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Autore: storiedellasera    19/08/2022    1 recensioni
Estate del 1968.
Tom, Wyatt e Evelyn sono dei ragazzi di Louistown, una piccola e remota cittadina americana.
Le loro vite stanno per essere sconvolte da un mostro crudele... un mostro che adora uccidere le persone e che predilige i giovani.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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♦ Buckley ♦





Era una fresca serata. La calura dell’estate sembrava aver concesso una sorta di tregua alla cittadina di Louistown. In lontananza si poteva udire il cupo rimbombo di qualche tuono, segno che una tempesta si stava avvicinando.
Joe Limpshire era sprofondato nella poltrona del suo salotto.
Si stava annoiando moltissimo mentre cercava, non molto speranzoso, qualcosa di interessante da vedere in televisione.
I suoi genitori erano usciti. Suo fratello maggiore, Curt, avrebbe dovuto badare a lui… ma Curt approfittava di quelle situazioni per sgattaiolare fuori di casa per andare chissà dove.
Spesso ritornava nel cuore della notte, o addirittura il giorno dopo, completamente ubriaco.
Morale della storia, Joe era rimasto solo in casa senza poter fare nulla di divertente.

Trovò poi qualcosa in tv che suscitò, seppur lievemente, il suo interesse.
Si trattava di un vecchio film horror in bianco e nero. Montgomery Clift recitava la parte di un uomo che veniva tormentato da un fantasma.
Lo spettro appariva di notte, uscendo da una lugubre tomba nel bel mezzo di un antico cimitero.
Joe rimase a guardare il film per un bel po' di tempo, ma quando alzò lo sguardo verso l’orologio, si accorse che doveva controllare Buckley.
Il cane della sua famiglia, l’enorme e vecchio mastino, non stava molto bene.
Curt l’aveva portato con sé quel pomeriggio, probabilmente per spaventare qualche poveraccio in città. Si era poi spinto verso la vecchia casa abbandonata di Price.
Lì Buckley, come aveva raccontato Curt, aveva trovato qualcosa per terra, vicino a un vecchio spaventapasseri abbattuto e vandalizzato, e l’aveva mangiato.
Curt non sapeva cosa avesse trangugiato il cane, ma da allora aveva iniziato a comportarsi in maniera strana e a star male.
“Controllato ogni mezz’ora” aveva ringhiato il ragazzo a Joe quella sera, prima di uscire di casa e lasciando suo fratello da solo.

Joe si alzò dal divano e uscì in giardino.
Lo sorprese un vento gelido. C’era odore di pioggia nell’aria.
Grossi e minacciosi nuvoloni neri si stagliavano contro il cielo notturno, sembravano divorare le stelle sul loro cammino.
Joe rabbrividì. Superò l’intero giardino e raggiunse la rimessa degli attrezzi.
Si trattava di un piccolo stabile dalle pareti sottili e di metallo.
Buckley adorava stare lì dentro. I genitori di Joe gli avevano costruito una cuccia ma il mastino considerava quella rimessa la sua vera casa.
Joe aprì la porta, tirò una catenella per accendere la luce ma la lampadina che oscillava sulla sua testa doveva essersi fulminata qualche tempo prima.
Il ragazzino attese che i suoi occhi si abituassero al buio, fino a quando non scorse la sagoma di Buckley.
Il cagnone era riverso su un fianco e dava le spalle a Joe.
Aveva il respiro irregolare. Dormiva ma era irrequieto.
Joe ebbe l’impulso di non avvicinarsi. Non aveva mai avuto timore per il suo cane, eppure l’istinto gli diceva di non svegliarlo.
Controllò che avesse da bere e da mangiare, poi richiuse la porta e si allontanò a passo svelto.
< Se domani mattina sarà ancora in quello stato… > pensò Joe <… lo portiamo dal signor Corman > che era il veterinario della città.

Rientrò in casa e un grido agghiacciante lo fece sobbalzare.
Il film horror non era ancora finito e il fantasma si era materializzato di fronte a donna indifesa e urlante. Joe si sentì uno stupido mentre risprofondava nel divano.
La ferita sulla fronte pulsava. La copriva un grande e vistoso cerotto bianco.
Il medico che l’aveva vista sosteneva che sarebbe rimasta una cicatrice.
“Maledetto Sinclair” ringhiò Joe sottovoce. L’impulso di grattarsi la ferita era insopportabile.
Wyatt Sinclair, qualche giorno fa, lo aveva colpito in testa con una pietra.
Si trovavano al campo di baseball vicino la casa di Price. Lui e Ron Davis stavano prendendo di mira Evelyn quando Wyatt, supportato dal suo amico spilungone Tom, erano accorsi in difesa della ragazzina.
Fu allora che Wyatt aveva ferito Joe.
Essere stati colpiti in quella maniera aveva messo in imbarazzo Joe… ma tornare a casa e spiegare tutto a suo fratello maggiore era stato a dir poco umiliante.
“Noi non ci facciamo trattare in questo modo…” aveva urlato Curt scuotendolo per le spalle “…sei un uomo o una fichetta?! Eh, rispondi!”
“Un u-uomo” aveva piagnucolato Joe.
“Se sei un uomo... allora comportati da uomo e fatti rispettare.”
Curt aveva preso a cuore tutta quella situazione.
Voleva vendicarsi su Tom e Wyatt a modo suo, senza riferire nulla ai genitori.

