Serie TV > Altro - drama
Segui la storia  |      
Autore: Feisty Pants    07/09/2022    1 recensioni
[Vis A Vis]
Una serie di One Shot introspettive dedicate agli amori, agli interessi o ai rimorsi di alcuni personaggi.
Fatima e il desiderio di libertà di Zulema, l'amore per la piccola Estrella di Saray, il riscatto di Tere, il lieto fine di Macarena, la vita ingiusta di Sole...
In questi monologhi ogni personaggio farà i conti con i propri problemi interiori, cercando di metabolizzarli per continuare a vivere la propria esistenza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ZULEMA
IL CORDONE OMBELICALE

 
ORE 4.30 A.M

Mi sveglio di soprassalto con la canottiera nera madida di sudore e i capelli fradici appiccicati alla fronte.

Avverto un forte senso di nausea che mi suggerisce di alzarmi per vomitare, ma ormai mi conosco. Mi sfioro le tempie pulsanti, mi massaggio le rughe contratte sul viso e cerco di controllare lo stridore di quegli schifosi denti che mi ritrovo.

Inutile rimettersi a dormire: il sonno non lo riprenderò mai più. Con la mano mi colpisco violentemente la gamba, cercando di provare ira e ribrezzo per quell’ennesima situazione, ma per quanto io provi a ribellarmi, so di meritare l’inferno. Mi metto quindi comoda con la schiena appoggiata al muro e mi accendo una sigaretta dimenticata sul comodino dalla sera prima.

Ormai la notte è fottuta, quindi perché lamentarsi! Mi fotto le notti e il sonno da quando ho visto morire mia figlia. Niente rimorsi, niente senso di colpa, nessun pentimento. Io non sono capace di chiedere perdono, la trovo una cosa maledettamente cretina, ma so che la morte di mia figlia è dovuta ai miei errori e al mio orgoglio. Per questo respiro a pieni polmoni la nicotina inebriante della mia sigaretta, certa che non dormire tutte le notti a causa di un incubo, sia il giusto prezzo da pagare per l’ingiusta morte di mia figlia.

“Un’altra notte sveglia?” mi domanda Saray, entrando nella stanza senza preavviso, muovendosi sinuosamente verso di me con l’intenzione di sedermisi accanto.

Mi sollevo ulteriormente per riuscire a guardare la mia unica amica in volto, seppur infastidita dal momento di vicinanza che potrebbe venirsi a creare.

“Me ne sono accorta sai? Da quando sei qui ti svegli tutte le notti e finisci per passare le ore a fumare” continua Saray, sedutami accanto sul lettino bianco di questa minuscola cameretta.

Come mio solito preferisco non rispondere e, con una consueta smorfia, cerco di non prestare attenzione al suo appunto, squadrando attentamente il luogo circostante.

Quella che stiamo vivendo io e Maca è una sorta di vacanza. Siamo in ferie e la cara Saray ha accettato di ospitarci a casa sua per qualche giorno.

Incredibile come la vita della mia migliore amica sia radicalmente cambiata. Prima Saray era una grandissima figlia di puttana, con il sangue ribollente pronta a scoparsi la Riccia in ogni punto del carcere.

Ora non è più così. È raggiante, serena, felice! L’arrivo di Estrella le ha cambiato la vita rendendola la persona migliore del mondo, con una compagna, un lavoro e una casa.

Una trasformazione radicale nata da una bambina. Una bambina mai desiderata, venuta al mondo grazie a uno stupro di merda da parte dell’uomo peggiore del mondo. In effetti io e Saray siamo molto simili: entrambe violentate, entrambe obbligate a dire addio alle proprie figlie, entrambe madri che non avrebbero mai dovuto diventare madri. La differenza, però, sta nel fatto che Estrella è diventata tutto per Saray, mentre Fatima per me non lo è mai stata.

“Io… penso di sapere il motivo di questi risvegli…” sbotta Saray, attirando la mia attenzione inaspettatamente.

“Da quando sono madre non si dorme più come una volta. Ti chiedi se lei stia bene, se respiri, se sia coperta abbastanza… e tu non riposi più da quando è morta tua figlia” continua Saray pugnalandomi in pieno addome, sapendo di ferirmi.

