato prima che ne avesse il tempo.

«La vogliamo finire qui?» disse ad alta voce, senza staccare gli occhi dal cadavere.

Padre Roosevelt non si mosse, poi le labbra schiuse e già violacee si aprirono in un sorriso sinistro. Si alzò in piedi come se niente fosse, la ferita alla gola che ancora perdeva sangue e che andò a insozzare il pavimento di marmo.

«Non ti ho sentito arrivare» gracchiò, la voce distorta e rauca. Le sue corde vocali erano state severamente danneggiate, ma in qualche modo riusciva ancora parlare. «Non sei umano, ma non sei neanche stato posseduto. Sei il bastardo dei Jedi».

Anakin rimase impassibile. «Di solito quelli come te hanno la passione per la carne umana, non per i gossip».

«La gente parla» scosse le spalle, e gli occhi celesti del prete vennero sostituiti da un paio di iridi di un giallo penetrante, la pupilla verticale come quella di un serpente. «Parla fino a vomitare, specie con i preti. Non ho ancora mangiato nessuno, se può farti sentire meglio».

«Menti nella casa di Dio?» disse Anakin, pur con evidente sarcasmo. I canini erano già fuori, era inevitabile con l’odore di sangue che impregnava l’aria, ma lui li aveva lasciati andare di proposito: non aveva voglia di controllarsi e non ne aveva bisogno. Non in quella chiesa senza testimoni.

Padre Roosevelt – o ciò che ne rimaneva – si leccò le labbra, tastandosi la ferita alla gola come se stesse controllando un taglietto da niente. «E chi sarà il mio giudice, tu? Uno con la madre così troia da lasciarsi scopare da un demone di certo non può aprire bocca sui difetti degli altri, non trovi?»

Era questo che dava fastidio ad Anakin, l’imprecisione. Se proprio i demoni di bassa lega volevano sparlare di lui, che almeno dicessero le giuste stronzate.

Pensava fosse ormai risaputo che non era sua madre a essere umana.

Si avvicinò con lentezza, rinfoderando il pugnale sotto lo sguardo del demone, e aprì le braccia con fare accogliente. «Hai ragione. Non sta bene giudicare i morti».

Il demone assottigliò gli occhi da rettile, indietreggiando appena. Il suo contenitore era già morto, quello che muoveva non era che una marionetta e presto avrebbe ceduto, ma Anakin era sicuro che sapesse di non poter vincere; voleva scappare dalla porta alle sue spalle, creando un diversivo forse.

Come se glielo avrebbe permesso.

Non ebbe bisogno di avvicinarsi oltre, fu l’altro a scagliarglisi addosso con i canini sguainati. Anakin schivò il morso con cui voleva azzannargli la gola e gli assestò un calcio nello stomaco, riacquistando così mezzo metro di distanza; il demone lo afferrò per una spalla, affondando le unghie nella carne, ma Anakin fece lo stesso e lo sbatté a terra senza troppa fatica.

Fortunatamente, Padre Roosevelt era un uomo piuttosto minuto.

A cavalcioni su di lui, Anakin premette un avambraccio contro la gola del demone e con la mano libera sfoderò di nuovo il pugnale, in cerca del punto in cui colpire. “Dove ti nascondi?”

Polpaccio sinistro, dove la carne coperta dalla tunica toccava il pavimento. Anakin si voltò con una rapidità inumana, sempre a cavalcioni del prete, e conficcò la sua lama nel punto che gli suggeriva il suo istinto. Lo strillo perforante che gli riempì le orecchie gli fece capire che aveva fatto centro.

Aprì uno largo squarcio nel polpaccio sinistro, il più profondamente possibile, e divise i lembi di carne per poi infilarci dentro una mano senza tanti complimenti. Toccò l’osso della tibia, le fibre muscolari tranciate e con una smorfia di trionfo infine vide dei grumi informi di materia nera che tentavano di sfuggirgli: riuscì ad afferrarne uno, che subito prese la forma di un tentacolo e si aggrappò all’osso esposto, iniziando così un disperato tira e molla con Anakin.

«Lascia» ringhiò «la» afferrò la caviglia del prete con l’altra mano e diede un forte strattone al suo avversario «presa».

Il demone emise un ultimo stridulo urlo di protesta, prima di abbandonare completamente il corpo di Padre Roosevelt. Con un verso schifato, Anakin gettò l’essenza informe della creatura sul pavimento, e si scrollò una mano insanguinata.

