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Autore: denn_nanni    09/09/2022    0 recensioni
Alice è una ragazza solare e schietta, fortemente legata ai suoi amici e alla sua casa; le piace la sua vita così com'è ed è difficile per lei abbandonare la sua zona comfort. Un giorno però le viene imposto di trasferirsi lontano, oltreoceano, da un padre che non conosce, in una città che non è la sua e abbandonando i suoi amici proprio per l'ultimo anno di scuola. Verrà inghiottita dal risentimento e dalla rabbia o riuscirà a trarre beneficio da questa esperienza? Rimarrà attaccata disperatamente alla sua vecchia vita e alle sue vecchie conoscenze o accetterà di ricominciare? Riuscirà a trovare quelle persone per cui sarà valsa tutta la sofferenza per il cambiamento?
H. S.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO SEI
Fotografie

Alice.

Il resto del tempo passato con mio padre è stato strano per me, tuttavia, la sua conoscenza non è stata del tutto spiacevole. Non so se è stato lo shock, o se avevo ingigantito tutto come mio solito, ma non mi sono sentita tanto arrabbiata quanto credevo. È chiaro che, per quanto poco conoscessi mio padre e nonostante Yaser, il compagno di mia madre, sia stato sempre quanto più presente possibile per me, ho sentito la sua mancanza. Chiunque però avrebbe accantonato questo sentimento, trasformandolo in astio, per evitare di essere consumati da esso, no?
Certo è che non ha potuto cancellare i dieci anni di distanza in sole due ore. Ho evitato di fare altri commenti eccessivamente acidi per preservare un minimo il contegno sebbene alcuni sarebbero calzati a pennello, in generale però penso di essere stata adeguatamente schiva e silenziosa da fargli capire che ci sarà molto da lavorare. Ho accettato di conoscerlo mettendo da parte quelli che lui definisce "pregiudizi", anche se per me non lo sono, e ho intenzione di provare a mantenere la parola, almeno per un po'.

Ho scoperto diverse cose su di lui che ovviamente non sapevo. È tornato in Inghilterra perché lui è nato qui e ha vissuto qui per tutta la sua gioventù; si è trasferito a Washington DC subito dopo la high school per frequentare la Georgetown University, laureandosi cinque anni dopo in management per tecnologia e cybersecurity. Qui in Inghilterra lavora in una compagnia che si occupa di informatica per le grandi logistiche e mi ha lasciato intendere – non che avessi alcun dubbio visto il tenore di vita – di essere uno molto importante li dentro.
Mi sono accorta che siamo molto simili; l'ho sentito nel modo in cui ha parlato dei suoi amici e della sua scuola, ho notato che anche l'umorismo è affine al mio. Osservandolo meglio ho potuto constatare di aver ereditato diversi tratti del viso e alcune movenze. È davvero un bell'uomo, ha quarant'anni ma io gliene avrei dati meno; mi ha detto che nel tempo libero va in palestra oppure fa nuoto, suo sport preferito e altra cosa che condividiamo.
In tutte le sue chiacchiere, non ha mai fatto riferimento alla nostra famiglia, alla mia infanzia, alla mamma. Non si sente neanche un po' in colpa? Come fa a parlare dell'università e del periodo dopo, tralasciando completamente quella che dovrebbe essere una parte fondamentale? Quando se n'è andato, ha voluto dimenticare? Se si, cosa lo ha spinto a ricordarsi di me e a volermi conoscere?
Tutte queste domande frullano per la mia mente mentre rimugino su mio padre. Non so per quanto potrò andare avanti senza ricevere le risposte di cui ho bisogno.