Tutti quei pensieri avevano completamente rapito Joe.
I suoi occhi erano rivolti verso il televisore, ma non stava più seguendo il film.
Un tuono lo riportò alla realtà.
Joe, per la seconda volta in quella strana serata, balzò sul posto per il terrore. Si guardò attorno per poi chiedersi perché Montgomery Clift stesse litigando con un poliziotto in quella che, probabilmente, doveva essere il momento clou del film.
< Quante scene mi sono perso? > si chiese il ragazzo.
Un altro tuono cadde dal cielo.
Joe controllò l’ora e si accorse che doveva controllare di nuovo Buckley.

Uscì di casa. L’aria si era fatta ancora più fredda e il vento soffiava con più insistenza. Il fruscio delle foglie lo fece rabbrividire.
Su nel cielo un lampo rivelò la posizione dei grossi nuvoloni.
Erano proprio sopra di lui, si stendevano per diverse miglia, probabilmente sormontavano l’intera cittadina e le altre fattorie limitrofe.
La fattoria dei Limpshire era vicina a Louistown ma, in quel momento, Joe ebbe l’impressione di trovarsi isolato dal resto del mondo.
Una strana angoscia risaliva nel suo animo a ogni passo che faceva in direzione della rimessa degli attrezzi.
Tremava… ma non di freddo.
Aprì la porta della rimessa.
Trovò Buckley erto sulle sue zampe.
Era intento a mangiare dalla sua ciotola in un modo così grottesco che Joe, per ragioni a lui ignote, giudicò osceno. Nella penombra della rimessa, il mastino sembrava solo una massa informe di materia scura. Il suono bagnato delle sue fauci intente a triturare il cibo fece rivoltare lo stomaco del ragazzo.
Joe fece per chiudere la porta e fu allora che Buckley si accorse di lui.
Il cane smise di mangiare e si voltò di scatto nella sua direzione. Proprio in quel momento, un lampo illuminò di bianco l’intera notte… e Joe fu costretto a osservare nei minimi dettagli ciò che si trovava di fronte a lui.
Buckley non era più Buckley.
Si era trasformato in qualcosa di deforme che solo vagamente ricordava il cane della sua famiglia. La carne dell’animale sembrava sciolta, il pelo era irto e apparentemente coperto da una sostanza densa e appiccicosa.
Un solo orrendo occhio fissava Joe, l’altro era mancante. E in quell’orbita vuota, decide di vermi facevano capolino verso l’esterno, arricciandosi e contorcendosi.
Buckley mostrò le zanne al ragazzo… e quest’ultimo non poté fare a meno di notare delle vaghe fattezze umane sul muso-faccia del cane.

Un tuono cadde vicino la fattoria. Il rombo sembrò scuotere Joe che, in qualche modo, fu strattonato via dal suo torpore.
Aprì per la bocca per urlare ma era così sconvolto che a stento riusciva a respirare.
Si mosse rapidamente e chiuse la porta della rimessa, ma il cane-mostro fu più rapido. Balzò contro la porta e riuscì a spalancarla. Questa colpì Joe sulla testa e la ferita sulla fronte si aprì di nuovo.
Il ragazzo barcollò nel buio del giardino e avvertì le pesanti zampe anteriori di Buckley premergli contro il petto. Cadde a terra, istintivamente protrasse le mani in avanti a protezione del volto.
Un dolore lacerante e improvviso si sprigionò dal suo avambraccio sinistro. Joe capì immediatamente che il cane lo aveva morso. Questa volta riuscì a urlare.
Nello strazio di quel momento, il ragazzo riuscì a provare una certa, angosciante meraviglia nel constatare quanto potessero essere duri e affilati i denti di un mastino.
Buckley iniziò a ringhiare furente e ad agitare il braccio di Joe.
Questi iniziò a oscillare come una bambola di pezza. Il cane era incredibilmente forte e scatenato. Si udirono i vestiti del ragazzo che venivano lacerati, suoni acuti che sembravano levarsi fino al cielo, dove i nuvoloni scuri continuavano ad ammassarsi.
In qualche modo, Joe riuscì a liberarsi della presa del cane e ad alzarsi in piedi.
Con sommo orrore scoprì di aver perso il controllo del braccio offeso. Lo vedeva penzolare come una cosa morta che gli spuntava dalla spalla.
< Non può essere rotto! > Più che una deduzione, fu una preghiera che balenò nella mente terrorizzata del ragazzo.
Un secondo tuono annunciò l’arrivo della pioggia. L’acqua iniziò a scrosciare improvvisa e violenta. La temperatura precipitò così repentinamente che i polmoni di Joe, per un secondo, smisero di funzionare. Ma a Joe questo non sembrava importare.
Fissava la porta della sua casa. L’aveva lasciata aperta, un rettangolo di luce dorata che sembrava chiamarlo a sé.
Joe si mise a correre. Scivolò solo una volta poiché la pioggia aveva già trasformato la terra del suo giardino in fanghiglia.
Non cadde a terra, ma posò il palmo destro al suolo e riprese a correre.
Pochi istanti dopo, le zanne di Buckley gli perorarono la caviglia. Joe rovinò al suolo, con la faccia contro l’erba gelida. Il dolore lo sorprese in quel momento. Fu un’agonia indescrivibile ma, come se non bastasse, Buckley -o qualunque cosa fosse diventato quel cane- non gli staccava le fauci dalla caviglia.
Joe urlò di nuovo e provò a dimenarsi, a lottare con tutte le sue furie.
Il sangue colava dalla sua fronte, fondendosi con la pioggia e finendogli negli occhi. Dopo l’ennesimo strattone da parte del cane, dalla gamba di Joe si levò un suono secco e deciso, come lo schiocco di un ramo che veniva spezzato.
Il dolore fece scattare il ragazzo a sedersi. Fu allora che Buckley si slanciò contro di lui, questa volta mirando al collo.
Il mastino costrinse Joe a stendersi al suolo. Le zanne gli perforarono la gola che subito si riempì di sangue caldo.
Il ragazzino non poté far altro che contemplare il cielo nero, mentre la pioggia scendeva su di lui. Ormai si sentiva stremato.
< È strano… > fu il suo ultimo, assurdo pensiero prima di morire < …ormai non fa quasi più male.>




