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Autore: Elis9800    03/09/2022    2 recensioni
Kageyama Tobio è un geniale avvocato dal cuore di pietra.
Totalmente disinteressato a chi lo circonda, s’imbatte per puro caso in un medico dall’odioso sorriso perennemente stampato sul volto.
Quando una sistematica esistenza perfezionista e solitaria ne incontra una libera da schemi e sprizzante vitalità…
Un ferreo autocontrollo saprà resistere alle sconcertanti conseguenze dello scontro?
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[Future!AU]
[KageHina]
[side!BokuAka] [side!KuroKen] [side!IwaOi]
[14/15, epilogo in arrivo!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karasuno Volleyball Club, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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XIV

I discovered the Sun…
inside me





Bip…

Bip…

Bip…

Bip.

La flebile sinfonia cadenzata proveniente dal monitor di frequenza cardiaca opprimeva lo spazio racchiuso dalle sterili pareti bianche al pari di un’orchestra di ottoni.
L’apparente stasi rotta era periodicamente dall’affannato ansare dei pazienti, appigliati strenuamente alla mascherina dei ventilatori polmonari.

Se il pronto soccorso aveva rappresentato la causa principale del suo precoce esaurimento nervoso, la terapia intensiva non era poi molto lontana da quella realtà.

Sospirando tenuemente, Suga si fece strada lungo i corridoi soffusamente illuminati, progettati per cullare i residenti del reparto in un’illusoria atmosfera accogliente.
Peccato che la maggior parte di essi fosse totalmente incosciente.

Un caschetto biondo miele sbucato da una stanza laterale catturò la sua attenzione.

“Yacchan”

I movimenti della ragazza si arrestarono e gli occhi bruni si piantarono sul volto pallido del collega.

“Com’è la situazione?”

L’espressione già grave di Hitoka assunse una sfumatura cinerea.

“Male, Suga-san”

Violenti colpi di tosse turbarono il sottofondo altresì quieto.

“Ha ormai perso completamente la funzionalità urinaria e la febbre si ostina a non scendere”

Il respiro di Suga divenne pesante.

“Hanno iniziato le cure palliative, credo che nel giro di qualche giorno…”

Si interruppe, scoccando al senpai uno sguardo tristemente eloquente.

Koushi si passò stancamente una mano fra le ciocche argentee.

“È stato Hinata-kun a ordinare la sospensione dei farmaci” aggiunse sommessamente, provocando in Suga un guizzo sorpreso.

Uno sbuffo privo di gioia gli torse i lineamenti.

“Sta imparando, nonostante tutto”



 
***



“Hinata-sensei, Hirumi mi ha rubato di nuovo i pastelli!”
“Ehi, non è vero! Li ho solo usati mentre dormivi!”
“Fa lo stesso! Li hai presi senza permesso!”
“Non è giusto, a Kaoru-chan li presti sempre quindi perché a me no??!”
“Perché Kaoru-chan è gentile e carina, tu no” ribatté la bimba con sagacità, facendogli la linguaccia.

Le guance di Hirumi si tinsero di scarlatto.

“Sarai carina tu con tutte quelle macchie sopra il naso!”
Ryoko emise un oltraggiato strepito acuto.
“Sono lentiggini, ignorante che non sei altro! E per tua informazione sono carinissime, la mamma me lo dice sempre!”
“Certo, tua mamma ti direbbe anche che hai un bel carattere” commentò stizzito Hirumi.
“Anche Hinata-sensei dice che sono belle” aggiunse Ryoko con un ghigno soddisfatto.
“Non è così, Hinata-sensei?”
“Non mi interessa se tutti dicono che sono belle, sei solo un’antipatica che non fa altro che…”

“Hirumi-chan, Ryoko-chan, basta così”

I due bimbi si zittirono all’istante e voltarono il capo all’unisono.

“Ma io…”
“È stata lei che…”

“Silenzio”

Era piuttosto insolito che il medico si rivolgesse ai suoi giovani pazienti con tono tanto intransigente e ciò li spinse senza ulteriori esitazioni, loro malgrado, a chiudere obbedientemente la bocca.
Nemmeno un miracolo avrebbe però potuto impedire lo scambio di occhiatacce reciproche.

“Karou-chan sta dormendo, non vedete?”

Due paia di occhi imbronciati si spostarono sul lettino su cui riposava una piccola figura accoccolata su se stessa, una bambola dai lunghi capelli biondi stretta al petto.

Allargando gli occhi, Ryoko si tappò immediatamente le labbra con le mani, seguita da Hirumi che mormorò un contrito “Non ce ne eravamo accorti…” a testa bassa.

Shoyo esalò stancamente.

“Non fate quelle facce, su. Cercate solo di fare piano, va bene? E di non litigare per delle sciocchezze”
“Ma Hirumi ha…”
Ryoko. So che i pastelli sono tuoi ma li presti sempre a tutti i bimbi che conosci. Non credi di poter fare questa cortesia anche a Hirumi-chan?”

La bambina si mordicchiò il labbro, scoccando un’occhiata in tralice al compagno che ricambiò il cipiglio imbronciato.

“E va bene” spillò con enfasi, come se quelle parole gli fossero state forzatamente trascinate dalle gola.
“Ma la prossima volta deve chiedermi il permesso prima di usarli!”

“Certo, si domanda sempre prima di usare qualcosa che non è tuo, vero Hirumi-chan?”

Il bambino preferì non incrociare lo sguardo del medico, conscio del velato rimprovero, mugugnando soltanto un fioco “Vero”.

Un tiepido sorriso arricciò le labbra di Shoyo.

“Pace fatta?”

I due bambini si fissarono, iridi cerulee contro onice, per interminabili istanti prima di annuire con una serietà talmente solenne da strappare finalmente al medico un risolino silenzioso.

“Andate a riposare adesso, tra poco spegneranno le luci per la notte”

Hirumi si arrampicò sul suo lettino mentre Shoyo prese in braccio Ryoko e la depositò con cura sulle coperte, premurandosi di carezzare lievemente il moncone destro.

“Non vedo l’ora che sia domani Hinata-sensei, mia sorella ha promesso di portarmi un bellissimo regalo” sussurrò eccitata la bambina, fomentando inavvertitamente la curiosità del compagnetto.
“Ci giocheremo tutti insieme?” chiese sommessamente dall’altro lato della stanza, sfoggiando la migliore espressione pietosa del suo repertorio che, nonostante tutto, fece breccia nell’implacabile bambina.  
“Forse, se sarai carino con me” controbatté imperiosa, eppure Hinata giurò di poter cogliere una malcelata nota d’affetto.

Trattenendo un ghigno, approfittò di quell’attimo di tregua per congedarsi.

“A domani bambini, dormite bene” mormorò dopo aver accarezzato dolcemente le testoline di entrambi.

“Ti aspettiamo tutti qui per il solito controllo!” esclamò a bassa voce Hirumi.

Il lieve sorriso adagiato sul volto di Shoyo si congelò.

I suoi occhi nocciola dardeggiarono verso l’angolo sinistro della stanza.

Un materasso intonso, immacolato… ferì brutalmente il suo campo visivo.

Un lettino… che non avrebbe dovuto essere vuoto.

“Ti aspettiamo tutti”

. . .

Tutti.

Sì, avrebbe tanto desiderato che fossero tutti lì ad aspettarlo.

Tutti e quattro i suoi…

Soffocando un miserabile verso strozzato, si affrettò ad abbandonare la stanza.

II consueto sorriso brillante non reggeva più alla fragilità del suo cuore frantumato.



 
***



“Sapete dov’è Hinata? Da orario avrebbe dovuto essere in reparto ma non l’ho trovato… non c’è nemmeno nel suo studio privato”

Narita scosse la testa.

“Non l’ho visto uscire in anticipo e stamattina non ero di turno, quindi non so dirti”

“Si sarà nascosto in qualche sgabuzzino a dormire considerata la mancanza di sonno di cui chiunque in questo maledetto ospedale è affetto” bofonchiò Tsukishima, spingendo gli occhiali quadrati sul lungo naso.
“E perché mai infilarsi in un minuscolo ripostiglio quando in reparto ha la sua brandina personale?” obiettò Nishinoya, stravaccato con nonchalance sul divanetto della caffetteria, cieco alle occhiatacce periodicamente indirizzategli da Ennoshita.
“Perché lì sarebbe stato facilmente disturbato” replicò Kei con ovvietà.
“Non credo che Shoyo sia il tipo da ignorare i suoi doveri lavorativi” osservò pacatamente Yamaguchi.

“È esattamente il motivo per cui sto tentando di capire dove sia. Il suo turno iniziava questa mattina alle otto ma sembra essere sparito nel nulla a partire dalla pausa pranzo” spiegò Suga.

“Io l’ho adocchiato in ascensore nel pomeriggio mentre trasportavo il carico giornaliero di biancheria, non so se può essere utile” li raggiunse dal balcone la voce di Asahi tra una boccata e l’altra di fumo.

“Piuttosto, perché lo stai cercando?”

Koushi si umettò le labbra.

“Vorrei accertarmi che… non si stia sovraccaricando di lavoro” li informò un po’ ambiguamente.

“Anche se fosse, dubito che potrai distoglierlo da quello che si è messo in testa” snocciolò Tsukishima senza sollevare gli occhi dai documenti che stava visionando.
“Dovresti sapere quando abbandonare una causa persa”
“Vorrei evitare di incoraggiarlo, se possibile” sibilò l’infermiere a denti stretti, infastidito dall’implicazione del collega che si limitò a scrollare le spalle.
“Credo ti stia preoccupando più del dovuto, Suga-san. Hinata non è un bambino, è perfettamente in grado di badare a se stesso” deliberò aspramente.

Koushi non replicò.

Razionalmente parlando, sapeva che Tsukishima non avesse del tutto torto.

Solo che…

“Hitoka-chan!”

La briosa voce di Tadashi salutò l’ingresso della minuta ragazza bionda, che contraccambiò con un sorrisetto dolce.
“Ho finito in anticipo, ti stavo aspettando per tornare a casa” la informò allegramente.

“Uuuuh, avete un appuntamento romantico stasera?” tubò Yuu, arcuando maliziosamente le sopracciglia.
“È da settimane che aspettiamo l’occasione di far combaciare i nostri turni… quindi sì, stasera abbiamo programmi” rispose a tono Yamaguchi, pur combattendo per reprimere il rossore delle guance.
“Non invitate il caro Tsukki a unirsi a voi?” gongolò Noya ignorando l’occhiata assassina dell’interessato, tuttavia la vena di sarcasmo non fu colta da Tadashi che rivelò con nonchalance “Gli ho proposto altre volte di venire con noi ma ha sempre rifiutato” che ebbe l’effetto naturale di scatenare ancor più l’ilarità di Yuu e, suo malgrado, di Narita.

Estraniandosi dalla comica scenetta, Suga si rivolse alla nuova arrivata.
“Yacchan, per caso hai…”

“Sono stata con Hinata-kun fino a poco fa”

Il viso dell’infermiere si contornò d’apprensione.
“E dove…”

“In terapia intensiva. Ha trascorso lì tutto il pomeriggio” gli confidò mestamente.

Non fu necessario indagare oltre.

La fronte pallida di Koushi si aggrottò, mimando visivamente l’inevitabile torcersi del suo cuore, gonfio di impotente angoscia.



 
***



“Shoyooo! Noya, Narita e io stiamo andando a bere qualcosa! Domani è il tuo giorno libero, no? Vieni con noi!”

L’entusiasmo contagioso ma fin troppo rumoroso di Tanaka fu accolto da occhiatine truci da parte dei colleghi che transitavano lungo il corridoio.

L’oncologo si grattò distrattamente i folti capelli rossi.

“In realtà… non ho ancora terminato per oggi e…”

“Ho già controllato i tuoi turni con Daichi-san, oggi finisci alle sette. Non hai scuse” gongolò soddisfatto Ryuu.
“E poi” aggiunse celermente, cogliendo l’evidente esitazione di Hinata “Hai tutta l’aria di uno che ha proprio bisogno di staccare la spina”

Hinata trattenne a stento un sospiro sfibrato.
Si sforzò di arricciare le labbra in un sorrisino dispiaciuto.

“Ti ringrazio Tanaka-san, ma non ne ho molta voglia”

“Dai Shoyo non farti pregare, da quanto tempo non esci con noi? Noya inizia a sospettare che non ci trovi più fighi” proclamò con ostentata offesa.

“Lo sai che non è così…”

“E allora daiiii, vivi un pochino!” saltò su allegramente, avvolgendogli le spalle e trascinandolo in avanti.

Per sua sorpresa però, Hinata oppose una considerevole resistenza.

“Davvero, questa sera non posso”

Il magazziniere lasciò la presa e lo fissò con un’espressione sinceramente spaesata.

“Non avrai mica intenzione di fare nottata qui?” ironizzò, rimanendo tuttavia a bocca aperta non appena si accorse della serietà impressa nei lineamenti del medico.

“Shoyo, non credo che sia…”

“Non preoccuparti Tanaka-san, lo sai che sono sempre pieno di energie” lo interruppe però Hinata con un sorrisetto apparentemente complice.
“La prossima volta ti prometto che sarò dei vostri, Noya-san mi deve ancora due birre” scherzò affabilmente.

Sebbene la vista del solito spumeggiante Hinata riuscì a tranquillizzare parzialmente Ryuu, non fu sufficiente a eradicare del tutto il senso di ignota inquietudine gorgheggiante nel suo stomaco.



 
***



“Per oggi abbiamo terminato bambini! Ci vediamo domani con il seguito delle avventure di Dino il dinosauro!”

Un vivace parlottio seguì le parole di congedo della maestra e una decina di bimbi si alzò allegramente dalle sedioline che contornavano i tre tavoli rotondi al centro della stanza, saltellando verso l’uscita.   

Solo una bambina non si mosse, apparentemente immersa nella composizione di un puzzle colorato.

