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Autore: Nao Yoshikawa    03/09/2022    8 recensioni
Eren ha viaggiato molto per l'Europa. A Parigi, una delle sue tappe è il Louvre, di di cui Levi Ackerman è il custode.
«Come dire… a casa mia ci stavo un po’ stretto. Non che fossi infelice, però ho sempre sentito il bisogno di andare oltre e quindi… quindi due mesi fa ho deciso di partire da solo, dopotutto ho già vent’anni. Ho visto tante cose e ho conosciuto molte persone. Finalmente mi sono sentito libero di respirare… Oh. Però oggi… è strano. Non mi capitava da tanto, ma per un attimo ho desiderato restare.»
Questa storia partecipa alla Challenge “Puoi scriverlo, ma a queste condizioni” indetta dal forum Siate Curiosi Sempre.
"Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce la penna"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il custode del Louvre
 
Eren Jaeger aveva viaggiato in lungo e largo per l’Europa. Dopo essere stato in Germania, Inghilterra, Spagna, Portogallo e Italia (quest’ultima gli era rimasta nel cuore in particolare per il buon cibo), era arrivato finalmente in Francia, a Parigi.
La città dell’amore, la chiamavano in molti, ma di fatto lui si trovava lì da solo. Viaggiare in solitudine aveva i suoi vantaggi e ti dava anche molto a cui pensare. Armin gli aveva consigliato di andare al Louvre, dove si trovavano alcuni dei quadri più famosi e più belli al mondo. Eren non era mai stato troppo informato sull’arte, ma chissà quando gli sarebbe capitato di tornare a Parigi?
Così, con lo zaino in spalla e addosso la stanchezza dei giorni precedentisi, si era riservato l’ultimo giorno a Parigi per visitare il museo. Doveva ammettere che faceva un certo effetto vedere dal vivo dipinti e sculture che fino a quel momento aveva solo visto nei libri. Armin lo avrebbe ucciso se non gli avesse mandato qualche fotografia. Così prese la sua macchina fotografica e scattò una foto.
«Ehi tu, ragazzo. Non con il flash» lo rimproverò qualcuno, in francese. Eren sussultò.
«Oh. Scusi» rispose a stento. Il francese non era proprio la sua lingua preferita, era più portato nell’inglese o nel tedesco.
L’uomo davanti a lui doveva essere almeno dieci anni più vecchio di lui. Era un po’ pallido, come se non avesse mai preso troppo sole.
«Turista, eh? Capisci quello che dico?» domandò l’uomo.
«Sì, capisco, ma non sono molto bravo col francese. In inglese, però, sì. Volevo solo scattare una fotografia per il mio amico. Mi piace questo quadro» Eren lesse il nome. «La libertà che guida il popolo. Delacroix
L’uomo si avvicinò ad Eren. Era una spanna più basso di lui, vestito in modo semplice, l’espressione seria, attenta.
«Gran bel quadro, vero» iniziò a dire, parlando in perfetto inglese. «Ovviamente saprai che rappresenta la rivoluzione. I cittadini armati rappresentano l’unione di tutte le classi sociali unite in lotta. Seguono la donna, cioè la personificazione della Francia, Marianne. È un’allegoria della libertà. I corpi senza vita sul campo, invece, rappresentano la violenza del conflitto e l’importanza della rivoluzione.»
Eren lo ascoltò, stupito e interessato. Quell’uomo lavorava lì? Era forse una guida? Non aveva una targhetta col suo nome o una divisa in particolare. Sembrava un passante, come lui.
«Davvero? Io non ho un occhio attento per queste cose» ammise.
«In realtà non è difficile. Il concetto di libertà è stato fondamentale durante il diciannovesimo secolo. A volte bisogna lottare e usare le armi per conquistarla. Poi, si può essere d’accordo o meno.»
L’uomo aveva sempre la stessa espressione, però sembrava appassionato mentre parlava. Chissà se era così ben informato anche sugli altri dipinti.
«Come si chiama?» domandò ad un tratto. Si rese conto solo dopo di essersi fermato a fissarlo come un idiota.
«Io? Levi Ackerman.»
«Ah. Io sono Eren Jeager» Eren gli afferrò la mano con forza, stringendogliela. «Tu lavori qui?»
