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Autore: Urban BlackWolf    29/08/2022    2 recensioni
Spaccati di vita quotidiana in casa Kaiou/Tenou
Legato alla trilogia: "l'atto piu' grande-Il viaggio di una sirena-La vita che ho scelto"
1- Quattro ante per due
2- Apologia felis
3- Sliding doors
4- La prima di mille notti
5- Il cosplay di Haruka
6- Elona Gay
7- La dissacrante ironia della mia donna
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La dissacrante ironia della mia donna

 

Legato ai racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

La vita che ho scelto”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Arpionandosi la vita con fare sicuro guardò soddisfatta la piccola porzione in ferro battuto del tavolino che aveva appena saldato. Nulla di che, si schernì sogghignando tronfia riprendendo a gonfiare il suo già vertiginoso ego. Sentendo sotto i polpastrelli il cuoio della cintura multiuso in stile “Bob l’aggiusta tutto” che calzava ogni volta che girava per casa con qualche compito da fare, respirò forte l’odore della brezza che si stava alzando da nord. Il gran caldo stava finendo e lei amava starsene al fresco di una qualsiasi corrente.

“Questa volta la mia donna non potrà che essere contenta.” Disse spostando gli occhi dalla brunitura del ferro al saldatore dimenticato a raffreddarsi poco oltre.

Erano infatti giorni che la Dottoressa Kaiou aveva preso a martellarle i nervi sulla necessità di mettere a posto quel piccolo pezzetto di ferro sporgente da un tavolino per esterni che, a dirla tutta, utilizzavano pochissimo e la cosa non aveva dato ad Haruka altro che fastidio fino a quando quella stessa dea del male per spronarla e costringerla alla resa, non aveva giocato d’astuzia suggerendole l’acquisto di un nuovo saldatore. Figuriamoci, il così detto invito a nozze era stato per la bionda tanto stuzzicante che nel giro di tre giorni, dopo non poche spasmodiche ricerche sulle qualità prestazionali dell’oggetto, l’aveva acquistato e se ne era servita per aggiustare finalmente la ghiera del tavolino.

“Così per un po’ la finirà di sfasciarmi l’anima.” Gongolò pulendosi i palmi delle mani sulla stoffa scura dei suoi pantaloncini.

Haruka amava la sua compagnia, con tutto il cuore e tutta se stessa, ma quando Michiru si metteva in mente una cosa non c’era verso di farla desistere, ancor più se si trattava della casa.

“Amore... - Mormorava a volte sorniona, altre tra più sonori sbuffi e bronci vari. - Ti prego…”

E con tutta la malavoglia del mondo, prima o poi Haruka cedeva, non di meno per tacitarla e tornare a godersi i suoi pochi ritagli casalinghi di dolce far niente. Ma era pur vero che sotto sotto, quella condizione all’Ingegner Tenou piaceva, perché lo sguardo d’ammirazione e ringraziamento che il cobalto della sua donna prendeva ogni volta che terminava qualche riparazione, era per lei impareggiabile.

Andando verso la porta finestra aperta, la bionda rimase piantata in mezzo la corrente a godersi il lavoro svolto e la frescura sulla pelle sudata. Aveva anche messo in ordine i vasi delle piante riprogrammando per l’autunno il sistema d’irrigazione automatica. Aveva spazzato, cambiato l’interruttore della luce, potato gli arbusti bruciati dal sole, pulito la legnaia snidando e cacciando via bestiole di ogni razza ed appunto, saldato quel piccolo pezzetto di ferro che stava impedendo da settimane di utilizzare al meglio il tavolino della terrazza. E tutto con metodica calma, conscia che nessuno, ne Michiru, Tigre che dormiva o Giovanna, sarebbero venuti a disturbarla. Il problema di Haruka, se di problema si poteva parlare, era la malavoglia, il partire con un progetto, soprattutto se in ferie. Poi una volta iniziato un lavoro, ci si dedicava con tutta se stessa terminandolo e provandoci anche un gran gusto, soprattutto quando veniva bene come quello.

“Ohhh… Me la sono proprio meritata una birra!” Disse stirarsi avvertendo un latente senso di disagio ai reni.