“Kaoru-chan, stai aspettando qualcuno?” le chiese gentilmente la donna dopo aver riordinato la classe, accovacciandosi accanto a lei.

“Mmh-mmh. Hinata-sensei mi viene a prendere per fare un controllo” la informò con un notevole cipiglio, intenta a far combaciare due pezzi particolarmente complicati.

Le sopracciglia della maestra guizzarono verso l’alto.

“Hinata-sensei? Ti ha dato un orario preciso per caso?”
Kaoru scosse la testolina.
“Mi ha detto solo di aspettarlo qui in classe”
“Dato che non è ancora arrivato rimango qui a…”

“Kaoru-chan, scusa il ritardo!”

Una voce trafelata li raggiunse dalla soglia, dove svettava una piccola figura in rosso.

“Buongiorno, Chisato-san! Scusami per averti rubato del tempo, mi sono trattenuto a parlare con i genitori di un bambino del reparto” spiegò unendo i palmi e inclinando il capo.
“Ma figurati, sono rimasta appena qualche minuto in più” rispose conciliante la maestra, per poi esclamare “È stato un caso fortuito beccarti oggi. C’è una cosa che devo darti”

Shoyo le lanciò uno sguardo interrogativo ma Chisato gli voltò le spalle e iniziò a frugare nella borsa da lavoro, sparpagliando sulla cattedra libriccini di fiabe e raccoglitori decorati.

“Pronta ad andare, piccolina?” si rivolse a quel punto alla bambina che sollevò finalmente la testa dalla sua opera d’arte, i grandi occhi scuri improvvisamente colmi di timore.

“Mi infileranno nella scatola con quei rumori spaventosi?” domandò con voce tremolante.
“Assolutamente no, niente risonanza magnetica. Oggi guarderemo il tuo torace con il gel trasparente” le rispose prontamente Shoyo, rassicurandola a vista d’occhio.
“Quello strano gel però è freddo” gli fece notare la bimba arricciando il naso.
“E la cosa che me lo spalma mi fa il solletico”
“Però in fondo ti diverti quando a farti il solletico sono io, non è vero?” scherzò Hinata con un sorrisetto eloquente e al “Non è vero!” della bambina le si avvicinò allungando minacciosamente le mani.
Karou scattò subito in piedi gridando divertita “Nooo, non mi prendi Hinata-sensei!” prima di sparire nel corridoio con un ultimo “A domani, Chisato-sensei!”

“Aspettami Kaoru-chan” rise Shoyo e si apprestò a  rincorrerla fuori dall’aula quando fu intercettato dalla voce della maestra.
“Aspetta anche tu, Shoyo-san”

Sollevò dalla cattedra una carpetta colma di fogli colorati e si avvicinò all’oncologo.

“Mentre l’altro giorno sistemavo i disegni dei bambini, sono incappata in uno che deve essermi sfuggito un paio di mesi fa”

Estrasse delicatamente un foglio lievemente spiegazzato.

“Ho consegnato tutto il suo materiale didattico ai genitori… ma hanno detto che questo potevi tenerlo tu” sintetizzò porgendoglielo.
“E sono certa che ti farà molto piacere” aggiunse con un lieve sorriso.
   
Le iridi nocciola di Shoyo si posarono sul disegno e, prima ancora che potesse afferrarlo, le mani gli si bloccarono a mezz’aria.

Trascorse qualche istante prima che, meccanicamente, riuscisse a reggerlo fra i palmi tremanti.

Inizialmente fu arduo distinguere i soggetti rappresentati in quella folla di figure che macchiavano il biancore con le loro tinte sgargianti.

L’elemento più riconoscibile era sicuramente il quadrato giallo sulla destra su cui svettava lo sbilenco ideogramma scuola.
Accanto al presunto edificio un folto gruppo di omini magrolini affollava quello che probabilmente rappresentava il cortile e, dai loro tratti scanzonati, sembravano divertirsi parecchio.

Le figure di maggior rilievo però erano due, allocate sul lato sinistro del foglio.

Un corpicino con un cappellino blu in testa e una macchia colorata sulla schiena, presumibilmente uno zaino, teneva un braccio puntato verso la folla e l’altro dietro di sé, la manina estesa verso un secondo individuo, alto e rivestito di bianco.
Una massa di rosso gli riempiva la testa.

“Credo proprio volesse descrivere il suo primo giorno di scuola”

La voce della maestra Chisato sopraggiunse in lontananza, completamente ovattata.

“Ha disegnato altri scenari in cui si trova assieme alla famiglia, ma questo è l’unico in cui ha dipinto se stesso in un atto futuro… includendo anche te”

Le labbra di Hinata rimasero serrate.

Si impegnò per non serrare i pugni attorno al foglio rischiando di sgualcirlo.

La mano del bambino ricercava l’attenzione della figura rossa, forse per conforto o solo in segno di saluto.
Sembrava volergli gridare orgogliosamente “Guardami, ce l’ho fatta! Eccomi nel mio primo giorno di scuola! Alla fine è arrivato anche per me!” mentre dall’altro lato inseguiva il contatto con i nuovi compagni, quasi a urlargli “Ehi, aspettatemi, ci sono anche io con voi!

Ingoiò a vuoto, la saliva ormai prosciugata nella bocca arida.

Una sequela di spasmodiche fitte al petto gli impediva una corretta respirazione.


“Dovresti farli sparire, Hinata”

“Non è consigliabile tenerli”

“Non puoi mica restare attaccato a queste cose in eterno”



“Grazie per il tuo pensiero… Chisato-san” fu in grado di mormorare.

La maestra continuò a sorridere pacatamente, fingendo di non accorgersi dell’inquietante sentimento imprigionato nelle iridi chiare del medico.

Quelle iridi ancorate sul foglio e, in particolare, sul bambino dal cappellino blu.

Il cappellino sulla cui cima svettava un unico ideogramma, distinguendolo dalla restante calca di figure ed ergendolo a protagonista della scena.

Akio.

Accanto a lui, il co-protagonista in rosso altri non era che…

Hinata-sensei.



 
***



“Buongiorno, Sudou-san! Super impegnata come sempre? E ciao anche a te, Ryoko-chan!” esordì allegramente Hitoka.

“Buondì Yachi, di corsa anche oggi” confermò la donna dai corti capelli corvini mentre si affrettava lungo il corridoio spingendo una sedie a rotelle verde fluorescente.
“Yacchan! È da tanto che non vieni a trovarci” ribatté la bambina seduta sulla carrozzina con tono palpabilmente offeso.

La ragazza dal caschetto biondo le rivolse un’occhiata sinceramente dispiaciuta.

“Lo so piccolina, in queste settimane mi hanno assegnata ad altri reparti e non ho mai avuto il tempo di passare”

“Vedi, Ryoko? Ti preoccupi tanto che Hirumi non ti vuole bene per il tuo brutto carattere, ma guarda quante persone tengono a te. Forse il motivo per cui ti fa così spesso i dispetti è un altro” presagì enigmatica Sudou.

La bimba arcuò le sopracciglia, piuttosto perplessa.
“E quale sarebbe?”

Hitoka ridacchiò, intercettando il filo dei pensieri della collega.

“Non è che per caso… ha una cotta per te?”

Ryoko strabuzzò gli occhi chiari.

“Che???! Ma per nulla! Non fa altro che prendermi in giro!”

“Proprio per questo, cara la mia Ryoko” rincarò la dose Sudou picchiettandole la fronte, fermando la carrozzina dinanzi alle porte dell’ascensore.
“Gli uomini sono dei sempliciotti, non sanno trattare con le ragazze e il più delle volte le indispettiscono per attirarne l’attenzione” spiegò saggiamente Hitoka.

“Non mi pare che Yamaguchi-san ti fa i dispetti” osservò Ryoko con una smorfia.

Yachi arrossì selvaggiamente.

“Tu… come…” balbettò confusa, scoccando alla senpai uno sguardo smarrito che ottenne come risposta soltanto una maliziosa risata.

“Tesoro, tutto l’ospedale sa della vostra relazione già da un pezzo. E concordo con la signorina Ryoko, Yamaguchi scodinzola non appena Yacchan appare all’orizzonte… ma si tratta di un’eccezione, tienilo ben a mente!”

Il suono dell’apertura dell’ascensore interruppe per un istante la sua accorata disamina.

“Per i bambini è naturale bisticciare come corrispettivo di affetto” spiegò pragmatica mentre posizionava la carrozzina all’interno.
“E se è vero che Hirumi te ne combina una al giorno…”
“Allora gli piaci sul serio” concluse Hitoka con un sorrisetto.

La bimba aggrottò la fronte con gravità, estremamente concentrata nelle sue mirabolanti congetture, per l’ilarità delle due donne.

Non si vedeva certamente tutti i giorni un esserino così piccolo eppur dotato di testarda intelligenza.

“Ma dice sempre che sono antipatica e che lo tratto male”

“Allora vorrebbe dirti che sei carina e che gli farebbe piacere trascorrere più tempo con te” tradusse simultaneamente Sudou, spingendo la sedia a rotelle fuori dal cubicolo non appena raggiunsero il secondo piano.
“Tu dove vai, Yachi?”
“In realtà sono in pausa, sto raggiungendo Tadashi che è di turno in reumatologia per fargli compagnia. Voi invece…?”
“Abbiamo fatto fisioterapia tutta la mattina e ora andiamo da Kinoshita-sensei per un controllo veloce, giusto testolina?”
Ryoko annuì solennemente.
“Ho quasi imparato a stare in piedi senza appoggiarmi al corrimano”

Hitoka sorrise raggiante e le accarezzò affettuosamente la guancia.

“Sei una vera forza della natura, non c’è dubbio”

“È un osso duro, mai conosciuto un bambino della sua età così determinato” confermò la fisioterapista, fermandosi nella sala d’attesa dello studio ortopedico dove manovrò la carrozzina accanto alla schiera di sedie grigiastre.
“Sei si mette in testa un obiettivo non c’è miracolo vivente che possa distoglierla. Sai quale è stata la prima cosa che mi ha detto quando ha iniziato il percorso riabilitativo? Voglio imparare a correre prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, non è incredibile?”

Hitoka guardò la bambina con profondo orgoglio.

“E la cosa più assurda è che potrebbe davvero farcela, non è così marmocchietta?” scherzò pizzicandole la punta del naso.

“Non mi sorprende più di tanto” osservò Hitoka sopprimendo un risolino al naso ostinatamente arricciato della bimba.
“II suo medico, nonché mentore di vita, è Hinata-kun”
Sudou emise un versetto di approvazione.
“In effetti cosa ci si potrebbe mai aspettare di diverso dai pupilli del raggio di sole del Karasuno?”

“Hinata-sensei sta male per caso?”

L’inaspettata domanda di Ryoko generò un moto di sorpresa nelle due donne, che la fissarono interdette.

“Non viene più ogni giorno nella nostra stanza… e quando lo fa, sembra triste”  

Hitoka ingoiò a fatica l’enorme sconcerto mentre scrutava gli occhi vispi della bambina.

Sebbene il comportamento a dir poco inusuale di Hinata fosse parecchio evidente, la pressante maschera che impediva ai suoi sentimenti di trapelare era ben congegnata.

Che una bimba di sette anni intuisse così facilmente il suo turbamento…

“Cosa posso fare per aiutarlo, Yacchan? Hinata-sensei si impegna tanto per noi quando stiamo male” indagò accoratamente e le sue parole provocarono una dolente stretta al cuore dell’infermiera.

Se solo chiunque di loro avesse potuto fare concretamente qualcosa…

Si inginocchiò davanti alla carrozzina.

“Hai ragione tesoro, ultimamente Hinata-sensei è un po’ giù di morale… ma prometto che si riprenderà in men che non si dica” tentò di rassicurarla.

La bimba tuttavia scosse cocciutamente la testa.

“Non voglio che torni quello di sempre se non si sente bene. Ce lo dice anche Hinata-sensei. La tristezza è un’emozione importante come tutte le altre e per questo va rispettata”

Un velo di gravido silenzio parve susseguire le parole della bambina nonostante il concitato brusio di sottofondo.

“Quando si sta male è normale piangere. Quando si ha paura è normale chiedere aiuto. Quando si è tristi è normale non sorridere” recitò Ryoko come una sorta di mantra.
“Hinata-sensei ce lo ripete spesso”

Prima che Hitoka riacquistasse la prontezza mentale per risponderle la porta dello studio medico si aprì, rivelando un ragazzo con una gamba ingessata e una stampella sotto il braccio accompagnato da un uomo in camicie bianco che gli reggeva gentilmente la porta.

“Oooh, e chi abbiamo qui oggi!” salutò giovialmente Kinoshita appena si accorse della piccola paziente che, fortunatamente, recuperò un’espressione piuttosto cordiale.
“Come stai piccolina?”

“Molto bene, sono piena di energie!”  rispose dondolando eloquentemente la gamba.

“Siamo venute per un controllino di routine. Oggi l’ho strapazzata e, anche se non avverte particolari segni di fastidio, vorrei controllare che sia tutto nella norma. L’ultima visita risale ormai a un mesetto fa” spiegò la fisioterapista.
“Certo Sudou-san, la faccio entrare subito” concordò l’ortopedico che comunicò rapidamente alle persone in attesa l’inserimento straordinario della giovanissima paziente, accolto positivamente all’unanimità.  

“Io vado allora, ci vediamo più tardi” si congedò Hitoka dai colleghi con un saluto della mano.
“E non preoccuparti Ryoko-chan, verrò a trovarti non appena possibile, okay?” promise alla bambina, già pronta ad aprir bocca per protestare.
“Per quando riguarda Hinata-sensei, invece… assicurati di stingerlo forte non appena lo incontri”

Ryoko incrociò i suoi occhi nocciola e, dopo aver metabolizzato il significato delle sue parole, annuì con impressionante fermezza.


