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Autore: BluejayBoi    24/08/2022    1 recensioni
“Alla gente dispiace parecchio quando perdi qualcuno” commenta Vi mentre sistema il nodo della cravatta. “È uno schifo.”
Un pessimo inizio, ma è la prima cosa che le viene in mente quando ripensa ai suoi genitori e Vander e tutti gli altri. La morte. Accade a qualcun altro e tutti si comportano come se fosse successo a te.
“Vorrei solo che chiudessero la bocca,” risponde Caitlyn “tutti quanti.”

Fandom: LoL/Arcane. Ambientata dopo il finale della stagione 1.
Scossa dal lutto per la morte della madre, Caitlyn affronta una nuova oscurità. Vi, perseguitata dal senso di colpa, lotta strenuamente per riportarla alla luce, ma l’impresa diventa complicata quando devi tenere a bada i tuoi stessi spettri. Il dolore è potente. Per fortuna, lo è anche l’amore.
Avvertimenti sul contenuto: lutto genitoriale e morte, stress post-traumatico, vomito, disturbi alimentari, ubriachezza, violenza. Prendetevi cura della vostra salute mentale e di voi stessi.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Caitlyn, Vi
Note: Lime, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Titolo originale: sorry for asking but please come and take me home di BluejayBoi.
Pubblicata sul portale Archive of Our Own il 13 Gennaio 2022, nel fandom Arcane: League of Legends (Cartoon 2021).
Traduzione autorizzata, revisione e adattamento per l'italiano a cura di Stylo_B.
 
 
Premessa dell'autore:
La mia prima incursione in questo fandom è stata accolta con tanta benevolenza, perciò eccomi di nuovo. Caspita!
Avvertenze sul contenuto: lutto genitoriale e morte, stress post-traumatico, vomito, disturbi alimentari, ubriachezza, violenza. Prendetevi cura della vostra salute mentale e di voi stessi.
E grazie, infinitamente, anche solo per aver cliccato su questa piccola storia.
Il titolo deriva da “Go Home” di Julien Baker, un pezzo meraviglioso. 
Cam.
 
-
 
La prima volta non arrivano nemmeno a metà strada.
Vi è tutta concentrata sul mantenere una presa salda, la mente sgombra e il battito stabile, così impiega troppo tempo per accorgersi che Caitlyn è stranamente silenziosa. Inizia a pendere da un lato, come se la gamba buona avesse smesso di funzionare e stesse perdendo l’equilibrio.

“Ehi.”

Niente.

“Ehi, stai…”

La paura si insinua nella sua testa, rapida e potente. Vi la tiene a bada. No, va – va bene. Può farcela. Ha senso: la ferita sulla gamba si è riaperta, il naso livido si sta gonfiando ed è molto pallida, senza contare che probabilmente, anzi di certo, ha appena visto sua madre saltare in aria. In lontananza alle loro spalle il fumo non si è ancora dissipato. È strano che non sia svenuta prima.

Trascinare Caitlyn per tutto il tragitto di ritorno fino a Piltover è stata un’idea come minimo troppo ambiziosa.

“Merda,” mormora Vi, “cazzo, va bene. Ah… Vieni qui.”

La conduce in un vicolo lì accanto e la deposita contro una parete in mattoni con tutta la delicatezza concessa dai suoi muscoli doloranti – dannazione, la schiena.

Caitlyn si affloscia contro il muro, inerte e ciondolante. Vi le tocca una guancia, la pelle è appiccicosa.

“Sei ancora con me, pasticcino?”

Percorre con lo sguardo entrambi i lati del vicolo e si passa una mano tra i capelli, in cerca di ispirazione: una strada senza uscita e quella da cui sono venute. Tamburella sulle ginocchia con le dita e si accuccia per riflettere, poi si rialza e si toglie la giacca, posandola sul corpo di Caitlyn.

“Torno subito, ok? Se per caso ti svegli – ti prego non spaventarti.”

Si allontana esitante, sarebbe perfetto se Caitlyn riprendesse conoscenza proprio in quel momento, ma non accade e Vi si mette a correre.

Verso dove? Verso chi?

Jericho.

Chi altri, sennò?

Con lui prosegue fino al ponte e gli Agenti riescono a evitare di sparare a qualcuno prima che lei possa dare spiegazioni.

Caitlyn non si sveglia fino al pomeriggio.

 
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La seconda volta è complicata, a suo modo.

È passato un giorno, a quanto pare, e sono davanti a ciò che resta della torre del Consiglio. Guardano Agenti e medici che scavano tra le macerie illuminate dai fari e borbottano, a volte tra loro, a volte ai cani con le pettorine.

“Dovrei riportarti a casa.”

Un paio di donne anziane hanno cominciato a distribuire bevande calde e panini, la temperatura è calata dopo il tramonto.

“Preferirei restare.”

Vi vorrebbe tanto che mangiasse qualcosa.

“Potrebbero volerci ore. La tua gamba…”

“Sto bene.”

I suoi occhi non degnano Vi del minimo sguardo, così concentrati sulla distruzione che hanno di fronte, quasi sperassero di poter vedere attraverso il cemento, il metallo e la disgrazia. Doveva aspettarselo.

“Puoi andare, se vuoi.”

Vi respira odore di cenere, terra e caffè. “Va bene così” risponde, perché andarsene – questo è quanto: non riesce a decidere se l’ha fatto fin troppo, o troppo poco.

Osserva un gruppetto di Agenti togliersi le maschere e stringersi attorno alle tazze, circondati da frange di luce artificiale e polvere che si deposita ai loro piedi. Come se preparando abbastanza tè, l’edificio potesse smettere di sbriciolarsi.

Il Signor Kiramman sbuca da una tenda di fortuna allestita all’ingresso delle rovine. Ne hanno trovato un altro, Heimer… Qualcosa. Vi non afferra il nome. Siamo a tre.

“Non devi stare qui, cara” guarda verso di lei da sopra la spalla di Caitlyn, mentre le cinge nuca in un abbraccio. “Posso mandarti a chiamare non appena avremo novità. Perché non – andate a riposare, tu e Vi?”

Vi scrolla le spalle, con le mani in tasca.

Ci ho provato, amico.

“Non ti lascio qui da solo, Padre.”

La sua espressione si addolcisce prima di lasciarla andare. Le accarezza i capelli. “D’accordo,” risponde, “d’accordo, ma devi mangiare qualcosa.”

Una mossa geniale: dopo un panino le si chiudono gli occhi. Si abbandona contro Vi, ancora aggrappata all’incarto del cibo che ha in mano. Vi dubita che sia consapevole di entrambi i gesti. Si allunga verso il suo braccio e il piccolo accenno innesca una ridistribuzione di peso che Vi accetta con prontezza, dandole sostegno; riesce a sentire il sospiro che le sfugge dalle labbra.

“Solo per un po’, eh?” bisbiglia, mentre i capelli bluastri le sfiorano il viso. “Tempo di cambiarsi e prendere una coperta.”

“Voglio essere qui quando – devo esserci.”

“Lo so, pasticcino” Vi la circonda con l’altro braccio. “Ci saremo.”

 
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Vi aspetta sulla porta finché il getto d’acqua si interrompe, poi torna indietro, verso il letto di Caitlyn.

Idiota.

Vorrebbe controllare le chiusure delle finestre, rinforzarle per quel che vale; non sopporta l’idea che qualcun altro possa entrare, che qualcun altro possa farsi male. Non che il problema sia mai stato nelle pessime serrature, comunque.

Si tratta piuttosto di un pessimo destino.

O piuttosto di pessime sorelle maggiori.

“Grazie per avermi aspettata” dice Caitlyn, avvolta in un asciugamano, mentre si tampona i capelli con un altro.

Si tratta piuttosto del fatto che è come se avessi premuto il grilletto tu stessa.

“Figurati.”

Vi è oppressa dalla consapevolezza, dalla sua placida evidenza. Si rassegna a portarne il peso, sarà più facile una volta depositato nelle ossa.

 
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Il Signor Kiramman emerge di nuovo dalla tenda e Vi lo vede per prima. Sorregge al volo Caitlyn nello stesso istante in cui le sue ginocchia cedono, evitando a entrambe di finire a terra.

Compare una barella, con un vestito elegante e sporco. Vi non riesce a guardare, Caitlyn non può distogliere lo sguardo.

“Lo so” bisbiglia Vi, ancora e ancora, cerca un appiglio a cui aggrapparsi, ma finisce a mani vuote.

Non c’è nulla che lei possa fare. Non c’è nulla che lei possa fare.

“Stai bene, Cait. Va tutto bene. Andrà tutto bene.”

A parte mentirle e risollevarla quando lei non riesce a farlo da sola.

Il Signor Kiramman le stringe una spalla, Vi lo sente appena.

“Posso affidarla a te?” le chiede.

Farò qualsiasi cosa, pensa.

 
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Diventa uno schema e non uno piacevole.

 
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“Ti sei vestita elegante.”

Il tono è scocciato, o sorpreso, Vi non riesce a capire.

“Jayce mi ha prestato qualcosa.”

“Jayce è più robusto di te.”

“Gli ha fatto dare una sistemata.”

“Hai lasciato che ti prendessero le misure?”

Puoi smettere di agitarti tesoro, non mordo.

Vi allarga le braccia e gira con lentezza sul posto. “Niente male, vero?”

Adesso trattieni anche il respiro. Non farlo.

Nella stanza, la donna seduta al bar torna a rivolgersi verso il bancone.

“So che la tradizione vuole il nero, o quel che è…” aggiunge Vi, ora a disagio in quel bel completo che non vorrebbe mai togliere. È forse per il gilet? “Ma ha detto che –”

“Mi piace il blu,” interrompe Caitlyn, la voce alterata “stai bene.”

Il suo abito è grigio cenere e ha un orlo diagonale, tra ginocchio e caviglia; il collo è alto e le maniche lunghe fino ai polsi. Anche se è voltata di spalle, Vi non riesce a smettere di ammirarla da capo a piedi.

Getta un’occhiata all’ingresso del salone dietro il bar, sembra una sala da ballo. Da una porta mezza aperta arriva il brusio di alcune centinaia di persone che parlano e mangiano. Qui ci sono solo loro e il barista.

“Mi è piaciuta la cerimonia,” commenta Vi, “per essere – sai. Voglio dire, uh…”

Merda.

Caitlyn non replica. Forse non si può accettare un complimento se riguarda qualcuno che è morto, o forse Vi non è nella posizione per farne. Ma visto che è qui…

“Sono sempre così…”

“Lunghe?” Caitlyn sorseggia il suo drink. Una scrollata delle spalle esili, tanto disinteressata che Vi si ritiene fortunata a ricevere una risposta qualsiasi.

“Mia madre conosceva molte persone. E un sacco di gente pensa di averla conosciuta.”

“No, intendevo - volevo dire ‘festose’...”

“È l’usanza” allontana il bicchiere e fa un cenno al barista. “Si celebrano i traguardi, si esaltano i successi. E poi seppellisci tutto, più a fondo possibile.”

“Oh.”

“Tipico Piltoviano, vero? Non ci pieghiamo all’oscurità, nemmeno quando ce l’abbiamo davanti alla faccia.”

Ecco un nuovo drink. Vi non è certa che sia una buona idea, ma che diavolo può saperne lei di quelle. Caitlyn ingoia una sorsata troppo generosa e riappoggia il bicchiere, tossisce e farfuglia. Vi si avvicina.

“Ti perderai la cena” riesce a dire Caitlyn, allontanandola con un gesto della mano.

“Volevo vedere come stavi.”

“E l’hai fatto.”

“Posso aspettare.”

“Puoi mangiare anche la mia parte.”

Vi guarda indietro verso la porta, la gente che si sposta oltre la fessura, altro rumore; il profumo di prelibatezze del catering si intensifica, denso e caldo, le fa venire l’acquolina in bocca e pizzicare le punte delle dita. Deve schiarirsi la voce prima di poter parlare.

“Sto bene.”

“Tu dici così, ma non sei mai stata ad un ricevimento dai Kiramman. Metà delle persone sono venute solo per il cibo.”

Vi ingoia ancora più saliva: “Non credo di aver fame.”

Caitlyn mormora tra sé e sé.

La stanza è grande e lei è così lontana. Vi ha gli occhi, la bocca, la pelle venati di stanchezza e la consapevolezza la fa soffrire. Non è brava in queste cose; è meglio prendere a pugni e sbattere qualcosa, ricattare qualcuno, urlare. Powder è là fuori, da qualche parte, e il ruolo di Silco non rimarrà scoperto a lungo. L’impulso di agire di espande nei suoi polmoni per la centesima volta negli ultimi giorni. Dovrebbe fare qualcosa. Non starsene qui a… Qualunque cazzo di cosa stia facendo.

È abbastanza esperta nel capire quando non è ben accetta.

“Al diavolo” borbotta con i pugni serrati nelle tasche dei pantaloni che, rossa in viso, ha chiesto a Jayce di prendere in prestito e far sistemare, per sembrare decorosa e adeguata, per sparire in mezzo alla folla in lutto, come se meritasse di trovarsi tra loro. Non ha funzionato. Per tutto il giorno si è aspettata che qualcuno la cacciasse via e la sbattesse per le strade da cui è venuta. “Mi dispiace,” dice, “mi dispiace davvero.”

È sufficiente come congedo per dirigersi verso la porta da cui è entrata.

“Aspetta” esclama Caitlyn ad alta voce e lei si ferma. “Non – non voglio sentire che ti dispiace. Le scuse non cambiano niente. Niente. Per tutto il giorno, tutti quanti –”

“Non intendevo –” si interrompe da sola. Non sa scegliere una delle trecento cose per cui le dispiace e chiarire che cosa volesse dire.