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Mezz’ora prima, in quella che molti avrebbero potuto definire una strana coincidenza, Wyatt e Tom stavano guardando lo stesso film horror che Joe seguiva svogliatamente.
Tom era andato a casa di Wyatt per passare la notte con lui.
Ad accompagnarlo era stata sua madre. Diana Williams aveva preso la macchina e poi si era diretta in stazione, lì avrebbe preso un treno per poter raggiungere sua sorella.
In quel periodo dell’anno, Diana andava sempre a trovare la zia Lisa, l’eccentrica ed esuberante zia Lisa.

Tom, quella sera, aveva cenato insieme Wyatt e ai suoi genitori, Margaret e Owen Sinclair.
Lei era una donna bassa e incredibilmente grassa, con capelli ricci e rossi. Lui era un ometto ancora più basso e quasi del tutto calvo. I suoi occhi avevano la stessa, meravigliosa sfumatura azzurra di quelli di suo figlio.
Dopo cena, i signori Sinclair si ritirarono nelle loro stanze, al piano di sopra.
Il signor Owen ci mise un po' per salire le scale. Una vita passata a lavorare nelle miniere gli aveva conferito diversi acciacchi e problemi motori.
Tom, nel vedere quell’uomo arrancare sui gradini, provò una certa compassione nei suoi confronti.
Prima di ritirarsi in camera da letto, la signora Margaret urlò: “divertitevi con il vostro pigiama party, ragazzi.”
“Mamma…” piagnucolò Wyatt “…non è un pigiama party! Quello lo fanno le femmine.”
Tom si limitò a fare spallucce, non gli dava fastidio quel termine. Del resto, lui e il suo amico avevano in programma di fare le ore piccole davanti alla televisione in sala, proprio il genere di cose che si fanno nei pigiama party.
Trovarono il film horror in bianco e nero, con protagonista Montgomery Clift, e si stesero sul tappeto persiano, l’uno al fianco dell’altro.

Per un po' non si dissero nulla, poi fu Wyatt a parlare: “allora… tu e Eve siete riusciti a entrare nella casa di Price?”
Tom stava pensando proprio a quella terribile vicenda, deglutì prima di raccontare al suo amico la sua disavventura vissuta con Evelyn Reed.
Alla fine del racconto, Tom e Wyatt passarono altri diversi secondi in silenzio. Nella casa dei Sinclair si udivano solo i lamenti del fantasma in televisione.
“Quindi è morto?!” Domandò improvvisamente Wyatt. Ma la sua voce era spensa, come si aspettasse una brutta notizia da parte di Tom.
E infatti questa non tardò ad arrivare: “ne dubito…” rispose il suo amico “…voglio dire… come si fa a uccidere qualcuno che è già morto?!”
“E tu come fai a essere sicuro che è morto?”
“Nessun uomo può vivere in quello stato. Ho visto le sue ferite, ho visto… ecco …com’era decomposto. Quando ci ha inseguito nel campo di erba alta, ricordi?… Va bene, è stato solo per un momento, ma so esattamente cosa ho visto. E quella roba non può essere un uomo vivo.
Inoltre nessun uomo vivo è in grado di apparire nell’armadio delle persone.”
Scoccò un’occhiata a Wyatt.
Lui aveva detto che a febbraio, l’uomo mezzo-marcio era apparso nel suo armadio… e qualche giorno fa, il mostro aveva fatto la stessa cosa con l’armadio di Tom.
Tom voleva spronare Wyatt in qualche modo, fargli scrollare di dosso le sue paure e convincerlo ad aiutarlo. Non potevano stare con le mani in mano in attesa di ricevere un’altra terrificante visita dell’uomo che li stava perseguitando.
Lo sguardo di Wyatt si fece cupo: “quindi cosa pensi che sia?”
Tom sospirò rumorosamente: “quante volte dobbiamo tornare su quest’argomento?! Non ne ho la minima idea.”
“Allora come pensi di affrontare una cosa che non conosci? E se fosse un demone?! Eh, ci hai pensato? Come pensi di affrontare un demone?”
Tom non fu sorpreso nell’udire quelle parole.
La signora Margaret era una fervente religiosa ed era chiaro che aveva instillato in suo figlio una bella dose di timore religioso.
Il ragazzo fece per replicare ma qualcosa in televisione attirò la sua attenzione.
Anche Wyatt si voltò a vedere la tv.
Il fantasma era appena uscito dalla tomba. Era una sorta di ectoplasma semitrasparente simile a un mucchio di stracci laceri e svolazzanti. Man mano che si avvicinava verso un ignaro Montgomery Clift, in quella scena stava dando le spalle allo spettro, questi diventava sempre meno incorporeo. Alla fine, assunse una forma tangibile.
Clift notò la minaccia all’ultimo momento, urlò e si rinchiuse in una camera. Il fantasma tentò di aprire la porta.
Il primo piano del pomello d’ottone che sbatacchiava fece balzare in piedi Tom.
Wyatt lo fissò perplesso.
Il suo amico aveva gli occhi spalancati: “è un fantasma!”
“Che cosa?” Esclamò Wyatt.
“L’uomo-mezzo marcio è un fantasma.”
“E lo hai dedotto da un film?” Wyatt indicò con la mano aperta la televisione. Montgomery Clift intanto era balzato via dalla finestra per sfuggire allo spettro.
“Pensaci un attimo…” continuò Tom “…il fantasma si erge dalla tomba, incorporeo, quindi può apparire dove vuole. Ma quando assume forma fisica… beh …può essere ostacolato dalla materia.
Porte e muri diventano degli impedimenti per lui. Non è ovvio?!”
“E’ folle” lo ammonì Wyatt. Anche lui si era alzato in piedi e Tom notò un certo scintillio nei suoi occhi, segno che -almeno in parte- concordava con quella teoria.
“Invece tutto torna” continuò Tom.
Tutto?…” Wyatt ridacchiò per il nervoso “…va bene, ammettiamo che l’uomo mezzo-marcio è realmente un fantasma. Cosa facciamo quindi?”
“Beh… dunque… ” Tom prese a camminare avanti e indietro, il rumore dei suoi passi attutiti dal persiano sotto di lui “ …come prima cosa dobbiamo trovare la sua tomba. A Louistown c’è un solo cimitero, questo dovrebbe semplificare le cose.”
“Ma non sappiamo neppure chi è” sottolineò Wyatt… ma nonostante tutte le sue obiezioni, Tom aveva intuito che il suo discorso stava, seppur lentamente, convincendo il suo amico.