«Già, ma sono solo il custode del museo, quindi non farti strane idee. A proposito, devo tornare al lavoro. Se vuoi sapere qualcos’altro, chiedi alle guide, sapranno darti le risposte che cerchi.»
Eren fece per dire qualcosa, ma Levi Ackerman non gli diede il tempo di aggiungere altro. Gli era piaciuto ascoltarlo, in realtà avrebbe gradito ascoltarlo ancora. Un po’ stralunato, tornò a guardare il quadro. Sì, gli sarebbe piaciuto anche ascoltarlo mentre parlava del concetto di libertà. E di tutto il resto.
 
Quando Eren terminò il suo giro dentro al museo, il sole stava già tramontando. Per tornare in hotel aveva preso il treno. Si era poi accomodato vicino al finestrino e aveva inviato un messaggio ad Armin, nello stesso gruppo whatsapp dov’era presente anche Mikasa.
“Ecco le tue foto, Armin. Alcune sono venute fuori un po’ scure, ma non potevo usare il flash”
A: Oh, grazie, Eren! E com’è stato?
Affascinante. Si ritrovò a pensare, ma non lo scrisse. Si poteva rimanere colpiti da una persona con cui avevi parlato per così poco? Perché adesso la mente di Eren era affollata di domande: chi era quell’uomo? Cosa faceva? Com’era la sua vita? E perché sembrava essere uscito da un libro?
Scosse la testa come per ricacciare il pensiero. Non era venuto lì in cerca di avventure. O per innamorarsi. O per qualsiasi altro coinvolgimento sentimentale.
«Scusa, è libero il posto?»
Ad Eren cadde il pesante zaino che stava cercando di sistemarsi sulle gambe. Il tono era più stanco, ma lo avrebbe riconosciuto ovunque: Levi Ackerman, che lo guardava con aria interrogativa.
Eren lo indicò con un dito.
«Il custode del Louvre!»
«Sì, e tu sei il ragazzo che scatta le foto col flash» Levi inarcò un sopracciglio. «Allora, posso accomodarmi o no?»
«Eh?! Ah, sì!» Eren drizzò la schiena e si fece rigido. Era incredibile che Levi si trovasse sul suo stesso treno, diretto chissà dove. Quante possibilità c’erano di rincontrarlo?
Levi si sedette davanti a lui. Era stanco, era solito svegliarsi presto a causa del lavoro. Di solito tendeva ad addormentarsi durante il viaggio in treno. Quella volta sarebbe stato difficile, con quegli occhi verdi che lo fissavano.
«Ti serve qualcosa?» domandò.
«Sì. No. Non lo so. Speravo di rincontrarti» ammise.
Levi, allora, da che si trovava seduto in modo disordinato, si mise dritto.
«Ah, sì?»
«Già. Affascinante l’idea di un custode di un museo che ne sa tanto di dipinti.»
«Non è niente di straordinario» si schernì, mesto. «Ci lavoro da oltre dieci anni, oramai. Ho imparato ad osservare, a interpretare… ad ascoltare. E poi mi piace leggere libri sull’argomento. La pittura è un modo di esprimersi… affascinante, direi. Però non mi metterei mai a dipingere.»
Eren lo osservava con gli occhi spalancati.
«Perché no?»
«Perché detesto sporcarmi e sporcare in giro, ecco perché.»
Eren si mise a ridere. La sua impressione era stata esatta. Quell’uomo era davvero particolare. E molto affascinante.
«Ti faccio ridere, eh?» domandò Levi. «Tu invece fai il turista in solitaria.»
Eren guardò per un attimo le immagini del paesaggio che scorrevano veloci.
«Mi piace viaggiare da solo, è una cosa che ho sempre voluto fare. Sono stati in alcuni paesi d’Europa e ovviamente non poteva mancare la Francia. Ammetto di essere venuto al Louvre soltanto perché il mio migliore amico mi ha suggerito di andare. Diceva che sarei rimasto colpito.»
«Ed è così?» domandò Levi, gli occhi socchiusi per la stanchezza e per la luce del treno che lo infastidiva. Eren annuì. Si sentiva un po’ accaldato, stringeva lo zaino in modo nervoso, torturandolo.