“Non ho bisogno di mi dispiace” ripete Caitlyn a voce ancora più alta.

“D’accordo” risponde Vi, tornando indietro. “Ok, allora – di cosa hai bisogno?”

Caitlyn la guarda. Vede attraverso di lei, come ha sempre fatto, in un modo che non smetterà mai di sembrarle spaventoso e straordinario, anche se le fa dimenticare come battere le palpebre.

“Di un altro drink” dice e le volta le spalle.

Vi osserva il barista metterle di fronte quella bugia e guarda ben oltre: gli altri bicchieri vuoti accumulati sul bancone che lui non ha ancora fatto sparire; la piccola borsa abbandonata accanto allo sgabello dove lei è seduta, la tracolla sottile che penzola a cavallo del poggiapiedi; la curva della sua schiena che ondeggia e si inclina sul banco, afflosciata e cadente.

Vi si strofina gli occhi. Vuole andarsene, stava cercando di andarsene, ma non può. C’è dentro fino al collo, ha causato lei tutto questo. L’ha fatto, più o meno direttamente. Non può rimediare, ma può resistere.

Sa quanto è confusa Caitlyn e quanto poco capisca ciò che sta accadendo, cosa la aspetta nelle settimane e nei mesi a venire. Lei può aiutarla. Può rimanere e ricordare tutto quello che sa riguardo alla morte.

“Alla gente dispiace parecchio quando perdi qualcuno” commenta Vi mentre sistema il nodo della cravatta. “È uno schifo.”

Un pessimo inizio, ma è la prima cosa che le viene in mente quando ripensa ai suoi genitori e Vander e tutti gli altri. La morte. Accade a qualcun altro e tutti si comportano come se fosse successo a te.

“Vorrei solo che chiudessero la bocca,” risponde Caitlyn “tutti quanti.”

“Vuoi che gliela chiuda per te?”

Lei contrae un angolo delle labbra. “Ti stai offrendo volontaria?”

“Basta una parola” Vi si siede e scrocchia le nocche. “Adoro fare una bella chiacchierata.”

“Sì, lo so. Sei proprio una chiacchierona.”

“Ha parlato Miss Centro-un-bersaglio-da-cento-metri. Sono sicura che anche tu sei una che fa conversazione.”

“Duecento metri.”

“Esibizionista.”

La donna al suo fianco sorseggia il drink e gli angoli della sua bocca cercano ancora di sollevarsi.

È irresistibile, tentare per un momento di farle provare qualcosa che non sia il dolore insanabile del lutto. Vi rincorre l’opportunità e la afferra, incoraggiata dall’idea di poterla concretizzare. Torna a giocherellare con la cravatta.

“La gente si mette davvero questa roba tutto il tempo?”

“Se per ‘questa roba’ intendi ‘abiti formali’…”

“Sembra che si stringa da sola.”

“Per cominciare, come te la sei messa?”

“Uh. Il vostro – ehm – custode mi ha aiutata.”

Caitlyn sogghigna, comprensione e divertimento si infiltrano nei suoi lineamenti. “Intendi Frederick?”

“Non ho capito come si chiama.”

“Mi sorprende che non ti abbia riso dietro per tutto il vialetto solo per averglielo chiesto.”

“Ci ha messo tre secondi, come se fosse così facile.”

“Ma è facile.”

“Per te. A Zaun non mettiamo la cravatta.”

“Oh, per tutte – fammi solo – Lascia.”

“Ce la faccio –”

“Sono più veloce.”

“Ho paura che mi strozzi.”

“E fai bene.”

Vittoria. Non sta sorridendo, ma i suoi occhi brillano con quell’aria di sfida che assomiglia a una forma d’affetto, ed è quasi più soddisfacente che se avesse rovesciato lo sgabello in preda a un impeto nervoso. C’è forza in quello sguardo fiammeggiante e, per una volta, Vi è contenta di aver innescato quel fuoco.

Caitlyn allontana le sue mani e le alza il mento.

“Ecco” tira un’estremità del tessuto con attenzione e la cravatta si sfila da sotto al colletto, come un laccio nero e sottile. Al suo posto rimangono le dita, sulla linea di bottoni che scendono fino al gilet. “Stai davvero bene” le dice con dolcezza e sul finire della frase la guarda negli occhi. Profuma di gin, sapone e tristezza.

Vi posa le mani sulle sue.

“Mai quanto te” risponde e a pensarci, insieme a tutto il resto, ha evitato di fare proprio questo per l’intera giornata. Caitlyn deglutisce e studia le mani che avvolgono le sue.

“Dici?”

Vi stringe la presa. “Neanche lontanamente, pasticcino.”

Caitlyn la guarda – e scioglie il contatto. È troppo, nonostante sia a stento qualcosa. Vi ricorda anche questo della morte, ora: ogni senso della misura va a farsi benedire. La osserva voltarsi, di nuovo, delusa senza alcun diritto di esserlo, di nuovo. Decisa a non essere del tutto inutile, di nuovo.

“Mi dispiace.”

“Non scusarti” risponde Caitlyn.

La morte è anche ripetitiva.

“Voglio solo andarmene” continua poi con improvviso vigore e fissa Vi a occhi sbarrati. “Secondo te possiamo andare via?”

E questa è facile. Vi si alza in piedi e intasca la cravatta, le tende una mano.

“Se non possiamo” risponde, “puoi sempre dire che ti ho costretta io.”

 
////
 

Di notte, Vi ritorna a Stillwater.

Il letto è troppo grande, è questo il problema. È tutto troppo grande nella residenza Kiramman.

Il soffitto alto, il pavimento sgombro, un tappeto che non fa testo. Così tanto spazio. Vi si sente obbligata a riempirlo, una pressione snervante che la assale da ogni direzione. Non riesce a trovare una posizione per dormire.

L’altro problema è il silenzio. Solo tappeti e pareti intonacate. Nessuna porta di metallo, nessun lamento, nessuna guardia o tamburellata di manganelli sui muri. E sgocciolii, c’era sempre qualcosa che sgocciolava.

Un tempo Vi bramava il silenzio: lo cercava in cima ai tetti prima dell’alba, una tregua dalle stronzate di Mylo e Claggor, dalle divagazioni ansiose di Powder e dallo scontento di Vander. Ora il silenzio e lo spazio uniscono le forze e le pare quasi di soffocare stesa sulle lenzuola.

Non ha idea se un letto dovrebbe avere così tanti cuscini oppure se alcuni sono, tipo, per bellezza ed è stupido non levarli, o se qualcuno potrebbe svegliarsi perché ha tirato lo sciacquone, o se l’acqua del rubinetto nel bagno è potabile – dovrebbe, no? – e tutto potrebbe scomparire per un solo respiro sbagliato.

Sente la mancanza della pila di stracci mai lavati e del secchio nell’angolo, degli spifferi inestinguibili e del brusio costante di gente che respira, o ci prova. Le manca e non le manca, e odia sentirsi così.

Alla fine, corre.

Mezza spogliata, chiude a chiave la porta e corre da un capo all’altro della stanza, scalza, nel chiarore della lampada sul comodino. Ben presto le fanno male gambe e fianchi, la faccia è accaldata. Il tappeto attutisce i colpi dei suoi passi, sempre più irregolari man mano che il tempo passa. Un’ora? Alla fine i polpacci minacciano di esplodere e inizia a girarle la testa e ingoia aria così in fretta da poter risucchiare tutto l’ossigeno nella camera. Le gambe si intorpidiscono, è una sensazione familiare. È uno schifo e aiuta.

Anche la doccia fredda aiuta. Non usa il sapone.

Stillwater, tutto gira intorno a Stillwater.

Sbatte i palmi delle mani sulle piastrelle con un grugnito, spingendo con forza.

Avanti, idiota. È un letto. È un bellissimo stramaledetto letto.

Prova a ricordare l’ultimo letto che ha avuto e come si stava. Quello che divideva con Pow- con Jinx.

No, Powder. Lo divideva con Powder.

Vi si trascina fino a coricarsi, stesa nell’impronta rimasta sulle coperte in precedenza. Riesce addirittura a chiudere gli occhi.

Powder.

Non Jinx.

Il peso leggero di lei appena affossato nella sua metà del letto e il suo russare lieve. Capelli azzurri sul cuscino. Tirava sempre le lenzuola su fino alle orecchie, anche in estate. Di solito Vi ne scalciava via metà nella sua direzione, tenendo per sé il meno possibile, senza spiegarsi come facesse Powder a non prendere fuoco da sola e consumarsi. Beh, a quanto pare è successo. Mistero risolto.

Un fruscio nel corridoio interrompe bruscamente il suo sonno, per quanto si possa definirlo così. Irrigidita, spalanca gli occhi.

Non c’è nessuno, pensa, va tutto bene, mentre allerta i sensi nella certezza di averlo sentito di nuovo. Continua a dimenticare che i Kiramman hanno dei domestici e che i domestici sono vivi. Qualcuno potrebbe essere diretto in cucina, o chissà che altro. Non c’è nessuno, tenta di nuovo, e se – se anche ci fosse, non è per te.

Lo sente ancora. O è la stanza a creare l’eco.

Il cuore martella come dopo una corsa, ma è immobile.

Il bagno è più piccolo. La vasca ancora di più.

Vi si muove nel buio, sistema gli stivali a un estremo della vasca e la giacca a cavallo del bordo, una coperta in cui avvolgersi piegata a metà sul fondo e il cuscino più piccolo del letto. Nell’insieme pare un miglioramento più gestibile, un livello di comodità da non farla sentire così maledettamente disorientata.

Si corica su un fianco con un sospiro, guarda la finestra. Pensa a Pow- Jinx – chi cazzo fosse – com’è entrata mentre Caitlyn era in doccia.

‘Stamattina ho fatto una visita alla tua ragazza.’

Ha detto proprio così alla riunione peggiore del mondo, poco prima di bombardare la torre del Consiglio stando a debita distanza. E ha fatto dell’ironia crudele con un pasticcino.

La ceramica premuta contro al braccio di Vi è liscia e fredda e lei si volta sulla schiena, aprendo un palmo sulla superficie. Non è un letto. Non è un letto e non ha mai diviso una vasca con Jinx.

Chiude gli occhi, si concentra per dimenticare.

Che stupida: più ti sforzi di non pensare a una cosa, più questa martella con insistenza contro qualsiasi porta dietro cui l’hai rinchiusa.

 
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Il biglietto è di Jayce, arriva tramite Frederick.

Vi non ha idea di cosa le venga messo in mano, solo che c’è un indirizzo sopra, una firma e un’istruzione.

Lei ha bisogno di te.’

Si reca dove le è stato detto, come un cagnolino obbediente, mettendo da parte i suoi piani di rivoltare sottosopra tutta Zaun per trovare sua sorella, o Sevika, o chiunque altro.

Caitlyn è là da un po’. Questa volta l’unico odore è quello dell’alcol.

Quando la vede, esordisce con: “Lasciami sola”.

E poi: “Non voglio” quando Vi la trascina lungo la strada.

“Non hai il permesso di restare” quando inciampa nella sua stanza.

“Lo so” risponde Vi, ogni volta.

La accompagna fino al letto e inizia ad armeggiare con i lacci dei suoi stivali.

“Non voglio togliere le scarpe.”

“Ok.”

“Tienile anche tu.”

“Ok.”

Caitlyn la trascina sul materasso per il bavero della giacca, poi si gira e imprime la schiena contro di lei, tirandole il braccio. Vi rimane inerte e la lascia fare, lascia che borbotti tra sé. Alla fine si sistema con il suo braccio stretto attorno al corpo, mentre tiene la sua mano come un pupazzo di pezza.

È quasi pomeriggio.

Vi rimane fino a quando Caitlyn si addormenta, poi si libera lentamente dalla presa. Per quanto possibile.

 
////
 

I domestici la ignorano come autentici fantasmi, tranne la cuoca, una vecchia signora con gli zigomi affilati e corti capelli neri punteggiati di bianco. Si chiama Josephine e cerca continuamente di darle da mangiare.

“Sto facendo dei panini” le dice con un accento marcato che Vi non riconosce.

“No, grazie.”

“Oggi zuppa. Ricetta speciale.”

“No, grazie.”

“Stufato. Carne e verdure.”

“No, grazie.”

“Sicura? Con le erbe aromatiche. Delizioso.”

Se n’è accorta, deduce Vi. Ha notato che i piatti preparati per lei tre volte al giorno – qualità eccellente, appetitosi, paradisiaci – vengono ignorati. Ad eccezione del pane, a volte l’insalata.

Ci ha provato, davvero.

Durante la prima notte trascorsa nella casa l’appetito è sparito per nessun’altra ragione che disastro e caos e Caitlyn. L’ha superato scegliendo cibo semplice, tutto qui. La prigione le ha devastato il senso del gusto.

Poi, prima del funerale, Josephine ha preparato il dessert. L’ha servito lei stessa su un piatto da portata in argento lucido, levando la cupola della cloche con un gesto orgoglioso e plateale: il preferito della Signora Kiramman. O di Caitlyn. O del Signor Kiramman. Da allora la scena si era ripetuta alcune volte, nelle notti in cui Caitlyn scambiava con lei uno sguardo attraverso l’atrio o il corridoio o il salotto e Vi non poteva evitare la condivisione del pasto.

Vassoio, cloche, svolazzo plateale.

Vi si ritrova ad un altro tavolo, legata ad una sedia diversa. E guarda Jinx –

No” sussurra, oscillando tra due visioni così in fretta che la nausea raddoppia. In una, sua sorella si scoglie in un pianto disperato dopo aver strappato per sbaglio un orecchio al suo pupazzo preferito, lo tende a Vi nella speranza che possa aggiustarlo. Nell’altra, regge tra le mani un vassoio con la testa di Caitlyn servita su un piatto. O avrebbe potuto farlo.

