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Autore: dirkfelpy89    02/09/2022    3 recensioni
1998 - il il Canada–France–Hawaii Telescope osserva per la prima volta, dalla terra, il satellite di un asteroide: 45 - Eugenia. In cerca di ispirazione per dare un nome a quel piccolo satellite, a Lucienne, una ricercatrice, viene chiesto di portare il diario di sua nonna, contenente, tra tante cose, la triste storia di Eugenio Napoleone, l'unico figlio dell'ultimo imperatore francese Napoleone III.
Questa è la storia dei suoi ultimi anni.
"Un piccolo asteroide che orbita intorno a 45 Eugenia… non è possibile," sussurrò Lucienne, osservando il quaderno e cercando ancora una volta di ricacciare indietro le lacrime. "Le Petit Prince."
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Napoleonico, Età vittoriana/Inghilterra
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Capitolo 3, Adieu, Empereur

 



"N'est-il pas vrai que nous n'étions pas lâches à Sedan?
Ultime parole di Napoleone III.

 

Inghilterra, Camden House, 7 Gennaio 1873

L'esilio di Napoleone III, dopo la sua resa e la fine dell'Impero, avvenne in Inghilterra.
Del resto sua moglie e suo figlio erano già venuti in possesso di una dimora elegante, nel sobborgo di Londra denominato Chislehurst, misera, rispetto ai palazzi dorati parigini, ma comunque discreta e comoda.
Gli inglesi storsero un po' il naso a quella decisione: Napoleone III avrebbe potuto facilmente complottare, vicino alla sua terra natia, e come sarebbero stati i rapporti con la regina Vittoria? Una figura così forte sarebbe riuscita a coesistere con un Imperatore, anche se deposto?

Entrambi i dubbi vennero presto fugati dal comportamento di Napoleone: pur prestando sempre occhi e orecchie alla situazione francese, e desiderando ardentemente di tornare in patria, in realtà le condizioni di salute ormai aggravate fecero in modo che l'uomo si concentrasse esclusivamente su compiti molto poco politici.
Per quanto riguardava la convivenza con la regina Vittoria, in realtà, la donna prese a cuore la causa dell'Imperatore francese, soprattutto di sua moglie e suo figlio, e nonostante i molti impegni la regina stessa, accompagnata dalla figlia più piccola, Beatrice, non mancava di recarsi in visita a quella famiglia tutto sommato sfortunata e lontana dalla propria patria.

Quel 7 gennaio la regina, accompagnata come sempre da Beatrice, non mancò al suo appuntamento.
Le tre donne presero un tè nel grande salone padronale: nonostante tra Eugenia e Vittoria regnasse quella che taluni avrebbero potuto definire amicizia, l'ex imperatrice ci teneva ad accogliere la sua illustre ospite con tutti gli onori.
In quelle occasioni le due svestivano i panni di regine o imperatrici, erano solamente due amiche, due donne che si limitavano a raccontarsi le loro giornate, scambiarsi confidenze e qualche dono.
Dalla fine dell'Impero, Eugenia non aveva avuto più molte occasioni mondane e quelle rare visite avevano il potere di farla tornare indietro a un tempo passato, quando davvero contava qualcosa e poteva guardare le altre regine, o imperatrici, dall'alto verso il basso.

Eugenia attendeva con tanta impazienza quelle visite, ci teneva in maniera quasi maniacale ad apparire perfetta, per questo motivo Beatrice si sorprese, vedendo l'imperatrice distante, scostante, quel pomeriggio. Un'atmosfera cupa era calata su quella casa altrimenti così bella e pacifica.

"Non ho più avuto notizie da dopo l'intervento," notò sua madre, spezzando un silenzio inedito tra di loro.
"Mi dovete perdonare, ho avuto mille pensieri per la testa…" rispose Eugenia, sistemando quasi maniacalmente una piega della tovaglia. "Sapevamo che sarebbe stato un intervento difficile, parte del calcolo è stato rimosso ma… da allora non sta molto bene, le sue condizioni si sono aggravate negli ultimi giorni.”
La donna abbassò il volto e subito Beatrice allungò la sua mano per stringere quella della donna. Era stato un gesto impulsivo per cercare di infonderle un po' di coraggio.
Aveva capito subito che la salute di Napoleone III, quell’uomo così enigmatico che aveva incontrato poche volte, era decisamente poco stabile.

Suo padre era morto quando lei era appena una bambina, non aveva nessun ricordo di lui, viveva nella sua memoria solo attraverso le fotografie, eppure ogni tanto riusciva a ricordare sprazzi del dolore provato negli anni successivi da sua madre.
Eugenia accettò volentieri quel segno di vicinanza, cercò di ricomporsi e poi aggiunse: "secondo i medici non manca molto… ormai passa più tempo nel sonno che nella veglia."
"È meglio così, quando dormono non soffrono," replicò Vittoria.
L'altra annuì e poi aggiunse: "ho fatto sì che Luigi Eugenio fosse richiamato dai suoi doveri all'accademia per stare vicino a suo padre, in questi giorni."
"Luigi tornerà qui?" Chiese Beatrice, cercando di non far trasparire troppa gioia dalla sua espressione facciale.
"Sì, è giusto così."