La giornata sta giungendo al termine, dalla finestra di camera mia si può osservare un bellissimo tramonto, il cielo e le nuvole sono colorate di un bel rosso carminio che mi trasmette un senso di pace ma allo stesso tempo di testarda determinazione.
Per la prima volta in tutta la giornata, estraggo il mio telefono e me lo rigiro tra le mani un po' prima di sbloccarlo. Vorrei chiamare Thomas ma mi rendo conto di non avere accesso ad internet, perciò scendo al piano di sotto, vagando come un'anima in pena cercando disperatamente la password del WiFi.
Giro i piani della casa e apro varie porte dando una veloce occhiata, vedo la camera da letto di mio padre e di sua moglie Dalila, la camera del mio fratellastro Nathan, trovo una stanza dei giochi e poi finalmente trovo uno studio, e immagino che il router si trovi li.
Nella stanza c'è una scrivania molto semplice e spoglia, sopra di essa solo un MacBook e un paio di cartelle con dei fogli. C'è una libreria piena di libri enormi che sembrano manuali di legge, probabilmente di Dalila, e un'altra con libri, cartelle e raccoglitori catalogati. Trovo quello che mi serve nel mobile dietro la scrivania così mi avvicino e digito la password sul telefono.
Faccio per uscire quando una cosa mi colpisce: la parete in cui si trova la porta è piena di foto. Mi avvicino quasi sentendomi una ladra e inizio ad osservarle una ad una. Ci sono foto di Nathan, di famiglia, del matrimonio. Dalila è davvero una bella donna, non mi ero ancora soffermata a guardare alcune delle foto sparse per la casa. I capelli corvini come quelli di papà sono tenuti a caschetto in alcune foto, oppure lunghi fino a metà schiena in altre, gli occhi azzurri e leggermente a mandorla appaiono sempre sorridenti, anche quando il resto del viso non concorda. Sembra una donna molto felice. Ci sono diverse foto in cui papà è di fianco a Nathan e lo abbraccia o lo guarda e vedo nei suoi sguardi un amore sconfinato, che io non ho mai ricevuto da lui. Mi sento un groppo alla gola, sento che vorrei piangere. Piangere quelle lacrime che mi sono tenuta dentro quando ho iniziato a capire che mio padre se n'era andato, che non ci sarebbe stato per me il mio primo giorno di high school, che non mi avrebbe vista nel bellissimo vestito del prom e non ci sarebbe stato al mio diploma. Ho tenuto tutto quel peso addosso per tanto tempo, fino a quando non mi sono resa conto che dovevo farmene una ragione e che mia madre stava facendo tutto il possibile per non farmi mancare niente.
Guardare queste foto della famiglia perfetta mi fa incredibilmente male, mi sembra ironico ora il fatto di dovermi diplomare nella città di Noah per un suo ingiustificato rinnovato interesse per me, lontana dalla mamma che mi è sempre stata accanto.
Poi vedo qualcosa che non mi aspettavo. Nella fila più alta di foto, non ritrovo più i visi di tutte le altre. Vedo l'uomo barbuto dei miei ricordi che gioca con una bambina molto piccola, e poi un'altra, dove la stessa bambina un po' più grande è tutta insabbiata mentre cerca di costruire un castello di sabbia, e infine una foto di quella bambina ancora più grande che stringe un orsetto di peluche tra le braccia, seduta sulle gambe di mio padre, entrambi sorridenti.

Sono io. Queste foto sono mie.

Non so descrivere come mi sento, imbambolata a osservare queste immagini, l'ultima in particolare. Ricordo alcune cose di quel giorno: piangevo perché avevo portato a scuola il mio pupazzo, una scimmietta, e un bambino me lo aveva strappato dalle mani e rotto. Quando il pomeriggio tardi papà è tornato a casa, mi ha vista triste e quando gli ho raccontato cosa era successo, ha preso su me e la mamma e ci ha portate al negozio di giocattoli, dicendomi di scegliere il pupazzo che preferivo.
Non mi aveva dimenticato? Mi ha sempre avuta sotto agli occhi? Per quale motivo è sparito per così tanto tempo allora? E non si è fatto mai sentire? Sono sempre stata convinta che lui non mi volesse più bene. Quando chiedevo alla mamma se era andato via per colpa mia, lei mi rispondeva che non dovevo sentirmi colpevole di niente, ma non ha mai detto chiaro e tondo che io non c'entravo niente; forse per lei non avrei mai capito l'enorme differenza, ma io mi sono resa conto che non era quello che volevo sentirmi dire, e che anzi, lasciava libera interpretazione alla mia mente ferita e piena di immaginazione.