«Sì, direi di sì. Se non fossi andato adesso, non sarei andato più. Perché vedi, domani riparto. E adesso mi tocca passare la mia ultima notte in quell’hotel da quattro soldi» la sua espressione si contrasse in una smorfia. «Non mi era rimasto molto da parte, quindi ho cercato un posto economico. E mi sarebbe anche andato bene, se non fosse stato per i topi che infestano… praticamente tutto.»
Levi parve diventare ancora più pallido del solito.
«Non nominarli neanche» sussurrò, portandosi una mano sul viso.
«Cosa? I topi?»
«Ho detto di non dirlo. Sono terrorizzato oltre ogni ragione da quei piccoli esserini e dal loro zampettare. I topi portano sporco e malattie e io odio lo sporco e le malattie.»
Eren lo ascoltò ed evitò di ridere. Chissà perché, ma tutto ciò lo faceva ridere.
«Allora è una fortuna che non dormi da me, la notte si sente il loro zampettare ovunque e…»
«Ti ho detto di fare silenzio, ragazzino.»
Eren fu ben attento, allora, a non ridere. Aveva l’impressione che Levi avrebbe potuto atterrarlo e ucciderlo con poco, e non era quella la sua intenzione. Ne era rimasto così colpito che improvvisamente avrebbe voluto prolungare il suo soggiorno lì a Parigi.
«Ah, giusto. Conosci qualche posto dove posso andare a cena fuori? Niente di troppo impegnativo, ovviamente» disse ad un tratto Eren. In realtà aveva intenzione di chiedergli vuoi venire a cena con me? Ma non ne era stato capace. Non era timido, ma non sapeva come approcciarsi senza sentirsi un totale idiota.
Levi non rispose. Si guardò intorno e poi si alzò di scatto.
«Dobbiamo scendere qui.»
«Eh? Dobbiamo? A-aspetta!» Eren si alzò a sua volta, cercando di non cadere mentre s’infilava lo zaino in spalla e gli andava dietro. Quando fu fuori dal treno, si rese conto che del sole non rimaneva altro che un puntino luminoso e morente.
«Segui me e non fare domande» gli disse Levi infilandosi le mani nelle tasche. Eren lo seguì senza fiatare, guardandosi attorno con occhi curiosi. Quella zona della città era tranquilla, ben diversa dalle tipiche zone piene di turisti in cui era stato in quei giorni. E da come Levi camminava spedito, doveva conoscere molto bene ogni singola stradina. Si sarebbe volentieri fermato a scattare qualche foto, ma se solo accennava a fermarsi ecco che l’altro lo intimava a muoversi.
Dopo un quarto d’ora, Eren si ritrovò dentro un ristorantino, piccolo ed elegante. La luce era soffusa e ogni tavolo aveva delle candele al centro.
Una cena a lume di candela? Allora questo è davvero un appuntamento, si ritrovò a pensare. Si guardava intorno e, poiché lo spazio era piuttosto ristretto, cercava di non urtare gli altri tavoli e i pochi clienti seduti.
«Carino questo posto» sussurrò. «Un po’ imboscato, ma mi piace.»
«Già, è di una mia coppia di amici. Spero tanto che Hanji non inizia a farmi il terzo grado» Levi sospirò e si sedette ad un tavolo.  Eren lo imitò, continuando a guardarsi intorno.
«Non sarà un po’ troppo costoso, qui?»
«Non è un problema tuo, ragazzino. Volevi un appuntamento con me, no?» Levi indicò il locale con un dito. «Eccoti accontentato.»
«Ma… ma io…»
Forse e sue intenzioni erano state più palesi del previsto. Avrebbe tanto voluto qualcosa di alcolico in quel momento. O una distrazione.
Ottenne entrambe le cose: la distrazione si chiamava Hanji Zoe, proprietaria del ristorante e amica molto stretta di Levi.
«Ma guarda, non ti facevi vedere da giorni!» esclamò Hanji, allegra, puntando poi lo sguardo su Eren. «Oh, ciao. E tu chi sei? Un amico di Levi?»
«Io veramente…» sollevò un dito per parlare, ma Levi gli lanciò un’occhiata.
«Veramente ci siamo conosciuti oggi al museo» spiegò.
«Oh, capisco! Questo sì che è romantico. Beh, vado a dire ad Erwin che ci vuole del vino speciale per un’occasione del genere. Voi… voi fate pure le vostre cose.»
