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Autore: Moriko_    06/09/2022    2 recensioni
[Rotes Band | extra, spoiler free]

"Ma, forse, qualche frammento di quel legame era riuscito a sopravvivere. Nonostante il tempo, nonostante ciò che era accaduto in quella vita. Nonostante tutto.
[...] L'aveva promesso a se stesso. Lui avrebbe continuato a sorridere nonostante tutto, perché l'importante era essere felici, sempre."

L'amicizia, quella vera, è in grado di superare anche i confini dello spazio e del tempo, e di resistere a qualsiasi tempesta della vita.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction

Premessa. 

Tutto è nato da questo disegno su due personaggi di “Rotes Band”, una mia storia originale sulla quale sto lavorando da qualche anno. L’autore del disegno è colei che attualmente sta rivedendo la storia in ogni singolo dettaglio e io, che ormai la conosco da tempo, sapevo fin dall’inizio quale dei miei personaggi avrebbe amato; con mia grande gioia non sono stata smentita e, non appena ho visto il suo disegno, mi è venuta in mente un’idea per un piccolo “extra” ambientato prima degli eventi del libro.

Tutto ruota attorno al concetto di felicità, di cui ho un degno rappresentante nel mio libro: nella storia che segue lo conoscerete in una veste più seria e riflessiva, nonostante in realtà questo giovane sia l’emblema di una felicità molto pura e spontanea che egli mostra in qualsiasi situazione.

Avviso: questa storia non costituisce spoiler per il romanzo in sé. (Anche perché chissà quando la storia originale riuscirà a vedere la luce… per cui ho scritto una cosa molto “safe” che tutti possono leggere. ;D)

Detto questo vi lascio alla lettura.

 

 

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We just want to be happy.

 

 

 

 

«Guarda cosa ti ho portato oggi!»

La felicità raggiante di una minuta ragazza dai capelli color nocciola strideva con l’atmosfera data dal corridoio interno che dava accesso ai vari appartamenti di quello stabile. Malgrado il sole fosse già alto in cielo, quel luogo dove lei e Stephan si erano ritrovati era poco illuminato, senza nulla che lo caratterizzasse rispetto alle altre abitazioni del quartiere, ma in quel momento il giovane ebbe l’impressione che in qualche modo anche il sole fosse riuscito a risplendere su quel piano: era grazie al sorriso di Verena e dello splendido mazzo di fiori che gli stava porgendo.

Da qualche giorno Stephan si era trasferito nel quartiere Dürrenast a sud di Thun, la sua città natale. Conosceva molto bene quella zona perché vi si recava spesso per uscire con Verena, una delle sue compagne di classe che, nemmeno a farlo apposta, abitava proprio di fronte al piccolo appartamento che gli zii gli avevano regalato da poco tempo, al raggiungimento della maggiore età.

Da quando si era trasferito in quel palazzo, Stephan era felice di essere diventato il vicino di casa di una persona che conosceva fin dalle scuole elementari: la dolcezza e la sensibilità di Verena erano sempre stati la compensazione della sua indole caratterizzata da spensieratezza e grande divertimento che non si spegnevano nemmeno in situazioni difficili.

Nel vederla con quel mazzo di fiori, Stephan rimase senza parole per quel regalo del tutto inaspettato. Verena era solita fargli delle sorprese, soprattutto quando si trattava di cibo: da quando Stephan le aveva confessato che dopo la scuola avrebbe frequentato dei corsi professionali per diventare un pasticcere o un sommelier di alto livello, Verena aveva iniziato a dare sfogo a tutte le proprie abilità culinarie per preparargli qualcosa di buono, da piatti veloci ma molto salutari a biscotti dalla decorazione curata in ogni dettaglio.

Per tale motivo Stephan non avrebbe mai contemplato il fatto di poter ricevere un semplice mazzo di fiori dalla sua amica. Era la prima volta che una cosa del genere gli era capitata, nemmeno al suo compleanno e tanto meno in occasione di feste come San Valentino dove tutte le ragazze erano solite regalare bigliettini o altri piccoli regali preparati con molto affetto a coloro dei quali si erano infatuate, nella speranza di essere da loro ricambiate.

