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Autore: Ishouldgoaway    15/09/2022    0 recensioni
La morte di Frigga è stata improvvisa, dolorosa e brutale per tutta Asgard. E tutti hanno voluto portarle il proprio, personale, ultimo saluto. Tutti tranne il dio dagli occhi verdi rinchiuso in una cella lussuosa quanto opprimente. Il divieto, per Loki, di partecipare alla funzione viene direttamente dalle labbra di Odino, ma non rimarrà a lungo senza conseguenze.
Dal cap. 2 [...] Lo aveva visto solamente un breve istante. Attorniato da guardie e guaritori come a formare una barriera. Battiti improvvisamente irregolari e violenti contro la cassa toracica.
Non era riuscito ad osservargli il volto. A notare i lineamenti espressivi di un viso inanimato. Ma soltanto a carpire gli orli macchiati delle vesti stracciate, martoriate come il corpo pallido.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Si voltò in uno scatto, ma il manipolo di guardie che, teso, l’aveva scortato, era già sparito.

“Odino ha forse deciso di concedermi un nuovo passatempo?” Esordì tagliente, maligno.

La ragazza si voltò tutt’altro che sorpresa. L’umorismo affilato del dio era ormai divenuto famoso in tutto il regno e un atteggiamento offeso o addirittura plateale, non avrebbe di certo cambiato le cose, incoraggiando se non altro Loki a proseguire con quell’acuto sarcasmo che era divenuto elemento di riconoscimento.

D’altro canto, però, ciò che lei immaginava era che gli fosse quanto meno stata riferita la nuova condizione di prigioniero e quello che, irrimediabilmente, avrebbe comportato.

Non ricevendo risposta alcuna, il mago iniziò con stizza a guardarsi attorno, solo pochi dettagli erano mutati. Fece ricorso alla propria abilità di ingannatore per celare il dispetto che sentiva diffondersi nel torace. Come aveva potuto Odino privarlo di quella solitudine così opprimente ma così preziosa?

I libri non erano stati portati via, il letto era ancora al suo posto. Una nuova poltrona, molto simile alla precedente, posizionata in un angolo. Il resto era sparito, l’ambiente ripulito e gli oggetti non sostituti. Avevano il timore che potesse farlo nuovamente.

La ragazza indugiava sulla figura virile del dio dell’inganno mentre questi era immerso nelle proprie riflessioni. Il controllo di lei, quella presenza troppo delicata per trovarsi in un ambiente tanto rude, non gli avrebbe impedito di fare nulla. Di fatto, era irrilevante, pensò orgoglioso. Un paio di semplici occhi sarebbe stato abilmente depistato da apparenze e proiezioni, da mutevoli forme e realtà. Nessun pericolo dunque. Nessuna minaccia e nemmeno nessun fastidioso impiccio.

Si sarebbe limitato a ignorarla, magari a divertirsi un po’, a stuzzicarla, nulla di più.

Tutto sommato, riflettendo con ancora più attenzione, sarebbe stata un simpatico diversivo in un covo di inetti mascalzoni che erano sì riusciti a farsi catturare, ma non avevano mai sforzato le facoltà mentali concentrandole nell’elaborazione di un piano adatto ad eludere una prigionia sfiancante, opprimente.

Quale delizioso privilegio poter disporre di una figura tanto delicata come quella che aveva scorto tra i vestiti di una ragazza che ancora non aveva proferito una sola parola.

Lo osservava torva, incuriosita. Lo faceva di nascosto fingendosi impegnata in una delle letture che le erano state silenziosamente concesse quando aveva messo piede in quella nuova stanza, uguale a tutte le altre, eppure evidentemente più lussuosa e accogliente. Chiaro privilegio dovuto a una condizione originaria di elevato prestigio sociale.

Ne studiava i lineamenti affilati, la mascella maschile, la barba che aveva iniziato a irruvidirgli le guance, il mento. Il collo bianco e slanciato. Le labbra sottili e malevole, raggiunte una volta soltanto dalla lingua veloce e astuta

Il fisico asciutto era intuibile al di sotto delle vesti nuove, pulite, regali che non sarebbero state cambiate né tolte per lungo tempo ancora. Si trovava steso sul materasso, indeciso sul da farsi, su cosa dirle, sul se. Se rivolgerle - nuovamente - persino la parola, ad esempio.