/ / / / / / /



8 Gennaio.

"Imperatrice, suo marito, l'Imperatore, la cerca."
La voce di Conneau venne da lontano, riscuotendo Eugenia dai suoi pensieri.

Il sole fuori dalle vetrate era da poco tramontato, le ombre fuori lunghe come quella giornata che sembrava non passare mai.
Si alzò con fatica dalla poltrona nella quale era sprofondata, cercando di ricamare un centrotavola. Nonostante l'esilio era sempre stata una donna attiva, impegnata nella vita quotidiana e nella gestione di Camden House.
Se le avessero detto che avrebbe passato le sue giornate osservando fuori dalle finestre, intenta solo a ricamare, avrebbe riso.
Eppure, da dopo il secondo intervento e la successiva malattia di suo marito, non ci riusciva, i suoi pensieri non potevano non andare a Napoleone, a quell'uomo che aveva amato così tanto.
Non riusciva a rimanere al suo capezzale, le era impossibile osservare quell'uomo sull'orlo della morte e riconoscerlo come suo marito.
Si sentiva in colpa perché era suo dovere rimanere al suo fianco, accompagnarlo verso l'inevitabile trapasso, eppure non ne era capace, forse si rifiutava di accettare la realtà, e allora scappava e cercava di rimanere il meno possibile nella stanza che ospitava Napoleone.
E più scappava, più si sentiva in colpa, e più si sentiva in colpa meno riusciva ad andare avanti.
Un tetro circolo di paura e vergogna che ormai l'accompagnava da giorni e non le dava pace.

La sala dal letto dove riposava l'ormai ex imperatore era buia e silenziosa, Eugenia perciò si avvicinò al letto di suo marito quasi in punta di piedi. Era evidente che l'uomo stesse soffrendo molto: il colorito era ormai bianco, quasi cadaverico.
La donna si sedette su una sedia e prese la mano destra di Napoleone tra le sue: era fredda.

"Eugenia, sei qui," sussurrò l'uomo, con evidente fatica.
"Oui."
"Scusami… per quello che è successo e per quello che… non ho fatto," lentamente Napoleone borbottò.
"Non capisco…" rispose Eugenia.
"Tu mi odi… non è vero? Tutti mi odiano" Chiese l'uomo. "Ne abbiamo parlato così tanto… eppure, giunto il momento, non ci sono riuscito."
Eugenio intuì il significato di quelle parole e fece per ribattere ma si bloccò. Suo marito non aveva finito.

"Avrei dovuto combattere fino alla fine a Sedan, fino alla morte, e tutto questo non sarebbe accaduto," sussurrò l'Imperatore, la voce sempre più debole. *"Alcuni credono che, seppellendoci sotto le rovine di Sedan, avremmo servito meglio il mio nome e la mia dinastia… è possibile. No, tenere in mano la vita di migliaia di uomini e non fare nulla per salvarli era qualcosa che… che andava oltre le mie capacità…"*
Eugenia cercò con tutta se stessa di mantenere un contegno degno del suo nome ma non ci riuscì e ben presto sentì calde lacrime traditrici scendere dagli occhi.
*"Avrei preferito la morte a una capitolazione così disastrosa, eppure, in quelle circostanze, era l'unico modo per evitare il massacro*. Scusami… ma non avevo scelta."
Detto questo, evidentemente troppo stanco per continuare, l'Imperatore chiuse gli occhi.
Eugenia si rialzò, si chinò su di lui e baciò la fronte.
"Non ti odio, non potrei mai farlo. Non devi chiedermi scusa," sussurrò e, prima di crollare definitivamente, prima di perdere le ultime briciole dignità, uscì fuori da quella stanza, trattenendo le lacrime con tutte le sue forze.

/ / / / / / /



9 Gennaio.

Il dottore chiuse la porta lentamente, poi si rivolse alla piccola folla radunata nel corridoio: "Farete meglio a chiamare un prete, non manca poi molto e io ho fatto tutto il possibile."
Immediatamente per tutta Camden House si diffuse un mormorio: dopo giorni di sofferenze era infine giunta l'ora dell'imperatore?