Levi scosse la testa, rassegnato. Eren invece sorrise in imbarazzo e, quando rimasero soli, si fece di nuovo serio.
«Era così evidente quello che volevo?»
«Ovviamente lo era. Ma visto che facevi il timido, ho preso l’iniziativa.»
Eren arrossì e distolse lo sguardo. Sembrava davvero di trovarsi nella scena di un film. Parigi, la città dell’amore, lui seduto lì con l’affascinante custode del Louvre. Hanji intanto aveva portato il vino, rigorosamente rosso. Eren lo assaggiò subito e si sentì scaldare.
«Allora, emh… ti piace lavorare al Louvre?» Eren porse una domanda banale, non avrebbe saputo intavolare una conversazione più complessa.
«Se mi piace? Direi di sì. Mi piace soprattutto quando il museo è ancora vuoto. Allora siamo solo io e le opere d’arte. Mi sento molto a mio agio. Un po’ meno con la gente. In genere non parlo con nessuno, dopotutto sono solo il custode.»
Però era venuto a parlare con lui, pensò Eren. Forse c’era stato davvero un interesse reciproco sin dall’inizio.
«Tu sembri proprio il personaggio di un libro. Insomma, lavori in un museo, ti piace l’arte. Scommetto che casa tua è piena di libri.»
«Ma tutti in ordine» chiarì Levi, bevendo lentamente dal suo calice. «Anche tu non sei da meno, comunque. Viaggi da solo per l’Europa alla ricerca di… di che cosa?»
Eren si strinse nelle spalle. Non voleva dare una risposta banale, voleva continuare a risultare interessante.
«Come dire… a casa mia ci stavo un po’ stretto. Non che fossi infelice, però ho sempre sentito il bisogno di andare oltre e quindi… quindi due mesi fa ho deciso di partire da solo, dopotutto ho già vent’anni. Ho visto tante cose e ho conosciuto molte persone. Finalmente mi sono sentito libero di respirare… Oh. Però oggi… è strano. Non mi capitava da tanto, ma per un attimo ho desiderato restare.»
E guardò Levi negli occhi. Non si considerava un romantico, non era bravo con quel genere di cose. Quindi poteva solo dire ciò che sentiva. Levi sentì le guance bruciare lievemente, ma era sempre bravo a mantenere il controllo.
«Stai andando in iperventilazione, Eren.»
«Io? Ah, figurati, sto bene!» mosse la mano, come per scacciare via l’imbarazzo. Ma nel farlo urtò il calice, macchiando la tovaglia di vino rosso.
«Merda! Cioè… che cavolo! Ho appena sprecato dell’ottimo vino, vero? Mi urgono dei fazzoletti di carta.»
Levi sgranò gli occhi, ma non parlò. Eren poteva avere il vanto di essere uno dei pochissimi ad avergli quasi causato una risata sincera. Una cosa per nulla scontata.
Vino sprecato a parte, la cena proseguì senza troppi intoppi. Parlavano sottovoce, c’era un’atmosfera molto intima, soprattutto quando, ad un tratto, rimasero solo loro. Hanji e suo marito Erwin li guardavano a debita distanza, commentando il fatto che quei due si fossero trovati nella città dell’amore e che Levi di sicuro avrebbe odiato quello stupido cliché da quattro soldi.
Eren, invece, aveva ripreso a respirare. Ma la voglia di restare non se n’era andata. Il giorno dopo sarebbe dovuto partire di nuovo, la Svezia era la sua prossima meta. Levi, che da Parigi non si era mai mosso, era rimasto colpito dai racconti dei suoi viaggi, dal suo grande bisogno di esplorare, andare oltre.
Quando poi la luce della candela si affievolì quasi del tutto, i due capirono che era arrivata l’ora di andare.
A quell’ora non c’erano treni, quindi Levi si offrì – in maniera molto poco diretta e poco chiara – di accompagnarlo fino al suo hotel da quattro soldi. Era stata una bellissima serata, peccato che fosse già finita.
«Dopo la Svezia, visiterò anche tutti gli altri paesi del nord. Mi piacerebbe vedere l’Aurora Boreale, sono sicuro che è uno spettacolo bellissimo. Certo, ogni posto mi ha sorpreso. Anche Parigi.»
«E cosa ti ha sorpreso tanto di questa città?» domandò Levi, camminandogli accanto e guardandolo con la coda dell’occhio.