“Non sono certo di cosa cerchi di ottenere continuando a fissarmi con tanta curiosità, ma ti pregherei di smetterla,” chiosò compiaciuto quanto seccato. E subito la mise in difficoltà. Lei abbassò gli occhi, posandoli nuovamente sulle parole che, innumerevoli, le parvero immediatamente sconnesse, tutte indipendenti, sole.

Immaginò l’aria che, fresca e invernale, le sferzava il volto delicato sino ad offenderlo con inclemente e immutabile durevolezza. Rivide uno dei fiordi di Asgard, a lei il più caro, e le sue acque agitate raggiungerlo con inesorabile furia. Potè udire i fischi di folate incanalate tra le alte pareti rocciose farsi più cupi a precedere una stagione oramai giunta senza che fosse prima stata annunciata.

Rivisse dunque l’ultimo inverno che le era stato concesso in dono, intimorita dalle beffe di una memoria che perde colori e tinte e sfumature, i cui contorni si dipanano in un oblio definitivo più della morte stessa, che era già stata vinta da un dio caparbio e volitivo, arrogante e ambizioso.

E in quei momenti, fu l’ingannatore a dedicare a lei i suoi occhi verdi, vibranti, brillanti.

Non gli si era ancora rivolta. Che avesse paura? Il suo sguardo sembrava curioso, forse malinconico, tutt’altro che limpido. Fu tentato di chiarire da sé ogni dubbio. Il seiðr glielo avrebbe permesso con una facilità quasi vergognosa. Di fatto, in quel contesto, non vi era alcuna barriera a separarli, a schermare il suo enorme potere, ad affievolirlo. Era riuscito a distruggere una cella intera senza che la parete dai riflessi dorati ne fosse in alcun modo scalfita, aveva addirittura percepito i reali pensieri delle guardie che, prive di ogni empatia, gli avevano comunicato la fine della celebrazione funeraria della madre; si era nascosto a tutti, soffocando i gemiti disperati che gli avevano grattato la gola in una sorta di bolla di intimo dolore. Nulla avrebbe dunque potuto impedirgli di portare a compimento quella semplice intenzione.

Fece perciò per pronunciare qualche runa sommessa, quando una domanda incerta lo fece momentaneamente desistere.

“Come state?” il capo ancora rivolto verso il basso, immerso in quel libro del quale si era appropriata.

“Cosa?” si ritrasse, aumentando ancor di più la distanza già abissale che sussisteva tra loro.

“Non fingete di non aver capito,” 

“Non sto fingendo, ho capito benissimo,” e l’occhiata che le rivolse riuscì a gelarla anche senza che lei la vedesse. “Valutavo soltanto cosa ti ha spinta a pensare che ti avrei risposto,” replicò con tono aspro e asciutto.

Era sicuro che quella ragazzetta silenziosa ne fosse infastidita e di questo si compiacque. Lo notò nell’impercettibile ruga che le si formò al centro della fronte, nella mascella serrata. Gli occhi trasformati in sottili fessure a fingere ancora di capire quel linguaggio complesso e regale, ufficiale, parlato solamente dall’aristocrazia asgardiana nelle occasioni di rappresentanza.

Troppo complicato per lei, considerò con sfacciata sufficienza in una riflessione personale abilmente celata dall’espressione distesa del volto.

Era curiosa. Lo percepiva dall’indugio degli sguardi posati su un volto che ancora a lungo i segni della vecchiaia avrebbero risparmiato. 

Era sveglia. Aveva sempre saputo che le domande non avrebbero ricevuto in risposta altro se non scherno e crudele ironia, eppure aveva tentato ugualmente - in una non troppo improbabile ipotesi lui avrebbe agito similmente per tastare il terreno e acquisire più informazioni di quante già non avesse carpito. Aveva compreso che si sarebbe dovuta accontentare di pochi e fuggevoli indizi, senza poter fare affidamento sulle parole.

Era delicata. Sebbene facesse del suo meglio per nasconderlo. Lo capiva dalla posa eccessivamente rigida e composta, dall’impropria austerità di un’espressione dipinta su un viso dai lineamenti dolci. Dal leggero timore che le aveva fatto tremare le dita nello sfogliare una pagina sottile - qualcuno l’avrebbe definita addirittura trasparente - prima di rivolgersi a lui con quell’unica, flebile domanda.