In realtà, se avesse dovuto fare un paragone, anche quel mazzo di fiori era lo specchio dell’affetto che Verena gli dimostrava ogni giorno. Stephan sapeva che ogni fiore aveva un significato ben preciso e, anche se non era un esperto di botanica e di linguaggio dei fiori, era assolutamente certo che quelli che la sua amica aveva in mano erano stati scelti con molta cura, dato che Verena amava la natura e di solito non lasciava mai nulla al caso. Anche per questo motivo, quel bouquet lo aveva lasciato piacevolmente spiazzato, una sorpresa molto bella nei colori e nelle forme.

«Wow, che bello!» esclamò Stephan con entusiasmo, per poi sfiorare i petali dei fiori con le dita. «Quanti colori: blu, rosa, bianco e anche rosso! Perdonami, come si chiamano? Li ho visti mille volte, però sai che con i nomi non sono mai stato molto bravo…»

Verena gli lasciò in mano quel regalo, senza smorzare il sorriso. «Fiordaliso. È il simbolo della felicità. Il fioraio mi ha detto che i petali sono molto leggeri e ispirano sensibilità e freschezza, proprio come te!»

Gli occhi di Stephan si fermarono su ogni singolo dettaglio di quei fiori, prima sulle sfumature di colore che partivano dal pistillo per finire alla corolla, poi sulla sottile forma dei lunghi petali che terminavano a punta. Estasiato per quella delicatezza e molteplicità di colori, in quel momento Stephan si ricordò di aver letto in un sito internet che il fiordaliso era un fiore molto comune in Svizzera; tuttavia anche in quel momento ammise a se stesso di non essere mai stato una cima riguardo le conoscenze della flora, nonostante da bambino avesse imparato qualche segreto dei fiori al Kandersteg International Scout Centre.

Stephan fece entrare Verena in casa. La ragazza strinse la presa sul bastone bianco che fino a quel momento aveva retto in mano insieme al mazzo di fiori e, a piccoli passi, lo oscillò da un lato all’altro: un movimento di fronte al quale Stephan restò incantato. La sua amica era priva della facoltà visiva fin dalla nascita, e ogni volta egli si stupiva del fatto che lei riuscisse a muoversi all’interno di spazi chiusi con una capacità per lui sovrumana: a confronto, se lui avesse chiuso gli occhi e avesse provato a fare qualche passo nella sua casa, era certo che ogni minuto – anzi, ogni secondo! – sarebbe andato a sbattere contro uno spigolo, rischiando di farsi molto male.

A Stephan era bastata la lezione che la vita stessa gli aveva dato il giorno in cui aveva incontrato Verena per la prima volta alle elementari, per non pensare nemmeno di provare le stesse sensazioni che la sua amica provava ogni giorno. Stephan era vivo quasi per miracolo, grazie a sua zia che era riuscita ad afferrarlo in tempo non appena l’aveva visto bendato, con la porta di ingresso spalancata e sul punto di scendere tutte le scale del palazzo in pochi secondi come una biglia sulla pista.

Al di là del suo saper muoversi in spazi chiusi in modo quasi disinvolto, come se all’improvviso i suoi occhi avessero acquisito la facoltà di vedere, Stephan aveva sempre ammirato Verena anche per altri motivi. Quella ragazza era così forte e determinata al punto di rispondere alle provocazioni dei bulli con indifferenza e talvolta un sorriso sulle labbra, quasi con sfacciataggine e senza avere paura di ciò che sarebbe potuto accaderle se, per sua fortuna, non fossero intervenuti alcuni dei suoi compagni di classe.

Come Verena fosse sempre riuscita a non avere l’animo a pezzi era un mistero per Stephan che, al contrario, andava subito in escandescenze quando il suo self control era messo a dura prova da coloro ai quali era antipatico. In certi frangenti egli avrebbe voluto essere come lei, avere lo stesso animo d’acciaio che le permetteva di affrontare la vita come un cigno, con eleganza e fierezza.

Wow… sembra una dea

Stephan fece accomodare Verena in cucina e, dopo aver preso un piccolo vaso dalla credenza, vi adagiò il mazzo di fiori che pose al centro del tavolo. «Quindi stai dicendo che questo fiore mi assomiglia?» disse dopo essersi seduto di fronte alla sua amica. «In effetti è molto bello, come me! Ma per quale motivo mi stai regalando dei fiori? Non è il mio compleanno né il mio onomastico…»

Verena annuì. «Vero, però è il mio modo di darti il benvenuto. Sono felice che siamo diventati vicini di casa!»