I due iniziarono a discutere a lungo. Wyatt era convinto che c’erano troppe incognite da svelare e che quindi non era prudente procedere con il piano di Tom di andare in qualche cimitero per cercare la tomba che, apparentemente, apparteneva a un sadico spettro.
Tom, del canto suo, era sicuro che cerano molti indizi che gli suggerivano di agire.
Non si erano accorti che il film era finito da un pezzo.

Wyatt, senza alcun preavviso, si bloccò di colpo: “hai sentito?” Chiese.
“Sentito cosa?” Domandò Tom.
“Shhh” fu la risposta dell’amico. Spense la televisione e la casa sprofondò nel silenzio.
I due ragazzini non si mossero e tesero le orecchie nella speranza di captare qualche suono. Fuori aveva iniziato a piovere forse da cinque minuti o forse da mezz’ora. Tom e Wyatt non erano in grado di stabilirlo poiché, fino a quel momento, erano rimasti troppo concentrati nella loro discussione.
“E’ solo il temporale” rispose Tom con tono sbrigativo.
“No… ascolta…” Wyatt alzò un dito come per dire; concentrati.
In quel momento, Tom sentì qualcosa… qualcosa di diverso dallo scroscio dell’acqua. Era una sorta di trillo argentino.
Lui e Wyatt si fissarono con occhi spalancati. Avevano udito entrambi del debole rumore.
Din! Din! Din!… Il suono si faceva sempre più forte, sempre più vicino.
Proveniva da fuori.
I due ragazzini si precipitarono verso la finestra.
Dalla strada brecciosa che collegava la fattoria dei Sinclair a Louistown si intravedeva una figura sfrecciare su una bicicletta. Faceva trillare di continuo il campanello nella speranza di attirare l'attenzione.
“E’ Evelyn!” Esclamarono all’unisono Tom e Wyatt.

Nel cuore della notte, Evelyn Reed pedalava a gran velocità verso la casa di Wyatt.
Sembrava sconvolta, i capelli arruffati e la mazza da baseball sul manubrio della bici.
“Che ci fa qui… a quest’ora poi?” Domandò Wyatt più a sé stesso che a Tom, il quale si era già precipitato verso la porta di casa.
Bastava fissare solo per un istante lo sguardo stravolto di Evelyn per capire che doveva esserle capitato qualcosa di grave.
I due ragazzi uscirono fuori, ignorando la pioggia e il gelo di quella notte.
Si incontrarono con Evelyn nel vialetto di casa.
Lei smontò dalla bici con un balzo decisamente poco aggraziato. Era a dir poco sconvolta.
Wyatt e Tom le misero le mani sulle spalle, come in una sorta di abbraccio interrotto a metà. Gli chiesero cos’era accaduto.
Un tuono cadde così vicino alla loro posizione che per diversi secondi si sentirono le finestre di casa tremolare.
La ragazzina piangeva disperata e tentò con tutte le sue forse di calmarsi.
Dopo diversi tentativi di prender parola, che si tramutavano in convulsi singhiozzi, riuscì finalmente ad alzare un dito e a indicare le luci di Louistown che a malapena si vedevano all’orizzonte: “l-lui…” disse con voce spezzata.
Non c’era bisogno di aggiungere altro. Wyatt e Tom compresero che Evelyn era stata aggredita di nuovo dall’uomo mezzo-marcio.
“Ti ha ferita?…” Chiese Tom, le aveva preso le mani e con lo sguardo cercava tracce di sangue sui suoi vestiti “…tua madre?”
“Lei sta bene…” rispose Eve con voce ancora incerta “…o almeno credo. Insomma… lei non era in casa …io sono scappata e… oddio…” Scoppiò di nuovo in lacrime.
Tom e Wyatt si scambiarono un’occhiata preoccupata.
Non avevano mai visto Evelyn in quello stato. Fino a un mese fa, consideravano Eve come una sorta di creatura fredda e distaccata, una sfinge dalla sguardo raggelante.
Ma in quel momento, sotto la pioggia, Eve appariva fragile come ogni ragazzino della loro età di fronte a un trauma che non poteva più sopportare.
“Sono fuggita per miracolo…” disse nuovo, tremava per il freddo e Wyatt le indicò la porta di casa, invitandola ad entrare.
Mentre Eve veniva scortata dai due ragazzi sul viale di casa, lei indicò di nuovo dietro di sé “…questa volta c’è mancato pochissimo. E se solo…” Buckley le saltò addosso.
Il mastino era balzato alle sue spalle, addentandogli il braccio ancora puntato verso Louistown. Anche Tom cadde a terra poiché si trovava sulla traiettoria del cane. Il ragazzino era stato scaraventato via come se non avesse alcun peso.
Wyatt fu il primo a gridare. A seguire anche il suo amico e Evelyn iniziarono a strillare.
Le loro urla sormontarono il rumore del temporale.