‘Non sono mica così matta!’

‘Non sono mica così matta!’

‘Non sono mica così matta!’

Caitlyn allunga una mano e le tocca un braccio, o sussurra qualcosa, o è troppo persa a fissare il posto vuoto all’estremo del tavolo per fare qualsiasi cosa e ad essere onesti, ad essere davvero onesti, niente può esserle d’aiuto alla fine.

Tutto ha un sapore orribile. Orribile, di sangue e paura.

Scende e risale.

È uno schifo.

“Sono a posto” dice Vi e solleva la sua ciotola di frutta, mentre sposta lo sguardo oltre la porta, verso i frigoriferi. “Visto? Non soffro la fame.”

Ah.

Sta morendo di fame.

Josephine sbuffa, probabilmente pensa che stia facendo la difficile. Come se qualcuno sopravvissuto a sbobba e acqua marrone per sei anni possa farsi problemi per la salsa in cui viene cotta la carne.

“La frutta non vale come cena” replica la cuoca, “Ma non posso costringerti. Vai, vai.”

Vi la osserva impiattare le porzioni per gli altri commensali e se la svigna prima che l’argenteria si rimetta a evocare altre chiacchierate.

 
////
 

È d’oro. Vi non ha idea di cosa si aspettasse.

“Sembra… Bella.”

“Pensavo di pranzare insieme” dice il Signor Kiramman. Un servitore ha lasciato il cofanetto aperto sul tavolo – legno scuro, lucido, intagliato in motivi elaborati che non riesce a decifrare – e il Signor Kiramman abbassa il coperchio e aggancia la chiusura. “Prima di incontrare – il Consiglio.”

Accanto a lei, Caitlyn non ha detto una parola.

“Vi? Ti unisci a noi?”

Vi lo guarda. Per la centesima volta della giornata vorrebbe farsi un bagno nell’acido, strofinare e strofinare e ricominciare. In ogni caso, lei non dovrebbe trovarsi in questa stanza, in questa casa. In nessun caso e specialmente non in questo momento. Oddio, è tutto così personale.

Il Signor Kiramman gliel’ha proposto.

Gliel’ha proposto, anche se sua moglie è morta ed è colpa sua. Prima che lei possa aver deciso se l’insulto peggiore sia rifiutare la sua ospitalità o accettarla, si è già spostato sorridendo tra sé e sé.

Come osa?

Arriva a sembrarle un gesto di carità, già abbastanza detestabile. A quanto pare, imprigionarla nelle conseguenze dei suoi errori è la punizione più crudele a cui è riuscito a pensare.

“Cibo gratis?” risponde Vi, scovando dell’entusiasmo dall’angolo più profondo che riesce a trovare. Non vuole mangiare, ma stare al gioco non guasta. “Dove devo firmare?”

“Caitlyn?”

“Cosa?”

L’espressione del Signor Kiramman si addolcisce quando la figlia si rivolge a lui.

Il cofanetto sul tavolo è immobile, non fa altro che aggiungere un velo di bellezza dove potrebbe esserci anche una tinozza di pece, sputo e sudiciume, intenta a colare gocce disgustose sul ripiano e le piastrelle.

È oro vero?

Non può essere oro vero.

Non che la Signora Kiramman non ne sia degna – se lo merita.

Vi vorrebbe che chiunque nell’intero mondo conosciuto potesse riposare in un luogo tanto magnifico come quest’urna in un cofanetto, recapitata a mano presso la casa delle persone più care.

“Pranzo, mia cara. Un po’ d’aria fresca e un buon pasto.”

Caitlyn annuisce, appena nauseata. Vi non riesce a sopportarlo, né a fargliene una colpa.

“Mangio io la tua parte se non hai fame” le dice e tenta di sfoggiare un ghigno. Abbassa la voce per fingere un bisbiglio: “Ordina doppio”.

Caitlyn allunga una mano e Vi la corrisponde; il sollievo, travestito da senso di colpa, rimescola l’amarezza sul fondo del suo stomaco, come un’ancora solleva e disperde i sedimenti sabbiosi quando atterra sul fondo dell’oceano. Se lei abbia il ruolo della sabbia o della catena, Vi non riesce a stabilirlo. La presa di Caitlyn è tanto salda che non le importa, per una volta.

È decisamente d’oro.

“Andiamo” Vi la sostiene per un braccio, con attenzione, consapevole di quanto abbia bisogno di uscire da quella casa. “Mangiamo qualcosa.”

 
////
 

“Voglio essere sepolta.”

Sono distese all’ombra, fianco a fianco, tra l’erba del parco in cui il Sig. Kiramman le ha lasciate per fare una passeggiata. Vi continua a sperare che Caitlyn si allunghi a cercare la sua mano.

“Intendi tipo…”

“C’è qualcosa di umiliante nell’essere ridotti a un mucchio di cenere e venire raccolti dentro un’urna. E adesso dobbiamo decidere cosa farne.”

“Voi – cosa?” Vi esita. A intervalli di pochi minuti, nuove boccate d’aria infernale. “Cioè – si può scegliere?”

“Pensavi che l’avremmo lasciata sul tavolo da pranzo così mio padre può leggerle le notizie del giorno ogni mattina?”

“Puoi ancora parlare con lei, se vuoi.”

Caitlyn la guarda, i capelli raccolti in una coda pendono da un lato. “Sì,” mormora piano “lo so.”

Vi sposta l’attenzione sull’albero sopra di loro.

“Mi ha davvero – sorpresa, la sua scelta” prosegue l’altra. “Non mi sembra il tipo. Tu che dici?”

“Non saprei.”

“Non dirmi che non hai mai pensato alla morte.”

Oh, pasticcino – vorrebbe dirle – inizio a credere di essere io, la morte. La risposta che le esce invece è: “Mai pensato di avere voce in capitolo, quando sei troppo impegnata a non essere viva”.

“Lasciamo istruzioni” dice Caitlyn con tono più fermo. Le piace dare spiegazioni, Vi lo sa bene, ma ha un atteggiamento cortese che non la fa sentire un’ignorante. “Lo facciamo tutti. Documenti ufficiali in cui scriviamo cosa vogliamo che succeda a noi e alle nostre proprietà.”

“Giusto.”

“So che suona un po’… Aiuta per le persone che lasciamo, avere delle indicazioni. Rende tutto più facile.”

“Dici?”

“Dovrebbe.”

Caitlyn si mette seduta. Ha tolto gli stivali e si guarda le dita dei piedi che saggiano l’erba.

“Mi spiace che non lo sia,” commenta Vi “più facile.”

“Devi smetterla di dispiacerti per cose che non sono colpa tua.”

“Giusto. Scusa.”

Caitlyn replica con una spintarella e Vi – stupida, egoista, stupida stupida! – le afferra la mano prima che possa ritirarsi. Stringe insieme i loro palmi e, per appena due secondi, pensa a cosa potrebbe succedere se portasse quel dorso alla bocca per un bacio. Non lo fa.

“Cosa succede a Zaun? Quando qualcuno muore?”

“La gente trova fuori scuse” borbotta. “O fa finta che non sia successo.”

Con una stretta alla mano, Caitlyn prosegue con più dolcezza di quanta Vi ne meriti.

“Dopo la veglia, mi sono chiesta se fossi mai stata a un funerale prima.”

“Perché? Ho sbagliato qualcosa?”

“No, per niente. Me lo sono chiesta, tutto qui.”

“Non devi preoccuparti.”

“Ma è così, vero? Sei stata ad altri funerali?”

È molto più facile restare aggrappati alla realtà con due mani.

Vi scrolla le spalle.

“No. Ma non importa.”

Non è importante, o almeno così crede, ma ora Caitlyn se ne sta lì ad assorbire l’impatto della notizia. “Lo so” continua per risparmiarle l’imbarazzo, “non è che le occasioni siano mancate.”

“Ma… E i tuoi genitori?”

“Cosa?”

“Beh -”

“Li hanno fatti saltare in aria mentre cercavano di attraversare il ponte, Cait. Avevo undici anni, tipo. Vander ci ha tirato fuori da lì e basta. Cosa vuoi che ti dica?”

“Mi dispiace tantissimo.”

È vero, pensa Vi. È solo gentile

“Pensavo che avessi una regola sul dispiacersi inutilmente” scherza lei, o almeno ci prova.

La mano di Caitlyn scivola dal suo palmo fino a prenderle il polso. Come può farla smettere di guardarla in quel modo?

“Prepariamo degli altari” le dice. “Hai visto il murale, dove vivono i Firelight. E la gente continua a lasciare candele, fiori e altra roba, vicino al ponte, per i miei… Per tutti. Ogni tanto ci vado. Non so, aggiungere qualcosa in cima al mucchio sembra far durare tutto più a lungo. Ma c’è sempre dell’altra merda di cui occuparsi.”

“… ‘Altra merda’?” il suo tono insiste sull’imprecazione, la cadenza è venata di un giudizio che si sta sforzando di non provare. Ha le sopracciglia contratte, lo sguardo attento. Certo che no, sta pensando. Del resto, come potrebbero?

“Immagino che sembri una roba da selvaggi per te, vero?”

“No, tutt’altro.”

“Non è che non vogliamo, sai, fare la festa in grande. Tirare fuori il servizio buono.”

“Non è proprio una festa.”

“Hai parlato di ‘celebrazione’ però.”

“Perché tu l’hai definita ‘festosa’.”

Vi mormora tra sé, incassando il colpo. Quando erano morti i suoi genitori, aveva pianto sul ponte e per giorni interi in quella stanza sconosciuta nella cantina del Last Drop. Quando Vander era morto – e Mylo, Claggor – aveva singhiozzato per una notte, artigliandosi la faccia e fissando i mattoni umidi della sua cella, poi aveva smesso. Non c’era molto spazio per il lutto quando l’istinto di sopravvivenza aveva la priorità.

“Ho pensato che lo fosse” commenta Vi, gli occhi stretti a guardare le foglie. “Non sapevo che la morte potesse essere così.”

Strano, avere ancora qualcosa da imparare. Vi archivia l’idea per una prossima occasione.

“Tutti meritano un’occasione per dire addio quando si perde qualcuno” le dice Caitlyn, come se fosse il concetto più ovvio del mondo.

“Già” le risponde con una risata quasi strozzata, ma si sente quando parla? “Tutti.”

“Mi dispiace che tu non l’abbia avuta.”

“Sei dolce, pasticcino. Davvero, ma non mi aspetto che un piltoviano possa capire.”

“Pensavo di andarti a genio perché non sono come gli altri.”

“A volte” Vi la osserva: il trucco che nasconde le occhiaie, la forcina verde che ha messo tra i capelli, la pelle dei suoi mezzi guanti. “A volte no.”
Caitlyn si stende di nuovo a scrutare il cielo, le sue mani scompaiono.

“Non posso farci niente.”

“Anche questa è una risposta da piltoviani. Non ti sto chiedendo niente.”

“Sembra di sì.”

“Invece no.”

“Sembra che tu voglia che mi scusi per qualcosa.”

Non guasterebbe, riflette. Non ha senso, ma la morte ne ha di rado.

“Non devi scusarti” replica Vi, impaziente di chiudere il discorso, senza curarsi di quanto sarebbe bello se lei capisse.

“Non penso sia da selvaggi” ribatte ancora. “Sto cercando di capire perché non – Perché non fate come noi.”

“Sei seria?”

Caitlyn annuisce.

Vi ne prende atto, che sbalorditivo livello di beata ignoranza. Non ha idea del motivo per cui sia proprio questo l’argomento su cui si siano arenate, tra tutte le maledette cose di cui potrebbero parlare.

“È costoso. Lo sai, vero?”

“Pensi che sia eccessivo.”

“Cosa, il banchetto di quattro portate e la musica dal vivo? No.”

“Che cosa avrei dovuto fare?”

“Non sto parlando di te, mi hai chiesto e -”

“Avrei dovuto chiedere al tuo amico Jericho di pensare al catering?”

“Cosa?”

“Duecento scodelle di – di sbobba?”

“Sbobba?”

“Perché quello è appropriato in memoria di mia madre. Meno del minimo indispensabile.”

“Non è poco per alcune persone, non comportarti da -”

“Cosa? Da cosa? Da arrogante piltoviana?”

Quella ferocia, quella passione, quel fuoco – qualità che a Vi piacciono, le ammira – sono un duro colpo quando ci si trova dall’altra parte. Come fiamma viva, Vi deve essere prudente.

“Non c’è niente di male nel cibo di Jericho” replica, il che non è affatto prudente. “Costa poco ed è più sano di quello che sembra.”

“Allora la prossima volta che qualcuno della mia famiglia viene ammazzato lascerò a te l’organizzazione.”

Ecco. Brucia, tesoro, brucia.

La sua voce si incrina e le parole penetrano nel petto di Vi, come se le avesse caricate in uno dei suoi fucili al posto dei proiettili.

Assassina, è questo quello che sente. Assassina, assassina, assassina.

Non se l’aspettava, ma è così ovvio.

“Lascia perdere” sbotta Caitlyn prima che lei possa dire qualunque cosa, prima che possa anche solo pensare – cazzo, è veloce – e le sue mani tremano mentre infila gli stivali. Vi ha la gola contratta.

“No” tenta, “no, ehi – vieni qui.”

“Non importa.”

“Importa invece, io – senti…”

“Mio padre ci starà aspettando” Caitlyn si alza e Vi lascia cadere la mano a vuoto. Rimane lì tra l’erba fredda, all’ombra, poi fa l’unica cosa che le resta: la segue.

 
////
 

“Vi? Sei tu?”