Che razza di stronza, penso io…

Una stronza perché ha sempre saputo i miei punti deboli e vuole portarmi a confessare il mio dolore, la mia sofferenza, ma io non cedo così facilmente. Il dolore è mio, solo mio.

“Io… ci penso costantemente Zule. Ho qualcosa che mi rode dentro e so di essere colpevole. È colpa mia se tua figlia è morta” rivela Saray con quegli occhi color pece resi brillanti da un velo di lacrime.

“Occhio per occhio, dente per dente Saray… hai fatto ciò che era giusto” sbotto io, ravvivando con una nuova scintilla la mia sigaretta ormai quasi esaurita.

“E poi…” continuo io, non so per quale fottuto motivo stia riaprendo il discorso “quella ragazza sarebbe comunque morta, in un modo o nell’altro. Semplicemente ha incontrato velocemente un destino da cui non sarebbe potuta scappare”

Perché cazzo ho detto una cosa del genere? Devo essere proprio impazzita per uscirmene con certe frasi.

“Questo non toglie il dolore che hai provato e che non hai ancora superato…” mi psicanalizza Saray, indicandomi il tatuaggio che mi sono incisa sul volto. Solo Allah sa quanto la odi quando fa così.

“Ho ucciso lo stronzo che l’ha torturata. Questo mi basta” taglio corto io, afferrando una nuova sigaretta avendo consumato troppo velocemente quella ormai usurata.

Saray compie allora un gesto che mi fa sentire nuda, indifesa e sconfitta. La mia migliore amica mi strappa la sigaretta dalla mano, scaraventandola per terra e obbligandomi, così, a guardarla in faccia senza vie di fuga.

“Zule… quel porco ha violentato me e l’abbiamo ucciso insieme, ma so per certo che non ha cambiato nulla. La sua morte non ha cancellato la sofferenza che mi ha arrecato e lo stesso vale per te. Questo è dimostrato anche dalle tue notti insonni… non hai elaborato un cazzo Zulema! Più tempo passerai ad irrobustire la corazza e più ti renderai conto di esserti intrappolata da sola con il tuo male che pian piano ti divorerà” mi rimprovera la gitana, con quella voce gracchiante che è solita utilizzare per svegliarmi da qualche cazzata e io odio quando ha ragione.

Perché sì.

Saray ha ragione.

La morte di Sandoval è stata una piccola vittoria… ma quello stronzo mi ha tolto Fatima proprio nel momento in cui avevo sentito rinascere quell’istinto materno strappatomi con violenza.

“Non mi do pace. Rivedo costantemente quei tre mostri scoparla senza ritegno e il cuore mi sanguina. Lei è nata da un abuso, io ho sempre vissuto cercando di controllare i maschi per non essere mai posseduta e Fatima è finita, a 18 anni, violentata e uccisa”

Mi apro, mi sto aprendo e sento le lacrime riempirmi gli occhi. Io odio piangere, vorrei cavarmi gli occhi pur di non lacrimare, ma questa volta non lo farò: voglio buttare fuori tutto e Saray è la persona giusta con cui farlo.

“Sarebbe morta comunque, per mano di chiunque… ma l’abuso no. Quello non riesco a concepirlo e mi sento una merda perché non ho potuto fare nulla per fermarlo.

L’unica cosa che ho fatto è stato inginocchiarmi e implorare la sua libertà, per poi provare ad abbracciarla…”

Niente da fare: le lacrime ormai scendono e Saray mi ascolta con rispetto e distacco, sapendo di non dovermi consolare.

“Quando l’ho vista lì, nella cella, ho notato che si stringeva la vulva con le mani, con una forza inaudita. Sicuramente le faceva male, ma il dolore mentale era ancora più forte. In quel momento ho rivisto il mio passato, quando me l’hanno strappata dalle mani per portarmela via per sempre. Un parto di merda, concluso con un pugno di mosche perché io rimasi lì, immobile… con l’impercettibile ricordo del suo profumo” dico io, sospirando e distogliendo lo sguardo dalla mia migliore amica per concentrarmi su argomenti di cui non ho mai parlato.