Buckley si agitava come un forsennato, strattonando Eve per la maglia.
La manica dell’abito si lacerò del tutto, facendo ruzzolare il mastino da una parte e Eve dall’altra. Lei ne approfittò per fuggire via, verso la casa dei Sinclair.
Wyatt, che nel frattempo aveva recuperato la mazza da baseball dalla bici, si era slanciato verso Tom per aiutarlo a rialzarsi.
Anche loro fuggirono verso casa.
Una volta dentro, chiusero immediatamente la porta… ma Buckley entrò nella sala sfondando una finestra. I tre ragazzini sussultarono e urlarono ancora più forte per lo spavento. Dalla loro posizione si poteva vedere solo uno scorcio della sala.
Buckley si stava scrollando di dosso acqua e frammenti di vetro, poi alzò il muso verso di loro.
Tom, Wyatt e Evelyn fissarono con orrore il suo corpo deforme, la sua orbita priva di occhio e colma di vermi. Buckley ringhiò rabbioso contro di loro.
Un altro tuono si abbatté vicino la casa, mandando in blackout l’abitazione.

Tom sprofondò nel panico più totale. Sentì i suoi amici agitarsi e correre verso una direzione della casa. Li seguì, completamente cieco, agitando le mani di fronte a lui pregando di non trovare ostacoli. Dietro di lui sentiva arrancare il mostro-cane.
Nel suo essere deforme, Tom aveva intravisto parte dei lineamenti dell’uomo mezzo-marcio. Non poté fare a meno di pensare che quello non era più Buckley ma un’altra manifestazione del mostro.
Sentì di fronte a lui una porta spalancarsi, poi la mano di Wyatt che gli artigliava la maglia e lo spingeva in avanti.
Tom capì che il suo amico aveva portato lui ed Evelyn nella cucina.
Chiusero la porta che subito fu caricata da Buckley. Le assi della porta gemettero. Il mostro abbaiava, ringhiava e caricava ripetutamente la porta.
Eve urlava qualcosa ma Tom era troppo sconvolto per comprendere le sue parole.
Di colpo tornò la luce.

Tom e Eve avevano la schiena premuta contro la porta. Ma ogni volta che il cane la colpiva, i due ragazzini venivano sospiti via di diversi centimetri.
“Sta per sfondarla” urlò Tom.
Wyatt, nel frattempo, si era spostato verso le credenze della cucina per cercare probabilmente delle candele. Aveva lasciato la mazza da baseball su un tavolo. Ma ora che era tornata la luce, il ragazzo lasciò perdere le candele ed estrasse da un cassetto una mannaia da cucina.
Nel vedere quel grosso pezzo di metallo scintillante, Tom non poté far a meno di rammentare tutte le volte che il signor Owen Sinclair si vantava dei suoi famosi barbecue all’aperto e della sua abilità nel tagliare la carne.
Proprio in quel momento, si udirono in casa le urla del signore e della signora Sinclair. Provenivano dalle scale. I genitori di Wyatt si erano svegliati per via di tutto quel fracasso.
Dall’altro lato della casa, Tom riuscì a sentire il signor Owen dire qualcosa a sua moglie come: “Margie! La doppietta!”
“Mamma, papà… no!” Grido Wyatt.
I suoi genitori urlarono ancora più forte, segno che avevano visto la mostruosità che era Buckley. Dalla cucina, i ragazzini udirono il cane allontanarsi da loro e caricare i signori Sinclair.
Wyatt spalancò la porta e corse in loro aiuto.
“Aspetta” gli urlò Tom che con il cuore il gola tentò prima di fermarlo, ma mancò la presa, e poi lo seguì velocissimo.
Evelyn fu l’ultima a lasciare la cucina poiché si era preoccupata di recuperare la mazza da baseball.