Hinata-kun, se solo capissi quanto noi tutti siamo preoccupati per te” rifletté silenziosamente Yachi, voltandosi non appena il gruppetto si chiuse la porta alle spalle.
Se solo ti confidassi e smettessi di sgattaiolare sempre via, forse…

Esalando sconsolata, si incamminò verso l’ala di reumatologia, dove avrebbe trovato Tadashi ad attenderla con un sorrisetto elettrizzato sulle guance.


Non si accorse totalmente che, mimetizzato tra le fila di pazienti in attesa dell’ortopedico, si ergeva un’imponente figura con un berretto nero prepotentemente calcato in testa a cui, nel corso della loro conversazione, non era sfuggito nemmeno un singolo dettaglio.



 
***



Sospirando pesantemente, Hinata strascicò i piedi sulla vecchia rampa di scale, abbarbicandosi sul corrimano fino al secondo piano e armeggiando con le chiavi dinanzi alla serratura.

Un tubare entusiasta accompagnò l’aprirsi della porta, seguito da striduli “Shoyo, Shoyo!” che gli strapparono, suo malgrado, un sorriso.

“Sono a casa, Ai-chan”

I versetti aumentarono di tono fino a trasformarsi in uno starnazzare confuso a cui si sommò il rumore sordo di ferraglia sbattuta.

“Sto arrivando, non ti agitare così o ti farai male” lo rimproverò dopo essersi sfilato celermente le scarpe e aver raggiunto l’imponente voliera tremolante a causa dei colpi ripetuti della cocorita.

Un variopinto manto di piume si levò in volo non appena sbloccò il chiavistello, volteggiando per l’open space prima di posarsi leggiadro sulla sua spalla.

“Tornato, tornato!” gracchiò, beccandogli la guancia.

Shoyo gli accarezzò dolcemente le piume del capo, rilassando i lineamenti in un’espressione tenera.

“Sì, Ai-chan, sono tornato” mormorò, abbandonandosi poi a peso morto sul divano.

Era… semplicemente sfinito.

Ancorò le iridi al soffitto bianco puntellato da qualche sporadica fuliggine.

Lo stomaco avrebbe dovuto contorcersi per la fame, eppure pareva essersi ammutolito in uno stato di quiescenza.
I muscoli di tutto il corpo pulsavano indolenziti, sfibrati.
Le palpebre minacciavano di chiudersi sulle sclere venate di carminio.

Ciononostante, il suo cervello era immerso in un perenne stato di allerta, perfettamente lucido e vigile.

Non sapeva esattamente quante ore di sonno avesse accumulato nelle ultime settantadue ore, né tantomeno quante kilocalorie avesse ingerito.

Se al suo posto si fosse trovato un suo paziente gli avrebbe certamente dato una bella strigliata di capo.

Sbattendo lentamente le ciglia, indirizzò lo sguardo verso gli occhietti neri e vispi del pappagallo che incombeva sulla sua testa dalla spalliera del divano.

“Che devo fare, Ai-chan?”

“Che devo fare, che devo fare?” ripeté obbedientemente il pennuto agitando le ali.

“Già… che devo fare…”

Si coprì il volto con le braccia, pressandole finché le sue pupille scorsero macchie violacee sulle palpebre serrate.

“Chi può dirmi cosa devo fare…”

Il sussurro si perse nel silenzio, inglobato tra le pieghe di una notte priva di stelle.



 
***



“Shoyooo, ti ho portato uno spuntino!” squillò Noya sventolando sotto il naso del medico una busta ancora calda.  
“Nessuno ti ha visto in mensa a pranzo e ho pensato che non avessi avuto il tempo di mangiare! Devi nutrirti, Shoyo! Altrimenti mi svieni in reparto!” lo rimproverò con fervore.

Hinata abbozzò un sorriso alla premura fin troppo aggressiva dell’amico.

“Noya-san, non ti dovevi mica scomodare” lo ringraziò, accettando di buon grado l’offerta.

La risposta di Yuu tardò tuttavia ad arrivare.

Si soffermò ad analizzare il collega da capo a piedi prima di domandare con perplessità “Sei dimagrito per caso?”

Shoyo aggrottò la fronte e inclinò la testa.
“No?”

Noya di rimando arcuò le sopracciglia.

“O almeno non credo” si corresse scrollando le spalle, lanciando una distratta occhiata al suo corpo.

“Il camice ti sta un po’ largo” lo rimbeccò Noya incrociando le braccia al petto, incutendo un certo alone di timore nonostante la bassa statura.

Shoyo sbuffò, per nulla impressionato.
“Mi è sempre stato largo” constatò, appoggiando il sacchetto sulla scrivania.

Più largo del solito” enfatizzò l’infermiere, non cedendo di un millimetro.  

“Devo preoccuparmi, Noya-san? Se non sapessi che la tua cotta per Shimizu-san raggiunge vette colossali oserei direi che mi stai squadrando per bene” ammiccò eloquentemente.
Con un’esagerata smorfia, Yuu negò fermamente “Scusa Shoyo, ma non sei per nulla il mio tipo” per l’ilarità del medico… che però ebbe breve durata.

“Non ci vuole molto a notarlo comunque, hai le guance scavate” aggiunse implacabile, scoccandogli una penetrante occhiata che gli suscitò un distinto brivido lungo la schiena.

Non si sfuggiva facilmente agli sguardi di Nishinoya… e Hinata fu incapace di prolungare il contatto visivo.

“Forse un chilo o due, non di più” bofonchiò, improvvisamente incline a rassettare la caotica scrivania.

 “Forse” rimarcò Yuu, non staccando gli occhi di dosso dal medico nemmeno per un attimo.

“Non hai altro da fare, Noya-san? Che so, pazienti da trattare o una casa a cui tornare” ribatté a quel punto con tono velatamente piccato.

“Sì, io ho una casa a cui tornare”

Le mani di Hinata si bloccano a mezz’aria sopra a disparate cartelle cliniche.

“Sei qui da stamattina all’alba, non credi sia anche ora di staccare?”

“Ho ancora cose da fare” tagliò corto, sbattendo veementemente un raccoglitore colmo di documenti sul tavolo e producendo un tonfo sordo che riecheggiò tra le pareti.

Serrò gli occhi, inalando lentamente.

“E tu mi hai appena offerto la scusa perfetta per rimanere” scherzò alleggerendo i toni, occhieggiando la busta bianca.

Yuu lo fissò con disappunto per qualche secondo prima di scuotere rassegnato la testa.

“Se avessi saputo non ti avrei portato nulla” mugugnò, conscio purtroppo di aver perso la battaglia.
“Però devi mangiare tutto!! L’Hinata Shoyo che conosco io si divora pure i tavoli quando è affamato!”
“Lo farò, Noya-san” ridacchiò il medico.
“E non ritirarti troppo tardi! Parlerò con Daichi e sarà lui stesso a sbatterti fuori dall’ospedale se non mantieni la parola” gli intimò.
“Oggi fa il turno di notte quindi ha tutto il tempo per venire a prenderti a calci in culo”

Sebbene la minaccia fosse potenzialmente realistica, e certamente spaventosa, Hinata non vi badò più di tanto.

“Buona serata Noya-san, grazie ancora per la cena” lo salutò mentre il collega gli lanciava l’ennesima occhiata di rimprovero.

Rimprovero.

Aveva davvero raggiunto il colmo per farsi biasimare persino da Nishinoya.

Quando finalmente udì la porta chiudersi alle sue spalle, si permise di rilasciare uno stremato sospiro.

Era sfiancante continuare a indossare la consueta maschera cesellata in un brillante sorriso.

Odiava mentire ai suoi amici, ma desiderava davvero rimanere in solitudine.
Solo a cercare di… rimettere insieme i pezzi del subbuglio che gli macerava le interiora.

Si lasciò cadere sulla poltrona.

Sebbene non ne avesse molta voglia, convenne con se stesso che ostinarsi a non mangiare non fosse poi una decisione brillante.

Afferrò il sacchetto di carta e se lo portò davanti al naso.

L’inconfondibile aroma di carne gli ottenebrò improvvisamente i sensi.


“Ecco, io… immaginavo che stessi pranzando e… quindi ti… ti ho portato questi”

“Come facevi a sapere che fossi così affamato?È anche una bizzarra coincidenza che tu mi abbia portato i nikuman, uno dei miei cibi preferiti… non trovi?”



Una stilettata di vivida nostalgia si aggiunse alla pressione già onerosa sulla sua gabbia toracica.

Ricordava ancora il sapore di quei nikuman.

Teneri, caldi e soffici.
Ricchi di carne e aromi, in grado di rinfrancargli lo stomaco e l’anima.

Probabilmente a quella sensazione paradisiaca aveva decisamente contribuito la persona che aveva recapitato i paninetti a domicilio.

Strizzò gli occhi, tentando di svuotare la mente da ogni immagine ed emozione superflua.

Non aveva tempo anche per quello.
Non possedeva le energie materiali per soffermarsi sui suoi frantumati sentimenti amorosi.   

Pescando dalla busta un nikuman ancora tiepido, lo addentò e assaporò la carne tritata.
Eppure…

Nonostante il sapore gradevole, non fu capace di percepire la consueta gioia di una pancia piena.
Era come se il cibo non raggiungesse neppure lo stomaco ma si dissolvesse magicamente nel suo organismo.

Le energie che avrebbe dovuto ricavare, bruciate ancor prima di essere metabolizzate.


“Come è possibile che nonostante tutto il cibo che ingurgiti sei rimasto così piccolo?”


Un’irrefrenabile ondata di risolini isterici gli scosse il torace.

Non avrebbe dovuto ammetterlo né tanto meno pensarlo, però…

Però…

Gli mancava, quel cocciuto bestione.

Gli mancava…
Ma…

Gli faceva paura.

Una titanica, ridicola paura.

In quel momento, forse… come mai prima d’ora.



 
***



Fronte corrugata e dita premute contro le tempie doloranti dopo ore e ore di revisione, Tsukishima appariva incredulo.

“Ci deve essere un errore”

Il rumore di carta nervosamente sfogliata e il ticchettio frenetico sulla tastiera costituivano gli unici suoni dell’altresì quieto studio all’ultimo piano della struttura ospedaliera.

Gli occhi del direttore amministrativo si assottigliavano pericolosamente di minuto in minuto.

Pareva divorare con lo sguardo qualcosa di inconcepibile, controllando e ricontrollando pagina dopo pagina, grafico per grafico.

“Non può davvero aver…”

Con uno scatto si alzò dalla sedia, percorrendo a enormi falcate l’intero corridoio fino alla rampa delle scale.

L’espressione perennemente scocciata era stata sostituita da una palpabilmente irritata.

“Per colpa sua mi tocca anche fare degli straordinari non richiesti…”

Sfruttando l’altezza spropositata raggiunse il pianterreno in tempi record, dirigendosi con aria tetra verso l’ufficio del primario.

“Tsukkiii, che aria spaventosa hai, non è da te!”

Kei si sforzò vivamente di non roteare gli occhi.

“Non sono dell’umore, Nishinoya-san”

Per tutta risposta l’infermiere sogghignò “E quando mai lo saresti?” tuttavia non ottenne l’effetto auspicato poiché non solo Tsukishima lo ignorò totalmente ma continuò a galoppare imperterrito per la sua strada.

“Ohi, che ti prende Tsukishima? È successo qualcosa?”

Inutile menzionare che il personale del Karasuno fosse ormai avvezzo al carattere acidulo del giovane direttore amministrativo, che reputava il sarcasmo la sua lingua madre.
Una fretta scostante che lasciava trapelare una considerevole agitazione… cozzava malamente con il personaggio.

Yuu aggrottò la fronte, titubante alla vista dell’inquieto Tsukishima dirigersi frettolosamente verso…

“Daichi-san è in riunione al momento, non credo sia il caso di…” provò ad avvisarlo ma la mano di Kei aveva già ripetutamente e veementemente bussato alla porta dell’ufficio.
“Si può sapere che gli prende oggi? Sembra posseduto da qualcosa” commentò perplessamente  Noya, allontanandosi poi verso la stanza di un paziente.

Prima che Tsukishima potesse calcare nuovamente il pugno sulla superficie del legno questa si spalancò rivelando il volto ambrato e irritato di Sawamura.

“Non c’è bisogno di buttar già la porta, ci sento benissimo” sbottò scocciato, tuttavia appena si rese conto di chi gli torreggiasse davanti si bloccò, un’espressione sbigottita sul volto.
“Tsukishima? Come mai…”

“Ho bisogno di constatare una cosa, scusa l’interruzione” spiegò bruscamente entrando nello studio senza invito, trovandovi all’interno riuniti attorno al tavolo anche Shimizu, Ennoshita, Michimiya e Sugawara.

Ancora disorientato, Daichi raggiunse Kei e scambiò con i colleghi presenti uno sguardo piuttosto attonito.

Poggiando un file sulla scrivania, Tsukishima si schiarì la gola.

“Perdonatemi per l’improvvisa intrusione ma è una questione… come dire, urgente” sentenziò in tono indecifrabile.

Nonostante la consueta insolenza, Tsukishima non era solito mancare di rispetto ai propri superiori, soprattutto quelli verso cui nutriva una discreta stima.
Metodico e razionale, svolgeva le sue mansioni rispettando le scadenze, seppur non potesse certo definirsi uno stacanovista.
Vederlo piombare lì senza preavviso per una questione lavorativa era piuttosto… insolito.

Addirittura ai limiti del preoccupante, considerando la trepidazione stampata sui volti del primario e del caposala.

“Che è successo, Tsukishima?” lo incitò Ennoshita, invitandolo a prendere posto.

Le sopracciglia bionde di Kei si aggrottarono in un cipiglio severo.

“Come sapete, a fine di ogni mese mi occupo del bilancio degli straordinari svolti da ogni dipendente dell’ospedale. Purtroppo il lavoro è stato talmente oberante che ho dovuto rimandare il calcolo e i conseguenti pagamenti fino a questo momento, facendo così accumulare anche le ore delle prime settimane di dicembre”

Tsukishima procedeva meccanicamente, non lasciando trapelare una singola inflessione.