“L’ho guardata negli occhi… e mi ha chiamata mamma. Mamma cazzo… mamma! Io sono una mamma e questa cosa non l’ho mai dimenticata, perché per quanto io desiderassi la libertà, il ricordo di lei che cresce nel mio grembo non sono mai riuscita a dimenticarlo”

Che sdolcinata di merda, cazzo!

Io sono la donna della libertà, l’elfo dell’inferno e mi sto riducendo a dei sentimentalismi inutili… ma so di avere un lato umano dietro la mia psicopatia e questo lato umano sono riuscite a farlo uscire solo due persone: Saray e Fatima stessa.

“Quel profumo Saray… quel suo cazzo di profumo! Un profumo dolce, che probabilmente solo io potevo sentirle addosso. L’ho stretta a me, cercando di contenere quel dolore che la lacerava e lei urlava, urlava e urlava. L’ho cinta con le braccia, con le gambe, con la schiena… perché volevo rimettermela dentro! In quei nove mesi era stata al sicuro e ora, qui fuori, il mondo le aveva sputato in faccia per il semplice peccato dell’essere mia figlia”

Le lacrime percorrono la linea nera che mi sono tatuata sulla guancia. In pochi conoscono il significato di un tatuaggio così cretino, tanto che ogni volta devo sorbirmi il commento: “Hey, ma sei sporca di trucco?”. No cazzo, questo tatuaggio rappresenta le lacrime che ho versato nei giorni successivi alla morte di Fatima e che, volontariamente, mi hanno fatto sbavare il trucco.

Saray ha ascoltato con attenzione quanto le ho confidato ed è intenta a mangiarsi il labbro, pensando a cosa dire per farmi sentire meglio.

Spero si risparmi commiati, condoglianze o altro perché non potrei sopportarlo.

“Forse è arrivato il momento di rispondere alla sua lettera” rivela lei, spiazzandomi completamente.
Cosa ha appena detto? È pazza?

“Dico sul serio Zulema… tu a quella lettera non hai mai risposto. Scrivile, rispondile” continua imperterrita Saray, convinta della sua idea di merda. Idea talmente di merda da farmi ragionare e credere che in realtà non sia una proposta malsana, ma io preferisco scoppiare in una fragorosa risata.

“Una lettera? Certo e cosa dovrei scriverle? Cara Fatima, sono la mamma. Tu sei morta ma ti scrivo comunque?” ipotizzo io, scuotendo la testa per mostrare il mio dissenso, nonostante il desiderio di poter rivolgere ancora una volta la parola a mia figlia.

“E poi dovrei scrivere una lettera a una persona morta?!” le domando con serietà e con quel briciolo di rabbia che non fa mai male.

“Abbiamo le nostre religioni che ci invitano a credere in qualcos’altro… ma a prescindere da questo, tu sei davvero convinta che una volta morti diventiamo polvere con cui far venire colpi di tosse e starnuti alla gente che cammina per strada?!” mi risponde immediatamente Saray, spalancando la mano con la solita gestualità che la contraddistingue.

“No… io a questo non ci voglio credere. Non so dove sia Fatima, ma so che da qualche parte è sicuramente presente, in primis nel tuo cuore. Permettile di fare la pace con te! Alla fine penso che lei meriti una risposta alla sua lettera… e penso che la meriti anche tu” conclude Saray, dandomi una pacca sul ginocchio e alzandosi di scatto per lasciare la stanza senza aggiungere una parola.

Questo modo di fare l’ha imparato da me: lanciare la bomba e permettere alla persona in questione di pensarci su.

Una tattica che funziona la maggior parte delle volte e che, in parte, so che sta convincendo anche me.

“Che idea di merda…” continuo a dire con nervosismo, convinta di fare una cazzata e una cosa da ragazzine, ma dentro di me sento il bisogno di comunicare con Fatima.

A quella lettera vorrei veramente rispondere ed è questo ottimo proposito che mi spinge ad afferrare un foglio e una penna dal secondo cassetto del comodino.