No. Sono morta. Torna più tardi.

“Sì” si lamenta e sputa nella tazza – sbagliando mira. “Sto – sto bene.”

Il Sig. Kiramman apre in silenzio la porta della camera, a quanto pare deciso come sua figlia a spargere sale su ogni ferita di Vi ancora disponibile. La porta che conduce al bagno è rimasta aperta. Dannazione.

“Non sembra che tu stia bene” commenta. “Posso fare qualcosa?”

Qualche consiglio per tornare indietro nel tempo?

“Uh” Vi sobbalza e arriva un altro conato, senza motivo.

“Sto per entrare, Vi, credo che tu abbia bisogno di aiuto. Se non sei vestita, per favore dimmelo.”

“Non – uh” vomita di nuovo nello scarico, cercando disperatamente di trattenersi. “Non c’è bisogno.”

Troppo tardi.

Riesce vagamente a percepire la sua presenza in piedi dietro di lei, intanto ha il naso e la gola in fiamme. Lui la osserva mentre i ricordi le spurgano dallo stomaco.

‘Le ho preparato uno snack.’

Perché non riesce a ricordare nient’altro che sua sorella abbia mai detto?

L’ennesima ondata di nausea la sommerge e vomita ancora. Questa volta ha quasi saltato del tutto la cena. Sarebbe stato meglio così.

Stai bene.

Vedrà i lividi e le cicatrici e i tatuaggi.

Stai bene, stai bene.

Penserà che sia debole.

Si regge alla tazza del water e appoggia la fronte sulla tavoletta, non ha avuto tempo di alzarla quando si è precipitata in bagno. “… ‘To bene” gracchia. “Scusate.”

“Non preoccuparti.”

Oddio, sembra di parlare con lei.

“Ti metto un panno bagnato sul collo. Aiuterà.”

Armeggia nel lavandino e Vi non potrebbe impedirglielo nemmeno volendo. Trema alla presenza di quest’uomo che conosce appena, il suo cuore sobbalza. Sta bene, se solo la stanza smettesse di girare starebbe bene.

“Ecco” dice e si accovaccia vicino a lei. “Sentirai freddo. Cerca di fare respiri lenti e profondi, d’accordo? Se senti che devi dare di stomaco ancora, puoi farlo.”

Non ha molta scelta. Asseconda quanto le è stato detto, intanto lui le posa una pezzuola fresca sul collo e la nuca.

“Sei ferita? Potresti avere un trauma cranico?”

Oh, nah, Doc. Lo faccio tutte le sere.

Le esce solo un grugnito, è ancora aggrappata al bordo della tazza, le nocche sbiancate.

“Prenditi il tempo che ti serve.”

Respiri lenti e profondi, ripete a sé stessa.

“Bene” incoraggia il Sig. Kiramman, “così va benissimo, Vi.”

La rassicura con sincerità e convinzione, pacifico e così generoso. Vi ha voglia di picchiarlo.

“Può andare, Sig. Kiramman” dice lei, sentendosi finalmente un po’ più stabile. Dev’essere merito di quella cosa del respiro. “Ce la faccio.”

“Mi chiamo Tobias. Chi ha salvato la vita di mia figlia può chiamarmi così.”

Vi si allontana dalla tazza, scosta il suo braccio e si lascia cadere sulle cosce, passando il dorso della mano sulla bocca.

“Non sono sicura di avere meriti per quello, Signore.”

“Sei tu il motivo per cui è ancora viva, o sbaglio?”

“Sono anche il motivo per cui non è uscita dal suo letto oggi, ma nessuno sembra notarlo, giusto?”

Lui rimane a fissarla.

“E perché sarebbe così, secondo te?”

Oh. Questa era diretta.

Vi si passa una mano sulla faccia e sul taglio lungo la mascella, guadagnato il giorno prima mentre perlustrava i Vicoli per la centesima volta. Non sta guarendo. Il Sig. Kiramman si alza, posa il panno nel lavandino e si volta con le braccia incrociate, in attesa di una risposta.

Se glielo dice, la sbatterà fuori in un batter d’occhio. Il che, in effetti, è un ottimo motivo per farlo.

Tutta questa faccenda si è trascinata troppo a lungo, questa sceneggiata di carità e benevolenza, come se non ci fosse lei dietro l’insieme di circostanze che li ha condotti qui. Come se Powder non potesse essere persuasa a non fare ciò che aveva fatto, se solo lei avesse provato di più, con più convinzione, cazzo. Deve tornare a Zaun e restarci, da Sevika e Jinx, per sistemare questa stronzata una volta per tutte, ma cibo gratis e coperte morbide e acqua calda sono cose difficili da mollare. E quindi, dannazione, le serve quella spinta in più.

“Jinx è mia sorella” confessa. “La ragazza che ha rapito Caitlyn, che ha – fatto saltare il Consiglio. È la mia sorellina.”

Il Sig. Kiramman mormora tra sé, si volta per aprire uno degli armadietti e ci rovista dentro. Pesca un rotolino di cerotto adesivo e ne taglia un pezzo, mentre la fissa da sopra al bordo degli occhiali. Sta aspettando che… Continui.

“Gliel’ha detto.”

“Mi dice la maggior parte delle cose, per quanto ne so.”

“Non capisco” Vi si è girata per appoggiarsi al water e studiarlo meglio. “Non riesco a capire come lei possa…”

“Essere gentile con te?”

Mi guardi. Se fossi al suo posto, io…”

“Cosa faresti?”

“Sinceramente, mi prenderei a pugni nei denti.”

Il viso dell’uomo si contorce in una smorfia divertita, gli occhi luccicano. “Sì, immagino che faresti così. Ma per mia sfortuna, non sono il tipo da scazzottate. Mani da chirurgo.”

Vi non sa che altro dire. Lui si accuccia di nuovo con il panno in mano, pulisce il taglio, poi lo tampona con un asciugamano pulito e le attacca il pezzo di cerotto sulla mascella; lei lo lascia fare disarmata e impotente. L’uomo procede a ispezionarle il lato del collo, dove l’impronta livida di una mano si fa notare. Un altro recente souvenir da Zaun.

“Secondo la mia esperienza” dice il Sig. Kiramman, “le persone che hanno sempre sostenuto un grande carico di responsabilità tendono a sentirsi responsabili anche quando non lo sono.”

Responsabile, dice la voce nella sua testa, che sta davvero dando il meglio di sé. Intende dire che hai fatto ammazzare sua moglie, e sua figlia è quasi stata decapitata.

“Non penso sia il mio caso.”

“Lo so che non lo pensi. Puoi girare la testa per me?”

Vi obbedisce.

“E dall’altro lato? Lentamente.”

Lei fa una smorfia e le sopracciglia di lui si aggrottano in risposta.

“Ti farò avere un collare, ma dubito che lo indosserai.”

“L’ha mandata lei a controllarmi?”

“No, Vi. L’ho fatto da solo.”

Lei strofina una mano sul viso e si sofferma con le dita sul cerotto; almeno lo stomaco si è sistemato. Vorrebbe quasi che lui iniziasse a sbraitarle contro. “Grazie per… Grazie. Sto bene.”

Si aggrappa al ripiano vicino al lavandino per tirarsi in piedi, con qualche difficoltà e le gambe tremolanti.

“Sicura?”

“Non deve preoccuparsi per me” ribatte seccata, perché si sente in imbarazzo e messa all’angolo e com’è possibile che non le stia urlando addosso? “Non lo fa nessuno. Lei – si preoccupi di tutto il resto.”

Il Sig. Kiramman annuisce e getta qualcosa nel cestino accanto alla vasca da bagno. Se anche avesse notato il cuscino e le coperte, non fa commenti.

“C’è del ghiaccio in cucina” aggiunge, “sarebbe ottimo per il collo. E le mani. E… Tu non sei tua sorella. Ne sono abbastanza sicuro.”

Vi sbuffa: “Sembra di sentire Caitlyn”.

Lui sorride, per nulla dispiaciuto e pieno di sconforto allo stesso tempo.

“Mia figlia è molto più sveglia di me” conclude. “Ha preso da sua madre.”

 
////
 

Caitlyn non bussa, ma Vi la sente arrivare comunque.

“Stai bene?”

“Non direi.”

Vi lascia cadere la giacca sul bordo del letto e la osserva, lì sulla porta. Lei ha passato un’altra giornata nei Vicoli, a setacciare strade, porte, facce in cerca di Powder, Sevika, chiunque. L’opinione condivisa è che si siano nascoste, ma nessuno le ha viste, nessuno ha sentito nulla. Vi ritiene piuttosto di non aver ancora trovato la persona giusta da torchiare e la cosa inizia a darle alla testa.

“Posso fare qualcosa?” chiede a Caitlyn con disperazione.

Lei varca la soglia in pigiama, i capelli sciolti, il viso pallido per quanto Vi possa vederla. Ha lasciato le luci spente, con l’eccezione di una lampada in corridoio.

“Non lo so.”

Ha un’espressione sul volto che Vi non riesce a identificare: forse è decisione, ma conosce lo sguardo di Caitlyn in quei momenti e non sembra essere il caso.

“Ok” commenta incerta. “Allora cosa…”

Caitlyn attraversa la stanza a passi rapidi e non si ferma dove farebbero la maggior parte delle persone. Le mani raggiungono il petto e la guancia di Vi prima che lei possa afferrare le sue braccia senza convinzione. Uno scontro leggero di nasi, mentre le labbra di Caitlyn sfiorano le sue, calde, morbide, asciutte, sparite. Quasi avesse sbagliato mira, ma Caitlyn Kiramman non sbaglia mai.

Impietrita, d’istinto Vi serra gli avambracci al busto e chiude di scatto gli occhi, nonostante le sopracciglia inarcate.

“Whoa” riprende fiato.

L’espirazione lieve contro al viso, l’odore di sapone e polvere da sparo, il calore di un altro corpo così vicino al suo – tutti indizi che oddio, sì, ok, è successo davvero e sta per succedere ancora.

“Cait-”

Una mano le avvolge una guancia.

Cait.”

Gli occhi di Caitlyn, prima chiusi, ora si aprono e sprofondano nei suoi. Vi sostiene lo sguardo con riluttanza e inspira. Ha bisogno di accendere una luce – è più facile ignorare quello che non puoi vedere davvero. Quegli occhi sono così azzurri e non del tutto presenti, riflette. Non è un gesto consapevole, non può esserlo.

È tardi. È tardi e sono entrambe stanche, e la morte è come una città senza mappa. È davvero facile perdersi.

Vi le tocca un polso.

Riferimenti.

Scuote la testa, schiarisce la voce.

Una di noi deve trovare dei punti di riferimento.

Se solo le dita di Caitlyn non le accarezzassero il volto, scivolando rapide, fino ad abbracciare l’incavo del collo con la mano.

Se solo i suoi occhi non fossero così, pieni e azzurri e segnati da più dolore di quanto Vi possa sopportare di scorgervi.

Se solo Vi desiderasse qualsiasi altra cosa – qualsiasi, sua sorella o una piccola fortuna o una scusa per strapparsi via la pelle dalle ossa e ricominciare – almeno quanto vorrebbe essere mostruosamente, orrendamente egoista, proprio adesso.

“Questo non ti aiuterà” le sussurra, per il bene di entrambe. “Credimi.”

Caitlyn si aggrappa alla sua nuca, le imprime le unghie tra i capelli. Deve muoversi appena per baciarla di nuovo, con più fermezza e più forza. Attutisce il verso di Vi, quasi potesse inghiottirla per intero. Ben presto la presa si rilassa e così fanno anche le sue labbra, il suo volto si scosta, ma lei rimane dov’è. Il suo respiro si infrange sulla guancia di Vi mentre resta ferma, in attesa, poi ricomincia. Le mani scorrono dalla nuca verso il collo, alle spalle, al petto e di nuovo al collo, con slancio crescente.

E Vi – Vi ha trascorso tutta l’interminabile giornata alla ricerca di persone che potrebbero non esserci. In quello che sembra il sunto di tutta la sua dannata vita, quest’altalena incessante di perdita e ricerca e ricerca e perdita. Di certo è abbastanza per andare un po’ fuori di testa, una persona non dovrebbe continuare a girare intorno così tanto.

Ora Vi è qui, continua a tornare. E Caitlyn viene a cercarla, viene sempre a cercarla.

Vi è consapevole che in pochi minuti il cervello prenderà il sopravvento sul suo cuore, ma per il momento, finché è possibile, si godrà la sensazione di essere ritrovata due volte dalla stessa donna.

Bocche, labbra e lingue scorrono une sulle altre. Le mani di Vi risalgono quel viso, lo trattengono, i pollici si imprimono con delicatezza sulle guance e lo fanno voltare dall’altro lato. Sospira nella sua bocca quando Caitlyn la lascia fare, lei è così sensibile, il suo desiderio così evidente.

Finalmente ce l’ha fatta, ha trovato cosa può fare per farla stare meglio. Anche se significa inalare il suo respiro caldo, mischiare la saliva con la sua, infondere calore dalle dita tra i suoi capelli e sul suo corpo e sentirla avanzare un passo versi di lei, una gamba che scivola tra le sue. Anche se vuol dire godersi il momento, davvero terribile. Deve solo assicurarsi di ricambiare il tutto dieci volte tanto, ogni bacio e ogni tocco, ogni conferma silenziosa data a questa donna. Così – e forse solo per questo aspetto – non sarà in debito.

Un dare e prendere continuo, finché non si ritrovano voltate e Caitlyn si siede sul letto, le sue mani, febbrili e incuranti, raggiungono la cintura dei pantaloni di Vi. Respira mentre armeggia con la fibbia e Vi la inquadra, lo sguardo concentrato sulla sequenza di gesti, e si prepara per – per – per cosa? Per dare tutto fino a non avere più nient’altro. Niente, niente, niente.