Era decisa. I lasciti di un’indole forte erano ancora evidenti, ma la prigionia l’aveva forse piegata. E il persistere della sua pena da un tempo indefinito poco rilevante, dato il risultato. Non aveva osato mai incrociare gli sguardi da quando la condivisone di uno spazio ignobilmente ridotto, per lui, un principe dal sangue reale, era stata imposta. Da Odino probabilmente. Anche se l’acume che l’aveva sempre contraddistinto gli suggeriva di non escludere del tutto la presenza di Thor in tale schema ancora incompleto ai suoi occhi.

 

 

“Ti avevo detto di non intervenire,” dichiarò il condottiero Ase con un’intensità degna del suo ruolo. “I guaritori hanno adempiuto al loro dovere, ed era stato disposto che Loki facesse subito ritorno alla sua cella,”

“È così,” gli consentì il figlio, ma le parole di Odino gli impedirono momentaneamente di continuare. 

Era consapevole che sarebbe accaduto. Aveva deliberatamente scelto di non consultare l’unica vera figura dalla quale potevano provenire quel genere di ordini. Eppure non si trattava di un capriccio infantile, questo doveva capirlo. E l’avrebbe saputo.

“Invece hai tergiversato, fornendogli innumerevoli possibilità,” Thor non era sicuro che fosse paura,  come la scelta lessicale avrebbe potuto suggerirgli; anzi, con tutta certezza non lo era. Si trattava piuttosto di rabbia, rancore verso un comportamento riprovevole rimasto incompreso.

“Ho preso le adeguate misure di sicurezza,” 

“Non potremo saperlo fino a che non metterà in atto ciò che ha pianificato,” precisò con aria meditabonda e il suo sguardo si spostò più avanti e più lontano, alle spalle di Thor, verso il grande portone intarsiato ai limiti della sala.

L’imprevedibilità del dio l’aveva sempre preoccupato. La logica delle sue idee, fuggevole sino alla loro completa applicazione, era sempre stata motivo di sospetto. Forse anche in tempi tranquilli di pace e fanciullezza.

Dovevano essere pronti, tutti. E senza avere il minimo suggerimento riguardo gli aspetti sui quali concentrare maggiori forze, energie, attenzioni.

PadreTutto era teso e di certo non avrebbe celato a Thor questo suo tormento.

“Ho parlato con la ragazza,” esordì il tonante interrompendo il flusso di pensieri che, libero, aveva iniziato a scorrere nella mente del sovrano. Egli tornò a guardarlo dall’alto della sua posizione.

“Colei che potrebbe tradire nuovamente il suo Mondo se irretita a dovere da Loki, sai anche tu che accadrà,” si pronunciò duro Odino.

“Non sarà così. Sarà un valido aiuto sì, ma per noi, non per Loki,”

L’unico occhio del figlio di Borr si assottigliò con il muto ordine di ricevere le dovute spiegazioni. 

Thor lo osservò ancora una volta, ne studiò nuovamente i tratti tesi del volto: sembrava stanco, osservò nel privato dei propri pensieri. E come biasimarlo? Dopo tutto ciò che era accaduto nei giorni precedenti. 

Odino, nel silenzio, stava ancora aspettando che la voce di colui che deteneva il potere del tuono riempisse nuovamente la stanza, echeggiando, rimbombando tra le innumerevoli colonne erette a sostegno della struttura. Thor si era fatto uomo e guerriero valoroso e sicuramente si sarebbe rivelato un sovrano saggio quando l’ora sarebbe giunta. Aveva sempre preferito la battaglia alle strategie, alla politica, eppure si era più volte dimostrato abile se messo alla prova.

 

 

Era lì per un motivo. Quella ragazza dalla parvenza innocua e insignificante. Perché mai compiere un simile gesto se non per giungere a uno scopo ben preciso. Lo doveva controllare. Ma perché lei. Perché il compito era stato affidato proprio a lei. Cosa aveva di particolare? Avrebbe facilmente potuto ingannarla, o almeno questo volevano fargli credere. 

Avrebbe dovuto attendere la prima perquisizione per capire. Lui avrebbe assistito con rancore al vile spettacolo inscenato da guardie conosciute mentre queste si sarebbero aggirate per la cella agitate e scaltre, attente. Lei si sarebbe allora accostata a un angolo osservando scrupolosa ogni loro movimento. E solo a quel punto avrebbe incrociato, uno ad uno, gli occhi di quegli invasori votati a Odino. Dopodiché gli stessi l’avrebbero scortata all’esterno, lasciandolo piacevolmente solo per un lasso di tempo tutt’altro che irrilevante. E lei sarebbe infine ricomparsa tentando di celare l’evidente stato di turbamento che le dipingeva il volto.