“Data la carenza di personale tutti sono stati costretti ad allungare i propri turni, chi più chi meno, ma i rispettivi monte orari finali rispettano teoricamente le stime ancora ritenute nella norma, anche se a mio avviso nella norma non sono affatto”

Si interruppe, afferrando il file stampato e ponendolo proprio davanti al primario, in modo tale che anche gli altri potessero consultarlo.
 
“Tutto al limite del regolare… tranne che in un caso”

Gli occhi scuri di Daichi si spalancarono tanto da schizzare quasi fuori dalle orbite.

“Quello di Hinata”

Le cifre riportate su carta erano orripilanti.

In un lampo, il viso di Suga perse ogni colorito.

“Sono convinto si tratti di un errore quindi sono venuto da te per controllare, Daichi-san” snocciolò Tsukishima il cui tono distaccato, per chissà quale bizzarro motivo, parve creparsi.  

“Non sarebbe umanamente possibile altrimenti” commentò Ennoshita che tuttavia scoccò un’occhiata preoccupata a Sawamura, la cui fronte era impossibilmente corrugata.

“Tutti i timbri di inizio e fine turno vengono trasferiti in copia digitale nel mio computer ma i cartacei sono trascritti nei registri generali e depositati negli archivi per tre mesi prima di essere eliminati” spiegò Kei.
“Se c’è stato qualche errore di trascrizione o di sistema possiamo verificarlo”

Daichi era già balzato in piedi per frugare nella mastodontica scaffalatura in metallo alle spalle della scrivania.

“Ma da dove sono spuntati numeri del genere…” rifletté Shimizu, facendo scorrere la mano lungo le cifre come se potessero rivelarle il fulcro dell’errore.

Accanto a lei, Koushi pareva trattenere il respiro.
Dall’entrata inaspettata di Tsukishima non aveva sorprendentemente ancora aperto bocca.

Dopo qualche minuto di febbricitante attesa, la voce di Daichi si fece nuovamente sentire.
“Ecco il registro di novembre e inizio dicembre, però non viene aggiornato da una settimana”
“Va bene lo stesso, basta solo osservare l’andamento generale degli orari per confutare l’assurdità delle cifre” tagliò corto Kei, trattenendo l’impulso di afferrare quel dannato registro e sfogliare forsennatamente le pagine.

Fortunatamente Daichi non perse tempo, barcamenandosi tra i vari profili medici fino a trovarsi dinanzi la scheda di Hinata Shoyo.

Scorse velocemente le pagine, le pupille nere saltellavano impazzite da una riga all’altra.

Non fu necessaria più di una manciata di secondi.

Le palpebre spalancate fino a dolere, lo shock palese sui lineamenti marcati.

Suga sentì una stilettata dritta al cuore.

Non ebbe la capacità di pronunciare una parola e toccò a Shimizu esclamare “Fammi vedere” e, dopo aver appoggiato il registro sul tavolo affinché i presenti potessero osservare, evidenziò con le dita quei numeri apparentemente illogici stampati nero su bianco.
Persino le sue iridi blu tremarono sconcertate.
“Ma come è possibile…” diede voce ai pensieri di tutti Michimiya, notevolmente provata.

Il massimo di ore straordinarie che il personale medico in media svolgeva settimanalmente si aggirava fra le quattro e le sei, sommate a turni dalla durata tra le otto e persino le dieci ore.
Gli straordinari di Hinata oscillavano tra le diciotto e le venti con un drastico peggioramento tra la metà di novembre e l’inizio del mese seguente.
Addirittura…

“Ci sono casi in cui non ha nemmeno timbrato per andare via, è semplicemente rimasto in ospedale” sussurrò Shimizu.
“E sono parecchi” sottolineò Chikara, studiando la cadenza quasi sistematica con cui l’oncologo non lasciava il posto di lavoro anche per quattro giorni alla settimana.

“Ma che gli passa per la testa? Sta sostenendo ritmi disumani!” esclamò accoratamente Michimiya.  
“Più che altro come abbia fatto nessuno a non accorgersene” borbottò Ennoshita.

Daichi si massaggiò le tempie, l’aria stanca accentuata dall’improvviso pallore che macchiava la  carnagione caffellatte.

“So che stai per fartene una colpa Sawamura, ma ti blocco in partenza dicendoti che non lo è” puntualizzò subito Yui.

Il primario però scosse la testa.

“Rientra tra le mie responsabilità accorgermi di ciò che non va tra i miei colleghi…”

“Sei stato oberato di lavoro Daichi-san, più di chiunque altro. Avremmo dovuto prestare maggiore attenzione noi a un’anomalia del genere” lo confortò Ennoshita.

Colui che era rimasto stranamente in silenzio prese finalmente la parola.

“Ha ragione, Daichi”

Suga non riusciva a staccare gli occhi nocciola da quei numeri neri che sembravano gonfiarsi, minacciando di inghiottirlo vivo.

“Non addossarti fardelli che non ti spettano. Se proprio qualcuno doveva notare qualcosa quello avrei dovuto essere io”

“Sugawara…”

“Sapevo che Shoyo avesse iniziato a trascorrere sempre più tempo in ospedale, era fin troppo palese. Ma non… non credevo fino a questo punto” esalò serrando le palpebre.
“Non ho voluto interferire perché ero convinto fosse in grado di gestire in autonomia ciò che sta affrontando… però adesso mi rendo conto che si sia trattato di un pensiero ottimistico” sibilò con una risatina amara.

“Di che stai parlando, Sugawara?” domandò Michimiya, visibilmente confusa.

Koushi tuttavia non ribatté.

“Ho cercato di essere flessibile con lui, però è arrivato il momento di fargli un discorsetto” commentò stancamente Daichi, scombinandosi i capelli.
“Qualcuno deve farlo smettere” concordò pragmaticamente Shimizu.

“Non credo manchi molto prima che si fermi da solo”

Le parole di Suga trasportavano un’alone di oscurità non da tutti compresa ma sicuramente recepita.

“Mi assicurerò personalmente che ritorni a casa alla fine di ogni turno, non c’è bisogno di ulteriori mobilitazioni. Almeno per il momento”
“Ma perché vuoi caricarti di quest’ingente responsabilità? Basta convocarlo qui esigendo delle spiegazioni” propose Yui.
“Non è un problema, davvero” replicò però seccamente Koushi.
“Grazie, Tsukishima, per averci subito avvertito di quella che poteva sembrare una falla ma che poi si è scoperta essere la realtà” si rivolse al collega ma fu colto in contropiede dalla sua espressione.

Kei non aveva aperto bocca da quando i registri erano stati esposti.

Nulla di cui sorprendersi naturalmente, era palpabile il suo perenne disinteresse nei confronti delle problematiche interne l’ospedale.

Eppure…

Eppure, nei suoi occhi dorati, si celava una sfumatura di sincero spaesamento.

Fin da quando era approdato al Karasuno, Hinata era stata la personificazione di una scheggia impazzita di buonumore, saltellante, fastidioso e pieno di sé come un pallone gonfiato.
Individualista fino all’estremo ma combinato a un animo stucchevolmente generoso.
Un connubio contraddittorio la cui formula appariva assurdamente vincente nel raggio di sole dell’ospedale.

Ma alla stregua di qualunque stella, la comparsa di sgraziate macchie scure sulla sua superficie era a dir poco inevitabile.

E Hinata, nel corso degli anni, ne aveva accumulata un’ingente quantità.  

Dapprima minuzie insignificanti, trasformatesi inesorabilmente in evidenti deformità.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, tali imperfezioni venivano abilmente celate per permettere al sole di continuare a rifulgere.

Tsukishima non aveva neppure il tempo materiale di accorgersi della loro esistenza che si erano già dissolte, lasciando il posto a una facciata apparentemente liscia e lucente.

Era dunque naturale ipotizzare che forse, in fin dei conti, quelle macchie solari non esistessero nemmeno.
D’altronde Hinata si mostrava come una forza inarrestabile, niente e nessuno sarebbe mai riuscito a tarpargli le ali.

Allora…

Tsukishima non era mica stupido.

Sebbene non sopportasse quel perenne buonumore e fosse intimamente intimorito dalla costante fame del medico nei confronti della vita stessa, ciò non significava che l’occhio non gli cadesse occasionalmente sul giovane oncologo.

E negli ultimi tempi, o addirittura negli ultimi mesi…

Qualcosa non andava.

Persino Tanaka e Nishinoya, non propriamente delle cime, avevano colto un inaspettato cambiamento.

Certamente non rientrava fra le sue mansioni accertarsi della causa del presunto malessere del medico.
Non gli riguardava e, onestamente, non poteva fregargliene di meno.

Semplicemente…

Era strano, non avere la solita molla impazzita fra i piedi tutti i santi giorni.

Una bizzarria capace di provocargli un’inspiegabile sensazione spiacevole in prossimità dello stomaco.

Chissà perché.



 
***



“Sono troppo contento che ti sia unito a noi, Shoyo!! Sembrano passati secoli dall’ultima volta che ci siamo visti!”

“Non hai tutti i torti” ridacchiò Hinata con tenue imbarazzo.

Se non avesse lasciato l’ospedale di sua iniziativa lo avrebbero letteralmente costretto con la forza.

Era ancora fresca la ramanzina di Suga che lo obbligava a prendersi la giornata libera e di non preoccuparsi per eventuali sostituzioni, pena una severa strigliata di capo direttamente da Daichi.

Per quanto improbabile, Shoyo ci teneva alla sua incolumità.

“Peccato che Kuroo è impegnato in clinica, sarebbe stata una bella rimpatriata” si lamentò Bokuto con espressione triste.
Akaashi gli accarezzò affettuosamente i capelli.
“Rimedieremo un’altra volta, non è la fine del mondo”
“Ormai è un’occasione unica avere Shoyo con noi!” rincarò imbronciato.

“Dai, non esagerare…” tentò di protestare debolmente il medico ma fu repentinamente travolto da tre occhiatacce fulminanti.
“Okay va bene, lo ammetto, mi arrendo! Avete ragione!” ritrattò ridendo, alzando le mani al cielo.

“Non rispondi più nemmeno ai messaggi” lo accusò velatamente Kenma da oltre il suo smartphone.
“Questo non è vero! Non potrei mai ignorarti, lo sai” si difese accoratamente spalancando gli impietositi occhi nocciola.

L’espressione imperturbabile di Kenma si incrinò, vittima di quello sguardo infido, e scosse rassegnato la testa.

“Stai imparando a essere sleale, i miei complimenti” commentò Keiji con un sorrisetto.
“Per quello basta e avanza Kuro” bofonchiò Kenma riabbassando celermente le iridi dorate sullo schermo.
“Non credo però che Kuroo sappia cosa significhi fare gli occhi dolci” replicò Akaashi e Kozume si lasciò sfuggire una smorfia.
“Ci prova… ma l’effetto è decisamente inquietante”
“Prova a copiarmi senza successo” gongolò orgogliosamente Bokuto.
“Beh, non c’è da sorprendersi. Potrebbe solo sognarsi degli occhioni come i tuoi” constatò Keiji.

Koutaro sbatté le palpebre, improvvisamente inebetito.

Dopodiché assunse un colorito rossastro e balbettò un incoerente “A-akaaaaashi” prima di stritolare il fidanzato con gli enormi bicipiti.
 
Hinata ridacchiò dei comici siparietti ormai abituali in casa Boku-Aka.

Gli erano sinceramente mancati.




“Sapete che mi ha contattato Teru l’altro ieri?”

La voce di Bokuto suonò distorta dal boccone di pizza che stava appassionatamente divorando.

Shoyo arcuò distrattamente le sopracciglia, troppo occupato ad accaparrarsi una fetta della sua margherita.

“Mi ha chiesto se in questi giorni ci andasse di uscire tutti insieme”

Il medico scrollò le spalle.
“Non è un problema” biascicò leccandosi le labbra sporche di pomodoro.

“Voleva esserne sicuro dato che l’ultima volta che ti ha visto Kageyama stava per azzannarlo”

All’udire il nome dell’avvocato i movimenti di Shoyo si arrestarono inconsciamente.

“Azzannare forse no, però sicuramente ha lasciato il segno” corresse Akaashi con malcelata malizia.
“Il povero Teru non sapeva che dire” sghignazzò Koutaro trangugiando un lungo sorso di birra.
“È raro vederlo a corto di parole, è stata una scena esilarante”
“Vero, ‘Kashi? Sembrava un cane bastonato”

“Ha chiesto se Shoyo fosse impegnato?” indagò Kenma con nonchalance.

Keiji gli scoccò un’occhiata eloquente.

“Impegnato con qualcuno” scandì lentamente, intercettando gli occhi nocciola di Shoyo che cercavano di evadere dalla discussione.

Bokuto si strofinò il mento con il palmo, impiastricciandosi di olio.

“Mi pare volesse sapere se Shoyo stesse con Kageyama”

Il suddetto interessato continuò a non sollevare lo sguardo dalla sua pizza, la cui punta pendeva tristemente verso il basso.

“E tu…?” lo incitò il fidanzato.
“Io gli ho risposto di non esserne sicuro” concluse Koutaro scrollando le spalle.
“Ho solo detto la verità, non è che abbia granché capito come stanno le cose tra loro due”
“Credo che nessuno di noi abbia afferrato il concetto” sibilò Kenma con enfasi.

“Non stiamo insieme, su questo non ci piove” ribatté seccamente il medico.
“E in fondo… non credo che lo siamo mai stati realmente”

Le sopracciglia di Akaashi si arcuarono esponenzialmente mentre Bokuto esclamava uno sbalordito “Ma vi siete frequentati per mesi!”

“Non è la stessa cosa”

Era chiaro che il medico desiderasse ardentemente sviare l’argomento.

Non che Akaashi lo biasimasse, aveva sempre prediletto la riservatezza in merito alla sua vita personale.
Tuttavia…

“Non capisco perché tu abbia voluto chiuderla”

Gli occhi di Shoyo guizzarono verso l’aspirante magistrato con evidente stupore.