Caitlyn intercetta l’occhiata e si allunga per catturare la bocca con la sua, calda, decisa, rapida come le sue mani che annaspano disperate e alla cieca. Vi cerca di dire qualcosa – ehi, va tutto bene, ci penso io – e Caitlyn continua a baciarla. L’altra tenta di rallentare il ritmo con le mani e lei insiste nel bacio, la faccia inumidita. Non è saliva e Vi capisce, non è l’unica a puntare verso il nulla.

Interrompe il contatto, boccheggia in cerca d’aria. Le pulsazioni martellano così forte all’altezza del collo che il cuore deve aver incontrato il cervello a metà strada, meglio tardi che mai.

“Cait-”

“Non farlo” interrompe l’altra e cerca di riavvicinarsi. La sua voce è profonda, scavata. “Ti prego, no.”

“Non possiamo” continua Vi e arretra di un passo. Sente le lacrime ricalcare la curva delle sue dita, ancora abbracciate con leggerezza alle guance di Caitlyn, le avverte sul naso dove la punta sfiora la pelle dell’altra. È divisa tra prendere le distanze da questa situazione e il desiderio di affrontarla e allontanare quelle lacrime, se fosse d’aiuto. Vorrebbe solo aiutarla.

“Non fare la brava per una volta, ok?” Caitlyn soffoca un singhiozzo. Alla fine è riuscita a slacciare la cintura e procede con i bottoni e la zip. “Va bene” continua, come se non parlasse nemmeno con lei. Il singulto sfugge al suo controllo. “Va tutto bene.”

Più stabile sui propri piedi, Vi lascia scorrere le mani per afferrarle le braccia.

“Ehi…”

“Solo – I-Io-”

“Tesoro” sussurra Vi, “fermati.”

Caitlyn si immobilizza e quando solleva lo sguardo, i suoi occhi non sono mai stati tanto sgranati.

“Tu – Tu non lo vuoi?”

Come se volerlo potesse anche solo avere voce in capitolo nella faccenda.

“No, lo voglio” le risponde. “Ma…”

“Tu non vuoi.”

“Pasticcino-”

Lei si libera dalla sua presa e arretra.

“Ti ho detto di non chiamarmi così” scatta, il viso lucido, le labbra gonfie. “Quindi smettila. Smettila di chiamarmi.” La lascia lì nell’oscurità, ai piedi di un letto in cui Vi non riesce ancora a dormire, con i pantaloni slacciati e appesi ai fianchi, la maglia stropicciata. Sulla sua lingua il gusto di quanto più simile alla redenzione potrà mai assaporare, imputridisce.

Vi fissa a lungo la soglia vuota della stanza e, prima di ripensarci, si gira per abbattere un pugno sulla testiera del letto. Si può immaginare la sua furia quando capisce di non sentire nulla.

 
////
 

È seduta in fondo al bancone del bar, tra uno sgabello vuoto e una signora più matura.

Il brusio di conversazioni, risate e bicchieri che tintinnano fra loro avvolge l’ambiente sotto un sottile strato di fumo. Ci sono uomini e donne in abiti eleganti che aspirano veleno da pipe in legno e aggeggi luminescenti, ridacchiando delle reciproche storielle. Oh, Percival, che vergogna. Benjamin era un domestico così premuroso.

Caitlyn indossa abiti da giorno, stravaccata a bere la miscela tossica, piuttosto che fumarla. Se non fosse per la mancanza dell’abito grigio e la presenza di tutti questi altri idioti, a Vi sembra una scena familiare.

“Che cosa ci fai tu qui?” le dice affilando lo sguardo con sospetto, o forse sta solo cercando di mettere a fuoco la faccia di Vi. “Non ti ho chiamata. Non ho chiamato nessuno.”

La donna sull’altro lato scocca a sua volta un’occhiata diffidente, messa in allerta dal groviglio di indignazione riverso tra loro. Vi la fulmina di rimando.

“Hai ragione,” risponde “non hai chiamato nessuno.”

“Quindi sei – sei venuta qui per conto tuo? Ansiosa di spendere 12 spiccioli per un drink, vero? La tua gente non beve, tipo, gasolio?”

“Non dirmi che non l’hai mai provato.”

“Non prenderti gioco di me. Con i tuoi trucchetti. Non sei migliore di nessuno.”

“Pasticcino-”

“Ti ho detto di smetterla di chiamarmi così.”

Svuota il bicchiere in un solo sorso e si protende in avanti, facendo un cenno al barista. Vi coglie una zaffata del drink che si diffonde subito attraverso i suoi pori. Non sa dire cosa la impressioni di più: quanto ne sia inebriata o quanto tempo le sia servito per arrivare fino qui.

Il Pasticcino beve come un minatore.

“Tu” continua Caitlyn puntandole un dito contro, “puoi andartene. E puoi anche dire a Jayce di badare ai cazzi suoi.”

Vi prende un respiro profondo dal naso ed espira.

Ha ragione. Nella sua tasca c’è un altro biglietto, da Jayce tramite Frederick, un indirizzo e una frase, come l’ultima volta. ‘Ha bisogno di te.’

Di nuovo la stessa storia, ha pensato Vi, ma è andata comunque.

“Si preoccupa. È preoccupante, tutto questo…” fa un gesto vago. “Tutto questo.”

“Sto bene.”

“Da quanto tempo sei qui?” chiede, ma Caitlyn la ignora, per cui riformula la domanda. “Da quanto tempo è qui?”

Il barista scrolla le spalle: “Tutto il giorno”.

“E hai continuato a darle da bere?”

“Sai bene chi è. Non sarò certo io a mandarla via.”

Vi la osserva all’altro capo del bancone; vorrebbe detestarla, ma invece si ritrova a pensare Già, è difficile mandarla via.

Il nuovo giro riempie il bicchiere fino all’orlo. Caitlyn si china in avanti con le labbra protese per sorbire il liquido dal bordo, finché non è calato di qualche centimetro ed è più facile da maneggiare.

“Ok. Questo è l’ultimo, Cait. Poi ti porto a casa, d’accordo?”

“Non parlarmi come se fossi una bambina.”

“Arriverai a stare male.”

“E allora starò male.”

“Questo non – questo non è da te.”

“Oh, andiamo, Vi. Quanti motivi si devono avere per poter trascorrere un giorno a bere? Perché credo di averne abbastanza, più uno, o no?”

Vi digrigna i denti, esasperata. È troppo pretendere una risposta diretta?

“Stai rimuginando” dichiara. “Questo si chiama rimuginare.”

“Non è vero.”

“Sì, invece, e mi aspettavo di più da te, davvero. Questo è – piuttosto patetico.”

“Vaffanculo.”

“Sì, lo so, vaffanculo a me. Fanculo per tutto, giusto? Come se non potessi capire cosa stai passando.”

“Non puoi. Il mio dolore è mio.”

“Il tuo dolore è noioso, pasticcino.”

Il bicchiere di Caitlyn sfreccia verso di lei: il vetro è pesante, con un motivo lavorato; la base colpisce Vi alla spalla e rimbalza via, per atterrare in frantumi sul pavimento. Aveva ancora del liquido dentro. L’intera stanza piomba nel silenzio e chiunque non stesse già osservando la scena, ora le fissa.

Caitlyn alza lo sguardo dal bicchiere distrutto e cerca di darsi un contegno. È sorpresa lei stessa, questo è evidente. “Io…”

Cosa?

“È passato un mese” deglutisce a fatica. “Trent- trentuno giorni, da quando Jinx ha ucciso metà delle persone nella – da quando mia madre-”

“Oh.”

Caitlyn si raddrizza, forse incoraggiata dal suo stesso impulso violento, o dall’apparente assenza di conseguenze.

“È una ricorrenza.”

“Scusa se non mi sono ricordata.”

“È per questo che ti scusi?”

“Se hai intenzione di fare questo gioco, penso che entrambe abbiamo varie ragioni per scusarci.”

“Non sto facendo nessun gioco.”

“Nemmeno io. Hai finito il tuo drink. Andiamo.”

Vi le poggia una mano sul gomito, leggera e risoluta, e Caitlyn la lascia fare; ruota lo sgabello per fronteggiarla e Caitlyn, di nuovo, non oppone resistenza. Quando infine fa scivolare un braccio sotto il suo per cingerla al fianco e farla alzare, Caitlyn la respinge con forza.

“Non farlo.”

“Smetterò quando sarai ben infagottata nel tuo letto, per cui dacci un taglio.”

“Sicura che non intendi la vasca?”

“Che cosa c’entra una vasca con-”

“Non mentirmi. I nostri letti raffinati sono eccessivi per una za- zaunita suscettibile come te. Neanche fossi allergica a lenzuola di seta e piume d’oca.”

Vi lascia correre. Non è certo il momento per darle una spiegazione, tranne forse ‘potrebbe sorprenderti a cosa ci si abitua se ci vivi abbastanza a lungo’.

“Tutto a posto, signorina?”

“Alla grande” ribatte Caitlyn alla donna lì vicino, mentre le sue mani non smettono di svicolare da quelle di Vi, per respingerla ancora e ancora. Continua a leccarsi le labbra e si distrae.

“Stiamo bene” interviene Vi, ben consapevole di come deve apparire la scena. Una volta scesa dallo sgabello, è chiaro come Caitlyn si regga a stento in piedi. “Sono un’amica.”

“Non sei mia amica” precisa l’altra, calcando sulla parola. “Non ti piaccio nemmeno. No. Te ne vai, ogni volta. Ogni giorno. Te ne vai per i Vicoli e – e – e Dio solo sa per cosa.”

Si divincola dalla sua presa e perde l’equilibrio, Vi la recupera per una spalla prima che raggiuga il pavimento.

Qualcuno deve trovare Powder.”

“Oh, giusto, quindi sarai tu a sbatterla in prigione?”

“No, ma-”

“Quindi non si merita di finire dentro, per quello che ha fatto?”

“Non tutti – piantala – non tutti quelli che sono dentro se lo meritano.”

“Continui ad andartene” ribatte Caitlyn, dibattendosi furiosa. È un miracolo che non l’abbia ancora colpita in faccia. “Tutti se ne vanno.”

“Alcuni tornano, sai. Eccomi qui.”

“Jayce ti ha detto di venire qui.”

“Non rispondo a Bel Faccino, lo sai.”

“Sei stata costretta a venire qui. Perché cazzo saresti rimasta nella nostra casa tutto questo tempo?”

“P-perché voglio.”

Non ha idea del perché, nemmeno la più vaga idea del motivo per cui sente di volerlo e ancora meno del perché lo stia ammettendo proprio adesso.
Caitlyn inciampa nei suoi piedi, ma si raddrizza di scatto quando Vi cerca di prenderla al volo. Con un gesto seccato, la schiaffeggia su un braccio.

“Gesù, Caitlyn, che cosa vuoi?”

“Non importa quello che voglio.”

“Ma certo che importa.”

“No invece, perché – perché non vogliamo le stesse cose, no?”

“Cosa? Perché dici così?”

“Tu non mi vuoi, l’hai reso ben chiaro l’altra sera.”

Vi resta immobile, con le mani vuote e sospese nello spazio tra loro. Quando le si avvicina di nuovo, l’agitazione o l’equilibrio non c’entrano affatto.

“No” le dice. “No, ehi, non – non era per quello.”

“E allora per cosa?”

“Non avrei mai approfittato di te così. Mai.”

Caitlyn scoppia in una risata acuta e fragorosa, ora davvero le stanno guardando tutti. Cosa deve fare una persona ricca per essere buttata fuori da un bar?

Approfittato” ripete Caitlyn mentre recupera la sua giacca dallo schienale dello sgabello. “Sei tutta cavalleria adesso, vero? Tutta impegnata a prenderti cura di me. Per il mio benessere.”

Vi si blocca di colpo: sembra un’accusa e la disorienta, una nuova sfumatura di Caitlyn che non riesce a decifrare, come un colore estraneo.

L’ha vista frustrata, ferita, determinata; ha sentito le sue mani sfiorarle il viso, l’ha consolata ed è stata consolata a sua volta. Ha dormito nel suo letto, ha partecipato al funerale di sua madre, l’ha baciata ed è stata ricambiata. Tutto porta a qualcosa, è semplice. Solo perché un legame nasce sotto il peso opprimente di un mondo intero, come il carbone che si trasforma in diamante, questo non lo rende meno autentico. Merda, avrebbe dovuto prevederlo.
Cosa c’è di più superficiale di un diamante?

“Ci tengo a te” le dice. Una cosa così stupida da dire.

Caitlyn si sofferma con un braccio infilato in una manica e l’altro in cerca della seconda. Vi la osserva lottare per l’appiglio giusto e capisce, in quel momento, che Caitlyn Kiramman non ha mai scelto obiettivi facili nella vita.

“Ci tieni, eh?”

“Sì, maledizione. Sono qui, o no?”

“Non c’eri l’ultima volta.”

Aiutala, ci vuole un attimo.

Sono passati secoli, dopotutto. Universi interi si sono dissolti e riformati. Trentuno giorni.

Trentuno e mezzo.

Caitlyn avanza e passa oltre, ondeggiando fra i tavoli. Con un ringhio, ancora tesa e in balìa della situazione, Vi la segue fuori e lungo la strada. Si è fermata a un angolo sotto un lampione e di nuovo sono una di fronte all’altra, immobili.

Vi fruga ogni dettaglio pallido e scavato nel volto di Caitlyn, alla ricerca di informazioni. Non sono tanto le ombre scolorite sotto ai suoi occhi, o i suoi capelli afflosciati, ma quando finalmente riesce a trovare l’altra manica della giacca, la vede stringersi nelle braccia come se – come se avesse freddo, e la fissa, in attesa, e… Manca solo la pioggia.