Eren si fermò all’improvviso e ci pensò un po’ su.
«Beh… il cibo è molto più buono di quanto pensassi. E il vino mi piace. La torre Eiffel non è male, è piuttosto imponente. E poi…»
«E poi?» domandò Levi.
Eren lo guardò, sorridendo.
«Poi ho conosciuto il custode del Louvre, che sa tante cose e parla in un modo che lo ascolterei per ore» disse sincero.
La storia più vecchia del mondo, la loro. Si piacevano in modo palese, ma si erano appena conosciuti e non era certo fattibile l’idea di approfondire una conoscenza. Eren non era venuto per restare.
«Ma tu pensa. Mi rendo conto che, pur vivendo qui da sempre, c’è ancora qualcosa in grado di stupire anche me» ammise Levi.
Eren arrossì. Il cuore gli batteva nel petto come un tamburo.
«Oh, Levi. Attento, c’è un topo.»
Levi saltò su e si mise subito in guardia, ma dietro di lui. Quando sentì Eren ridere, gli diede una gomitata dietro la schiena.
«Sei un cretino.»
«Ahi, s-scusa! Però mi hai fatto ridere» ansimò, cercando di massaggiarsi il punto offeso. Levi si ricompose e gli disse piuttosto di sbrigarsi, poiché erano quasi arrivati. In effetti qualche minuto dopo, Eren era all’ingresso del suo hotel. Quello era il momento che aveva temuto per tutta la sera.
«Beh… eccoci qua. È stata una giornata davvero interessante. Un risvolto che non mi aspettavo.»
«Interessante, sì. Allora stammi bene, Eren Jeager, il viaggiatore solitario.»
Levi lo guardava dritto negli occhi. Eren ebbe per un attimo il desiderio di donargli un bacio d’addio. Invece sorrise.
«Stammi bene anche tu, Levi Ackerman, custode del Louvre.»
Ci fu un momento di tensione, un silenzio carico di rumore e parole. Levi sospirò e gli fece un cenno col capo, dandogli poi le spalle. Il giorno dopo sarebbe tornato al suo lavoro, con i suoi amati quadri. Ma scorgendo tra la folla non avrebbe visto Eren intento a scattare una foto, nessuno a cui raccontare dei quadri, con cui prendere un treno e con cui cenare in un ristorante a lume di candela. Qualcuno che avesse l’ardire di prenderlo in giro e ridere di lui.
«Levi!» gridò Eren, rimasto lì a fissarlo. «Il… il mio volo domani è alle otto e mezza del mattino. Penso che il mio viaggio nei paesi nordici durerà due settimane!»
Quindi se per caso ti passasse per la testa la folle idea di venire con me, saprai dove trovarmi.
Questo lo pensò senza dirlo. Levi capì il suo invito indiretto. Si voltò a guardarlo e fece un altro cenno con il capo, che non era né un sì, né un no.
Eren respirò profondamente e lo osservò allontanarsi. E poi sorrise. C’era qualcosa di emozionante nell’attesa e nel non sapere cosa avrebbe riservato loro il giorno dopo. Non sapeva se avrebbe rivisto mai più quell’uomo o se, al contrario, lo avrebbe ritrovato in aeroporto l’indomani. Ma di certo quella città e quella giornata se la sarebbe sempre portata nel cuore, così, come se fosse stata un bel sogno.

Nota dell'autrice
Se voleste partecipare a questa challege, qui trovare il
forum. Il prompt che usato è: 
Nella storia deve essere presente almeno una scena ambientata su un mezzo pubblico (a voi la scelta) + deve essere presente la spiegazione del significato di un quadro (a voi la scelta) + uno dei personaggi ha il terrore dei topi + deve essere presente una cena al ristorante + il finale deve essere aperto. Ben cinque richieste che spero di aver rispettato nel modo migliore. So solo che alla parola "quadro" in automatico il mio cervello ha pensato "Ereri". E "Parigi", perché da quando ho scritto Ecarlate, per me ogni AU Ereri va ambientata a Parigi. Erano anni che non scrivevo su questi personaggi, ma l'Ereri per me è una garanzia di felicità e ispirazione. E spero vi sia piaciuta, io onestamente ho amato scriverla.
- Nao.

 
   
 
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