Trovarono Buckley sulla rampa delle scale oltre la sala. Dalla finestra rotta entrava la pioggia e il vento gelido del temporale.
Il signor Owen era in cima alla scalinata, dietro di lui c’era sua moglie.
L’uomo avrebbe voluto soccorrere suo figlio ma i suoi problemi motori lo avevano reso lento e goffo. Buckley l’aveva raggiunto e gli aveva prima morso una caviglia e poi una mano. Un fiume di sangue stava scendendo dai gradini.
Tom, mentre oltrepassava la sala ormai inondata dall’acquazzone, sentì l’orrendo suono -malgrado le grida isteriche della signora Sinclair- di carne e tendini che venivano lacerati.
Owen Sinclair aveva ritirato a sé la mano morsa da Buckley, il mignolo e l’anulare erano spariti lasciando il posto a due raccapriccianti moncherini insanguinati.
Il cane deglutì, mandando giù il boccone.
“Wyatt!...” Gridò Owen Sinclair nel vedere suo figlio avvicinarsi “…vattene!”
Ma il cane aveva già puntato lo sguardo verso i tre ragazzini. Balzò via dalla scalinata e li caricò. Evelyn agitò di fronte a sé la mazza ma il cane la schivò facilmente, superò la ragazzina e si diresse verso Wyatt, che sembrava in quel momento la preda più debole.
Il ragazzino si fece scivolare la mannaia di mano, tentò di afferrarla al volo ma Buckley fu subito sopra di lui.
Ragazzino e cane caddero su un tavolino di cristallo che si frantumò in mille pezzi.
La signora Sinclair urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
“Maledizione, Margie…” tuonò suo marito “…va a prendere il fucile!” Owen si teneva stretto al petto la mano maciullata. Aveva perso così tanto sangue che i suoi occhi iniziavano a roteare.
Tentò di alzarsi ma era troppo debole per un simile gesto.

Buckley lottò per qualche instante con Wyatt che cercava di smanacciare via il suo muso, poi il cane scattò in avanti e gli affondò i denti nel collo.
Wyatt gridò fino a perdere la voce.
Il suo strillo si fuse con quello di Evelyn. Questa volta però, l’urlo della ragazzina sembrava più un urlo di guerra che di terrore.
Attraversò l’intera stanza e colpì con la mazza il cane sulla schiena. Diverse vertebre del cane si frantumarono. Buckley lasciò la presa su Wyatt e si voltò verso Evelyn, mostrandogli le zanne.
Tom, nel frattempo, osservava con orrore l’intera scena: il signor Owen che lottava per non perdere i senti sulla cima della scalinata, la signora Margaret che era bloccata da suo marito, Wyatt disteso sul tavolino ridotto in frantumi… Buckley l’aveva morso sulla spalla, mancando di poco l’arteria nel collo. Perdeva sangue ma non si trattava di una ferita mortale. E il cane… il cane-mostro si era scagliato su Evelyn. Aveva addentato la mazza e ora si agitava per tentare di disarmare la ragazzina.
Lei sembrava completamente impotente di fronte alla forza bestiale del cane. Dopo un ultimo strattone, la mazza volò via dalle sue mani. Ora non poteva più difendersi.
Buckley l’avrebbe divorata in un sol boccone…

Accadde tutto in un istante, breve come il lampo che in quel momento immerse di luce accecante la casa: Tom si era lanciato contro il fianco dell’animale.
I due rotolarono a terra, sui frammenti del tavolino di cristallo… ruzzolarono poi sui vetri della finestra infranta e infine finirono sul persiano ormai zuppo di acqua piovana.
L’istante dopo, un tuono fece tremare la terra.
Tom e Buckley rimasero avvinghiati tra loro… immobili, senza muovere neanche un muscolo. Poi Tom si separò dal mastino e si accasciò a terra.
Era completamente sporco di sangue… ma non era ferito. Ciò che aveva addosso era il sangue di Buckley.
Evelyn fu la prima a notare che il cane giaceva morto su un fianco, con il coltello di Curt Limpshire, quello che Tom gli aveva rubato dietro la chiesa, conficcato nella gola.
L’intera lama era penetrata all’interno del cane, che intanto aveva ripreso le sue normali sembianze. La bocca era leggermente aperta e la lingua penzolava di fuori.
Un ultimo spasmo muscolare fece scattare una zampa del cane. Evelyn sussultò.

Il temporale iniziò a ritirarsi.
“W-Wyatt?…” Piagnucolò la signora Margaret dalla cime della scale, suo marito accasciato sul suo grembo “…Wyatt?”
“Sto bene” disse il ragazzo con voce rauca e restando sdraiato a terra. Alzò una mano e l’agitò a mezz’aria come per rimarcare il fatto che non aveva nulla di grave.
Lo sguardo di Eve passò da Wyatt a Tom.
Anche quest’ultimo non voleva rialzarsi da terra, non prima di aver ripreso fiato e riordinato le idee. Lui e Evelyn si scambiarono uno sguardo d’intesa.
Era come se fossero in grado di parlare telepaticamente. Lei che diceva: questa volta ti sei ricordato del coltello!
E Tom che le rispondeva: eh già!