“Era… Diverso” mormora Vi.

“Ah, sì? Andarsene, rifiutarmi, rifiutare noi?”

“Pensavo di-”

“Se dici proteggermi-”

“Fare la cosa giusta, pensavo che fosse la cosa giusta.”

“Giusta per chi?”

“Per te, cazzo, per chi altro?”

Caitlyn replica con un’altra spinta, Vi non si è accorta che si fosse avvicinata tanto.

Non farlo. Non voglio nessun trattamento di favore.”

“Non volevo che ti facessi male” risponde Vi, perché è vero. “Non volevo che nessuno si facesse male.”

“Allora hai fallito.”

Vi arretra di un passo, come se l’avesse colpita di nuovo. Barcolla per qualche altro passo ancora, ma solo per inerzia.

Vai.

Vattene e basta – vattene e basta – vattene e basta.

Sarebbe facile, scattare come fosse un rimbalzo.

Vi soffoca ogni parola incastrata in gola e lascia risalire il sangue fino alle orecchie, per annegarle.

Hai fallito.

Powder e Jinx. Abbandonate per troppo tempo.

Hai fallito.

Silco. Lui e quel debole per una ragazzina che non era un suo problema. Non era il problema di nessuno.

Hai fallito.

Non lo era affatto, finché Vi non l’ha resa così.

Per non parlare di Vander, e i suoi fratelli, e Ekko, e i suoi genitori.

Rimane a fissare Caitlyn – l’ultima di una lunga lista, in effetti, la più recente e, se potesse osare di ammetterlo, quella che fa più male – e maledizione, aver fallito non è nemmeno la metà del problema.

La realtà è che per tutta la vita Vi ha lasciato indietro gli altri, anche senza andare da qualche parte.

I suoi occhi si allagano così tanto che quasi non coglie Caitlyn mutare espressione, scivolando in qualcosa di più riconoscibile. Ha teso una mano a mezz’aria.

“Vi…”

“No” le risponde, e la sua voce si incrina sulla sillaba, non è abbastanza forte nemmeno per questo. “No, hai ragione.”

 
////
 

Rintraccia la tana di Sevika e di un paio di scagnozzi grazie a una pista suggerita da Jericho.

Nessuna attesa o esitazione, ne ha già lasciate scorrere abbastanza.

Con facilità toglie di mezzo la guardia all’ingresso e pregusta, Ci sarà da divertirsi.

Si tratta di un piccolo appartamento dietro al mercato del pesce, nella zona più schifosa dei Vicoli; è molto soddisfatta nel constatare che questo sia il massimo rimediato da Sevika dopo il loro scontro al Drop. Prima che Jinx la prendesse in contropiede a sua volta. O Powder. No, Jinx.

“Sevika!”

La porta si apre su una rampa di scale che Vi risale a passi pesanti, seguita da un’altra, raggiunge il piano e tralascia con un’occhiata il salotto e la cucina. Chissà se il braccio bionico è ancora fuori uso, non vede l’ora di strapparlo via dall’articolazione.

Sevika!

Due camere da letto e un bagno, vuoti.

Vi ribalta letti e materassi, calcia i comodini, trascina via i tappeti da sotto i mobili e capovolge altra roba, strappa a mani nude alcune assi scollate del pavimento. Niente.

Al piano inferiore riduce a brandelli il divano, rovescia uno scaffale, svuota ogni ripiano della cucina. Probabilmente Sevika non si nasconde sotto al lavandino, ma spaccare l’ultimo piatto contro al muro è una vera soddisfazione.

Un movimento nei pressi della porta la fa fermare di colpo.

Rimane in ascolto, le tende nel salotto si gonfiano di una lieve brezza.

Poi si ritrova nel lavello, confusa e intorpidita, con una guancia schiacciata contro il metallo freddo. Una mano l’afferra con forza al collo e la tiene giù, giù, giù.

Cazzo.”

Lo scarico è otturato e maleodorante di muffa.

“Ehi, stronzetta.”

Una voce profonda, non è Sevika.

Cazzone.”

Vi si divincola, delle posate piovono a terra e la tenda sbrindellata sopra al lavandino si attorciglia ai loro corpi. Assesta un paio di gomitate in quell’addome, mentre col piede cerca uno stinco o una caviglia da colpire. Le ante dei mobili sbattono contro le sue ginocchia e impreca. L’altro è grosso e avvantaggiato per averla colta di sorpresa, le schiaccia i lati della testa con le dita come per spremere un frutto.

“Hai perso qualcosa?”

“Già” grugnisce Vi in risposta, facendo forza contro il ripiano. “Mi sa che ce l’hai incastrato tra i denti, fammi controllare.”

Agguanta un coltello e punta nella sua direzione – non importa dove – e lui lo blocca con la mano libera. È abbastanza perché Vi possa darsi lo slancio e agganciare la gamba tra le sue, per farlo cadere sulle piastrelle, sotto di lei, mentre quelle mani enormi si aprono di scatto.

Si volta a cavalcioni su di lui, i pugni serrati colpiscono a raffica, ovunque, uno dopo l’altro. Non fermarti, non fermarti. Non può cedere terreno, neanche un centimetro. Lo attacca alla faccia, al petto, allo stomaco, ai fianchi. Si alza per dargli un calcio – sbagliato. Il piede finisce imprigionato in una mano gigantesca. Viene atterrata di nuovo con forza, tutta l’aria lascia i suoi polmoni e la testa cozza contro qualcosa.

Uh.”

Vi rotola su un fianco, batte le palpebre a ripetizione.

Merda, cazzo.

Qualcosa si conficca nel suo addome – uno stivale. Il tizio si è alzato e la prende a calci in faccia, nel petto, allo stomaco, ai fianchi. Occhio per occhio.
Vi barcolla, accecata, sfinita e ansimante, e lui le afferra il bacino per tenerla ferma, assestando un altro calcio al petto. Una delle costole inizia a farsi sentire. Dannazione, quelli grossi di solito non sono così veloci.

Lui affonda un piede nel suo sterno e poi inizia a calpestarla, o alterna fra quello e dei feroci calci ben piazzati. Vi tenta invano di parare con le braccia, senza combinare granché.

Così imparo ad agire d’istinto.

Solo quando gli stivali sono imbrattati di tutto il sangue che non le è rimasto in bocca o nel naso, Bestione concede una tregua. Vi allenta il bozzolo in cui si è raggomitolata, escluse le gambe è davvero conciata per le feste. Le piastrelle sotto il suo corpo devono essersi incrinate. Ogni respiro gorgoglia in fondo alla gola.

Le mani del tizio la agguantano per il bavero della giacca, la sollevano da terra per scaraventarla contro la parete più lontana, in effetti un’altra frattura alla schiena è proprio quello che ci vuole. Ha afferrato il coltello con cui lei ha cercato di colpirlo e ora lo punta al suo cuore.

Ha un taglio sul labbro, almeno Vi ha portato a casa qualcosa.

“Sevika ti saluta” le dice, la lama preme contro la maglia, incide la pelle con lentezza. Vi scalcia e si dimena, ma senza troppa enfasi. Ogni movimento genera scosse di dolore da qualche parte, come piccoli terremoti che si infrangono sotto la pelle e nella sua testa.

L’adrenalina sopraggiunge, l’estremo aiuto degli dei. Gli assesta una testata in faccia, anche se è lenta, e aggiunge una ginocchiata all’inguine. L’altro si riprende subito, sembra annoiato. La stacca dal muro per sbattercela contro di nuovo, risoluto.

“E Jinx” le ringhia in faccia con l’ennesimo strattone, un terzo tentativo di deformare il cemento con la sua schiena, “dice prego.”

Con gesti deboli, Vi tira e graffia mirando alle braccia.

Che cosa?

Lui spinge più a fondo, corpo e faccia e coltello, per sottolineare il concetto. Ha gli occhi neri. Sono sempre neri quando si arriva a questo punto, per Vi è musica già sentita. Anche se detesta farlo, a volte bisogna solo aspettare che la musica si fermi.

Lo guarda con la vista appannata. Lui le sputa in faccia, un classico.

La pressione alla gola si allenta, il dolore al petto diminuisce, il che è più raro.

“Sei fortunata che io non ho niente da dirti” conclude Gorilla Idiota, gettando il coltello da parte. “Non ti piacerebbe.”

Le molla l’ultimo possente colpo dritto in mezzo alla faccia, la testa sbatte contro il muro e, quando la lascia andare, i piedi non la reggono. Si accartoccia sulle ginocchia, boccheggiante.

Cohhnione” borbotta con le narici intasate di sangue e muco.

Un calcio.

“Hai finito?” chiede.

Vi ghigna, il delirio che avanza. È ridotta a un grumo di sangue e lividi e dolore dolore dolore, ed è viva, in qualche modo. Ah, la morte. Non arriva mai quando la vorresti.

“Perché?” ridacchia lei. “Tu sì?”

Un altro calcio, proprio in quella sua boccaccia furba.

Ottimo, pensa lei. Resterà almeno un segno visibile.

La porta d’ingresso viene sbattuta, dev’essere trascorso qualche momento senza che se ne accorgesse. Si direbbe un segnale d’allarme per la sua salute.

Scende la notte e Vi rimane dov’è. L’adrenalina si dissipa in fretta, ma la sua coscienza sembra rimanere all’erta, la vista è costellata di punti neri più o meno a fuoco. Non riesce a smettere di tremare, sarebbe tutto meno doloroso se solo potesse stare ferma.

Jinx dice ‘prego’.

Tossisce sangue. La testa ciondola sulle piastrelle e il suo sguardo inquadra, tra tutte le cose, il corto coltello con cui Sua Enormità ha deciso di non pugnalarla. Dovrebbe starsene conficcato nel suo cuore, e invece no. Potrebbe anche esserlo. Cerca di alzarsi e proprio quella mossa la fa precipitare nel buio.

 
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C’è il sole e Vi riesce a scorgere il profilo delle montagne sull’orizzonte alla fine dell’acqua. La scalata ha richiesto un po’ di tempo, ma non sono neppure così in alto.

“Che ne pensi?” le chiede Caitlyn.

Vi cerca di decifrare i colori dell’imbarcazione che naviga al largo. Un altro porto, un’altra città. Non ha mai visto tanta diversità in un batter d’occhio, da nessun’altra parte se non a Piltover.

“Carino.”

Caitlyn rimane dov’è, poco lontano dietro di lei, mentre stringe tra le mani il cofanetto di legno decorato. Si morde un labbro e guarda fisso il coperchio.

“Cait. È bellissimo.”

“Pensi che sia abbastanza?”

Vi mette da parte la sensazione di essere un’intrusa, in un momento che non fa per lei. Anche se, tecnicamente, proprio lei ha creato questa situazione. Il venticello gioca tra i capelli di Caitlyn e il sole li fa risplendere nella sfumatura di blu più affascinante che Vi abbia mai visto.

“Sì.”

Se non fosse già stato riservato, vorrebbe conservare questo luogo per sé stessa, se mai a qualcuno importasse tanto da portare una scatola con le sue ceneri in cima a una collina al tramonto.

Caitlyn posa il cofanetto su una distesa nell’erba e lo apre. Estrae il contenitore d’oro dagli interni imbottiti e traccia le incisioni con il pollice. Le studia con attenzione, come se non l’avesse già fatto per ore e ore.

“Vander ha avuto una statua” interviene Vi.

“Come?”

“C’è una statua. Di Vander, mio… Diciamo che ci ha cresciuti. L’ho trovata l’altro giorno, a Zaun, vicino agli attracchi del molo.”

“Oh. Wow.”

“Già.”

“Pensi… Che gli sarebbe piaciuto? Avere una statua in suo onore?”

“Vander? No, l’avrebbe odiata. C’è una targa e tutto il resto. Gli assomiglia appena.”

“Capisco.”

“È solo strano.”

“È… Ti prego, non prenderla nel modo sbagliato, ma non avevo pensato che… Meritasse una statua.”

Vi sogghigna guardando per terra. Certe volte sente ancora la sua voce, chiara e distinta come il giorno, avverte la sua mano possente, calda e pesante sulla spalla.

La morte è anche questo, stranamente. A volte è come se non fosse mai avvenuta.

“Il vecchio testone si meritava un centinaio di statue” replica Vi. “È – è questa la verità.”

Poi smette di parlare, perché qualcosa le si è incastrato in gola e questo non è proprio il momento di fare così, cretina.

Caitlyn è perplessa e scruta l’orizzonte.

“Cosa c’è?”

“Dovremmo farle una statua invece?”

“Per tua-”

“Sì.”

“Una statua? Di Cassandra Kiramman?”

“In posa” tende un piccolo ghigno per provocarla. “Con il fucile. Sul lungomare. Alta sei metri.”

“Oh, oddio. Oh, davvero terribile” Vi si piega con le mani sulle ginocchia mentre Caitlyn ridacchia. “Mi serve un attimo, mi è appena passata tutta la vita davanti agli occhi.”

“Idiota.”

Vi si raddrizza con un sorriso. E Caitlyn, anche lei con l’espressione sorridente, torna con lo sguardo sull’urna abbastanza a lungo perché si affievolisca.

“Non credo che avrebbe voluto una statua” commenta. “Penso che le sarebbe piaciuto questo. Immagino, io…”

“Non devi farlo” le ricorda Vi con dolcezza.

“Grazie” risponde lei, la voce tremula e trattenuta. Sbatte spesso gli occhi. “Ma non è per me.”

A questo Vi non può replicare.

 
////
 

Si sveglia sospesa in volo, o almeno così crede.