«Anch’io! Sai che forza? Possiamo cenare insieme tutte le volte che vogliamo!»

«Scordatelo.»

«Ma dai: cosa c’è di male nel…»

«Ho detto: scordatelo. So già a cosa stai puntando: capisco che i miei dolcetti ti piacciono così tanto, però non puoi abbuffarti di biscotti con la scusa di essere mio ospite.»

«Allora me li lascerai davanti alla porta come regalino per la nostra amicizia?»

Sulle labbra di Stephan si delineò un sorriso sornione e da esse uscì un piccolo sbuffo divertito, di fronte al quale la risposta di Verena, accompagnata da un tono colmo di tenerezza, non si fece attendere. «Certo che te li lascio: sono tua amica, non posso farti mancare i miei biscotti! A proposito di amicizia, conosci la leggenda di questo fiore che ti ho regalato? Me l’ha raccontata il fioraio, vuoi ascoltarla?»

Stephan appoggiò i gomiti sul tavolo e si sporse di più verso di lei. «Sentiamo.»

«Si tratta di una leggenda italiana, dell’Alto Adige. Durante la primavera, una principessa e un cavaliere si innamorarono l’uno dell’altra, e sono rimasti insieme fino all’inizio dell’inverno quando il cavaliere fu costretto a separarsi da lei. Lui le aveva promesso che sarebbe tornato… ma non lo ha più fatto, e la principessa non sopportava più di vivere senza di lui. Però una fata, al posto di esaudire il suo desiderio e farla morire, l’ha trasformata nel fiore dello stesso colore dei suoi occhi… il fiordaliso.»

Stephan inarcò le sopracciglia. «Povera donna. Essere trasformata in un fiore… un momento, la storia finisce qui?»

«Già.»

«Scusa, è assurdo: il fioraio non ti ha raccontato della reazione del cavaliere? Immagino che al suo ritorno avrà pensato “Che fine ha fatto questa donna? Sono stato in guerra, ho attraversato mille peripezie per tornare da lei, e ora non è più qui. Mi ha lasciato questo fiore, ma cosa me ne faccio di un fiore, tra l’altro anche senza biglietto? Bel ringraziamento, eterno amore un cavolo!”»

Stephan si immedesimò nel cavaliere di quella leggenda, immaginando la sua possibile reazione con il sempre più frenetico movimento delle braccia. «Scommetto che è finita così, a meno che quella fata non si sia degnata di apparire anche a lui e raccontargli la verità.»

«Stephan.»

«Scusa: già che c’era, quella fata avrebbe potuto farlo!»

«Stephan.» Verena lo richiamò con maggiore serietà. «Quel cavaliere non è più tornato… capisci? Non è potuto tornare da lei perché è morto, ecco perché la principessa non voleva più vivere. Questo è ciò che mi ha raccontato il fioraio.»

Stephan si placò e, all’improvviso, iniziò a sudare freddo. Il suo cuore iniziò a battere con maggiore velocità e, mentre egli avvertì un forte peso all’altezza dello stomaco, una strana sensazione si fece strada nella sua mente. Era per via di quell’affermazione, «non è più tornato… è morto»: quella frase aveva risvegliato qualcosa che Stephan non riusciva a descrivere, ma che lui aveva subito associato a quelle sensazioni di terrore che da qualche anno avevano iniziato a torturare la sua anima.

In un istante la sua mente rievocò un’immagine nitida: lui che aveva in mano un fiordaliso dai petali bianchi, e di fronte la persona che, dalla sensazione che stava percependo, glielo aveva dato; tuttavia Stephan non riuscì a riconoscere chi fosse, poiché quella persona era illuminata da un forte bagliore che lasciava distinguere solo la sagoma, che sembrava essere quella di un altro giovane come lui.

In un attimo quell’intensa luce avvolse completamente Stephan, lasciandolo col fiato mozzato.

 

«Stephan, cosa è successo?»

La voce di Verena fece svanire quell’immagine. Era evidente che c’era stato qualcosa in Stephan che aveva fatto scattare in lei un forte allarme e, dopo qualche secondo, egli capì cosa: il suo respiro che era diventato colmo di affanno. Egli stava respirando con la bocca aperta, a gran fatica, in parte perché per qualche strana ragione non riusciva a inspirare solo con il naso, in parte per liberare quel peso che sentiva all’altezza dello stomaco e che gli stava provocando un forte senso di nausea.