Scappo fuori dallo studio, tornando velocemente nella mia camera e richiudendomi la porta alle spalle, con un leggero affanno. Mi sento sconvolta, mille dubbi si fanno largo tra i miei pensieri, ho bisogno di chiamare il mio migliore amico e raccontargli, mi prendo del tempo per ricompormi prima di avviare la videochiamata.
«ALICE!» urla quel demente non appena risponde alla chiamata. Sento del rumore in sottofondo mentre il video carica e poi mi appare lui in primo piano, a torso nudo e con i capelli bagnati.
«Cavolo siete in piscina, bastardi!» esclamo ridendo riconoscendo il giardino dei Davis. Immediatamente nell'inquadratura si fanno spazio confusionariamente Charlotte, Richard e Tania che si parlano sopra per salutarmi e farmi sapere a chi manco di più. Rido di gusto a quella scena, li saluto più volte anche io fino a quando Thomas non si riappropria del telefono e si mette ad inveire contro gli altri.
«Scusami, dannazione, quando ci si mettono sono dei selvaggi.» mormora sconsolato mentre si allontana dal frastuono. Ha ragione, quando vogliono sono dei selvaggi, ma vorrei davvero essere lì con loro; questa accoglienza mi ha riscaldato il cuore e mi ha fatto dimenticare per un momento quello che ho visto nello studio. Thomas si perde a raccontarmi varie cose a cui non presto molta attenzione, persa come sono nei miei pensieri. «Come al solito parlo solo io!» Thomas interrompe il mio flusso di pensieri dandosi un sonoro schiaffo sulla fronte provocandomi una risatina. Mi intima quindi di raccontare tutto.
Gli racconto esaltata della casa, della piscina e del quartiere. Gli faccio vedere la mia camera, il bagno e la vista dalla mia finestra. Lui fa vari commenti divertiti, e inizia a rivolgersi a me scherzosamente con l'appellativo di "Sua Maestà". Gli racconto del giardinetto col salice e di Louis, provocando fischi e sguardi di intesa da parte sua. Sta cercando di farmi ridere e di tirarmi su il morale, e lo adoro per questo.
«Okay, bella la tua storia da principessa col principe dagli occhi azzurri, ma ora raccontami di Noah.» Dritto al punto insomma.
Mi passo una mano tra i capelli e inizio a giocare con una ciocca mentre penso a cosa dire.
«È stato... strano.» mormoro mentre prendo tempo. «È giovane, completamente diverso da come lo ricordavo. Sembra sapere il fatto suo, sai quegli uomini sempre sicuri di sé? Eppure quando mi ha vista, credo stesse per avere un infarto.» Questo è quello che ho pensato, è sembrato sconvolto, mi ha squadrata dalla testa ai piedi; ora che ho visto quelle foto nello studio, ho capito di essere ben diversa dalla bambina che ricordava.
«Sono sicuro che gli mancavi, anche se tu non ci credi.» sentenzia, riferendosi alle innumerevoli volte in cui abbiamo affrontato questo discorso anche in passato. Ho sempre sostenuto fermamente che non potesse sentire la mia mancanza, non mi è mai passato per la testa nemmeno un istante che lui potesse invece avermi sotto gli occhi spesso. Sto per raccontare a Thomas dello studio, ma qualcosa mi blocca. Forse voglio tenermelo per me, forse voglio affrontare questa cosa da sola, senza dover per forza ascoltare i consigli altrui, anche se questi vengono da una delle persone di cui mi fido di più. Non voglio essere influenzata da nessuno. Decido quindi di tacere questo particolare e gli riporto invece alcune delle cose che mio padre mi ha raccontato della sua vita.

Dopo un'oretta buona, ci salutiamo, saluto anche gli altri e chiudiamo la chiamata. Sospiro prima di chiamare mia madre, sarà sicuramente preoccupata.
Resto al telefono con lei una mezz'oretta, a lei racconto ancora meno cose, mi limito a dire che non abbiamo avuto molto tempo per chiacchierare e che il posto è carino. Qualcosa mi blocca dal raccontarle della casa e di Noah, nonostante le sue mille domande, anche abbastanza insistenti. È così che si sentono i figli di coppie divorziate quando parlano dell'altro genitore? Alla fine della chiamata, la sento triste, non so dire se a causa della situazione o a causa delle mie risposte poco soddisfacenti; le dico di salutare Zayn e Yaser e di prendersi cura di lei poi chiudo la chiamata.
Mi stendo sul letto e osservo il soffitto. Mi sento confusa, stanca, frustrata, arrabbiata, felice e triste allo stesso tempo. Non so cosa pensare, il mio umore è stato sulle montagne russe tutto il giorno e questo mi ha prosciugato le energie. Chiudo gli occhi e lascio che la stanchezza prenda il sopravvento.

***Spazio autrice***
Ciao a tutti quelli arrivati fin qua! Spero che la storia vi stia piacendo, se avete qualche consiglio o critica, sarò lieta di ascoltarlo!
Al prossimo capitolo!

   
 
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