Osservo la penna dal cappuccio smangiucchiato e il foglio stropicciato e leggermente pasticciato sull’angolo destro. Il classico pezzo di carta che ci si dimentica di buttare nel cestino. Il foglio di cui tutti si dimenticano. Il foglio che rimane a ingiallire e riempirsi di polvere nei cassetti.

Il foglio perfetto per quello che devo fare.

È così che, senza pensarci troppo, decido di provarci. Mi ficco il tappo della biro in bocca e comincio a masticarlo con foga, sentendo i brandelli di plastica rotearmi da un lato all’altro della parete boccale.

Ho raggiunto il giusto grado di concentrazione e, con tutto l’impegno possibile, mi accingo a scrivere questa dannata lettera.

“Avevi ragione.

Questa lettera la inizio anche io così perché è la verità.
 
Sono psicopatica, diabolica, impazzita e tutto quello che vuoi, ma ricerco sempre la verità.


Avevi ragione, sì, perché sono una madre di merda e lo sarò per sempre.

Non ho bisogno di giustificarmi con te, non ho rimpianti e mai ne avrò.

Del resto che cosa ti aspettavi eh? Mi vedevi seriamente come la mammina che ti cambia il pannolino, fa partire la lavatrice, ti prepara la cena e ti rimbocca le coperte?

No… io non sono fatta per fare la madre e mi dispiace. Non so come ti avrei cresciuta se fossi rimasta con me, ma di certo non ti avrei mandata a scuola, al parco, al cinema o sui gonfiabili.

Ti saresti sorbita clacson folli e colpi di pistola come ninna nanna, sangue e devastazione come insegnamento per non parlare delle infinite fughe su auto rubate come divertimento.

No, non avrei mai potuto comportarmi da madre normale e darti un futuro roseo… anche perché la vita non me ne ha dato l’opportunità.

Ti ho custodita 9 mesi nel grembo e, per la prima volta nella mia vita, ho sentito di appartenere a qualcuno. Appartenevo a te così come tu appartenevi a me. Ero giovane e, anche se già estremamente figlia di puttana, sognavo di scappare via con te perché, oltre a crescere in me, stavi cambiando e curando ogni mia ferita.

Eppure quel giorno in cui ho sofferto le pene dell’inferno per farti uscire, non ho nemmeno potuto tenerti in braccio, sbattere le palpebre, respirare… che eri già andata via.

Ti hanno strappata a me così come si estirpa un’erbaccia, improvvisamente, alla radice. Dell’erbaccia non rimane nulla, se non il buco sbrandellato rimasto nella terra.

Quel buco, cara figlia, non si è mai ricucito. Ti hanno portata via da me e, anche se ho provato a dimenticarti, il cordone ombelicale di cui parli non sono mai stata in grado di tagliarlo.

Quando ti ho rivista, in carcere, ho provato dei sentimenti contrastanti. Una fortissima emozione nel vederti lì, così bella, forte e delinquente come tua madre. Dall’altra sapevo che ti avrebbero usata come arma contro di me e contro quella libertà che ho sempre amato più di te.

Non ti chiederò scusa.

So di essere una madre di merda, te l’ho già detto.

Non ti chiederò scusa.

Nonostante tutto, però, io la caparra all’inferno l’ho già versata, perché l’immagine di quelle tre bestie che ti violentano non me la perdonerò mai.

Sì… per la prima volta ti chiedo scusa.

Sì, per questa cosa ti chiedo scusa.

Scusami, scusami tanto.

Scusami perché è servito uno stupro plurimo per farmi ricordare del cordone ombelicale che ci unisce.

Scusami perché non avevo previsto questa mossa meschina e diabolica che solo un altro psicopatico come me poteva giocare.

Scusami perché i tuoi ultimi attimi di vita sono stati una merda, come penso anche il resto della tua vita in realtà.

Scusami perché, se l’avessi saputo, ti avrei abbracciata ancora più forte nel letto, permettendoti di dormire sul mio seno anche se hai più di 20 anni e sai badare a te stessa.

Scusami perché l’insegnamento a cui tenevo di più riguardava il contrasto al maschilismo e al patriarcato. Non ho mai accettato di essere posseduta da un uomo o di sottostare alla loro presa di potere nei confronti del sesso… quindi scusami, perché quei tre schifosi ti hanno dominata e tu non hai potuto fare nulla.