In quel momento Stephan stava provando la stessa, maledetta sensazione che lo assaliva nel cuore della notte, in preda a strani incubi che lo tormentavano e gli provocavano molto spavento al punto di svegliarsi di soprassalto.

Incubi composti di terrificanti immagini e indistinguibili suoni.

In quelle notti lo Stephan onirico vedeva strade sulle quali erano riversi alcuni corpi insanguinati, udiva urla di dolore e angoscia, e ogni volta fuggiva terrorizzato per poi essere afferrato alle spalle e torturato fino allo stremo. Ma, quando riusciva a sfuggire a quella presa che sapeva di morte, Stephan continuava a correre fino a vedere da lontano un altro uomo, che gli dava le spalle e chino davanti a una quercia secolare: non sapeva spiegarsi come, anche quell’immagine in apparenza quieta gli provocava una profonda angoscia, al punto da urlare per il forte dolore, lo stesso che Stephan stava provando di fronte a Verena.

No, Stephan… respira…

Egli cercò di riprendere il controllo del proprio corpo, prendendo il più possibile fiato per calmarsi e fare in modo che quel terribile peso non avesse finito per schiacciarlo del tutto.

Respira. Non far preoccupare Verena… ti prego, Stephan… respira…

«Stephan…» Verena si alzò e gli si affiancò. «Ti fa male da qualche parte? Forse è meglio che chiami un medico…»

«N-no…» riuscì a dire in un soffio. «Sto… sto bene…»

«Sei sicuro? Ti sento respirare a fatica…»

Stephan cercò di regolare il fiato, ma la fame d’aria continuava ad avere la prevalsa; nonostante ciò, egli cercò di tranquillizzare la sua amica. «Forse… forse è solo un attacco di panico: in questi ultimi giorni ne sto avendo spesso… però di solito mi accade in piena notte…»

Dopo un attimo di esitazione, Verena gli accarezzò le spalle per confortarlo. «Non lo sapevo, mi dispiace… però stai andando bene, continua a respirare. Non preoccuparti, resterò al tuo fianco per qualsiasi cosa…»

Verena, non potevi saperlo. Perdonami, io… io non volevo dirtelo per non darti altre preoccupazioni…

Stephan strinse la mano di Verena e lentamente appoggiò la testa sulla spalla dell’amica. Con gli occhi spalancati e il fiato corto, egli continuò a pensare a quella frase che, da quando l’aveva ascoltata, non riusciva a rimuoverla dalla memoria.

«Non è più tornato… è morto.»

 

 

«Quel cavaliere non è più tornato… capisci? Non è potuto tornare da lei perché è morto.»

Stephan era seduto sulla riva del lago di Thun, i suoi occhi che guardavano l’orizzonte e la mente che aveva appena ricordato quel momento ormai distante nel tempo e nella memoria. Il lago era il luogo nel quale egli amava rifugiarsi e perdersi nei propri pensieri, con lo sciabordio delle onde come musica di sottofondo e lo scintillio dello specchio d’acqua alla luce del sole come sfondo.

Sai, Verena? Questo fiore… è anche il fiore della morte. Di un forte legame che ha avuto vita breve.

Stephan girava tra le dita un fiordaliso dai petali bianchi. Bianco, un colore simbolo di fedeltà ma anche di purezza e candore dell’anima.

No… io non sono per niente innocente… nemmeno leale…

Stephan aveva trovato quel fiore sulla strada per arrivare in quel punto, e d’istinto lo aveva raccolto: forse lo avrebbe portato con sé per farlo seccare tra le pagine di un libro, dato che il fiordaliso era un fiore che aveva sempre amato, o forse voleva tenerlo tra le mani per osservarlo e riflettere sulla propria esistenza.

Fatto sta che quel fiore gli aveva riportato alla mente il giorno in cui Verena gli aveva regalato il mazzo di fiordalisi: quel bouquet, così splendido nella sua bellezza, si era appassito nel giro di pochi giorni; proprio quei fiori tanto amati da lui, al punto che ogni volta che tornava da scuola si fermava in cucina e li ammirava per qualche minuto, non erano sopravvissuti a lungo.