“So che Kageyama è una persona macchinosa con cui non è semplice relazionarsi… ma avevo intuito ti piacesse anche per quello”

Kenma seguì l’interscambio con estrema attenzione.

“Non sei obbligato a raccontarci nulla ovviamente, vorrei solo comprendere meglio cosa ti abbia fatto scattare in quel modo” spiegò pacatamente.

Ricordava nitidamente la sera di inizio novembre in cui, durante una bevuta in uno dei loro pub preferiti, Shoyo, piuttosto alticcio e instabile, era praticamente esploso in un inveire scoordinato contro Kageyama, sbraitando quanto fosse ridicolo persino immaginare un’ipotetica relazione e che l’opzione migliore sarebbe stata quella di comportarsi al pari di due estranei.

Uno sfogo per lo più non accompagnato da opportune spiegazioni e susseguito da un preoccupante silenzio da parte di Kageyama perdurato quasi un mese, il che non faceva ben sperare sulla consensualità della discussione avvenuta al Karasuno quel fatidico pomeriggio di fine ottobre.

Akaashi conosceva meglio di chiunque altro la testardaggine di Kageyama e gli sbagli commessi sin da quando aveva incontrato il medico, a cui si sommava l’ostinazione del negare strenuamente la sua imbarazzante cotta pur dinanzi all’evidenza.
Ciononostante… riteneva che entrambi fossero stati in grado di rimodellare la loro relazione, in un modo o nell’altro.
Kageyama pareva abbastanza in pace con se stesso l’ultima volta che avevano affrontato apertamente l’argomento.

Sarebbe rimasto completamente all’oscuro di tutto se Kenma non gli avesse riferito, nel corso di una spinosa conversazione pochi giorni dopo lo scoppio di Hinata, che fosse accaduto qualcosa capace di scuotere intensamente il suo animo già provato.

Ciononostante…

Non comprendeva il legame tra un evento simile e la netta decisione di troncare ogni rapporto con Kageyama.

Il legale era impulsivo e iracondo, non crudele.

Dubitava che potesse pronunciare qualcosa a cui Shoyo non sapesse ribattere per le rime o avesse difficoltà a gestire.

A meno che…

Akaashi fissò il viso sfuggevole di Hinata, sopracciglia fini aggrottate e labbrino arricciato.

Cosa rappresentava Kageyama agli occhi del medico?

Quale era la vera ragione per cui aveva preferito allontanarlo nonostante il lampante desiderio di proseguire la loro peculiare frequentazione?
Temeva che lo reputasse un incapace e affossasse definitivamente il suo cuore martoriato?

Oppure…

“Non avevo la forza per affrontarlo”

Allargò le palpebre, sorpreso da quell’inaspettata rivelazione.

“Non è un periodo facile e… ho preferito staccarmi da ogni possibile fonte di stress”

“Beh, la persona che ti piace dovrebbe sostenerti soprattutto nei momenti più difficili” osservò schiettamente Bokuto.
“Se Kageyama ti rende la vita più difficile allora forse è un bene che vi siate lasciati”

“Koutaro, mi sorprendo della tua saggezza” commentò sinceramente Kenma.

“Si è comportato male con te, Shoyo?” domandò Akaashi con estrema serietà.

Gli mancava un tassello, un singolo pezzo di puzzle che risolvesse il meccanismo di quell’intricata situazione che gli sfuggiva dalla punta delle dita.

Kenma si era costantemente mantenuto sul vago, senza opportunamente riferirgli le parole del legale, forse perché in realtà nemmeno Shoyo le aveva precisamente confessate a così poca distanza dall’evento scatenante.

Keiji non voleva appesantire le già oberate spalle del medico.
Desiderava solo adoperarsi affinché un sincero sorriso spensierato potesse ricomparire sul suo volto, ma per conquistare tale obiettivo…

Doveva sapere.

Poiché aveva il bruciante sospetto che la risposta finale risiedesse proprio in quelle parole non dette.

“Non è che abbia commesso qualche errore…”

L’oncologo giocherellò con il bordo della pizza mangiucchiata.

“Semplicemente, non gli ho concesso l’occasione di sbagliare”

Kenma studiava Shoyo con un’espressione complicata, decisamente non sorpresa da un’affermazione del genere tuttavia nemmeno concorde.

“Per quale motivo sei così sicuro che sarebbe finita male?” indagò Bokuto, non convinto dalla spiegazione riduttiva.

“Perché la gente del suo calibro non spreca del tempo con uno come me” replicò duramente.

Kenma storse il naso, il suo disappunto palpabile.

“Potresti accordargli un po’ di fiducia, non credi? Avrà tanti difetti, ma non è uno stronzo doppiogiochista” dichiarò Koutaro per lo stupore di Akaashi.

Nonostante il suo noto buon cuore, non pensava che Bokuto considerasse Kageyama una persona meritevole di tanta stima.
Sorridendo lievemente, non trattenne l’impulso di appoggiargli la mano sulla coscia e stringerla affettuosamente, carezzandola con il pollice.

Shoyo sospirò rumorosamente.

“Non è questo…” mormorò a denti stretti.
“Lui è… forte. Ma veramente forte. Lo vedo come una roccia inamovibile e…”

Mi fa paura.

“Lo invidio” concluse trangugiando un lungo sorso della sua birra.
“Sono sicuro che potrebbe affrontare qualunque situazione ostica senza minimamente scomporsi. È distaccato e indifferente, mi fa proprio incazzare” proruppe con un lamento.

“Se solo avessi anche solo un briciolo della sua forza…”

Akaashi non aggiunse altro.

Gli ingranaggi del suo cervello avevano già iniziato a lavorare in autonomia.

“Heyyy, a proposito di forza” si intromise Bokuto, evadendo il discorso e troncando sul nascere il tossico desiderio di Hinata di ubriacarsi per continuare ad autocommiserarsi.

“Ho finalmente stretto amicizia con Iwaizumi, il ragazzo che si allena da me in palestra quasi ogni giorno. Fino a qualche tempo fa chiacchieravamo del più e del meno, è un tipo serio che non si sbottona facilmente, ma da quando gli ho preparato la scheda che l’ha aiutato a sollevarsi cento chili di braccia è diventato più socievole!” raccontò con vibrante entusiasmo.
“E ho scoperto che l’uomo che certe volte lo raggiunge dopo l’allenamento è il suo fidanzato! È proprio il tuo senpai, Akaashi! Quello super bravo!”

L’euforia di Koutaro strappò a Keiji un sorriso.

“Quindi hai conosciuto anche Oikawa-san?”

Per qualche singolare ragione, Hinata voltò di scatto il capo verso Bokuto, istantaneamente coinvolto nella storia.

“Più per i racconti di Iwaizumi che per un incontro diretto. Mi ha confessato che per il loro sesto anniversario sta organizzando una sorpresa, lo vuole portare in Sud America! Sta pianificando un viaggio di due settimane con i soldi messi da parte in questi anni, dato che per il lavoro di entrambi non si sono mai potuti spostare liberamente. Non è una figata?”
“Penso sia un progetto bellissimo, Kou”
“Ha anche in programma di regalargli un anello, mi ha pure mostrato la foto! Non avrei mai immaginato che un ragazzo così burbero nascondesse un lato romantico” gongolò.
“Si lamenta sempre di quanto Oikawa sia infantile, fastidioso e testardo ma in realtà è proprio innamorato perso”

“Da quanto Kuroo non ti fa una sorpresa, Kenma?” sogghignò malevolmente Akaashi in direzione dell’amico che replicò con uno sguardo impassibile.
“Da quando ha pensato fosse un’idea divertente regalarmi una mattinata allo zoo nel parco delle scimmie perché era convinto mi servisse una dose di avventura nella vita. Da quel momento in poi mi comunica puntualmente ogni regalo diverso da un videogioco”

Koutaro esplose in una risata sguaiata seguita dai più composti ma innegabili risolini di Akaashi.

Soltanto Kuroo avrebbe mai potuto considerare una buona pensata il costringere Kenma a interagire non con esseri umani, non con semplici animali… ma con delle scimmie.

“Come fai a conoscere Oikawa-san?” si intromise a quel punto la voce di Shoyo, screziata di fervida curiosità.

Akaashi si schiarì la gola.
“È stato un mio senpai all’università, un anno di corso avanti al mio. Non ci frequentiamo spesso ma quando capita di incontrarci scambiamo volentieri quattro chiacchiere. È un tipo pomposo che sa come manipolarti per i suoi fini, ma se lo prendi per il verso giusto è piuttosto gradevole” lo informò.

Shoyo rifletté per qualche istante.

“L’ho sentito nominare qualche volta da Kageyama…”

“Ovvio, lui ne è ossessionato” appurò francamente Keiji.

“Però…”

Un sorrisetto malizioso gli curvò le labbra a cuoricino.

“Non credo lui abbia la più pallida idea della sua relazione. Scommetto si è convinto del fatto che sia single per scelta”

“Single, Oikawa-san? È praticamente una vita che sta con Iwaizumi-san, sono inseparabili fin da bambini”
“È sapere comune” confermò Kenma con un cenno di assenso.

“Non per tutti direi” sbuffò il medico scuotendo la testa.

E lui che si era pure preoccupato di un’ipotetica tresca tra quei due…

“Bo l’ha scoperto da poco a dire il vero” lo consolò Keiji.
“Pensava fossero buoni amici…”
“Ehi! Che ne potevo sapere io, Iwaizumi ha un carattere riservato!” si difese Koutaro incrociando le braccia al petto.
“Beh dai, si intuisce quando due si piacciono” snocciolò pragmaticamente Shoyo.
“Raccontagli com’è che hai capito fossero una coppia” ghignò Akaashi e persino Kenma nascose un sorrisetto dietro lo smartphone.

Bokuto mise il broncio ma borbottò comunque un sommesso “Si stavano limonando duro davanti l’ingresso della palestra…” che strappò a Hinata una sfrenata risata genuina.

Se solo Kageyama ne fosse venuto a conoscenza.
Poteva già immaginarsi quei lineamenti impettiti traboccare per lo shock.


Uno squillo improvviso ruppe l’atmosfera scherzosa.


Kenma, Bokuto e Akaashi condivisero il medesimo sguardo trepidante.

Era ormai tarda serata.
Nessun amico o familiare si sarebbe mai azzardato a scomodare nessuno.

Ad eccezione di…

Il volto sorridente di Hinata si tramutò in una lastra di ghiaccio.

Afferrò immediatamente il cellulare abbandonato sul tavolo.

Suga🤍

Esisteva soltanto un motivo che potesse giustificare la chiamata del collega alle 23:37 della giornata che lui stesso aveva insistito si prendesse di riposo.

Una ragione sufficiente a mandare in blocco il suo sistema cognitivo.

Indugiò sul display con un’espressione estraniata per parecchi secondi prima di appoggiarlo all’orecchio e sussurrare un fragile “Pronto”.





Rantoli affannati.

Fiochi singhiozzi strozzati.

Una calda luce soffusa che rischiarava parzialmente la stanza bianca, accentuando l’inquieta penombra disseminata tra i macchinari.

I paravento turchesi disposti a semicerchio racchiudevano un lettino in cui era adagiato un bambino pallido e gracile, dall’aspetto pressoché esanime.

Un semplice cappellino blu gli ornava la cute glabra.

Le palpebre erano socchiuse, le iridi vacue.

Sembrava lottare contro il desiderio irrefrenabile di soccombere all’oblio.

Il corpicino tremante era stato avvolto da pesanti coperte colorate su cui era distesa una donna giovane, probabilmente sulla trentina.
Carezzava dolcemente la guancia scavata e sudata del bambino, un gesto calmo e cadenzato che accompagnava il lento e inesorabile scorrere delle lacrime sulle sue gote ceree.
Un uomo dall’espressione stremata era inginocchiato accanto al cuscino e reggeva la manina bluastra del piccolo con la sua.

Suga e Hitoka stavano in piedi, immobili accanto ai monitor dei segni vitali.

In silenzio…
In attesa.

Ormai, non c’era più nulla che si potesse fare.


Un sussurro tremolante si levò dalla stasi.

“Mami…”

La donna dai capelli raccolti in una treccia scombinata si accostò ancor di più al suo visino.
“Dimmi, amore mio”

“Canti… la canzoncina…”

Non riuscì a terminare la frase, vinto da un’indomabile stanchezza che, assieme alla febbre,  comprometteva le sue capacità mentali.

Un panno fresco tentava di regalare un po’ di sollievo alla fronte ardente, mosso delicatamente dalla mano gentile del padre.  

“Certo tesoro” rispose fiocamente la mamma, intonando una melodia armoniosa intrisa di buon umore.

Il bambino abbozzò un sorriso, rasserenato dalla voce intonata tanto da accennare qualche minino movimento del capo.

“Vuoi che rimetta il tuo anime preferito?” domandò sommessamente Hitoka dopo alcuni minuti di placida tranquillità.

Prima ancora che potesse tentare o meno di replicare, la porta della camera si spalancò bruscamente.

“Akio-chan?”

Descriverla come una magia poteva apparire inopportuno in un contesto simile, eppure fu proprio ciò che accadde nel corso dei secondi successivi.

Il bimbo sbatté lentamente le palpebre e una vivida scintilla guizzò nelle iridi spente.

Si arrischiò persino a sollevare il dorso dal materasso, con scarso successo, ma ciò non lo frenò dall’esclamare con quel fil di voce che gli restava un entusiasta…

“Hinata-sensei!”

Il viso teso di Shoyo si aprì in un sorriso a dir poco accecante.

“Scusami per aver fatto tardi, Akio-chan”

Il bimbo inclinò appena la testa.

“Ti aspettavo” esalò con un sorriso che gli illuminò il volto slavato…

E accartocciò il cuore sanguinante dell’oncologo.

“Si sieda qui con noi, Hinata-sensei” si inserì pacatamente la madre, battendo la mano sulle coperte.
Negli occhi scuri vitrei di lacrime si poteva discernere una sconfinata riconoscenza.