Io esco amore. Se sudi bada a non rimanere in mezzo alla corrente.” Le aveva detto tre ore prima Michiru già con un piede sulla porta di casa.

“Come se avessi cent’anni!” Grugnì la bionda ricordando.

E già, ormai Haruka, come d'altronde la stessa compagna, aveva passato quella fase della vita dove si può fare e mangiare di tutto senza apparenti ed immediate rappresaglie fisiche, ed anche se in perfetta salute, lo vedeva da sola che non poteva tirare la corda come faceva a vent’anni. Doveva semplicemente andarci più piano, ed accettare la cosa. Ma da quell’orecchio Tenou proprio non voleva sentirci ed ogni volta che un doloretto prendeva a morderle le ossa o i muscoli, prima provava a nascondere la cosa, a se stessa, alla sua donna e al mondo intero, per poi prendere a mugolare insofferente. E li, Michiru si scatenava con tutti i più scontati te l’avevo detto del caso.

Massaggiandosi i reni la donna rientrò sbuffando. Si fosse fottuta l’età e tutte le raccomandazioni sul piegare bene le ginocchia quando si alzano grossi pesi. “Per due vasi di fiori…” Schernì conscia che forse avrebbe dovuto dar retta al suo Giona dagli occhi cobalto.

“Nulla che una chiara non possa curare.” Se la rise slacciandosi la cintura per poi dirigersi verso il frigorifero.

“Una bella doccia calda e passerà tutto.”

 

 

Michiru tornò un’ora più tardi carica di buste della spesa. La stessa storia; ogni volta che si fermava per prendere due o tre cose, si ritrovava chissà come carica come una bestia da soma.

“Almeno spero di non aver dimenticato nulla.” Ansimò richiudendo con un calcetto la porta di casa.

“Amore! - Chiamò mentre adagiava le buste sulla penisola della cucina non prima di aver spostato il lordume della cintura tutto fare di Haruka dimenticata sul granito. - Ci sei?!”

Non ottenendo risposta la donna iniziò a riporre i surgelati nel freezer gettando un occhio alla terrazza. Tutto sembrava in ordine e questo la rilassò. La sua bionda era si, una casinista, ma sapeva usare il cervello e le mani come poche altre persone ed era quella una delle cose che più amava di quel carattere coriaceo e testardo.

“Quando ci se mette…” Disse a mezza voce facendo capolino dalla porta finestra per ammirare meglio l’opera e li, tra il sibilo ventoso della corrente ed un rapace in lontananza, Michiru avvertì il miagolio di Tigre proveniente dalla camera da letto.

“Cosa stai combinando?” Domandò entrata ormai anima e cuore in quel meraviglioso mondo animale fatto di domande e mai nessuna risposta comprensibile.

Un altro miagolio e sospirando rientrò. “Tigre…”

Guerra persa pensare che avrebbe mai potuto insegnare a quel mostro mangia tutto un briciolo di buona educazione casalinga e rispetto per il mobilio, ma quando rimaneva da solo almeno le porte della camera da letto e del suo studio dovevano rimanere chiuse.

“Lo sai che non voglio che rimani qui dentro quando in casa non ci siamo…” E questa volta una risposta arrivò, ma non dal piccoletto.

“Non era… da… solo…” Una voce strana, più baritonale del solito e Kaiou aggrottò la fronte puntando la porta della stanza e da lì quella del secondo bagno.

“Ruka…, allora ci sei!”

“Si… Ma non ti aggitare…” Frase che ebbe il potere di drizzare le antenne dell’altra in un nano secondo.

“Oddio. Cos’altro si è rotto?” E dalla sua comodissima posizione fetale, schiacciata contro le mattonelle del pavimento con il corpo nudo completamente bagnato avvolto da un grande telo da doccia bianco, Haruka sospirò un IO, che diventò il preludio alle ventiquattro ore più avvilenti dei suoi primi quarant’anni.

 

 

“Cosa diamine hai fatto?!”

“Indovina!?”

“La schiena!”

“Corretto. Lei ha vinto un premio, Dottoressa Kaiou!” Abbaiò la bionda cercando di guardarla dal suo bozzolo di dolore.