Già. Un fiore reciso è destinato ad avere una morte lenta, e forse anche dolorosa… come presto accadrà anche a questo fiordaliso.

Quella morte era iniziata dai petali: alcuni erano diventati flosci, e altri erano caduti dalle corolle che, in vita, li avevano uniti in uno stretto cerchio dall’intenso colore. Subito dopo era toccato agli steli e, nonostante Stephan avesse avuto cura di cambiare l’acqua ogni giorno, man mano tutti quei fiori si erano appassiti e avevano emanato un odore sgradevole.

Che ironia. Sembra la parabola della mia vita… di quella vita che mai avrei pensato di aver avuto…

Una vita a cavallo tra felicità e disperazione. Una vita piena di tormenti, nella quale per Stephan era stato difficile essere se stesso, esprimere le proprie idee senza essere freddato. Una vita della quale non aveva alcun ricordo fino a qualche anno prima, ma solo sensazioni e impressioni come quella che aveva provato quando Verena gli aveva raccontato della leggenda del fiordaliso.

Era la stessa vita nella quale Stephan aveva vissuto al fianco del suo amico fraterno, Sebastian, con il quale aveva condiviso gioie e sofferenze. Proprio come era accaduto a distanza di anni, solo con un altro nome e un’altra identità.

… devo dirgli tutta la verità? E se lui non dovesse mai ricordarsi?

Stephan si sdraiò e portò il fiordaliso al centro del petto. Chiuse gli occhi e respirò profondamente l’aria fresca e pura del lago: i mille pensieri che stavano affollando la sua mente vennero mitigati a poco a poco, la testa divenne più leggera e i muscoli del corpo si rilassarono completamente. Egli si lasciò guidare dal movimento delle acque chete, in un viaggio tra passato e presente, attraversando tutti i ricordi della sua vita.

Anzi: di due vite, separate da molti anni di distanza, dove lui era stato il protagonista al fianco di Sebastian.

Loro due, sempre loro due.

Non importava chi fossero stati, nobili o contadini, semplici camerieri di sala o artisti di fama internazionale: in entrambe le vite erano stati insieme, stretti in un legame che non aveva cessato di esistere nemmeno con la morte.

Come il fiordaliso della principessa, dal colore blu come lo erano stati suoi occhi.

In quella vita precedente, Stephan si ricordò del momento in cui aveva ricevuto un fiordaliso, simile a quello che aveva in mano. Un dono da parte di una persona a lui cara: un amico, un fratello anche se non era di sangue, ma a cui Stephan doveva la vita, sia in quella vita passata che in quella presente.

«L’ho letto in un libro di poesie» gli aveva confidato Sebastian in quella vita. «Questo è il fiore della felicità…»

Proprio come me, anzi: come la nostra felicità.

Una felicità che, all’improvviso, era andata in mille frantumi. Una felicità che Stephan avrebbe potuto paragonare al fiordaliso, dai petali così leggeri ma allo stesso tempo delicati, incapaci di resistere a una grave tempesta e così destinati a volare via. Di colpo, senza alcun preavviso, lasciando il fiore solo con il suo stelo e spezzandosi senza possibilità di sopravvivere, proprio come il legame che in quella vita aveva unito Stephan al suo amico fraterno.

Chissà che fine ha fatto quel fiordaliso che lui mi ha regalato. Forse la stessa fine del mio corpo, ormai non sarà rimasto nemmeno un piccolo frammento. Polverizzato… proprio come il me del passato.

Ma, forse, qualche frammento di quel legame era riuscito a sopravvivere. Nonostante il tempo, nonostante ciò che era accaduto in quella vita. Nonostante tutto.

Forse c’era una ragione per la quale Stephan e Sebastian si erano ritrovati in quel presente che stavano vivendo. Tra quasi otto miliardi di persone al mondo, per un miracolo erano riusciti a incontrarsi, di nuovo.

Loro due, insieme. Non poteva essere una semplice coincidenza, non per Stephan che non aveva mai creduto alla casualità degli eventi.