Eppure il momento propizio non era ancora giunto mentre le sue riflessioni si materializzavano in semplici congetture. 

Le celle erano sovraffollate, certo, il tasso di ribellione alle leggi asgardiane aveva subìto una preoccupante impennata, ma ciò non avrebbe mai dovuto ragionevolmente coinvolgere Loki. Anche solamente la preoccupazione che potesse trovare un nuovo alleato - o meglio, un mero strumento - nel nuovo compagno di cella che avrebbe fastidiosamente rovinato quell’esistenza tutto sommato solitaria da sempre. Non si trattava di privilegi, non solamente di quelli. Poco saggia era già stata la scelta di non isolarlo completamente in un’area deserta delle prigioni, magari progettata appositamente per riuscire a contenerlo. Ma arrivare addirittura a rischiare una coalizione tra menti sottili - lei non era insignificante come si impegnava a fargli credere e di certo qualcosa l’aveva portata a condividere la pena con i più pericolosi criminali del Regno - solamente per far fronte a un problema risolvibile con un semplice ampliamento o qualche esecuzione non era da Odino, non era da Thor.

Volevano controllarlo attraverso lei. Il come però, tendeva ancora a sfuggirgli. Eppure, dal momento stesso in cui l’aveva vista, era stato certo che non ci sarebbero riusciti.

“Inetti,” sussurrò, quasi compiaciuto, in un sorriso bieco e grave.

“Come dite?”

E si voltò verso la ragazza il cui nome ancora gli era sconosciuto, incontrando così, per la prima volta, i suoi occhi limpidi. Vi si soffermò rapidamente, ponderando attentamente la reazione che avrebbe lasciato trapelare.

Non era ancora giunto il momento di scoprire le carte. Gli elementi erano ancora insufficienti e, benché l’improvvisazione fosse una delle sue abilità più sviluppate, preferì optare per l’attesa, per la pazienza. 

In ogni caso, perché le avrebbe dovuto rispondere? Tornò a rivolgere la propria attenzione al soffitto spoglio con fare annoiato. Nulla a che vedere con quello a lungo osservato nella stanza dei guaritori, riccamente decorato e intarsiato con oro finissimo dalla fattura pregiata. Uno spettacolo che riusciva a incantare chiunque alzasse gli occhi verso l’alto, nell’ammirare lo spettacolare palazzo.

Un leggero sospiro lasciò i suoi polmoni, riassaporando il ricordo di una vista che a lungo ancora - o forse mai più - non avrebbe avuto la possibilità di ammirare o la facoltà di ignorare.

Era sempre stato un gran pensatore, Loki di Asgard. Le riflessioni, gli studi costantemente intrapresi come nutrimento per la mente, atti ad ampliare una conoscenza sempre più vasta. Eppure ora, con suo grande rammarico, si ritrovava ad elaborare elucubrazioni malinconiche. 

Scosse lievemente, ma rapidamente, il capo e anche le palpebre si mossero per poi rialzarsi in fretta.

Si stava concentrando sui motivi sbagliati.

Nel frattempo, lo sguardo di lei ancora insisteva sul suo profilo, ma l’ingannatore scelse di non darvi troppo peso. Che lo fissasse pure, dando mostra di tutta la sua incompetenza nello svolgere il compito che le era stato assegnato, chissà in cambio di cosa poi. Certamente un informatore scelto avrebbe mostrato maggior riguardo, maggiore cautela.

Ma cosa poteva pretendere da una ragazzetta all’apparenza poco più che adolescente?

I pensieri si contraddicevano fastidiosamente all’interno della sua mente, era inesperta o talmente abile da saper dissimulare la cosa alla perfezione? Le uniche certezze, fino a quel momento, erano il piano di Odino e il sospetto covato nei confronti della giovane.