“Fai poco la spiritosa! Riesci ad alzarti?” Inquisì l’altra trovando lo spazio per accovacciarsi.

“Pensi che se avessi potuto farlo sarei rimasta qui a fissare la base della tazza del cesso?!”

Sorvolando, Michiru cercò allora di afferrarla per le ascelle procurandole un latrato doloroso.

“Nooo, no, no! Non mi toccare!”

“E come pensi che possa aiutarti allora?!”

“Non lo so. Ci sto pensando.”

“E’ meglio farlo alla svelta prima che tu faccia i funghi.”

“La tua ironia non mi aiuta, Michi!”

“Ma da quanto sei qui?”

“Non lo so. Tutta la vita, credo.”

“Dai, cerca di mettermi un braccio attorno al collo. - Spronò evitando qualsiasi commento. - E tu, togliti, che non è cosa.” Terminò fulminando la serafica impassibilità che gli occhi di Tigre avevano preso mentre dall’angolo del bagno le stava fissando.

“Ringrazia Dio che sia stato buono. Ad un certo punto ho creduto volesse saltarmi addosso per mangiarmi.”

Il bagno della loro camera da letto, scelto sin da subito dalla bionda per la presenza di un box doccia dal piatto in ardesia nera dalle notevoli dimensioni, non era altrettanto largo come quello di Michiru e così ci vollero svariati minuti prima che tra un’imprecazione e l’altra della prima, le due riuscissero ad uscire. Adagiando lentamente sul letto quello che più di un corpo sembrava ormai un ciocco di legno stagionato, Kaiou sospirò scuotendo la testa.

“Quanto è il dolore da uno a dieci?”

“Duecentosessantatre! Ti basta?!”

“Non te la prendere con me! Io non c’entro niente!”

Rendendosi conto di stare esagerando, Haruka chiese scusa nascondendo il viso nella sopracoperta. “Questa volta ho sentito come un tac.” Ammise con la voce camuffata dal cotone.

“Un tac?”

“Si. Mi sono piegata per raccogliere la spugna e mi sono bloccata.”

E fu tutto più chiaro. Mordendosi la lingua e frenandosi dall’infierire, Michiru tornò a scuotere la testa sbuffando forte. Il solito copione. La sua donna aveva tirato troppo la corda e questa le era rimbalzata in faccia con il poderoso suono di un tac.

“Lo sai vero che non se ne uscirà fuori tanto facilmente.”

“Sempre positiva. - Rigettò l’altra cercando di sistemarsi meglio sul materasso. - Portami un paio di antidolorifici e tra un’ora sarò nuovamente in piedi.”

“Disse l’animale spiaggiato…”

“E allora cosa dovrei fare, sentiamo!?”

“Un giretto al Pronto Soccorso?”

“Ma anche NO!”

“Haruka, per favore. Lo sai come vanno queste cose. Non è la prima volta che ti blocchi!”

“Io al Pronto Soccorso non ci vado!”

“Va bene. Allora ti porto dal medico.”

“E’ in vacanza!”

“Bè, ci sarà un sostituto.”

“Ed io dovrei farmi mettere le mani addosso da un estraneo?!”

“Sarebbe tanto disdicevole!?” E i decibel salirono.

“Senti Kaiou, la schiena è mia e me la faccio toccare da chi voglio IO. Chiaro?!”

“E allora fai come ti pare! Ma poi non lamentarti se non riesci a stare in piedi!” Fine delle trasmissioni. Esasperata Michiru afferrò la canottiera ed i pantaloncini sporchi lasciati sulla sopracoperta dalla compagna inforcando la porta dalla camera.

“Michi…”

“Che c’è?!” Chiese affacciandosi dallo stipite.