«Mi hai pure fatto giocare all’Allegro Chirurgo» commentò tetro, pulendosi sulla tunica del prete, poi si alzò in piedi con il pugnale alla mano. «Su, chiudiamola qui. E’ quasi ora di cena».

L’esorcismo andò liscio come l’olio, in confronto alla piccola baruffa che lo aveva preceduto. Una volta finito Anakin si affrettò a cancellare il cerchio runico con il piede, era come il gesso che i bambini usavano per disegnare sul cemento, poi si voltò verso il corpo e fece una smorfia.

Odiava mettere a posto i suoi casini, era una delle parti dell’essere adulto che non gli erano mai andate giù. Insieme al fare la lavatrice.

“Se ci fosse Obi-Wan avrebbe già iniziato a farti la predica sul sangue a terra” pensò distrattamente, intanto che afferrava il corpo del prete per le caviglie e lo trascinava lontano dalla scena del delitto.

Obi-Wan era sempre stato ossessionato dalla pulizia e dalla meticolosità, nella sua vita privata così come sul lavoro. Di conseguenza, si batteva in un modo diametralmente opposto a quello di Anakin, si muoveva con precisione e non sprecava un briciolo di forza in movimenti non necessari; lo guardava spesso, quindi aveva assimilato quella tecnica e potenzialmente avrebbe potuto adoperarla, ma non era mai stata roba per lui.

Anakin si prendeva spazio mentre combatteva, era un tornado di energie e brutalità anche quando persino lui riconosceva non fosse necessario. Non poteva farci niente, la sensazione dell’adrenalina che gli scorreva nelle vene e veniva soddisfatta non aveva pari.

«Erano bei tempi, Padre» confidò cupo al corpo del prete, le sue parole che echeggiarono per la chiesa vuota. Gli arazzi alle pareti sembravano giudicarlo con lo sguardo, forse perché nello spostare il cadavere stava sporcando ancora di più. «Era ancora tutto facile. Ahsoka non rompeva le palle, i Jedi non rompevano le palle… C’era lui a mettere tutto a posto».

Anche vivere con Qui-Gon Jinn era stato piacevole, ma chi voleva prendere in giro? Il fulcro di ogni attimo meno tetro, ogni respiro liberatorio che Anakin era riuscito a prendere durante la sua vita miserabile, era sempre stato Obi-Wan Kenobi.

Sempre, fin da quando era uno stupido bambino piagnucolone e assetato di carne umana.

Ehi, non aveva mai detto di aver avuto un’infanzia convenzionale.

“Sarebbe fiero di te, Ani” gli aveva detto una volta Ahsoka. Era ubriaca marcia, naturalmente, quelli erano gli unici momenti in cui diventava sentimentale. “Di come te ne freghi quando senti il loro odore, rispetto a qualche anno fa. Io ancora non ci riesco”.

Ed era solo colpa sua, pensò Anakin asciugandosi il sudore che gli imperlava fronte. Non era stato in grado di tramandare quello che Obi-Wan aveva insegnato a lui: ai tempi non era stato davvero attento, si era illuso di avere tutto il tempo del mondo e quando il suo maestro era… scomparso, si era ritrovato con un pugno di mosche.

Degli insegnamenti di Obi-Wan restavano alcune tecniche di concentrazione, i suoi costanti ammonimenti sul mantenere il controllo e i suoi modi gentili, nient’altro. Il resto dei ricordi di Anakin era fatto di sguardi compassionevoli, braccia che lo stringevano per offrirgli conforto e sorrisetti sagaci a fior di labbra, e nel suo egoismo non aveva mai voluto condividere niente di tutto ciò con Ahsoka.

I sentimentalismi non l’avrebbero aiutata comunque. Anakin non sentiva pressioni esterne, aveva smesso di preoccuparsi di cosa pensavano i Jedi già molti anni prima, ma dentro di sé ammetteva di essere lievemente preoccupato per la lei. “Deve darsi una regolata” gli aveva detto Branween dopo un’altra delle sue bravate, in tono sorprendentemente serio. “Mace non è contento, e neanche il Maestro Yoda. Finirà per mangiarsi qualcuno”.