Evelyn alzò poi lo sguardo verso i coniugi Sinclair.
Il signor Owen aveva il fiato pesante. Sua moglie invece stava fissando Evelyn.
La ragazzina si aspettò una sfuriata da parte della donna, qualcosa del tipo: cosa ci fai in casa mia? Figlia della polacca! Hai portato tu il cane qui dentro?
Ma con sua sorpresa, Margaret, che dall’alto della sua posizione aveva visto il modo in cui Evelyn aveva salvato suo figlio, le rivolse parole cariche di inaspettato affetto: “cara, potresti chiamare la polizia? Il telefono è lì sul muro” e indicò l’apparecchio con un gesto del mento.
Evelyn individuò facilmente il telefono.
Nel frattempo, il temporale era finito ma la notte era ancora gelida.
“Quella bestia schifosa è il cane dei Limpshire!” Gracchiò il signor Owen.
“Non ti agitare!” Disse affettuosamente sua moglie.
“Ohhh…” il signor Owen continuò come se non l’avesse ascoltata “…mi sentiranno! Ohhh se mi sentiranno!”
“Dobbiamo arrestare l’emorragia caro.”
Intanto Wyatt si era messo a sedere, scostò il colletto della sua maglia per controllare la ferita. Sua madre trasalì nel vedere i segni del morso.
“Sto bene…” disse Wyatt, questa volta con aria seccata “…Tom? Tom, ci sei ancora?”
Tom alzò in alto il pollice: “ancora tra voi” disse con voce stanca. Il ragazzino non voleva far altro che contemplare il soffitto nella speranza di tenere la mente sgombra da ogni pensiero.

Evelyn tentò più volte di usare il telefono. Sbuffando riagganciò la cornetta e si voltò verso la signora Sinclair: “il blackout ha messo fuori gioco il telefono. È completamente andato.”
“Oh” squittì malinconica la donna. Aveva tutta l’aira di chi non sapeva cosa fare.
“Conciato come sei…” disse poi a suo marito “…dobbiamo portarti all’ospedale. Ma dobbiamo anche avvertire i Limpshire che il loro cane ci ha…”
“…quasi sbranati” finì per lei il signor Owen che nel frattempo aveva usato un gran fazzoletto di stoffa bianca per tamponare la ferita.
Sua moglie annuì: “poi dobbiamo in qualche modo chiamare Scott Williams e…” si voltò verso Evelyn con aria interrogativa.
“Mia madre si chiama Wiara Reed, signora” rispose lei.
“Ma certo, Wiara.” Ripeté la signora Margaret.

Ci vollero diversi minuti per far alzare il signor Owen dal grembo di sua moglie e sistemarlo delicatamente sui gradini della scalinata.
I tre ragazzini lo aiutarono con la massima accortezza.
Il signor Owen fu il primo a stirare un sorriso dopo quell’assurda lotta con il cane: “e tu cosa ci fai qui?” Chiese con tono scherzoso a Evelyn.
Lei abbassò lo sguardo e notò che il fazzoletto che l’uomo usava come tampone era ormai completamente rosso.
“Ecco…” Eve non sapeva cosa rispondere.
“E’ una nostra amica” disse Wyatt, cinse un braccio attorno al collo di Evelyn e l’altro attorno al collo di Tom. Si pentì subito di quella mossa, poiché la ferita alla spalla gli piantò nel cervello un acuta fitta di dolore.
“Sta attendo, caro” gemette la signora Sinclair a pochi passi da lui.
Evelyn teneva ancora lo sguardo piantato verso il basso. Nessuno aveva notato quanto fosse diventata rossa per via di quello che aveva fatto e detto Wyatt.
Quest’ultimo continuò: “lei è venuta qui in bici… cioè non voleva venire qui di nascosto… ecco…” ma non terminò la frase.
Dall’esterno si udì la sirena della polizia avvicinarsi alla casa dei Sinclair.




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Tre vetture si erano fermate sul vialetto di casa.
I poliziotti, sei in totale, erano scesi immediatamente poiché allarmati dalla vista della finestra sfondata. Quando entrarono in sala trovarono una scena che li fece impallidire.
La sala era mezza distrutta, allagata e piena di sangue.
A terra giaceva il cadavere di Buckley mentre i tre ragazzini, e i signori Sinclair, si stavano organizzando per uscire di casa e potare il signor Owen all’ospedale di Louistown.
“Lo abbiamo trovato” disse un agente indicando il cane.
“Gesù!” Commentò un suo collega nel guardare la carcassa dell’animale.
Gli altri poliziotti stavano già soccorrendo Owen e Wyatt Sinclair.

“Un fulmine ha messo fuorigioco il telefono…” disse la signora Margaret ai poliziotti, quasi come se volesse giustificarsi “…come avete capito che avevamo bisogno d’aiuto?”
Gli agenti si scambiarono occhiate perplesse.
Mentre uno di loro correva verso un auto per allertare la centrale, e per richiedere dei rinforzi, gli altri aiutarono il signor Owen ad alzarsi.
Uno di loro rispose: “stavamo braccando quella bestia…” e indicò il cane con un cenno del capo “…sta notte ha sbranato un ragazzino.”
“Chi?” Chiese la signora Sinclair trasalendo e portandosi una mano alla gola.
“Joe Limpshire” rispose lo stesso poliziotto.
Wyatt, Tom ed Evelyn si scambiarono occhiate dense di paura e incredulità.
“Oh santo cielo!” Margaret Sinclair scoppiò in lacrime.
“Su, si calmi signora” tentò di rassicurarla un agente.
Ma il terrore e la frustrazione di quella nottata avevano travolto la signora Sinclair che non la smetteva di piangere: “poteva succedere la stessa cosa a Owen, o al mio Wyatt!”