“Devo andare in bagno…”

 

 

La sera passò. La notte passò. Le prime luci dell’alba arrivarono, ma la situazione non cambiò di una virgola. La sicurezza che Haruka aveva riposto negli antidolorifici andò polverizzandosi nel corso delle ore fino ad arrivare a lambire lo stato della depressione. Distesa sul letto mani nelle mani come la mummia di un faraone, fissò il soffitto macerando rabbia ed avvilimento fino a non poterne più. Gettando uno sguardo alla sua destra, vide Michiru dormire nella sua sottoveste bianca e ostinatamente convinta di potercela fare da sola, rotolò sul fianco opposto ritrovandosi a denti stretti sulle doghe del pavimento. Un grosso sospiro coadiuvato da un incoraggiamento mentale ed iniziò a gattonare verso il salone. Voleva un caffè e se possibile, una pallottola in mezzo agli occhi che le togliesse finalmente quel senso di torsione che dal pomeriggio precedente si era impadronito dei suoi lombari.

Era francamente imbarazzante tutto questo; stare carponi come una lattante alla scoperta del mondo sapendo in cuor suo che tutta quella situazione dipendeva solamente da lei. In moto tutti i giorni, su e giù in officina, sali e scendi per gli uffici e a casa anche peggio. Erano tutte azioni che non potevano certo trasformarsi di colpo nelle magiche dita di una fisiatra professionista, anzi, semmai tutto l’opposto. Si era strapazzata troppo giocando sul fatto che una volta iniziate le vacanze estive avrebbe riposato tutto il giorno.

“Una fisiatra… Potrei pensarci… - Disse cercando di issarsi sul piano della penisola scivolando con l’addome sul granito. - A Michiru non piacerebbe, ma alla mia schiena farebbe un gran bene.”

L’ennesima fitta dolorosa e il fiato le morì nella gola. “Fanculo a quegli stradannatissimi vasi. Fanculo!” E la sua avventura alla caccia di un caffè terminò così, senza appello o soccorso da parte di nessuno.

Michiru la trovò prona come un Santo redentore e poggiandosi sul legno dello stipite a braccia conserte, se la guardò trattenendosi dal non ridere. “Tutto bene?”

“Ti sembra che lo sia?!” Rispose la bionda voltando lentamente il collo nella sua direzione.

“Arguisco che gli antidolorifici ti abbiano delusa.”

“Si fottano anche loro…”

“Come, scusa?”

“Niente, niente.” Disse cercando di alzarsi sugli avambracci mentre implacabilmente serafica la sua compagna affermava che sarebbe bastato davvero molto poco per lasciarsi tutta quella grottesca situazione alle spalle.

“Non ci voglio andare!”

“E’ solo una visita. Ti stai comportando da bambina. Quando cadi dalla moto non te ne torni a casa a leccarti le ferite come un’animale, ma vai da un professionista. O sbaglio forse?”

“Non è la stessa cosa!”

“Si che lo è.”

“Non sono scivolata in pista. Non mi sono fatta male sul lavoro.”

Intuendo dalla voce un leggerissimo cedimento, Michiru andò allora verso i pensili continuando. Accendendo la macchina del caffè inarcò i lati delle labbra sentendo la meta ad un passo. “Non credere che quel posto non ricordi anche a me un periodo della nostra vita che francamente vorrei dimenticare, comunque…, te lo ripeto; fai come credi. Se vuoi passare le nostre vacanze così …”

“Ora voglio solo un dannato caffè.”

Detto fatto. La bionda se lo vide recapitato sul piano della penisola fumante e già zuccherato. Fissando la tazzina con sfida si fece coraggio forzando i muscoli delle spalle, ma una schicchera dolorosa la costrinse a puntellarsi sulla fronte. Cazzo, pensò stringendo i pugni mentre la mano di Michiru iniziava a massaggiarle l’oro dei capelli.

“Allora…?”

Un silenzio lungo quasi un minuto, poi Haruka dovette cedere all’evidenza e rimanendo petto e fronte premuti contro il granito mosse leggermente la testa in segno di resa.

 

 

Rannicchiata sul fianco a braccia incrociate, l’istrice ferito Tenou guardò dal suo lettino di prostrazione la compagna rientrare nella stanza dalle immancabili pareti verde acqua. Respirando forte l’odore di antisettico tipico degli ambienti ospedalieri attese le novità non riuscendo quasi più a tenere a bada la sua smania di scappare.

“Sono quarantacinque minuti che siamo qui!”