Anakin aveva ribattuto che la contentezza non rientrava nella programmazione di Windu già di base e che Yoda aveva più di cento anni e poteva anche andarsene in pensione, ma sapeva che aveva ragione.

Anche lui aveva combinato dei casini alla sua età, pure più gravi, ma aveva avuto Obi-Wan accanto. E Anakin non aveva problemi ad ammettere che non era la stessa cosa senza di lui, anche se si metteva sempre in prima linea per difendere Ahsoka.

«E’ come essersi ritrovati a un bivio» continuò in tono monocorde, intanto che tirava la zip e chiudeva il sacco per cadaveri in cui aveva chiuso il prete «e aver scelto la strada in discesa. Solo che una volta imboccata non finisce più. Sono cinque anni che precipitiamo, Padre».

E le aveva provate tutte, sul serio. Aveva provato a farsi forza, nell’epoca in cui ancora cercava di portare indietro Obi-Wan: aveva litigato con tutti, sbraitato e strillato come un bambino capriccioso perché si impegnassero a cercarlo, perché nella sua testa nessuno si stava impegnando abbastanza e ogni secondo era cruciale.

Anakin ricordava ancora come si era sentito i primi mesi. Come se fosse tutto un grande scherzo, una presa in giro orchestrata dall’universo solo per fargli del male più di quanto non ne provasse già: vedeva le persone andare avanti con la loro vita e non poteva fare a meno di chiedersi come? Come potevano? Come osavano? Obi-Wan Kenobi era scomparso, presumibilmente intrappolato nel mondo dei Disumani e preda di terribili tormenti, e nessuno faceva nulla.

A nessuno importava, perché quasi nessuno lo conosceva. Il solo pensiero per l’Anakin del tempo era inaccettabile.

Ci aveva impiegato praticamente un anno a darsi una calmata, e poi paradossalmente le cose erano andate anche peggio: aveva iniziato ad arrancare, giorno per giorno con Ahsoka stretta a lui, e aveva capito come mai Obi-Wan sembrasse perennemente angosciato dalle sue bravate.

Era dovuto crescere, Anakin, e questo al suo maestro non lo aveva mai perdonato. Si era immaginato di diventare un Jedi, il primo della sua specie a riuscirci, dopo una serie di peripezie volte a dimostrare il suo valore: Obi-Wan sarebbe stato fiero di lui, e da suo pari, Anakin avrebbe sempre potuto stargli accanto.

«L’universo è crudele» borbottò, passando l’ennesimo straccio ormai zuppo di sangue sul pavimento di marmo. Aveva ancora un po’ di tempo, erano quasi le quattro, ma presto l’altro prete della parrocchia sarebbe venuto ad aprire la chiesa per la preparazione della messa: Anakin voleva mangiarsi le mani, aveva perso tempo e queste erano le conseguenze, dannazione a lui e alla sua decisione di fermarsi in quel ristorante cinese alle tre del mattino.

“Era per tapparti lo stomaco” si ricordò.

L’odore del sangue umano ormai non gli faceva quasi più effetto, si era abituato, ma non mangiava da più di due giorni e non aveva voluto rischiare - anche se la pelle avvizzita e rugosa di Padre Roosevelt era stata un ottimo deterrente a prescindere.

Gli stracci insanguinati si accumularono nel sacchetto di plastica finché Anakin non fu costretto ad aprirne un secondo. Terminato il lavoro, fece dei nodi particolarmente stretti e li gettò in fondo al cassonetto sul retro della chiesa, conscio che a breve sarebbero passati gli omini dell’immondizia a farli sparire; successivamente tornò dentro, e dopo qualche secondo di profonda contemplazione prese il corpo di Padre Roosevelt avvolto nel sacco e se lo caricò in spalla.

Non poteva bruciarlo, Anakin aveva riconosciuto le unghie annerite e i denti marci quando lo aveva visto parlare. “E’ uno di quelli di cui ha parlato Yoda”. Il che significava che avevano un problema.

Anakin si rimise in macchina con un sospiro a dir poco esausto. L’orologio digitale sul display indicava che erano le cinque passate, fuori il cielo aveva iniziato a schiarirsi, oltre i palazzoni del quartiere si intravedevano delle strisce rossastre e arancioni che preannunciavano l’arrivo dell’alba; in giro non c’era nessuno, giusto un ubriacone all’angolo della strada che però era praticamente incosciente, accasciato su una panchina con una birra in mano.