Shoyo replicò con un piccolo scatto delle labbra verso l’alto e si posizionò alla destra di Akio, dal lato opposto rispetto a dove era sdraiata la donna.

“Perché non si accomoda anche lei, Harada-san? Deve essere spiacevole rimanere lì, qui c’è spazio per entrambi” si rivolse al padre le cui ginocchia premevano sul pavimento freddo.
L’uomo tuttavia fece segno di diniego.
“Sto bene così, non si preoccupi”

Shoyo non si ostinò a persuaderlo.

Ogni genitore aveva il proprio modo di scortare i figli sulla strada del dolore.
Alcuni sentivano la necessità di condividere il loro stato d’animo e il loro aspetto, rasandosi i capelli e le sopracciglia per raggiungere un’empatia maggiore con i propri bimbi, altri eliminavano ogni forma di comfort dalle proprie vite per sperimentare anche in minima parte un assaggio della sofferenza vissuta dai figli.
Sembrava che Harada-san rientrasse nella seconda categoria.

“Hi…Hinata-sensei…”

L’attenzione del medico si rifocalizzò immediatamente sul piccolo paziente.

“Dimmi, Akio-chan”

“Guardiamo… l’anime… assieme…?”

“Certo” rispose dolcemente e Hitoka si mobilitò prontamente per connettere la tv a Netflix.
“Che episodio vuoi guardare?”

Akio vagò con lo sguardo per un po’, tanto da lasciar intendere di aver nuovamente perduto lucidità, ma all’improvviso mormorò “Quando il… piccolo… gigante… salta in alto…”

Shoyo sorrise.

“Il nostro preferito allora”

“Hinata-sensei… mi…”

Ma non ci fu bisogno di ulteriori parole.

La mano di Akio si contrasse impercettibilmente in direzione del medico, un piccolo movimento captato immediatamente dai suoi occhi attenti.

Un baluginio colorato si sovrappose inaspettatamente a quella visone straziante.

Un disegno spiegazzato in cui tra svariate macchie colorate spiccava una mano rosea rivolta verso una figura dai capelli rossi, tesa e spalancata per ricercarne il contatto o forse per scambiare un semplice saluto.
Poco importava.
Desiderava unicamente… essere riconosciuta.

Fu quella stessa mano, gracile e fredda, ad essere saldamene afferrata da quella sottile e tiepida di Shoyo, per non essere abbandonata più.
 
Difficilmente Akio sarebbe riuscito a cogliere il significato di quel gesto o tantomeno ricondurlo alla brama da lui stesso espressa nel disegno.

Ciò che maggiormente contava era la sua espressione serena, contenta di stringere fra le dita il calore costante e rassicurante del suo Hinata-sensei.



Shoyo non seppe quantificare il trascorrere delle ore di quella notte.

I respiri boccheggianti che talvolta si tramutavano in versi agonizzanti scandivano i minuti, lenti e inesorabili.
Le dita dell’oncologo che tamponavano le frequenti epistassi nasali ormai incontrollate.
L’instancabile mano di Harata-san che non smetteva di asciugare l’eccessiva sudorazione della fronte e del collo, sostituendo di tanto in tanto la pezza fradicia con un nuovo panno umido.
Le labbra della mamma che scoccavano incessanti bacetti sulle guance.
Le parole concitate dell’anime sportivo che costituivano un tiepido sottofondo e che talvolta erano intercettate dalla sua mente annebbiata.  
Il suono cadenzato e sempre più fioco del monitor cardiaco.

La voce di Shoyo, che non cessava nemmeno per un istante di cullarlo dolcemente.



“Hinata…sensei”

Dopo un imprecisato periodo di apparente calma, il debole pigolio di Akio richiamò tempestivamente l’attenzione dei presenti.

“Mami… papi…”

“Sì tesoro” replicò subito la madre, stringendosi quasi al limite dell’impossible al corpo del figlio e imitata dal padre, che gli accarezzò incoraggiante la nuca.

“Non ve l’ho detto prima… i miei giochi… dateli a Ryoko… Kaoru e… Hi..hirumi…”

Una selvaggia ondata di gelo travolse le viscere dei tre adulti accoccolati all’esangue creatura.

La donna si avvalse di tutte le forze rimastegli per sopprimere i singhiozzi che minacciavano di sconquassarle la gabbia toracica.
“Non parlare così amore…”

“Le macchinine… a Ryoko che… vuole sempre… correre…”

Premette debolmente la mano dell’oncologo che avvicinò tanto il viso da far collimare la punta del suo naso contro quella del bambino.

“Certo Akio-chan, la renderai felicissima. È una spericolata, lo sai che vuole diventare una pilota di Formula Uno?” gli svelò con aria complice e il bimbo fletté a stento le labbra.

“Mhh-mmh…è tanto speciale…”

Si interruppe per riprendere fiato e Shoyo gli carezzò amorevolmente la guancia destra.
“Non sforzarti, non c’è bisogno di…”

“Sai, Hinata-sensei… volevo i tuoi capelli”

La mano del medico si pietrificò, inerme come se fosse reduce da un’ustione.
I timpani riprodussero il battito amplificato e sconnesso del suo cuore.


“Il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”


“Volevo che… una volta ricresciuti… diventavano rossi come i tuoi”

Controllati.
Respira.


“Sono bellissimi…”

Controllati, stai calmo.
Non sentire.
Non provare emozioni.


“Il rosso è… i…il mio colore… preferito…”

Non puoi crollare adesso.

“Però… non hanno… fatto in tempo”

Non ne hai il diritto.

La manina si disgiunse a fatica dalle dita dell’oncologo e puntò verso l’alto, in direzione di…

“Posso toccare…?”

Inghiottendo un rovente grumo di saliva, Shoyo violentò il suo volto in un sorriso.

Chinò la testa e prendendogli dolcemente la mano la guidò sui suoi ciuffi color carota.

“Sono morbidi, Akio-chan? Ti piace la sensazione?”

Le dita del bambino si ancorarono alle ciocche e le strofinarono lentamente, tastandone la consistenza.

“Mmh-mhm”

Era strano.

Accarezzare il capo glabro dei bambini era sempre stata una sua prerogativa.
Un piccolo gesto che infondeva sicurezza e conforto, capace di vincere il terrore della solitudine.
In quel frangente, i ruoli apparivano invertiti.

Era Akio che stava cercando di rincuorarlo?

“Vorrei giocare con te, Hinata-sensei…”

Anche io.
Non sai quanto.


“E con mami… e papi…”

Lo desideriamo tutti noi.

“Però… ho tanto sonno…”

La presa sui suoi capelli divenne tremolante, il respiro sconnesso e affrettato.

Non provare emozioni.
Tu non esisti.
Esiste solo lui, il centro del tuo mondo è lui.
Non azzardarti a smettere di sorridere.


“E sono stanco…”

“Amore mio…”
“Akio…”

“Io… io non voglio…”

“Akio-chan”

Il bambino ancorò le pupille sbiadite agli occhi nocciola del medico.

“Non preoccuparti di nulla, Akio-chan. La tua mamma e il tuo papà sono qui accanto a te. Non sei da solo. Non ti lasceranno mai. Io non ti lascerò mai”

Serrò nuovamente con forza le dita attorno alla mano del bambino, stroncando il nascente moto di panico che minacciava di esondare.

“Sono sempre qui per te, va bene?” sussurrò con un sorriso talmente dolce che le lacrime silenziose  della signora Harata raddoppiarono il loro corso.

E Akio, piccolo, tenero Akio…

Ricambiò il sorriso con le ultime forze che gli rimanevano in corpo.


Shoyo non seppe mai cosa mimarono le sue labbra mentre le palpebre si richiudevano placidamente sulle sclere.

Non riuscì a cogliere il senso di quegli ultimi pensieri fantasma.

Percepì soltanto che la debole presa della manina fredda avvinghiata alla sua…

Si era completamente disgiunta.


“Akio”

Il sussurro della signora Harata proruppe spezzato.

“Akio!”

Il ritmato e meccanico bip era scomparso.

Al suo posto, una statica linea retta troneggiava sul monitor nero, emettendo un costante fischio acuto.

“Il mio bambino… il mio bellissimo bambino…”

A quel punto, non esisteva più nulla che frenasse la sua caduta libera.
Non c’era più nessuno a cui trasmettere la propria forza.

I singhiozzi della madre di Akio traboccarono terribili e distorti mentre stringeva il figlioletto morto fra le braccia e nascondeva il viso sul suo petto immobile.
Accanto a lei, il marito si nascose il volto con le mani, spalle scosse dai singulti che avevano finalmente ricevuto il permesso di rivelare al mondo la loro presenza.


Era… tutto finito.


Shoyo si alzò meccanicamente dal letto.

Contemplò la straziante scena davanti ai suoi occhi per qualche altro interminabile minuto prima di voltarsi lentamente.

Hitoka era rimasta lì, occhi lucidi pregni di cordoglio.

Non proferì parola ma provò a toccargli il braccio, se per fermarlo o regalargli qualche sorta di conforto non era ben chiaro, tuttavia Shoyo si sottrasse veementemente.

L’ombra del sorriso indirizzato ad Akio aleggiava ancora sul suo volto cristallizzato, un invadente e beffardo ingombro grottesco.

Uscì dalla stanza impregnata dall’essenza del trapasso e incominciò a camminare freneticamente lungo il reparto scarsamente illuminato.

Doveva disfarsene, e alla svelta.

Doveva rinchiudersi in uno spazio buio, in solitudine.

Doveva razionalizzare che Akio, il suo dolce Akio, non…
Non c’era più.

Era morto.

Morto, morto come le decine di bambini che lo avevano preceduto.

Morto a soli sei anni, inerme fra le sue braccia, mentre lui…

Annullava se stesso e la sua struggente agonia per scoccargli un ultimo sorriso.
Un sorriso che potesse accompagnarlo con serenità nel transito verso la non esistenza, irradiando ogni angolo oscuro e scacciando la tentacolare paura malignamente insinuata nell’ombra.

Mentre lui…


“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”


Mentre era lui, che desiderava ardentemente scomparire nel nulla!


“Nel tuo lavoro la morte è inevitabile, Hinata”

“Non puoi pensare di affezionarti a questi bambini o non ne uscirai mai vivo”

“Hai bisogno di maggiore distacco”

“Non puoi permetterti di struggerti per ognuno di loro, lo capisci?”



Lui, costretto ad assistere impotente all’ultimo respiro dei bambini a cui donava tutto se stesso!
Lui, che si annientava per rimanergli vicino nelle ultime settimane di vita!
Lui, il cui amore sconfinato non era altro che una condanna a morte!

Non poteva crollare.
Non poteva permetterselo.

Respira.

Non ne aveva il diritto!

Respira.

Akio-chan era morto.

Lui…

Controllati e respira, controllati e respira.
Non puoi crollare, non puoi crollare, non puoi crollare.


Glielo devi.

Lo devi ai suoi genitori, a cui è stata mutilata parte della loro anima.
Lo devi agli innumerevoli bimbi che hai visto morire davanti ai tuoi occhi.


Non si accorse della voce che invocava il suo nome o dell’infermiere che si apprestava allarmato nella sua direzione.

Devi solo sorridere.

Non è diverso dalle altre volte.
Non è più traumatico.
È la stessa storia che si ripete, ancora e ancora e ancora…


Né tantomeno registrò l’ombra di una figura imponente che si dirigeva verso di lui…

Non provare niente.
Non sentire niente.

Almeno finché non andò a sbattervi con tutto il corpo.

Il contraccolpo gli causò la perdita dell’equilibrio e solo fortuitamente non si ritrovò con il sedere sul pavimento.

Il suo cervello era in stand-by, assolutamente vuoto.
Riuscì a malapena a inquadrare delle gambe lunghe e un torso snello vestito di nero.

Sollevò stralunato la testa, pronto a biascicare qualche sterile scusa per poi correre lontano, in un luogo solitario per ricomporre il suo sé frantumato in milioni di pezzi.

Le sue pupille misero a fuoco un volto.

Un viso… familiare.
Lineamenti duri e scolpiti, occhi blu mare, portamento altero.

No.

Sbatté le palpebre.

Cosa…?

Che significava?
Che ci faceva lì…?

Un tremito incontrollabile si impadronì delle sue membra.

Non doveva trovarsi lì.
Non doveva essere lì ad assistere al patetico tentativo di contenere il suo imminente breakdown.

Non…

Con gli occhi strabuzzati e la bocca dischiusa, Shoyo testimoniò con orrore la presenza di Kageyama nel reparto di terapia intensiva, a meno di un metro di distanza.

Provò a mettere in funzione le corde vocali ma non un singolo suono gli fuoriuscì dalla laringe.

Ebbe la sensazione di scorgere Sugawara in lontananza.

Stava gesticolando?
Voleva comunicargli qualcosa?

Shoyo non seppe dirlo.

L’unico individuo su cui riusciva a focalizzarsi nonostante la vista annebbiata da un velo acquoso era Kageyama.
La sua altezza spropositata, la sua aria arruffata, il suo sguardo gel…

Aspetta.

Gelido?

Lo era sul serio?

Respira.

Guarda meglio.


Il viso del legale non mostrava freddezza.

Quegli occhi blu, impetuosi come il mare, rivelavano un’intensa e genuina…
Preoccupazione?

Kageyama era allarmato?

Respira.

Perché?

Respira.

Per chi??

Non avrebbe dovuto sentirsi schifato?
Doveva reputare ributtante una scena pietosa come quella, no?

No???!!

Non si accorse che il tremore del suo corpo era giunto a livelli tali da farlo a malapena reggere sulle gambe.

Respira.

Akio…

Akio…

Akio…

Kageyama avanzò cautamente di qualche passo.

Le sue mani grandi ed eleganti si contrassero nervosamente, come se avesse desiderato afferrare qualcosa di intangibile.
Come se avesse agognato posizionarle in un luogo proibito.

Akio…


“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”

“No. Non di qualcuno. Li ricordo tutti”



Akio è morto.