“L’infermiera del triage mi ha garantito che un dottore sarà presto da noi. Sei un codice bianco Ruka, non potevamo certo pretendere che ti visitassero subito, no?”

“Tzs…”

Avvicinandosi docile, Michiru le chiese per l’ennesima volta se volesse qualcosa da bere alle macchinette e per l’ennesima volta la bionda scosse la testa. “E’ inutile Michi. Non posso ingoiare nulla senza il pericolo di versarmelo in faccia e mi rifiuto di bere un caffè da una cannuccia!”

Alzando gli occhi al cielo, Kaiou pensò che forse se avesse scelto un’aranciata la cosa sarebbe sembrata agli occhi del mondo meno disdicevole. Ma questo, naturalmente, se lo tenne per se. Haruka non era riuscita a fare la sua canonica colazione di rito e questo l’aveva incattivita ancora di più. Una condizione che unita al dolore, alla frustrazione di non potersi muovere, al dover dipendere dagli altri e al trovarsi in un posto che francamente odiava, era diventata esplosiva e sapendolo, Michiru stava cercando di bilanciare la cosa mostrando una calma serafica al limite dell’ascetismo. Una volta schiodata la possente Tenou dallo spiaggiamento della penisola della loro cucina e riuscita a riportarla in camera, si era velocemente vestita riuscendo poi a fare altrettanto con l’altra che ancora con le infradito da casa calzate ai piedi, si era lasciata condurre a velocità moderata verso l’ascensore e da li, per grazia divina non incontrando nessuno che avrebbe potuto far loro qualche compromettente domanda, al loro box, dove la bionda aveva dovuto definitivamente dare le chiavi del comando alla sua donna. La macchina! Michiru, se pur brava alla guida, non aveva quasi mai guidato la sua Mazda e nel trovarsi a doverlo fare, senza poi che in quel momento la cosa fosse minimamente messa in discussione, aveva fatto raggiungere alla bionda l’apice dello scoramento.

“Fa piano!”

“Scusa amore, non vorrei farti provare ancora più male.”

“Non è per la schiena! - Aveva confessato con gli occhi iniettati di sangue mentre con la sinistra si teneva i reni e con la destra arpionava il cruscotto. - Vacci più gentile di frizione!”

“E’ dura da morire! Se tu non ti fossi lagnata tanto sulla disgraziata eventualità di essere vista da qualcuno sul piazzale del parcheggio, avremmo potuto usare la mia Prius!”

Questo è un fottuto incubo! Si era detta la bionda sperando di arrivare presto e poter finalmente chiudere quello schifo d’avventura.

Il San Giovanni di Bellinzona non era un ospedale grandissimo e per via dei suoi trascorsi, Haruka al pronto soccorso conosceva un po’ tutti e tutto si sarebbe aspettata di vedere entrare nella stanza, tranne una ragazzetta fresca di specializzazione tutta sorridente e con una cartellina in mano. Appena lo sguardo della bionda riuscì a posarsi sulla figura longilinea della dottoressa, la sua colonna vertebrale scattò come una molla tornando eretta come niente fosse. Lo scotto pagato al suo amor proprio fu talmente terrificante che quasi le uscì un gemito dalla bocca. Michiru, rimasta accanto al lettino, se la rise sotto i baffi alzando leggermente le spalle. La sua donna è e sarebbe rimasta sempre la stessa.

“Signora Tenou buongiorno. Quanto dolore prova da uno a dieci?” Chiese la moretta nel suo bel camice bianco stirato di fresco mentre con assoluta professionalità continuava a tenere i suoi occhi castani sulle scarne righe riportate dopo il triage.

Kaiou fu lesta nel rispondere. “Duecentosessantatre.”

“Come scusi?”

“Cinque. Sei al massimo.” Corresse Tenou stringendo le labbra al fare divertito dell’altra che di contro replicò piatta.

“Credo più un nove pieno.”

“Esagerata…” Controbatté sparando addosso al medico uno sguardo sicuro unito ad un sorriso sornione. Quella che aveva davanti era sempre una giovane donna e lei era pur sempre il fuego del viento, dentro e fuori dalle piste.