Una gioia per gli occhi, l’assenza di testimoni. Anakin si accese una sigaretta e riprese in mano il cellulare, per poi aggrottare la fronte al numero indecente di chiamate perse e messaggi.

Ahsoka lo aveva praticamente bombardato, così come Branween. Gli altri Jedi non avevano il suo numero, lo aveva cambiato di recente, ma aveva ricevuto anche diverse chiamate da almeno tre numeri sconosciuti. Diamine, persino quella creatura antisociale di Rajee aveva provato a contattarlo.

In quel momento il telefono squillò di nuovo, e Anakin rispose.

«Allora in fondo esiste un Dio» disse Branween, seccata. «Buongiorno o buonasera, principino. Posso sapere se ti trovi negli Stati Uniti, almeno?»

«Windu ha finalmente tirato le cuoia?» chiese Anakin. Sbuffò un po’ di fumo dalle narici, senza premurarsi di abbassare il finestrino o pulirsi decentemente le mani ancora sporche di sangue. «Oppure Yoda, sapevo che era questione di tempo. Quello ha visto cadere Costantinopoli, te lo dico io».

«Hai intenzione di rispondermi o devo metterti giù, cazzone?»

Anakin alzò gli occhi al cielo. «Sono vicino al confine, di quale stato lo saprai solo se è davvero importante. Ho detto che ero in vacanza».

«Sì, circa due mesi fa. Per quanto ne sai Ahsoka potrebbe essere finita sotto un treno nel frattempo».

Anakin ne dubitava fortemente, la sentiva quasi tutti i giorni. Si rigirò la sigaretta tra le dita, lasciando che la nicotina placasse l’euforia che il deludente combattimento concluso da poco non era riuscito a domare. Un altro buco nell’acqua, e pensare che secondo il suo informatore Padre Roosevelt si era mangiato almeno quattro persone.

Probabilmente erano solo vecchi inebetiti e troppo lenti per scappare.

«Allora?» la incalzò lui stesso «Avanti, che succede? Ora sono curioso».

Dall’altra parte della cornetta, lo sbuffo emesso da Branween gli fece capire che avrebbe avuto tutto tranne ciò che voleva. «Prendi il primo volo per New York e muovi il tuo culo, se ti interessa davvero».

«Lo avrei fatto comunque. Ne ho trovato un altro».

«A maggior ragione, portalo qui» Branween tacque per un secondo, e Anakin la udì parlare con qualcuno «Sì, sono al telefono con lui… Non lo so, sarà in Wyoming o in qualche altro posto dimenticato da Dio. Non è una bestemmia, Maestro! Si chiama modo di dire! Ah, al diavolo. Vieni e basta, Skywalker. Prima che il corpo inizi a decomporsi e Mace mi assilli di più» e riattaccò senza aggiungere altro.

Anakin si stiracchiò, abbassando il finestrino per buttare il mozzicone di sigaretta, e si concesse un sonoro sbadiglio.

Branween ci era andata vicina, attualmente si trovava in Colorado. Partiva spesso per viaggi del genere, gli ricordavano i tempi in cui lui e Obi-Wan venivano scarrozzati da una parte all’altra del paese quando veniva richiesta la presenza del suo Maestro. Il Negoziatore, lo chiamavano. I Jedi europei non erano molto rispettati dai colleghi statunitensi, ma Kenobi era riuscito a farsi un nome e ciò significava porte aperte praticamente ovunque, se si trattava di occuparsi di Disumani o di partecipare a feste ed eventi diplomatici.

Anche Anakin se n’era fatto uno, ma la sua reputazione era molto meno lusinghiera. Errori di quando era un ragazzino incazzato e pieno di rabbia repressa, più che altro. Si guardò attraverso lo specchietto retrovisore, gli occhi celesti che ricambiarono l’occhiata torva e la cicatrice sulla tempia semi nascosta dai capelli lunghi.

Un ragazzino incazzato e pieno di rabbia. Era stato Quinlan a chiamarlo così una volta, dopo l’ennesima rissa che lo aveva fatto sospendere. Forse non era cambiato poi molto, considerando che nonostante avesse tagliato la gola a un uomo e il suo corpo si trovasse nel suo bagagliaio Anakin aveva ancora voglia di menare le mani.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: Clownqueen_oa