Forse il destino nel quale Stephan credeva ciecamente li aveva perdonati, perché la verità era che entrambi erano rimasti sempre gli stessi: anche se la loro amicizia era nata in modo diverso, piantando nell’infanzia un piccolo seme che poi avrebbe generato solidi radici, niente di loro era affatto cambiato. Stephan e Sebastian erano due opposti come il giorno e la notte, come il freddo e il caldo, ma anno dopo anno erano riusciti a intessere un legame nel quale erano sempre riusciti a comprendersi a vicenda e avevano trovato la forza per affrontare ogni avversità.

Loro si volevano bene, come i fratelli che non avevano mai avuto e al pari delle loro controparti del passato che, nonostante l’aver vissuto in quello che sembrava essere un inferno travestito da paradiso, avevano provato un profondo affetto l’uno per l’altro, fino al momento della loro definitiva separazione.

Nel passato come nel presente, Stephan si sentiva bene in compagnia di Sebastian. Il legame che lo univa al suo amico lo divertiva, lo faceva sentire vivo: con Sebastian si sentiva libero di essere se stesso senza vergognarsi di nulla, senza aver bisogno di giustificare le proprie azioni. In lui, Stephan aveva trovato il senso della propria esistenza: era venuto al mondo per non commettere gli stessi errori del passato, per ricominciare dall’inizio e costruire quel lieto fine che le loro controparti avevano sperato di vedere con i propri occhi fino all’ultimo secondo.

Stephan voleva stare al suo fianco. Contro ogni previsione, contro lo stesso destino che aveva remato contro di loro in quella terribile vita precedente.

Ho bisogno di lui, più di ogni altra cosa. Per essere felice, per continuare a essere me stesso.

E la paura di separarsi da Sebastian, di nuovo, gli faceva molto male. Stephan aveva confessato questo timore a Verena, con il respiro mozzato e le lacrime agli occhi: le aveva omesso tutti i ricordi di quella vita precedente – d’altronde, nonostante anche lei fosse una sua cara amica, non avrebbe potuto farlo perché non era sicuro se anche Verena, come molti, avrebbe pensato che quei pensieri fossero solo una montagna di assurdità che non stanno né in cielo né in terra – ma era riuscito a confidarle quella terribile sensazione che provava al pensiero di perdere il suo amico fraterno.

Se avesse perso per la seconda volta Sebastian, cosa avrebbe fatto Stephan? Di certo avrebbe perso tutta l’allegria e il sorriso che ogni giorno mostrava a tutte le persone: per lui Sebastian era l’energia che lo guidava, anche quando il suo amico non faceva alcun gesto per spronarlo.

A Stephan bastava guardarlo negli occhi e sapere che stesse bene, per trovare quell’intensa forza che lo guidava in ogni azione della sua vita. Se avesse perso Sebastian, Stephan non sarebbe stato più lui e il suo cuore, privo di quell’energia che lo teneva in vita, avrebbe smesso di battere.

E se un giorno anche il suo amico avesse ricordato ogni cosa…

… se un giorno ti ricorderai di tutto…

«… lo affronteremo, insieme» sussurrò Stephan. «Lui non ti ha dimenticato, nonostante ciò che ha fatto… e ti sta ancora aspettando per chiederti perdono…»

Stephan aprì lentamente gli occhi. Con lo sguardo fisso verso le nuvole bianche come i petali di quel fiordaliso che stringeva in mano, egli tornò a sorridere.

L’aveva promesso a se stesso. Lui avrebbe continuato a sorridere nonostante tutto, perché l’importante era essere felici, sempre. Come il sole che tramontava per poi sorgere di nuovo, sia con la pioggia che con il sereno, anche Stephan non doveva perdere quella luce innata che lo aveva sempre guidato anche nei tempi più duri.

L’aveva promesso sulla sincera amicizia che lo legava a Sebastian: doveva continuare a risplendere, a essere il simbolo della felicità, perché Stephan conosceva meglio di chiunque altro quanto la tristezza e la negatività fossero un pesante fardello da portare sulle spalle.

Era per questo che Stephan non si era mai arreso. L’affetto che ogni giorno l’amico provava per lui gli trasmetteva un’energia piena di calore, e la certezza di condividere con Sebastian un sentimento così libero e vivo alimentava l’intenso significato che entrambi avevano dato a quella promessa che si erano scambiati all’alba del suo diciottesimo compleanno.

 

«Promettimi che resteremo sempre amici.»

«Te lo prometto. Per sempre.»