Chissà cosa pensava lei, invece. Quali erano i suoi preconcetti sul mago, da cosa era stata messa in guardia; e come aggirare tali avvertimenti… Lo avrebbe certamente appreso con il lento scorrere del tempo. E, ancora una volta, tornò a ricordarsi di avere pazienza; giunto il momento, l’avrebbe senz’altro riconosciuto, se non creato lui stesso, e poi sarebbe stato costretto ad agire in fretta. Dunque quel noioso riposo, dopotutto, non sarebbe guastato.

Cercò di chiudere gli occhi, ignorando quelli di lei che, di tanto in tanto, tornavano a posarsi su di lui con curiosità, o forse sospetto. Gli era improvvisamente esplosa una grande emicrania e nel pensiero che la sua convalescenza non si fosse ancora conclusa vi trovò la ragione. 

Certo, era stato nuovamente spedito in cella - con meno premura di quanto si sarebbe mai aspettato - ma solo per paura e senso di urgenza, non perché si fosse ripreso completamente. Le bende, infatti, continuavano, strette, ad avvolgere i polsi, così come il resto di un corpo vittima di un’ira disperata e autodistruttrice; e la tentazione di osservare quanto fosse rimasto del suo operato stava combattendo per rivendicare un ascolto che il dio, nella sua razionalità, stentava a concedere.

“Ti vedo pallido, Loki figlio di Odino, sicuro che il vecchio abbia permesso di sistemare il macello che hai combinato?” un tono divertito quanto provocatorio catturò la sua attenzione.

Ovviamente qualcuno che avrebbe deciso di sfruttare il doppio campo di forza luminoso che li separava ci sarebbe stato. Stava solo aspettando che giungesse il momento più prospero. Il brivido di una sfida vigliaccamente intavolata, nella consapevolezza di non correre alcun rischio concreto, non nell’immediato futuro, almeno. Povero stolto. Pensò.

Probabilmente si era appena svegliato dal proprio annoiato riposo, dato che aveva aspettato tanto a lungo prima di sancire, con le sue stesse mani, la propria distruzione - anche se sembrava non esserne ancora consapevole. 

“O forse è tutta apparenza e creperai tra poco. Non vorrei sbagliarmi, ma ricordo non fossi conciato molto bene - si avvicinò ancora di più al limitare della cella, poi continuò - e nemmeno ora… ” lo osservò di sottecchi prima di terminare con la gustosa invettiva. Un ghigno bieco sulle labbra.

“Abbiamo tutti apprezzato il teatrino, sai. Qua giù non succede poi molto,”

Se prima aveva sollevato solamente il capo, ora Loki si era messo a sedere, pronto per alzarsi e raggiungere la posizione che più fosse vicina allo sconsiderato interlocutore.

Gli occhi di lei a fare da spola tra le due figure, senza alcun movimento del collo ad accompagnarli, e con una pagina trattenuta a mezz’aria, tra le dita.

Il dio emise un sibilo compiaciuto e i suoi denti si mostrarono in un rapido sorriso divertito.

“Devi considerare davvero poco la tua vita se insisti nell’aprire bocca, Ivar,” contemplò con tono pacato ma tagliente. Acido a tratti.

Gli occhi verdi ridotti a due velenose fessure.

Piegò poi la testa di lato. 

“Curioso che sia proprio tu a dirlo,” E Loki le avvertì quelle parole e ne fu intimamente colpito. Nulla di inaspettato, certo. L’acredine che ispirava le chiacchiere dell’uomo era conosciuta ed evidente. Eppure, per quanto possiamo essere ragionevolmente preparati, l’irrazionalità rimarrà - sempre - un’incognita tutt’altro che trascurabile; capace di instillare dubbi, di scavare, di raschiare la più primitiva reazione anche in chi già si conosce da tempo. Anche nel dio dell’inganno.

Ovviamente tutto abilmente celato dalla pronta maestria del mago nell’arte della dissimulazione.

“Ti piace testare il punto di rottura del filo, non è vero? Quanto ancora reggerà prima di spezzarsi; giocare con la pazienza di chi stai sfidando al riparo di una cella sicura, come espressione della tua codardia,”

Non trascorse nemmeno un’istante prima che una torva risposta venisse sputata dalle labbra del disertore.

“Davvero, non vorrei ripetermi, ma perché insisti ad affibbiarmi caratteristiche di cui tu sei il Signore? Codardia, istinti suicidi…”

La tensione era palpabile ed evidente, ma Loki si prese ugualmente il tempo per dedicarsi a un’osservazione, fuggendo dal desiderio di rispondere in modo stolto soltanto per zittire un omuncolo che mai sarebbe stato al suo pari. Vi sarebbero stati molti modi, ma, come sempre, optò per il più subdolo.