Gli agenti fecero accomodare i tre Sinclair su una sola vettura: “dritti in ospedale” disse un poliziotto. Altri due poliziotti fecero salire Evelyn su una seconda auto: “tu sei la figlia della polacca?” Chiese uno di loro.
Tom notò gli occhi di Evelyn caricarsi di tristezza e rassegnazione.
Lei annuì, poi rispose con voce spenta: “abito al 22 di Chester road, Colonial Hill, terzo piano.” I poliziotti annuirono.
Mentre veniva riportata a casa, Eve alzò lo sguardo in direzione di Tom. I due si fissarono per un lungo momento attraverso il vetro dell’auto.

Erano rimasti solo due poliziotti e una vettura.
“Allora…” disse uno dei due agenti al ragazzo “…il tuo amico ci ha raccontato che hai dato tu il colpo di grazia al bestione.”
“Io?... Beh… si” rispose Tom, visibilmente spiazzato da quella domanda.
L’altro poliziotto rise: “ben fatto, ragazzino! Oh, ben fatto!” E diede una scarica di possenti pacche sulla spalla di Tom.
“Sei Tomas Williams, giusto? Il figlio di… come si chiamano?” Domandò il poliziotto al suo collega.
“Ehm… Scott e Diana Williams” rispose lui.
“Si…” si intromise Tom “…ma mia madre non è in casa. È andata a trovare mia zia, cioè sua sorella…” < …ma perché dico queste cose?! Sono ancora sconvolto ma non è il caso di chiudere il becco?!> Tom si zittì.
“Tranquillo ragazzo, ti porto io a casa. Per stasera hai finito di fare l’eroe…” disse un poliziotto, poi si rivolse al collega “…tu aspetta qui, gli altri arriveranno tra poco. Cazzo, che nottata… ops, scusa la volgarità, ragazzino.”
Ma Tom scosse il capo, come per dire che non c’era alcun problema.
Stanco e provato, Tom salì sull’auto. Non era mai stato su una vettura della polizia e in un’altra occasione sarebbe rimasto affascinato da quell’esperienza.
Ma in quella notte era così stremato che a stento si rese conto che il poliziotto si era seduto al suo fianco e aveva messo in moto il motore.

Lasciarono alle loro spalle la casa dei Sinclair, che divenne un puntolino luminoso sempre più piccolo, visibile dallo specchietto retrovisore dell’auto… per poi sparire del tutto.
“Ah, che nottata… ma che nottata” continuò a mugugnare il poliziotto tra sé e sé.
L’auto svoltò poi su una stradina brecciosa.
Tom riconobbe il suono del pietrisco sotto le gomme della vettura, era il caratteristico suono provocato dai sassolini della stradina di casa sua.
Si dice che molte persone riescano a riconoscere i propri oggetti semplicemente dai suoni che provocano. Un caratteristico click di una pistola, ad esempio.
Tom era in grado di riconoscere il suono delle pietre vicino casa sua quando venivano attraversate da un auto. Quel rumore lo fece rilassare, ma i suoi pensieri erano ancora rivolti al mostruoso Buckley, al suo occhio mancante, al modo in cui Wyatt si era salvato per miracolo e a Joe Limpshire che era stato sbranato non dal suo cane… ma da un mostro che aveva posseduto il suo cane.
“Non si fermerà mai” si ritrovò a sussurrare.
“Hai detto qualcosa?” Chiese il poliziotto.
“Hm?! Oh, nulla, nulla.”
“Guarda, siamo arrivati.”
Tom alzò lo sguardo. L’auto della polizia si era fermata proprio sotto il portico di casa.

Lui e l’agente uscirono dall’auto e raggiunsero il portone di ingresso.
Fu il poliziotto a bussare. I suoi colpi erano forti e decisi poiché, data la tarda ora della notte, Scott Williams stava sicuramente dormendo.
Infatti il padre di Tom aprì la porta dopo molti minuti.
Indossava una vestaglia celestina e le luci dell’auto ancora acese si riflettevano sui suoi occhiali tondi. Scott osservò con orrore il poliziotto e suo figlio al suo fianco.
“Non deve preoccuparsi” si apprestò a dire l’agente che doveva sollevare di molto la testa per poter guardare negli occhi il signor Williams. Tom lo spilungone, del resto, aveva ereditato l’altezza da suo padre.
Il poliziotto continuò: “suo figlio non è nei guai e non gli è capitato nulla di male. Vede…”
Si zittì di colpo.
Tom si voltò di scatto verso di lui, allarmato dal suo silenzio improvviso.
Sulla faccia dell’agente era apparsa la stessa espressione spaventata che aveva suo padre, Scott. Tom non riusciva a comprendere il motivo di quell’espressione… era fin troppo esagerata anche per una situazione come quella in cui si trovavano.
Il poliziotto, inoltre, sembrava terribilmente imbarazzato.
Tom era frustrato poiché non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo. Il suo sguardo indugiò sull’agente, poi su suo padre… poi oltre su padre, all’interno della casa. Fu allora che tutta quella situazione gli apparve dannatamente chiara.
Nella sala d’ingresso, semi nascosta dal buio, una donna in vestaglia osservava orripilata lui e il poliziotto sulla soglia della porta.
Tom non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Quella donna non era sua madre, ma Tom la conosceva benissimo, poiché la vedeva ogni mattina per nove mesi all’anno durante le lezioni di matematica.
Era la sua insegnante, la signorina Mary Rosenberg.

.



cic

   
 
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