Attenzione” sta dicendo qualcuno, il tono è teso e ansioso. “Fai attenzione, ti prego.”

“Cait, sul serio” dice un’altra voce, “lo so.”

Vi si lamenta e si chiede come sia possibile che la testa sembri tanto pesante, mentre fluttua nell’aria così.

“Aspetta, aspetta, si sta svegliando. Vi? Vi? Mettila giù, mettila qui.”

Plana e atterra, non fluttua più. Il suo stesso peso le grava addosso e la schiaccia con forza. Un bruciore di ossa rotte e vasi sanguigni esplosi serpeggia e sboccia nel suo torace, lungo la spina dorsale, si inerpica nel cranio passando dal naso. Sotto di lei, il pavimento ondeggia. Un lungo e rumoroso gemito scava a forza una via d’uscita dal suo corpo che vibra, il dolore si fa ancora più acuto. Oh, ti prego, taci-

“Vi? Puoi sentirmi?”

Avverte una mano posarsi sulla guancia. La riconosce, anche se le sfugge il nome per un secondo o due di troppo. Nessun altro ha mani così delicate, così leggere, così morbide. Il contatto attenua in parte la sofferenza, o se non altro la vertigine. La pelle è fresca. Sospira e si muove incontro a quel tocco, vi affonda come fosse – un lago, o una piscina. Se non può volare, magari può nuotare.

“Va tutto bene” dice il lago, tutto concitato. “Siamo nella mia stanza, Jayce è qui.”

“Ehi, imbecille.”

Vi continua a nuotare. Un pollice le accarezza la guancia, l’increspatura più gradita del dolore, fino a quando sfiora un taglio nella pelle. Un sasso nell’acqua, un macigno per il suo cervello ipersensibile.

“Merda, scusa!”

“Smettila di sbavarle addosso e spostiamola sul letto.”

“Non sto sbavando.”

“Certo, come no.”

“Lascia – lasciala riposare un momento. È a posto. Prendi un cuscino, aiutami a metterlo…”

Mani sulle spalle, sulla schiena, la sollevano. La gravità torna a farsi sentire, con i suoi conti in sospeso. Parecchi. Vi grida, gli occhi che scoppiano, e ricorda di non essere brava a nuotare.

“Lo so, lo so – Vi, ehi, calma, siamo qui. Violet.”

Le mani tornano a confortarla su entrambi i lati del volto. Vi ingurgita a fatica aria, dentro e fuori, sbatte le palpebre e osserva. Altri occhi battono e la guardano in rimando, corrugati come si sente lei, ma esprimono – preoccupazione? Affetto? E blu. L’acqua di solito lo è, quella bella almeno.

A pensarci, però, lei doveva essere olio.

“Ti farai del male” dice.

Vi si piega ancora di più in avanti con un gemito.

Cait…”

Non molto tempo prima, Sevika l’ha usata per pulire il pavimento e le ha lasciato in ricordo un buco tra i molari. Una ripassata da uno dei suoi scagnozzi regge appena il confronto con le innumerevoli notti passate in un angolo della sua cella a Stillwater, ammaccata e sanguinante, nella speranza che le concedessero qualche giorno di tregua dalla visita successiva. È sopravvissuta a ben peggio, per farla breve, non si muove certo in un territorio inesplorato. L’eccezione è che ora c’è qualcun altro ad attraversarlo con lei. C’è Caitlyn, con una mappa e una luce e una mano tesa per guidarla.

Quando trova un appoggio, la sua fronte incontra la clavicola dell’altra donna. Una mano risale ad accarezzarle la nuca, il dolore non diminuisce, ma è un tale sollievo sapere dove si trova.

“Va tutto bene” rassicura Caitlyn. “Stai bene. Riesci a stenderti di nuovo?”

“Vado a cercare tuo padre. Ce la fai qui?”

“Sì, meglio così. Potrebbe essere ancora in ufficio, è sul lato nord, vicino a-”

“Mi ricordo. Torno il prima possibile.”

“Jayce – grazie.”

Passi e una porta che si apre, si chiude.

Nella stanza cala il silenzio e Vi si aggrappa alla manica della giacca di Caitlyn, sondando quale metodo per respirare può spaccarla in due con minor probabilità.

“Ehi” le dice Caitlyn, mentre un palmo le liscia i capelli. Ha l’odore di sempre, sapone e polvere da sparo. “Riesci a stenderti di nuovo?” ripete la domanda. “Non sei molto in forma.”

A questo punto, Vi non crede nemmeno di averla, una forma.

“Fa male” mugugna, adesso che Jayce non è più nei paraggi a sentire quanto sia patetica.

“Dove?”

“Torace.”

“Le costole?”

“Mmm.”

Solleva la testa e il pavimento si muove di nuovo. La riabbassa subito, con lo stomaco contratto e la maglia appiccicata addosso. Caitlyn ha acceso il camino? Aspetta. Non c’è il camino nella sua stanza. No. Aspetta.

“Non mi… Sento…”

“Cosa?”

“Uh…”

“Ti viene da vomitare?”

Non riesce a decidere, come se non ci avesse fatto l’abitudine.

“Forse sì.”

“Ok, va bene – Ecco, tutto bene.”

Le tiene una mano sulla spalla, si allunga in cerca di qualcosa. Si sente un rumore ed eccola di nuovo.

“Qui. Va tutto bene.”

Vi vomita dentro a qualunque cosa le abbia messo davanti. Il rigurgito trascina una fiammata dall’ombelico alla gola, ogni centimetro si contrae e grida in modo lancinante. Un palmo di conforto le sfrega in circolo tra le spalle.

Se non altro non ci vuole molto, questa volta, per riprendersi. Vi deglutisce e galleggia nei postumi, i suoi sensi riemergono offuscati e sovraccarichi. Prende un respiro, annuisce e le riconsegna… Ah, merda. È uno dei suoi cappelli.

“Meglio?” chiede Caitlyn.

A occhi chiusi, Vi si distende sulla schiena; ora non è il caso di tenere la faccia vicina alla sua.

“Dammi un minuto” continua l’altra. “Per favore, non provare ad alzarti.”

Il tempo scorre così lentamente che Vi inizia a pensare sia passato ben più di un minuto, ma non può esserne certa. La stanza scivola dentro e fuori dalla sua consapevolezza e lei resta ferma, o almeno più ferma possibile, ad ascoltare le orecchie stapparsi quando deglutisce. Dev’esserci molto silenzio; se solo la sua testa la piantasse di ronzare.

Analizzando ogni respiro, la situazione non sembra buona. Ottimo, riflette e riconosce le fitte spiacevoli di almeno una costola rotta. Le prossime settimane saranno uno schifo. Passa oltre e si concentra sulla coscienza che si deposita con lentezza: la stanza in effetti è calda, è silenziosa.

Caitlyn si inginocchia accanto a lei, con una ciotola d’acqua e delle pezze di stoffa. Ha tolto la giacca per indossare una vecchia maglia. La notte è stata lunga e, di certo, durerà ancora di più. Sorpresa di trovarla sveglia, le posa una mano sul braccio.

“Ciao” dice e Vi registra l’andirivieni del suo pollice sulle fasciature sgualcite. Eccola, sempre in cerca di un contatto, sempre a dispensare conforto e sollievo.

“Ehi” le risponde, la mappa e la luce di nuovo in mente. Non riuscirà più a continuare da sola dopo questo, vero?

Caitlyn la sfiora sulla guancia con una nocca e le accompagna una ciocca ribelle dietro l’orecchio.

Già, ma che cazzo.

“Per prima cosa, dovremmo toglierti queste” si ritrae per immergere un panno nell’acqua e lanciare un cenno alle sue braccia. “E devo darti un’occhiata alla faccia. Quando arriverà mio padre potremo toglierti la giacca e pensare al resto, valutare i danni.”

Con un mormorio, Vi piega un polso per afferrare le sue dita.

“Sto bene, pasticcino.” La bocca sembra imbottita di carta vetrata, le fanno male i denti.

“Ti abbiamo trovata incosciente in uno squallido appartamento nel buco di culo più remoto di Zaun. Chissà da quanto eri là.”

“Che giorno è?”

“Giovedì mattina, tecnicamente.”

“Due giorni.”

Impegnata a svolgere il tessuto attorno a un suo braccio, Caitlyn si sofferma per sospirare, scuote la testa e poi riprende.

“Avrei dovuto immaginare che saresti uscita a farti pestare.”

“Come se non mi conoscessi.”

Una volta finito, Caitlyn raccoglie le vecchie fasciature in un mucchio e strizza il panno, poi lo tampona sulla sua pelle e le nocche. È ricoperta di lividi, dappertutto.

“Non devi farmi da infermiera.”

“Vuoi pensarci tu?”

Solleva le mani tra loro, la stoffa a penzoloni a mezz’aria; Vi esita per un secondo e poi accenna a prenderla, prima di trasalire. Il suo fianco protesta.

“Come pensavo.”

“Troppo furba” borbotta.

Caitlyn riprende le operazioni e continua: “In realtà credo di essere la più grande stronza sulla faccia del pianeta, a essere onesti.” Il suo viso è così adombrato, la mascella così tesa da essere allarmante.

Vi si ricompone, facendo appello a ogni briciolo di consapevolezza e comprensione rimasti.

“Perché?”

“Chiunque con un minimo livello di intelligenza non ti avrebbe mai lasciato allontanare di nuovo. O per lo meno, ti avrebbe seguita.”

“Me ne sono andata io. È colpa mia. E mi…” le muore la voce. È stanca di ripeterlo, ma conclude: “Mi dispiace”.

“Ti ho spinta io a farlo. Letteralmente e non. Non ho fatto altro con te, per settimane, non è forse vero?” Caitlyn le scocca un’occhiata mentre strizza ancora il panno dall’acqua. “Ho spinto e spinto, talmente tanto.”

“È un momento difficile per te.”

“Non è una scusa. Lo è anche per te. E tu sei rimasta, hai continuato a tornare, come se fossi – come se fosse un tuo dovere subire i miei sfoghi.”

“Ehi. Il disprezzo per sé stessi è la mia specialità.”

“Non pensavo nessuna delle cose che ti ho detto. Nessuna. Non è colpa tua.”

“Bene. Almeno una di noi la vede così.”

“Vi, non è giusto. E mi – vergogno di me stessa.” Rimane in sospeso con lo straccio sporco tra le mani, gioca con un angolo di stoffa. “Quando ho capito che non saresti tornata questa volta, ho pensato di meritarmelo. Del resto, chi avrebbe voluto starmi attorno?”

“Sei troppo dura con te stessa” ribatte Vi, determinata a concentrarsi su di lei, nonostante la vista sfocata e il disastro che sente in bocca. “Voglio dire… C’è stata una volta in cui la tua compagnia è stata… Davvero piacevole.” Inarca un sopracciglio nel tentativo di rimarcare la battuta, con la speranza che Caitlyn intuisca.

Avrei dovuto lasciarti fare tutto quello che volevi.

La bocca di Caitlyn si assottiglia in una linea, le guance arrossite.

“Sì” borbotta, “mi vergogno abbastanza anche per quello.”

Vi si lamenta e Caitlyn la interrompe di slancio.

“Non ti ho dato ascolto, in un momento in cui una persona dovrebbe – Avrei dovuto ascoltarti. Devi sapere che non avrei mai mancato di rispetto – No, non devi-”

Vi si mette seduta. È un’agonia, ma lo è anche vedere Caitlyn crocifiggersi così, come se non fosse l’unica persona vivente che andrebbe a cercarla quando sparisce. Lo ha già fatto per la terza volta, ormai. Vi si sente quasi egoista al solo pensiero.

“Ehi” le dice avvolgendo le mani sulle sue. “Guardami. Mi guardi? Piantala.”

Caitlyn soffoca una risata, di dubbio e di sollievo.

“Sul serio, nessuno ha mancato di rispetto a nessuno. Eri confusa e stavi soffrendo e – non importa.”

“D’accordo” risponde lei. “Ok. Grazie.”

Vi stringe le sue mani finché il suo sorriso non si fa più sicuro, poi la lascia andare e si stende di nuovo, cercando di essere paziente. È difficile, per quanto sia bello lasciare che altri si prendano cura di te, i dolori iniziano a farsi sentire.

“Credo che la mano sia a posto, sai.”

“Non ero confusa” continua Caitlyn. “L’altra notte, intendo. Quello che ho fatto è sbagliato, o almeno il modo in cui ho agito – ma sapevo cosa stavo facendo. Quando ti ho baciata. Quello che volevo. Quello… Quello che voglio.”

Vi la osserva, lascia depositare il senso del discorso, lo trattiene, lo studia.

Non è stupida, è consapevole dei loro flirt, della complicità, sa che Caitlyn è una bella persona, una persona buona, gentile e intelligente e affascinante, e sexy, gliel’ha anche detto. Le piace farla innervosire, cogliere il suo sorriso. Conosce l’effetto calmante del suo tocco e della sua voce.

Ma, oddio, che ne è di tutto il resto? Sua madre, e Jinx, e ora la città che precipita verso una guerra civile. Vi ha così tanti casini da sistemare. È una calamita per – per ogni disastro accaduto finora e per quelli che verranno, e Caitlyn, lei è troppo sveglia per impelagarsi in quella situazione, no? Non quando ha la possibilità di darci un taglio e allontanarsi. Cosa che, realizza Vi, non ha fatto. Finora.

Potrebbe essere un certo senso del dovere, come se pensasse di avere qualche debito con Vi. Il che è da pazzi, continuare a salvarla per un vincolo che non esiste, e insensato, dato che ci sta già pensando Vi a tenersi in vita per ripagare un debito vero, concreto, che forse non salderà mai. Qual è la scusa di Caitlyn?