“Tu hai paura,” iniziò dopo un ulteriore sguardo. “Tenti di nasconderlo. Ma la percepisco. Dalla tua faccia, dai tuoi pensieri,” e calcò volontariamente quella parola. Pensieri.

Ivar, figlio di un malcapitato che era riuscito a farsi strada all’interno delle truppe di Odino, prima di essere vinto sul campo di battaglia precedendo il diffondersi di una malattia sicuramente contratta in uno dei tanti festeggiamenti che avevano seguito una vittoria. Era uomo abile e fidato, suo padre. Rapido e svelto, debole solo al costante richiamo della carne, aveva ricevuto la fortuna di vedersi risparmiata l’ignobile vista di un figlio disertore, dalla mente tanto debole quanto forti erano i suoi fendenti con la spada.

Lo vide esitare, abbassare impercettibilmente lo sguardo per poi rialzarlo come se nulla fosse accaduto, come se Loki non fosse stato in grado di percepire quel suo gesto appena accennato.

“Smettila di nasconderti dietro questi trucchetti, sei un pagliaccio che si serve di minacce vuote, un inconcludente incapace di attuare anche il più semplice dei piani, che si serve delle credenze popolari per incutere paura e assoggettare. La verità è che tutto quello che professi di poter fare è falso e indubbiamente inutile, dal momento che marcirai qua dentro fino a quando il Ragnarok sarà compiuto. E ricordati che non sarai tra i pochi che si salveranno,” eccola la reazione che voleva.

“Speri che queste parole mascherino il terrore che hai provato alla prospettiva che io arrivassi davvero fino ai tuoi pensieri, non è forse vero Ivar?” Il breve silenzio che intercorse prima della frase successiva fu elemento essenziale per giungere al punto. “Convinciti pure di quello che vuoi, credi alle mie parole o non farlo, non ho motivo di insistere. Sappi solo che talvolta quelle storie che circolano di bocca in bocca sono solo inventate, mentre altre, tutt’altro che false, vi si mimetizzano nel mezzo,”

Il caos. Ecco dove voleva portarlo. L’incessante dubbio che lo avrebbe inseguito in ogni angolo di quella cella. Forse Loki non aveva mentito e quella velata minaccia non era semplice suggestione. D’altro canto, anche se così fosse stato, era poco probabile che riuscisse ad appropriarsi di quelle riflessioni anche attraverso molti metri e una doppia parete di energia.

Il dio lo osservò compiaciuto prima di tornare verso il letto e appoggiare la schiena alla testata intarsiata. Non aveva mentito, sfruttando piuttosto le dicerie che, da sempre, sul suo conto erano state diffuse. E quel seme di incertezza che aveva consapevolmente seminato sarebbe germogliato condizionando la vita di quel povero inetto fin quando il respiro non gli fosse sfuggito dai polmoni. Spettacolo apprezzato da osservare nei momenti di maggiore noia. Un piccolo gioco per far passare il tempo. Sarebbe stato sufficiente rivolgergli uno sguardo e Ivar, carpitolo, avrebbe risvegliato in sé quel dubbio sempre latente.

Eppure anche quel maledetto era riuscito a toccare dei nervi scoperti. Si era dimostrato un abile avversario sul piano dialettico, doveva riconoscerlo - seppur mai al suo livello, ovviamente. La variabile della dissimulazione, tuttavia, rimaneva sempre ben presente nella formula, impedendo così al mago di rendere evidente qualsiasi implicazione emotiva. Strategia ormai rodata lungo le ardue vie di un’esistenza privata dei propri diritti di nascita.

Serrò la mascella, nervoso. Stava dando troppo peso alle vuote parole di un essere patetico. Semplici illazioni - si disse - private di qualsiasi conseguenza. Si trattava di un potere che il disertore non meritava e che non sarebbe comunque riuscito a gestire.

Stupido buono a nulla. Pensò. 

 

 

Gli occhi della ragazza erano finalmente tornati sulle pagine del volume - di cui si era silenziosamente appropriata - dopo aver osservato quello scambio così tagliente e aggressivo che si era appena consumato senza però spegnersi del tutto.