 

«E voglio che sia davvero così» aggiunse Stephan. Con un balzo si alzò in piedi e, dopo aver dato un ultimo sguardo all’orizzonte, lasciò il lago alle spalle. Iniziò a fischiettare un allegro motivetto, con una mano nella tasca e l’altra che reggeva il fiordaliso.

Dopotutto noi vogliamo essere felici. E noi due lo siamo insieme… non è così, mio caro Bastian?

 

 

«Ma ogni tempo ha le sue regole

Ogni sbaglio le sue scuse

La memoria, le sue pagine

Piene di cancellature

E qualcuno dal balcone

Che ripete ancora:

“Non ti ricordi che?”

“Non ti ricordi?”

 

Volevamo solo essere felici

Come ridere di niente

Masticare sogni audaci

E fidarci della gente

Solo essere diversi

E buttarci un po’ via

E pigliare il mondo a sassi

Sì, buttarci via, buttarci via»

(Francesco Gabbani - Volevamo solo essere felici)

 

 


 

[Note finali.]

Per chi non mi conosce, ciao. :)

Sono Moriko, e questa è la prima volta che pubblico una storia completamente originale su questa piattaforma. Come ho detto nelle note iniziali, questa è un testo che fa parte dell’universo di “Rotes Band”, una storia principalmente romance/new adult (anche se qui di romance c’è ben poco :3) sulla quale sto lavorando da qualche anno.

Riguardo questa storia che avete appena letto: in origine, “We just want to be happy” è un testo che avevo iniziato a scrivere di getto, ma in pochi minuti si è trasformato in qualcosa di più complesso, così i minuti sono diventati giorni, e i giorni settimane. L’intento era quello di mettere in cantiere una storia che fosse una minuscola finestra su tutto ciò che costituisce il mondo di “Rotes Band” ma, allo stesso tempo, di farlo senza spoiler. Il che - credetemi - non è facile, dato che ogni personaggio, sia quando parla che quando agisce, è un potenziale spoiler per alcuni eventi presenti nella storia. XD

Il titolo, “We just want to be happy”, è un riferimento alla canzone di Francesco Gabbani “Volevamo solo essere felici” che ho citato alla fine della storia. La traduzione corretta sarebbe “We just wanted to be happy” ma io ho deciso di cambiarlo in “We just want to be happy” perché il protagonista di questo scritto è una persona che cerca sempre di essere felice.

Stephan cerca di fare della felicità il suo motto di vita, l’energia necessaria per vivere e avere uno scopo per cui farlo: per lui tutto ciò che conta è vivere la vita con leggerezza e spontaneità, perché i pensieri negativi possono schiacciare le persone come un macigno. E lui lo sa meglio di chiunque altro, per via di quell’“ombra” del suo passato che nasconde dentro di sé…

Ora passiamo alle curiosità! Stephan e Verena (così come Sebastian) abitano a Thun, in Svizzera. Piccola parentesi: tutto ciò che seguirà è frutto di ricerche, per cui potrebbe esserci qualche imprecisione dovuta al fatto che non conosco il territorio o qualcuno che può fornirmi qualche esperienza diretta. Però posso dirvi che il vantaggio è che Rotes Band non sarà ambientato in Svizzera, almeno non interamente. ;)

Il Dürrenast è uno dei quartieri della città di Thun, situato nei pressi del lago. Qui, qui e qui potete trovare altre informazioni accompagnate da qualche immagine del posto. Altra curiosità: il Kandersteg International Scout Centre è uno dei centri scout internazionali situato nella città di Kandersteg in Svizzera, nonché uno dei centri mondiali dell’Organizzazione mondiale del movimento scout. Inoltre, proprio come in Italia, anche in Svizzera la maggiore età è a diciotto anni, mentre il sistema educativo è diverso e ogni Cantone ha la propria struttura scolastica - però su questo punto ci riaggiorneremo direttamente in Rotes Band.

Insomma, questo è quanto riguardo la storia che avete appena letto. Anche se non ci sono spoiler, in questo scritto sono presenti piccoli indizi e accenni che si collegheranno alla storia principale. A proposito del romanzo, forse in occasione della sua uscita scriverò un altro extra per introdurlo, o forse no, chissà... :)

A presto!

--- Moriko

 

 

   
 
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