Ha in mente parecchie domande e un sacco di motivi per cui Caitlyn non può davvero aver detto quello che crede di aver sentito, ma quando Vi apre la bocca tutto ciò che ne esce è: “Lo voglio anch’io”.

Caitlyn solleva lo sguardo, sorpresa. Merda. Ci ha messo davvero troppo a rispondere.

“Tu – Davvero?”

“Sì” conferma Vi. “Non so come farei senza di te.”

Le ginocchia di Caitlyn premono delicatamente contro le sue gambe e Vi avverte il suo peso spostarsi, quando si allunga per indicarla.

“Male” afferma. “Penso che sia evidente che te la caveresti male.”

Con gli occhi al cielo, Vi ridacchia. Caitlyn Kiramman è un tale sollievo. Cerca di tirarsi di nuovo a sedere e non ci riesce; l’altra sobbalza per empatia e la tiene ferma per una spalla.

“Non-”

“È importante.”

“Lo è” replica, si abbassa per incontrarla dove vuole arrivare e, prima che l’altra possa rendersene conto, le sue labbra si imprimono sulla fronte di Vi. “Lo è” sussurra, scostandosi appena per parlare. La accarezza sulla spalla, offrendo conforto e rassicurazione. “Ma più tardi. Te lo prometto. Parleremo di tutto più tardi.”

Vi annuisce e devia verso la presa in giro, perché l’atmosfera si è fatta troppo densa e hanno bisogno di tornare a sentirsi a proprio agio.

“Perché? Devi andare da qualche parte?”

“Sì, in realtà” ribatte Caitlyn. Una volta sistemata dall’altro lato di Vi, percorre il suo palmo in cerca dell’estremità della fasciatura. “Un’idiota che mi sta abbastanza a cuore ha deciso di ficcarsi in qualche guaio serio senza di me, e adesso sta imbrattando di sangue tutto il tappeto.”

“Merda.”

“Già.”

“Sembra una gran rottura di palle.”

“Decisamente.”

Spontaneo. Nulla è mai stato così spontaneo per Vi.

Sa che dovrebbe restare ferma, ma sente l’urgenza di allungarsi per toccarla. Con una mano scivola sul braccio di Caitlyn e risale lungo la spalla, fino ad appoggiare il palmo sul lato del collo, la punta del pollice che sfiora la linea della mandibola. È meraviglioso essere una calamita per qualcosa di diverso dal dolore.

Lo sguardo di Caitlyn incrocia il suo e in quel viso Vi legge l’espressione più dolce che abbia mai visto posarsi su di lei, dentro di lei, per lei. Non sa nemmeno cosa stia cercando di trasmetterle con quella carezza, davvero, sente solo il bisogno di farlo. Poi gli occhi blu si chiudono e Caitlyn incontra il suo tocco, una mano – umida per via del panno macchiato di sangue – risale a imprigionare con morbidezza il suo polso. E Vi capisce, lo sta dicendo anche lei.

Qualunque cosa sia, lo sta dicendo anche lei.

 
////
 

“Ho trovato Sevika.”

Dietro di lei, Caitlyn mormora un assenso. Suo padre e Jayce le hanno lasciate nel bagno, una volta esaurita la maggior parte del tormento. È grata di avere di nuovo la canottiera addosso, anche se è per lo più arrotolata sulle spalle. Anche le pillole che Tobias le ha dato non sono niente male.

 “Volevo appunto chiedertelo.”

“O almeno, credevo di averla trovata. Mi sa che sono finita in una qualche di trappola.”

“Dove ti abbiamo ripescata?”

“Già.”

“Devi aver fatto qualcosa di giusto, allora, per questo si è vendicata.”

Vi sobbalza. Qualsiasi pomata le stia spalmando sull’ematoma tra le scapole, è talmente fredda da pungere la pelle.

“Scusami” mormora Caitlyn, “abbiamo quasi finito. Sei stata molto paziente.”

“Forse si è solo stufata di vedermi ficcanasare in giro. Non ho concluso niente.”

“Ne dubito. Nessuno mira a un bersaglio se non ne vale la pena.”

Vi gliela lascia vinta, se non altro per la propria autostima. Quando racconterà la storia di nuovo, sarà meglio dire che erano in dieci ad aspettarla in quell’appartamento. Una vera imboscata. Hanno dovuto attaccarla tutti insieme per metterla fuori gioco.

“Immagino che tua sorella non ci fosse.”

‘Jinx dice prego.’

“Non… Non sono sicura.”

“Cosa intendi?”

“Penso… Penso che siano insieme. Quello che mi ha attaccato da detto… Credo che l’unica ragione per cui non mi ha fatta fuori sia che lei ha detto o fatto qualcosa. Ha convinto Sevika.”

“Dici davvero?”

“Non so cosa pensare. So solo che non sono morta.”

Il coperchio della pomata si richiude sul contenitore e sente Caitlyn muoversi dietro di lei.

“Fatto” le dice e srotola il bordo della canotta lungo la sua schiena. “Riesci ad alzarti? Vuoi fare una doccia?”

“Hai intenzione di farmi anche il bagno adesso, pasticcino?”

Vi si volta abbastanza lentamente da vederla avvampare. Caitlyn replica con un colpetto sulla spalla; ha visto ogni centimetro della sua pelle dalla vita in su, per cui sa che è un buon punto per un attacco innocente.

Smettila di farmi arrossire.”

“Ma è divertente.”

“Questi sono gli antidolorifici che parlano. Di solito sei molto meno insopportabile.”

“Bugia.”

“Ecco” dice Caitlyn e il suo braccio è già scivolato sotto al suo. Le ha fatto indossare la canottiera appena Tobias ha finito di visitarla, e per qualche ragione sentire la sua mano sfiorarla vicino al seno attraverso il tessuto sembra la cosa più intima mai successa tra loro. Il che è impossibile. Una volta raddrizzata e abbastanza stabile, Caitlyn le sfoggia un ghigno di rivincita dritto in faccia.

“Chi è che arrossisce adesso?”

“È solo che sei davvero bellissima.”

“Oh. Ehm… Ok.”

Sta arrossendo di più e Vi vorrebbe allungarsi e toccarle la pelle. Vuole sentire quel calore, magari imprimere la guancia contro quella di Caitlyn e rubare un po’ di tepore per sé. Sa che è morbida, morbida e calda.

“Vi…”

“Cosa?”

Oh, cavolo. Lo sta facendo.

Vi si ritrae e scuote la testa per schiarirsi le idee.

“Merda, scusa – Ok, sì. Antidolorifici.”

Caitlyn ridacchia e la trattiene in piedi. “Forse è meglio stendersi.”

“Sarebbe fantastico.”

“Lo penso anch’io.”

Il letto di Caitlyn non è molto diverso da quello nella stanza di Vi, al piano di sotto, eppure lo sembra. Vi lo avverte accogliere tutto il suo peso senza resistenze, il cuscino è fresco e cedevole sotto al suo collo.

“La mia vasca è ottima, se questo non è di tuo gradimento.”

Vi si afferra un fianco. “Oh, ti prego – non farmi ridere.”

“Scusa, scusa.”

“Oddio.”

Rimangono in silenzio sulle coperte e Vi considera che forse Caitlyn sarebbe altrettanto disposta a svenire per cinque giorni di fila.

“Posso chiederti perché? La vasca?”

“Ti… Ti sembrerà stupido. La stanza sembrava troppo grande. Non mi sentivo bene sul letto.”

“Qualcosa non andava?”

“È un letto. Non ci sono abituata.”

“Oh. No, non… Non è stupido.”

Caitlyn ha posato la mano nella piega del suo gomito, con le dita segue la linea della pelle. Uno dei pochi punti rimasti a non essere violaceo.

Questi antidolorifici sono incredibili.

“Mio padre ha detto che hai avuto la nausea, anche. Spesso.”

“Voi due parlate troppo.”

“È per il vassoio, vero? Avrei dovuto fare qualcosa.”

“Sono migliorata. Non puoi vomitare se non mangi.”

“Allora dovremo lavorare su quello” replica Caitlyn, continuando con le carezze. “Anche se dovessi portarti da Jericho ogni giorno.”

“Non te l’ho detto per farti pena.”

Si ferma e scuote leggermente la testa sul cuscino.

“Al contrario, cara” mormora, “sono io a farmi decisamente pena.”

Vi la guarda, senza capire. Caitlyn si solleva su un gomito.

“Davvero vuoi saperlo?”

Vi cerca la mano sul suo braccio e se la porta al viso per baciare il dorso delle dita, come avrebbe voluto fare settimane prima, quando Caitlyn si era vestita per dire addio alla madre e aveva bevuto, e Vi aveva deciso che non le era concesso di provare dei sentimenti per una donna a cui aveva causato tanto dolore.

“Sì” le risponde.

Non è ancora sicura se sia tutto troppo guidato dall’egoismo. Ma è certo che non le importa.

“Dunque, mia madre è morta” inizia Caitlyn, “in questo incidente orribile, questa… Questa tragedia. E mi manca ogni giorno, e la odio, l’amavo, ma non la capivo, e poi succede qualcosa e penso ‘Devo parlarne con mia madre quando tornerà a casa’ e poi ricordo che non accadrà e allora la odio di nuovo. Divento così furiosa, credo, perché penso di… Non ho mai sentito di aver bisogno di lei poi così tanto, quando era… So che sembra orribile. C’era sempre mio padre, o Grayson, o Jayce. Noi non – non eravamo d’accordo su tantissime cose. E adesso che non c’è più è come se si fosse intrufolata, in qualche modo, in questa parte di me che nemmeno sapevo esistesse e che ho scoperto solo ora che è vuota.”

Vi si avvicina lentamente, sussurrando, va tutto bene.

“E poi c’eri tu, e oddio, eri sempre al mio fianco, e i-io non ho apprezzato nemmeno quello. Io… Non riesco a credere a quanto mi sentissi arrabbiata. A quanto lo sia ancora, il più delle volte.”

“Fidati di chi ne ha fatto una forma d’arte, pasticcino: ti è concesso di essere arrabbiata. Puoi sentirti in qualsiasi modo, o nessuno, o entrambe le cose, per tutto il tempo necessario. Non sarà così per sempre. Davvero.”

È questo il punto, riguardo la morte. L’unica, grande verità.

Non è così insormontabile come sembra, e non dura per sempre.

“Non te lo meriti” continua Caitlyn mentre si sfrega il viso umido. “Non te lo meriti adesso, né allora, e io – abbiamo sprecato così tanto tempo e non voglio sprecarne ancora, se tu-”

Vi la trae a sé con tanta dolcezza da incarnare una risposta ad alta voce, e Caitlyn si abbandona contro di lei, le braccia strette al petto in mezzo a loro. Vi la circonda alle spalle con un braccio, impacciata e indolenzita, la stringe più forte possibile e le appoggia la guancia sulla testa.

“Farò del mio meglio per non andarmene di nuovo” le promette. “Non voglio. Non ho mai voluto. È che non c’è altro modo per…”

“Oddio, lo so” replica Caitlyn con voce sottile. Il viso caldo e bagnato si solleva e si imprime sul suo collo, Vi può sentirla deglutire. Lascia sfuggire un respiro contro la sua pelle e Vi avverte le sue labbra muoversi, ripete ‘lo so’. Un piccolo bacio plasmato dalla comprensione.

Vi la stringe ancora e si sposta più vicina. Anche il suo viso è rigato di scie umide e sa già che non sarà in grado di muoversi quando si sveglierà.

“E poi” Caitlyn tira su col naso, “se te andassi di nuovo, verrei a riprenderti.”

“Stai diventando brava a trovarmi.”

“Sì, beh. Anche tu, quando si tratta di me.”

“Ok, ma nel tuo caso, devo tornare a Stillwater, o…?”

“Ovunque mi trovi. Se – se per te va bene.”

“D’accordo” sospira Vi tra i suoi capelli, lasciando perdere la battuta. “Va bene. Se riesci a trovarmi, puoi avermi.”

Caitlyn mormora con il volto ancora affondato nel suo collo.

“Vi, non sai quanto valga la pena di cercarti.”

Lei singhiozza e nasconde nuove lacrime tra i capelli di Caitlyn, soffoca i respiri nel profumo del sapone. Una delle braccia di lei scivola in basso attorno alla sua vita, facendo attenzione alle costole doloranti.

Vi smette di pensare alla morte e riflette sull’amore, invece.

La prima cosa che ha imparato sull’amore, quando era molto piccola, è che fa male.

La seconda cosa che ha imparato una volta cresciuta, stretta a una donna nella promessa condivisa di trovarsi ed essere trovate, è che non deve essere così.
 
 
 
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Nota della traduttrice: questa fanfiction rappresenta uno dei lavori più corposi e impegnativi di cui mi sia occupata in solitaria per volontariato. Sono molto felice del risultato - per quanto la deformazione del mestiere lo renda sempre sempre perfezionabile a ogni rilettura - e spero possa essere stato altrettanto gradito a te che hai letto fin qui. Ci tengo in particolare a menzionare quanto il confronto con l’autore sia stato arricchente e formativo: sparse nel testo ci sono numerose situazioni e frasi, o spesso anche solo aggettivi e piccoli dettagli che nascondono implicazioni e interpretazioni differenti; è stato difficile e bellissimo studiare quale fosse l’intento dello scrittore e indagare come mantenere le ambiguità in italiano, in particolare per il personaggio di Vi, che tanto cela nel suo non detto. Ho amato ogni grattacapo e ogni equilibrismo tra la spiegazione svelata e la libera comprensione, in quel gioco fantastico che è alla fine l’essenza del tradurre: setacciare le giuste parole per rimanere invisibili.
   
 
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