Scusami, perché non ti ho abbracciata prima di vederti andare via. Mi rimane l’amaro in bocca ma, lasciamelo dire, sei proprio degna di essere mia figlia perché non ti avrei mai stretta a me.

Scusami, ma sono troppo orgogliosa.

Scusami, soprattutto, per la tua morte perché, così come ti ho dato la vita, te l’ho anche tolta.

Scusami Fatima, scusami.

Ora il tuo ricordo vive in me e mi lacera il cuore. Questa riga che mi vedi tatuata sul volto è il pegno per le lacrime versate e le urla che ho sputato a seguito della tua morte.

Questa debolezza che ho dimostrato non la voglio più dimenticare, perché solo con una debolezza si può essere invincibili.

Sei il mio scorpione piccola Fatima e spero tu mi possa perdonare, in qualsiasi posto ti trovi.

Lo so che sono una figlia di puttana, ma mentirei se dicessi che non ti amo… perché ti amo e vorrei tanto fare la pace con te, come due bambini. Sei la prima persona con cui voglio fare pace e la prima persona che mi fa sanguinare il cuore.

Mi hai battuta, Fatima… mi hai battuta, colpita e affondata.

Ora di te mi rimane il cordone ombelicale, perché nonostante la morte so che non l’hai tagliato nemmeno tu.

Ora la mia vita continua e non diventerò una persona migliore o giusta che cammina sulla retta via, perché la strada perfetta non esiste!

Io sono Zulema, l’elfo del fottuto inferno e non verrò spodestata facilmente.

La mia vita va avanti, ma volevo chiarire le cose con te e continuare ad averti sulla coscienza, ma con un peso leggermente alleggerito.

Fatima… che nome di merda che ti ha dato quella strega di mia madre.

Fatima non mi è mai piaciuto.

No, tu non ti chiami così.

Ti chiami Maisa.

Maisa.

Maisa che significa “colei che cammina con orgoglio”.

Il nome giusto per te, perché nella vita di merda che ti ho donato l’orgoglio sarebbe stato l’ingrediente essenziale.

Non ho altro da dirti perché mi sto un po’ rompendo le palle di scrivere su sto foglio logoro e ammuffito.

Non ho più voglia di scrivere perché il cuore fa male, anche se ora lo percepisco più leggero.

Spero tu possa goderti la serenità che meriti, magari sulla spiaggia, cullata dalle onde del mare.

Un giorno, quando riusciranno ad uccidermi, spero di arrivare da te e godermi la libertà con la mano unita alla tua.

Vai in spiaggia… amore mio… vai in spiaggia… canta la nostra canzone e so che ti sentirai meglio.

“Yalla, yalla… habibi…”

Io, te lo prometto, il cordone non lo taglio.

Buona vita, Maisa.

Ti voglio bene.

… M…Ma…

… Mamma …”


Finisco di scrivere e mi rendo conto di aver riempito tutto il foglio, tanto da percepirlo pesante a causa delle troppe parole.

Che gesto da sfigata! Scrivere una lettera alla figlia morta… roba da matti!

Io… eppure io… io sono matta e ne vado fiera.

Piego il foglio umido di inchiostro e, senza pensarci troppo, gli do fuoco con l’accendino.

Osservo la carta ritorcersi su sé stessa, mentre viene divorata dalla fiamma la cui luce mi illumina il viso.

Rimango in silenzio a godermi lo spettacolo e penso.

Penso che Saray è una stronza.

Saray è una stronza perché aveva ragione… il dolore al cuore non è più tanto forte.

Non me lo so spiegare ma, improvvisamente, un colpo di sonno mi obbliga a sdraiarmi e chiudere gli occhi.

Sto per cedere e addormentarmi, dopo tanto tempo.

Da stanotte, non avrò più incubi.

Da questa notte non mi sveglierò più per fumare sigarette schifose nel bel mezzo della notte.

Da stanotte, so di avere un cordone ombelicale ancora intatto.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Altro - drama / Vai alla pagina dell'autore: Feisty Pants