Leggermente interdetta, ma per sfortuna di Haruka completamente immune a quell’occhiata sottilmente accattivante, la dottoressa non più che trent’enne abbandonò la cartellina sul lettino girandoci intorno per posizionarsi dietro la sua paziente e sollevarle poi la maglietta. “Fare le stoiche non serve a nulla, sa? - E giù con la prima energica pressione dei pollici. - Se non so l’esatta entità del dolore dovrò procedere con una Tac…”

Alla seconda pressione e minacciata di dover restare in quel posto forse anche per tutta la giornata, Tenou sputò letteralmente fuori la verità ammettendo che ormai stava per sfiorare il dieci.

“Da un po’ mi da noia anche quando respiro.”

“Immagino visto quanto sono incordati i suoi lombari. Posso chiederle cosa ha fatto per ridursi in questo stato?” Disse tornando a leggere le informazioni riportate sui fogli intestati.

“Nulla di che. Qualche lavoretto per casa.” Tagliò corto guardando di sottecchi la compagna che mani nelle mani, stava continuando impassibile a rimanere accanto al lettino.

“Ho capito. Va bene, adesso le inietterò un potente rilassante unito ad un antinfiammatorio. Appena tornata a casa assoluto riposo e ghiaccio. Se tra due giorni non dovesse vedere miglioramenti, dovrà ritornare per degli accertamenti più mirati.”

“Ma nel caso troverei ancora lei?”

“O non saprei. Sono una sostituta.”

“Peccato. Allora dovrò guarire per forza.” E giù un altro sorrisetto, questa volta rafforzato da un leggero occhiolino.

Dirigendosi verso un armadietto la dottoressa si lasciò scivolare addosso la cosa, anzi, volente o meno a suo modo si difese. “Sa, ne ho viste parecchie di situazioni come la sua; persone che superati i quaranta tendono comunque a strafare ritrovandosi come se non peggio di lei. Vede, dopo una certa le fibre muscolari non riescono più a rigenerarsi velocemente come prima ed è molto facile farsi venire questo tipo di contratture.”

Infilandosi i guanti in lattice per prendere poi il necessario per l’intramuscolo, continuò come se nulla fosse ignara di avere appena dato alla grande Tenou una bastonata tra capo e collo. “Ma non si preoccupi, E ora… - voltandosi siringa nelle mani sorrise togliendo l’aria dall’ago. - … si cali i pantaloni, per favore. Sarò una piuma, vedrà.”

Si cali i pantaloni.” Una frase questa che ad una Tenou trent’enne avrebbe fatto girare la testa scatenando ormoni a pioggia e porcate mentali pensate, dette e magari dopo una cena e due moine bene assestate, anche fatte, ma che attualmente non fu minimamente ascoltata. “Dopo una certa…” Fu l’unica cosa che il suo cervello riuscì a recepire. Come dopo una certa!? La faccia della bionda fu talmente eloquente che Michiru dovette richiamarla invitandola a distendersi.

“Amore…”

“Ssssi…” Sibilò l’altra mentre piano tornava a rannicchiarsi sulla carta del lettino.

Ed ecco servita su un piatto d’argento ben lucidato da una ragazzetta che certo non avrebbe ancora potuto essere sua figlia, ma sua nipote si, la pistolettata che tanto aveva bramato dall’inizio di quella schifosissima giornata.

 

 

Michiru voltò una pagina del libro di storia dell’arte che stava leggendo sistemandosi meglio sul cuscino. Le ventitré di un giorno di riposo e già si erano coricate. Il faraone Tenou, che tornata a casa aveva ripreso la sua posizione da mummia sulla sua porzione di letto matrimoniale, se la guardò sospirando piano. Bella anche con gli occhiali da lettura calzati sul naso e la treccia adagiata con noncuranza sulla spalla sinistra.