Rei.

Dayu.

Amane.

Eiji.

Ginko.

Sanjiro.

Megumi.

Yusuke.

Kazuma.

Akihito.

Urako.

Isabel.

Oda.

Sumiko.

Isao.

Takashi.

Kanjiro.

Matsuo…


Sono tutti morti.

Non li rivedrai mai più.



Continuò a fissare il volto assurdamente espressivo, sì proprio così, espressivo di Kageyama.

In quegli occhi perennemente artici… poteva specchiarsi in un’infinita gamma di emozioni.

Apprensione, sollievo, sgomento, confusione.

Tuttavia, fra tutte…

Quegli occhi ardenti sembravano volergli sussurrare un timido ma risoluto…


Fidati di me.


Shoyo non pensò.
Non era bravo a pensare.

Agì semplicemente d’istinto.

Lo stesso istinto che l’aveva guidato a intraprendere una carriera eccessivamente onerosa per la sua fragile sensibilità.
L’istinto che l’aveva sempre incoraggiato a distribuire il suo unico cuore fra decine di bambini trasformatisi troppo presto in silenziosi cadaveri.
L’istinto che l’aveva spinto a conservare gelosamente ogni singolo disegno o oggetto che i suoi piccoli pazienti gli avevano donato nel corso degli anni.

E quella volta, il suo istinto lo incalzava a…

Un singhiozzo acuto gli graffiò la trachea.

Portandosi le mani alle tempie, tra i capelli che Akio aveva accarezzato con le sue gracili dita, le difese di Shoyo si sgretolarono.

Strizzò gli occhi umidi e…

Un gemito disperato eruppe dalle profondità del suo animo.

Si raggomitolò su se stesso, incapace di reggere il proprio corpo, incapace di muoversi dall’asfissiante peso delle sue responsabilità, incapace di sottrarsi ai suoi sentimenti dirompenti.

Incapace di sfuggire alla disperazione che la morte di Akio aveva scatenato, trascinando con sé i decessi di tutti i pazienti che Shoyo era stato impossibilitato a sventare e urlando i loro nomi a pieni polmoni.

Gemette incontrollatamente finché due braccia salde non gli avvolsero la schiena, impacciate, timorose di un possibile rigetto.

Shoyo però non esitò.

Si lanciò a capofitto in quel petto forte, sprofondò il viso nella maglietta nera e…

Semplicemente, pianse.

Si abbandonò a un pianto irrefrenabile e liberatorio che mai si era concesso nel corso della sua carriera medica.
Un pianto costantemente negato poiché fermamente convinto di non meritare un simile comfort.

Il lusso di cedere al suo immeritato dolore.



Non parlarono.

Non ve ne fu la necessità.

Kageyama strinse a sé lo scricciolo rosso per tutto il tempo, carezzandogli timidamente i capelli morbidi e aspettando pazientemente che esaurisse le lacrime.

Trascorse quasi un’ora prima che si accasciasse sul suo torace in uno stato di semi incoscienza, finalmente esausto.

A un certo punto, un sussurro aprì un varco nell’immobilità della quiete circostante.

“Grazie, Kageyama”

Gli occhi nocciola venati di porpora ma luccicanti come stelle si immersero in un paio di occhi del color dell’oceano in tempesta.

“Grazie per avermi prestato la forza di lasciare andare”





Ripensando al rocambolesco svolgersi degli eventi, probabilmente Jun aveva avuto ragione sin dall’inizio.


“Sai… io non credo sia possibile rimanere soli. Lo so che non sono la persona più adatta per dirlo,  ma ciascuno di noi… ha bisogno di qualcuno accanto a sé”


Se non avesse messo in pratica i suoi consigli passati, non avrebbe mai contatto Akaashi.


“L’ultima volta in cui ci siamo visti, io… l’ho ferito”
 
“Ah, questo cambia le cose. Beh, dovresti farti perdonare… anche se dalla tua faccia penso che tu non sappia come fare, giusto?”
“Perché non gli fai una sorpresa? Potresti presentarti sotto casa sua all’improvviso!”
“Non avete conoscenti in comune a cui poter chiedere? Oppure potresti spiegare la situazione a un suo amico. Sono sicuro che capirà. L’importante è mostrarsi sincero del tuo pentimento”



Gli doleva tangibilmente ammettere la sua ottusità, ma dialogare con il senpai si era rivelata la soluzione ottimale.
Non solo parlare a cuore aperto aveva offerto stimolanti spunti di riflessione, gli aveva anche consentito di saggiare la profondità del suo legame con Akaashi-san.  

Tobio aveva incessantemente dimostrato un atteggiamento restio nel considerarlo un vero amico, ostinato nel ferreo rispetto delle regole da lui profilate secondo cui un saldo rapporto umano non solo era completamente superfluo bensì non compatibile con la sua persona.

Dettami bellamente distrutti dal traumatico incontro con Oikawa-san, le cui inattese e sconcertanti rivelazioni lo avevano condotto a riconsiderare integralmente il suo tossico approccio vitale.

Telefonare al senpai era stato uno dei primissimi gesti intrapresi dopo un paio di giorni di completo blackout cognitivo da quella fatidica serata.
Il migliore, presumibilmente.

Akaashi si era confermato la costante figura pacata e conciliante, pragmatica nelle raccomandazioni e cauta nella divulgazione, zelante a rintracciare i contorti fili del suo ragionamento e perspicace nei silenzi imbarazzati che impedivano al legale di esprimersi in maniera adeguata.

Un amico, insomma.   

Ironico che senza il provvidenziale intervento di Oikawa-san non sarebbe nemmeno giunto a una conclusione talmente lampante.

In fondo, però, Oikawa aveva sempre simboleggiato il suo punto di partenza.

Spettava a lui il diritto, e chissà, forse anche il dovere, di porre fine al Kageyama Tobio unanimemente noto fino a quel momento al piccolo e grande pubblico affinché si spianasse la strada a un Kageyama rinnovato e, auspicabilmente, migliorato.


“Fai finta di non avermi mai conosciuto, okay? Consideralo solo uno spiacevole incidente di percorso. Non dovrebbe essere difficile”


Ribaltare la propria idea su Oikawa e Akaashi aveva indubbiamente rappresentato l’esito migliore che si potesse realizzare, altrimenti Tobio avrebbe effettivamente prestato ascolto a quell’idiota di un medico.




“Come sapevi che mi avresti trovato lì?”

La voce di Shoyo era sommessa, ancora modicamente rauca dal perdurante sforzo compiuto.

“È stato Akaashi-san ad avvisarmi” rispose quietamente Tobio, studiando la figura del rosso seduta a gambe incrociate davanti a sé, sguardo rivolto verso la tazza di ceramica verde che si rigirava fra le mani, verosimilmente per ricercare un barlume di tepore.

Il cielo ancora buio e la panchina in ferro battuto del parchetto dell’ospedale su cui erano accoccolati emanava una sensazione artica alla sola vista.

Tobio avrebbe insistito per restare al chiuso, ma non volle frenare l’esigenza di una boccata d’aria fresca del medico.
Era stata una lunga nottata.

“Akaashi-san?” echeggiò Shoyo, increspando le sopracciglia in un’espressione di tenue confusione.

Il legale si grattò i capelli scuri, trattenendo un sospiro.

“Mi ha telefonato prima di mezzanotte. Mi ha sorpreso, non immaginavo mi contattasse così presto, avresti dovuto rimanere con loro ancora per un bel pezzo…” si arrestò, percependo la penetrante  occhiata interrogativa del rosso prima di avvistarla.

Soppresse a fatica un lamento rassegnato.

“È da qualche settimana che mi tiene aggiornato. Su di te, intendo” borbottò goffamente.

Si costrinse ad ignorare il bruciante rossore di cui le sue orecchie erano preda.

“Volevo… volevo soltanto sapere come stavi. Come te la passassi, ecco. Così mi ha promesso di informarmi, di tanto in tanto. E mi ha assicurato che avrebbe… sondato cautamente il terreno, per capire… il tuo giudizio nei miei confronti”

Le iridi nocciola di Shoyo erano incollate al viso del legale, incredule e rapite dall’inaspettato resoconto.

“Sei stato… piuttosto chiaro su come ti sentissi riguardo alla mia presenza l’ultima volta che ci siamo visti, quindi non volevo oltrepassare il limite… almeno direttamente. Akaashi-san mi ha suggerito di aspettare, di darti del tempo. Per questo non ti ho scritto. Non mi sono… d-dimenticato di te”

Era un record che Tobio riuscisse a recitare un discorso tanto arzigogolato sul proprio sentire impappinandosi soltanto una volta.

A Shoyo sarebbe scappata una risatina se il cuore non gli battesse furiosamente contro il petto.

Kageyama non si era dimenticato di lui?
Che intendeva…

“Ti ho pensato. Spesso, a dire il vero. All’inizio… non mi capacitavo del motivo. Mi ero convinto che tu avessi ragione, la nostra conoscenza equivaleva a una perdita di tempo. Che non fossimo davvero… compatibili. Che le tue parole avessero perfettamente senso. Tu eri un debole e con la tua mentalità infantile mi avresti unicamente trascinato verso il basso”

Un sussulto inconscio scosse il torace di Shoyo a quell’asserzione schietta e pungente.
Non potè evitarlo.
La ferita era ancora troppo fresca.

“Ma non era vero” si corresse frettolosamente.
“Per tutto questo tempo, io… ho sovrapposto una visione della vita che credevo vincente alla mia, senza però rendermi conto che… non esistesse”

Sospirò rumorosamente.

“Io… faccio ancora fatica, a comprendere le persone. Non riesco a distinguere i loro diversi stati d’animo e soprattutto… non so bene cosa siano, i sentimenti. Sentire per la prima volta qualcosa di simile a ciò che provo per te, non fa altro che mandarmi il cervello in subbuglio e…”

“Cosa provi per me, Kageyama?” lo fermò bruscamente Shoyo.

Le mani erano serrate attorno alla tazza, il fumo proveniente dal liquido bollente gli offuscava il viso pallido.
Gli occhi erano due magneti infuocati.

“Io… non so spiegarlo con certezza. Non ho un termine di paragone” mormorò, la frustrazione evidente dalla voce mista a un sottotono genuinamente abbattuto.

“Ciò che posso dire è che non te ne vai mai dalla mia testa. Non importa quante volte ti scacci, ritorni sempre con quel tuo stupido sorriso. La tua risata a volte mi riecheggia nelle orecchie quando meno me lo aspetto. Sei un idiota patentato, ma quando faccio qualcosa di stu… cioè, di inadeguato, sento la tua vocina che mi rimprovera e mi suggerisce il da farsi. Sei ovunque cazzo, non riesco a liberarmi di te!” sbottò furente.

Il medico aveva la bocca spalancata in un innegabile stato di tentennante sbigottimento.

Doveva prenderlo come un complimento o piuttosto…?

“Sei… impossibile. Non ti dà fastidio il mio brutto carattere e se ti disturba qualche atteggiamento lo tolleri e cerchi anche di aiutarmi a correggerlo. Sei un… concentrato di energia, quando sono con te ho voglia di fare qualunque cosa. Sei…”

Cazzo, cazzo.

Si morse il labbro, sopprimendo il desiderio di imprecare ad alta voce.


“Ognuno di noi ha il diritto di crollare. Non puoi essere costantemente perfetto, per quanto tu lo voglia”
 

“Sei una cazzo di forza della natura. Ho creduto per tanto tempo alle parole che ti ho vomitato contro durante il nostro primo incontro, ma poi… poi mi sono accorto che si trattasse soltanto di un modo di vivere di cui… ignoravo l’esistenza. Quando ti ho visto sorridere ai bambini del reparto e trattarli in quel modo… ho realizzato che fosse quello il veicolo della tua forza. L’energia vitale che trasmetti loro giorno dopo giorno per… facilitargli il percorso ospedaliero”


“Mi sono fatto coinvolgere troppo”


“Il problema è che… non sai quando fermati. Non riesci a gestire l’accumulo e finisci per isolarti senza chiedere aiuto a nessuno. In questo… siamo piuttosto simili”

Inarcò la testa verso il cielo, osservando le nuvole rischiararsi e il manto notturno tingersi di azzurro scuro.

Hinata era assolutamente incapace di metabolizzare il carico emotivo dei suoi pazienti e ne veniva  
sopraffatto.

A differenza di Oikawa-san, non aveva trovato una sana forma di equilibrio che gli permettesse di non sovraccaricarsi del dolore periodicamente assorbito dai bambini terminali, costretti a trascinare un fardello esageratamente gravoso per le loro esili spalle.  

Tuttavia, senza un’opportuna valvola di sfogo, una disastrosa implosione era l’unico esito pronosticabile.
E, dati gli ultimi eventi, verificabile.

“Akaashi-san mi ha avvisato della chiamata improvvisa che hai ricevuto e mi ha spiegato sommariamente la situazione. Avevo intuito la gravità del tuo malessere, però… non fino a questo punto” mormorò lentamente.

Il violento collasso di Hinata aveva rischiato di mandare definitivamente in tilt il suo già compromesso sistema nervoso.
Assistere impotente ai singhiozzi sconquassanti dello scricciolo aveva comportato l’impiego di un livello di autocontrollo spaventoso, impossibile persino da immaginare.

Il viso di Hinata era nato per sorridere, non per riempirsi di lacrime strazianti.

“Mi ha chiesto lui di raggiungerti. Ha detto che, fra tutte le persone che ti sono amiche… fossi l’alternativa migliore”

Si lasciò andare a un sogghigno pregno di amarezza.

“Anche se non ho la più pallida idea del motivo”


“Adesso è il momento di smettere di fingere. Sono qui per questo, non credi?”


Sarebbe stato parecchio figo impersonare il nobile ruolo di Iwaizumi-san…
Tuttavia, era consapevole si trattasse esclusivamente di una mera fantasticheria.

Un tiranno non aveva il diritto di trasformarsi nell’eroe della storia.  