Ma Luigi era sordo a quella reazione, da quando quella mattina era tornato a casa in permesso speciale, non aveva fatto altro che sedere composto accanto al padre. Non gli importava che cosa gli altri stessero pensando, non provava il minimo interesse a cercare di comprendere quali fossero i discorsi che le persone al di là della porta stessero scambiando, quali intrighi bollissero in pentola.
La sola, unica, altra persona che all'interno di quella casa sembrasse avere la stessa predisposizione d'animo era sua madre. Quella mattina era stata la prima ad accoglierlo a casa, ad abbracciarlo e infondergli un po' di coraggio, ma da quel momento non l'aveva più vista.
Aveva sofferto troppo e lui era stato troppo lontano per aiutarla.

Napoleone III giaceva sul letto, immobile e freddo nonostante le numerose coperte che ricoprivano il suo corpo moribondo.
Il respiro via via meno forte, sempre più lento e debole.
Luigi lo aveva odiato, Napoleone non aveva compiuto il suo dovere, costringendo lui, e sua madre, a vivere grazie alla carità della regina Vittoria, da soli, per un anno in una nazione straniera.
Quando poi vide la carrozza di suo padre arrivare e lui così bianco in volto, malato e debole, non era riuscito a serbare nel suo cuore quell'odio che così tanto aveva covato nel corso di quell'anno solitario e misero.

"Tra poco arriverà il prete per l'estrema unzione, non penso che voi dovreste…"
Henry Conneau, uno degli uomini più fedeli a suo padre, e sempre presente accanto a lui, disse, rivolto al principe che però scosse la testa.
"Ho permesso a mio padre, una volta, di dividere le nostre strade ma adesso non lo farò. Rimarrò con lui," rispose, il tono di chi non si aspettava un no come risposta.
Aveva ringraziato Dio per aver fatto sì che le loro strade si riunissero e aveva vissuto ogni giorno con suo padre come se fosse l'ultimo.
Strinse la mano dell'uomo e Napoleone, lentamente, aprì gli occhi.

Posò lo sguardo su suo figlio e poi sul vecchio amico.
"Eri a Sedan?" Chiese, la voce appena percettibile, rivolto a quest'ultimo.
"S… mais oui, Imperatore!"
"Non è vero che a Sedan non siamo stati dei codardi?" Chiese Napoleone.
"No… non siamo stati codardi, abbiamo fatto il massimo… per la Francia," rispose Conneau, gli occhi ricolmi di lacrime.

Sedan, a distanza di anni quella dannata sconfitta tornava a tormentarlo persino sul letto di morte. Certi errori, certe scelte, o non scelte, ci perseguitano per sempre e quella fu una dura lezione che Luigi dovette imparare, quel giorno.
Sul viso di Napoleone comparve per un attimo un breve sorriso poi gli occhi dell'uomo si chiusero.

Non si riaprirono mai più.
Dieci minuti più tardi arrivò il prete, che somministrò al vecchio Imperatore l'estrema unzione, infine un'ultima visita del dottore confermò le paure di tutti.
"Il battito è sempre più debole, respira appena. Questione di poche decine di minuti, un'ora al massimo, e…"
L'uomo non ebbe il cuore di determinare quella frase: era evidente che tutti avevano intuito il significato di quelle parole.
Luigi continuò a tenere la mano del padre, pregando intensamente, cercando rifugio nella fede e nella preghiera.

/ / / / / / /



Le previsioni del medico si rivelarono tristemente azzeccate: dopo poco più di un'ora dall'ultima visita, intorno alle quattro del pomeriggio, Napoleone III esalò l'ultimo respiro.
Fu un'esperienza strana e colpì molto il principe perché, non appena sentì la mano dell'uomo afflosciarsi definitivamente, ebbe come l'impressione di percepire l'anima del padre abbandonare quelle spoglie mortali.

Alle sue spalle sentì sua madre cadere in ginocchio e piangere, dando finalmente sfogo alla tensione e al dolore che aveva cercato di celare in quelle settimane.
Era appena diventata vedova, il suo dolore adesso non sarebbe più stato giudicato come debolezza.

Luigi invece rimase immobile, fu solo quando il medico si avvicinò e confermò il decesso che lasciò la mano del padre deceduto.
Vittima di un vortice di emozioni che non riusciva a descrivere, il principe rimase immobile, come imbambolato.

L'urlo "L'imperatore è morto, viva l'imperatore!" raggiunse a malapena le sue orecchie.
A diciassette anni Luigi si era ritrovato esiliato e orfano di padre.

A diciassette anni Luigi, suo malgrado, era diventato un uomo.

/ / / / / / /



*Citazioni ad alcune lettere di Napoleone III dopo Sedan.

Salve a tutti, ci ho messo più tempo del previsto ad aggiornare perché ho trovato difficoltà nel gestire questo capitolo, spero di averlo fatto con giusto delicatezza.
Delle ultime ore di Napoleone III si sa poco, solo le ultime parole che ho qui riportato, mi fa piacere pensare che avesse i suoi cari vicino e che nella morte abbia trovato la pace che in vita non ha avuto, specie negli ultimi anni.

  
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