Al ritorno a casa non avevano parlato dell’accaduto, ovvero di come una semplice frase unita al comportamento distaccato del giovane medico avessero spinto Haruka al mutismo per tutto il resto del pomeriggio. Michiru non aveva sottolineato quanto quella giornata fosse stata stressante e sul leggero disappunto che aveva provato nel vedere la sua donna continuare a far lagne riservando invece ad un’altra sguardi che non le erano piaciuti per niente. Ma ora che la fase del pietismo per la condizione dolorosa della compagna era finita e l’intramuscolare sembrava aver fatto il suo dovere, forse era arrivata l’ora di sputare tutto fuori per evitare di tenersi sciocchezze dentro. Continuando a tenere fissi gli occhi sulle pagine, alzò leggermente le sopraciglia chiedendole per l’ennesima volta come si sentisse.

Rigirandosi i pollici nelle mani dimenticate sull’addome, la bionda diede vita ad uno dei suoi soliti grugniti.

“Meno male.” Rispose la compagna sapendo da conclamata esperienza di coppia cosa significasse quel suono.

“Michi…”

“Dimmi.”

“Secondo te quanti anni avrà avuto quella dottoressa?”

Sempre fissa alle pagine l’altra rispose sulla trentina.

“Per me sui ventisette. Vent’otto al massimo.” Puntualizzò Haruka.

“Può essere.”

“Credevo mi avrebbe chiamato zia…”

“Non sarebbe stato professionale. Anche se sono convinta che leggendo i tuoi dati anagrafici e vedendo il tuo comportamento, ad un certo punto l’abbia pensato.” Chiudendo finalmente il testo e riponendolo sul comodino assieme agli occhiali, Kaiou se la guardò cercando di mantenersi lucida. Era stupido essere gelosa, soprattutto visto il contesto, ma nonostante riuscisse sempre a mantenere un certo distacco, Michiru non sopportava quel lato galletto della sua bionda.

“Professionale o meno è stato avvilente.”

“Anche il vederti flirtare con quel cucciolo.” Una scivolata a gamba tesa che fece finalmente schiodare gli occhi dell’altra dal soffitto.

“Non ho flirtato. Stavo male come un cane e ti assicuro che in quella stanza tutto ho pensato tranne a farmi bella di fronte ad una ragazzina.”

“Già! Ti viene naturale, come le code delle lucertole che anche una volta tagliate, continuano a muoversi da sole!”

“Vuoi davvero iniziare una discussione per questa stronzata!”

“Haruka!”

“Scusa amore, ma ancora non mi è passata! Tu trovi avvilente che io faccia un occhiolino ad una dottoressa per cercare di stemperare il fatto che per due lavoretti mi sia incordata come un’imbecille, mentre IO sto pensando al fatto di essere stata trattata come una vecchia scarpa rotta!”

“Non dire assurdità!”

“A si? Dopo una certa, mi ha detto! Dopo una certa, cosa!? Ma chi cavolo si crede di essere! Ma gliela faccio vedere io la certa!”

Fu allora che il nervosismo di Michiru si azzerò di colpo. Nascondendo la bocca nell’incavo del palmo destro iniziò a ridere talmente di gusto che Haruka quasi se la prese.

“A bene. Sono contenta.”

“Ma, amore…”

“Ma amore un accidente… - Masticò incrociando le braccia al petto. - Che poi la sai una cosa? Non mi ricordo neanche più di averli avuti ventisette anni.”

Facendosi più vicina Michiru iniziò ad accarezzarle una guancia. “ Ei, guarda che ci siamo conosciute solamente qualche anno più tardi.”

“Ecco! Appunto! Da quanto tempo è che stiamo insieme?”

“Ancora troppo poco…”

“Mmmm…”

Distendendosi al suo fianco, Kaiou le si schiacciò contro. “Non ti farai mica venire la sindrome della mezza età, spero.”

“Se fosse per me, assolutamente no!”

“Ecco. Brava… L'età non conta e comunque a parte questo piccolo fuori programma, non ti ho mai vista tanto in forma. “ Ed iniziando a baciarle la porzione di collo sotto l’orecchio destro la sentì sospirare arrendevole.

“Kaiou…”

“Si?”

“Non credo di poter stare sopra questa sera…”

“Poco male… - Disse la compagna continuando a stuzzicarla. - In fin dei conti in questa casa sono ancora io la più giovane…”

 

 

 

Note dell’autrice: Per i tuoi primi quarant’anni.

   
 
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