“Oh, io credo di sapere la ragione”

Il sussurro appena accennato di Hinata gli offrì il coraggio necessario per fronteggiarlo a viso aperto…
Ma il suo cuore spasmodico mancò una sequela di battiti.

Le labbra del medico erano piegate lievemente all’insù e i suoi occhi parevano riflettere un oceano di disparate e disperate emozioni.

“Kageyama, non smetti mai di sorprendermi” dichiarò con una flebile risatina.
“La prima volta ti ritrovo davanti l’ingresso di casa, poi ti intrufoli nel mio reparto e adesso nel bel mezzo del corridoio della terapia intensiva. Sicuro di non essere il mio stalker?”

Le guance di Tobio si incendiarono istantaneamente.

“Idiota, c-che vai blaterando? Non ti ho assolutamente…”

“Mi piaci, Kageyama”

Senza nemmeno avere il tempo materiale di afferrare il senso della frase, una morbida pressione atterrò sulla sua bocca.

Fu un tocco leggero, tenero e… fugace.

Prima di accorgersene era già svanito.

“Mi piaci perché sei forte, dai l’impressione che niente e nessuno possa scalfirti, anche se ciò non combacia sempre con la realtà. Sei indipendente, non ti fai condizionare dal giudizio altrui e prosegui dritto per la tua strada… ma certe volte sei goffo, ingenuo e manipolabile come un bambino” ridacchiò, punzecchiandolo bonariamente.

“Sei testardo come un mulo e non ti tiri indietro davanti a nessuna sfida… comprese le corse sulle scale per stabilire chi tra i due fosse il più veloce” ricordò nostalgicamente.
“E soprattutto” sottolineò con estrema risolutezza…

“Non sei una causa persa”

I grandi occhi di Tobio scandagliarono la sua espressione, insicuri ed esitanti.

“Sei autoritario, su questo non ci piove, ma non crudele. Ti sei convinto di doverlo essere per guadagnarti il podio. Hai creduto ciecamente che non esistessero strade alternative al raggiungimento del medesimo risultato. Adesso, invece… hai iniziato a intravederle”

Le prime luci dell’alba tersero le iridi nocciola di Hinata fino a tramutarle in pozze di miele dorato, fulgide al pari di due stelle.

Reggerne lo sguardo si rivelò un’impresa straordinariamente ardua.

“È stato specialmente merito tuo” mugugnò il legale, gote scarlatte per le imbarazzanti ammissioni.

E di Oikawa, per avermi letteralmente disintegrato ogni certezza esistente.


Trascorsero un paio di minuti in quieto silenzio, cullati dal vispo cinguettio degli uccelli indaffarati ad omaggiare il nuovo giorno, lasciando penetrare e fermentare le rispettive confessioni.


“Non smettere mai… di sentirti vivo”

Non smettere mai di emanare luce.

“Come?”

“Tu…”

Mi hai stravolto l’esistenza.

“Sei un punto di riferimento… per tutti coloro che ti circondano”

Sei un fottuto sole, cazzo.

“Quando ti ho visto in ospedale, spento e privo di spirito…”

Rivoletti di sudore inumidirono il tessuto a contatto con la sua schiena.
Ormai stentava a rintracciare le parole adatte.

Inalò un’abbondante quantità di ossigeno, recuperando la dose di coraggio essenziale per spillare…

“Quello che voglio dire è che… è normale non… n-non essere perfetti, una volta tanto”

Se avesse puntato lo sguardo su Hinata avrebbe avuto l’occasione di assistere alla personificazione dello shock.

Quello era Kageyama?
Il Kageyama Tobio che conosceva… aveva appena pronunciato un’affermazione tanto improbabile??


“Mi hai ferito, Kageyama. Mi hai davvero ferito e… ho paura che mi ferirai molte, molte altre volte”

“So come sei fatto e so che avresti provato repulsione per uno come me!”



“Mi dispiace” aggiunse, espressione seria e determinata.
“Per averti dato l’impressione che confidarti con me fosse impossibile, anche se… in realtà non avevi tutti i torti. Mi sono comportato da idiota. E poi…”


“Certe volte penso a come sarebbe stato più semplice non averti mai incontrato quella fottuta mattina!”


“Non lo pensavo davvero. Quello che ti ho urlato in preda alla rabbia. Al contrario…”

Cazzo, Tobio, sputa il rospo.
Per una volta nella vita, sii schietto e sincero con questo casino di cosiddette emozioni che ti ballonzolano in corpo.


“Rompermi il braccio e aspettare per ore al pronto soccorso del Karasuno… non è stato poi così male”
 
Okay, a quel punto poteva ufficialmente autocombustionare sul posto.

Shoyo era semplicemente…
Attonito.

Esterrefatto, ma decisamente…

Un sorriso cristallino tornò a impreziosirgli le gote e, illuminato dai raggi solari che trapelavano tra i grattacieli, sembrava emanare luce propria.

Felice.

Solo qualche ora prima era riverso sul corpo morente del piccolo Akio, traboccante di senso di colpa, dolore, impotenza, rabbia, autocommiserazione.
Sarebbe servito del tempo per incollare insieme i cocci della sua stravolta coscienza.
Eppure…

Un’ondata di autentica felicità gli cinse gentilmente le membra, sprigionando un rasserenante tepore verso ogni singolo anfratto della sua anima.


“C’è tanta luce dentro di te, Kageyama”


Gli occhi di Tobio dardeggiarono sul rosso, sopracciglia aggrottate in una smorfia di palese scetticismo.

I tiepidi raggi solari lo avevano raggiunto, inglobandogli il capo corvino in un caldo bagliore.

“Potrà essere nascosta. Potrai non accorgerti di possederla. Potrai persino non capire come sfruttarla pienamente…”

Si accostò al corpo del legale, rizzandosi sulle ginocchia per equipararsi al livello del suo viso.

“Ma è racchiusa dentro di te. Vive… e ti illumina da dentro” dichiarò sommessamente, picchiettando un dito contro il suo petto, in corrispondenza del cuore.

“Smettila di rappresentarti come un tiranno senza possibilità di redenzione, perché non è così. Le persone che ti vogliono bene non lo pensano sul serio. Io, non lo penso”

Il sole nascente divorò completamente il volto di Shoyo, esponendolo al chiarore del giorno e permettendogli di sfolgorare a tutto tondo.

“Vuoi sapere perché ne sono certo?” domandò, disegnando ghirigori distratti sul suo giubbotto.

Si avvicinò fino a sfiorare la punta del naso di Kageyama.

“I tuoi occhi brillano mentre mi guardi”

E con ciò, chiuse lentamente lo spazio fra i loro corpi.


Kageyama si sentiva… intorpidito.
Paralizzato.

Non sapeva cosa fare, non sapeva come comportarsi, non sapeva cosa fosse giusto provare.

Hinata lo stava baciando.
Hinata aveva posato la bocca morbida sulla sua, suggendogli occasionalmente le labbra.

La sgradevole pressione bollente in prossimità dello stomaco…

Era un’emozione?

Era normale?

Perché si sentiva così?

Perché avvertiva le sclere umide e formicolanti?  

Perché il battito cardiaco gli era schizzato impazzito in gola?

Perché il suo corpo stava tremando senza il suo consenso?

Hinata gli aveva garantito che…
Anche dentro di lui…
Ci fosse…

“Hai capito, Kageyama?” sussurrò, disgiungendosi a malapena dal contatto.

“Puoi abbandonare il mantello da re quando ci sono io nei paraggi”
    
Una singola, silenziosa lacrima solcò la guancia accaldata di Tobio.

Le labbra di Shoyo furono pronte a inghiottirla e a depositarsi nuovamente sulla sua bocca, abbandonando frettolosamente sul terreno la tazza che ancora gli ingombrava la mano.


“Era come se un calore sconosciuto si stesse espandendo da dove io e Bokuto collimavamo, un calore confortante che non avevo mai sperimentato prima d’ora. Capii che si ripeteva ogni volta che Bokuto mi accarezzava o stringeva a sé. Era come se quel calore lo emanasse proprio Koutaro. Il mio nervosismo, la mia repulsione per il contatto fisico… erano spariti, con lui”


“Certe volte mi domando cosa farei se non mi fossi accanto”
“Sei forte, lo sai. Riusciresti ad andare avanti comunque”
“Mi sembrerebbe di annegare senza di te”
“Te l’ho già spiegato. Non puoi fare mica tutto da solo”

“Sei la mia roccia, Hajime”
“Lo sei sempre stato”



“Sai… io non credo sia possibile rimanere soli. Lo so che non sono la persona più adatta per dirlo,  ma ciascuno di noi… ha bisogno di qualcuno accanto a sé”


Fu come se un’inaspettata scarica elettrica dissolvesse le pesanti catene che costringevano ancora Tobio alla totale immobilità.

Affondò le mani tra i capelli rossi di Hinata, chiuse gli occhi e…

Scegliere il da farsi fu all’improvviso sorprendentemente facile.

In quel bacio tentò di convertire il suo rocambolesco e incoerente sentire, le sue paure più recondite e disdicevoli, le sua viscerali incertezze.
Cercò di riversare il suo desiderio bruciante assieme alle innumerevoli contraddizioni, convogliando in un unico atto viscerale l’estenuante e straziante epopea che in quei mesi li aveva resi protagonisti.

Un piccolo gemito sfuggì alle labbra di Shoyo percependo la foga che aveva magicamente impossessato il legale, la cui lingua richiedeva imperiosamente il suo legittimo accesso all’interno della sua bocca.

Forse, dopo ben ventisei anni…
Era finalmente riuscito a svelare il mistero che si celava attorno a quelle emozioni.

Un sorrisetto infantile gli contornò le labbra umide e affannate.

Non era poi così necessario comprenderle con la logica.

Semplicemente, bastava abbandonarsi consensualmente al loro dirompente fluire.

Nascondendo a stento un risolino per quella manifestazione perentoria, Shoyo decise di lanciare alle ortiche ogni prudenza.

Si arrampicò sul bacino di Tobio e gli circondò il collo con le braccia, mordicchiandogli giocosamente il labbro inferiore mentre gli avvolgeva le gambe sui fianchi.

Non volendo naturalmente rimanere indietro, Tobio posizionò saldamente le mani sulla vita di Hinata e se lo strinse al petto, inebriandosi della fragranza di pesca proveniente dai quei capelli vaporosi.

Non fu un bacio disperato.

Alla disperazione era già stato concesso abbastanza spazio affinché potesse essere espletata.

Ciononostante…

Shoyo strattonò i capelli corvini finché il legale non fu costretto a curvare la testa, svelando il collo pallido che implorava maliziose attenzioni.

Fu decisamente affamato.

Tobio allargò le palpebre, impreparato alle labbra del medico lungo la sua giugulare e sicuramente colto alla sprovvista dai denti che si infilzarono sulla mandibola, strappandogli un guaito involontario e provocando in Shoyo un ghigno soddisfatto.

Non contento, si arpionò alle sue braccia e roteò i fianchi in un’onda sinuosa contro le cosce del legale, che avvampò in un baleno e reagì soltanto con una pressione indispettita delle dita sul suo basso schiena.

Shoyo rise spontaneamente del suo impaccio e gli scoccò un tenero bacino sul naso, ricevendo in risposta un’occhiataccia degna del famigerato avvocato Kageyama.

Dopo avergli giocosamente morsicato il padiglione auricolare mentre le mani vagavano provocatoriamente sul suo petto e aver ottenuto, finalmente, un bacio mozzafiato come replica irritata, Shoyo recuperò un minimo di lucidità.

I rilucenti occhi nocciola si ancorarono nuovamente alle tempestose iridi blu.


Shoyo si specchiò in Tobio.

Tobio si riflesse in Shoyo.


Circondate dal contesto urbano di una metropoli nipponica, avvinghiate nel cortile dell’ospedale in cui tutto ebbe inizio, inzuppate dai raggi invernali del sole…
Le due incomplete esistenze erranti, forse per la prima volta dal giorno in cui erano casualmente incappate l’una sull’altra…


Si unirono.











Note finali: non inizio nemmeno a giustificarmi per le tempistiche bibliche perché ormai ho finito le scuse😂🔫
Signore e signori, siamo giunti alla fineeeee (più o meno, l’ultimo capitolo sarà un epilogo generale perché non potevo mica lasciare in disparte tutti i millemila personaggi che hanno reso la storia tra Kags e Shoyo possibile, how rude of me).
Però sì, la storia principale, se vogliamo, è giunta al termine.
Dopo cinque lunghi anni.
Wow.
Non credevo, e non volevo, che i tempi si dilatassero fino a questo punto, ma purtroppo la vita riserva tante sorprese (tipo la mia incapacità di concentrarmi su due cose contemporaneamente e che quindi rende impossibile scrivere mentre continuo a studiare o banalmente vivere una vita sociale).
Ma bando alle ciance.

La scena della morte di Akio, così come la scoperta di Kageyama del vero lavoro di Shoyo nel reparto di oncologia, la pianifico sin dall’inizio della storia.
Avrebbe dovuto essere uno dei punti di maggior pathos della narrazione… non sono però sicura di aver soddisfatto le mie stesse aspettative.
Che ne pensate voi, care lettrici e cari lettori?
Mi piacerebbe tanto ricevere un vostro feedback🤍
(L'anime che sta guardando alla fine con Shoyo potrebbe o meno essere un haikyu ambientato ai tempi del piccolo gigante, non a caso è il preferito di Hinata e Akio).

Ringrazio incondizionatamente tutte le persone che in questi anni hanno seguito assiduamente I discovered the Sun e quelle che si sono unite da poco.
Senza di voi tutto questo non sarebbe esistito♥️

Rinnovo il mio twitter praticamente statico ma sempre pronto a ricevere messaggini di qualunque tipo (con l’adorabile Carol12 siamo partite da Twitter per finire a parlare su Instagram).

Vi mando tanti bacini, ci si sente nell’ultimo aggiornamento🍀



 
   
 
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