Era rimasta in religioso silenzio. Nemmeno un suono aveva trovato respiro dal dischiudersi delle labbra, ma ogni immagine le si era impressa nella memoria. Cosa stava studiando di lui? Assorta in una lettura eccessivamente lenta. 

I suoi ragionamenti erano impegnati in un vagare febbrile di ipotesi e possibilità, lo sentiva sulla sua stessa pelle. Nulla aveva a che fare, quella sensazione, con la scia delicata lasciata dal contatto dei polpastrelli sulle maniche leggere.

Avanti. Indietro. E poi di nuovo. Avanti. Indie… Un fastidio improvviso lo fece scattare e il capo subito si mosse.

“Perdonate, mio Signore,” alzò le ciglia lei con fare imbarazzato.

Un semplice accesso di tosse, tanto inaspettato quanto sgradevolmente irritante. Chiara colpa dell’aria umida e ormai marcia che aleggiava nei sotterranei, sicuramente troppo a raschiare la stretta gola di esile ragazza, troppo poco per poter costituire un qualche tipo di problema per qualcuno.

E le sue scuse sarebbero senz’altro passate inosservate, insieme alla loro irrilevanza, se non si fosse arrischiata a posare le iridi vitree sui gesti a un tratto interrotti del dio.

Se ne accorse, in modo inevitabile, e abilmente rapide furono le mosse che ne distolsero l’attenzione. 

Non erano le sue intenzioni, le valutazioni di una mente sottile, a dover essere chiarite.

D’un tratto assottigliò lo sguardo. “Cosa stai leggendo?” le chiese severo, allarmato, mettendosi nuovamente a sedere sopra le lenzuola di poco sgualcite. Prese dunque a fissarla insistente, desideroso di coglierla in errore e al contempo inorridito dagli intrecci verdi e oro della copertina che aveva scorto con troppa lentezza essere tra le sue mani.

Lei abbassò lo sguardo su quelle stesse dita che non avevano mai smesso di sfiorare le numerose pagine, leggere e impalpabili, rilegate assieme. Ma non ebbe tempo nemmeno di accennare a una risposta che il dio le si rivolse subito, imperante. “Posalo immediatamente.” E il gelo di quell’ordine le raggiunse le ossa, impregnandole prima le membra, filtrando facilmente l’epidermide - delicata come i fogli inchiostrati ai quali si era affidata - seppur si sforzasse affinché fosse evidente il contrario.

“Fallo,” aggiunse furioso. Eppure la voce non si era alzata.

Lei ubbidì, eseguendo le istruzioni con lentezza e timore, come quando ci si ritrova di fronte a una bestia pericolosa e tutte le proprie risorse vengono impegnate per portarsi in salvo e non farla innervosire. Ma intanto quella rimane lì, immobile, gli occhi sgranati a scrutare ogni movimento, ogni espressione per capire quando la guardia viene abbassata e sferrare il proprio attacco con maggior efficacia.

Momenti di tensione catalizzati in uno scontro ossimorico di sguardi. 

Eppure non perse quella sua malcelata sfrontatezza, la ragazza. Sfrontatezza che la spinse sino ad avvicinarsi all’uomo dallo sguardo duro e furbo che continuava a seguirne le movenze, dai lineamenti tesi, proteso verso uno spazio incolmabile che inizialmente li separava.

Si arrischiò al punto da posargli il libro accanto, quasi a sfiorargli la mano con il cuoio spesso.

Loki la osservò, esprimendo poi, chiaramente, ciò che i suoi occhi già avevano iniziato a dire.

“Che stai facendo?” E, dopo una pausa opprimente, continuò “perché lo hai portato qui? Rimettilo al suo posto,”

“Non era mia intenzione offendervi,” affermò pacata, stranamente calma. Non sembrava affatto spaventata dal dio degli intrighi e delle malefatte. Eppure era l’ingannatore in persona, e non vi era nessuna barriera a separarli - rivolse un rapido sguardo a Ivar, stravaccato sul fondo della sua spoglia cella, appoggiato al muro; nulla a che vedere con il lusso ora ammantato di modestia della sua prigione.

“Certo che no,” pronunciò, questa volta con fare annoiato.

“E dimmi,” fece una pausa come ad aspettare passivamente che fosse lei ad intervenire.

“Sigyn,”

“Sigyn,” ripetè lui, gustando il suono di ogni lettera prodotta dalla sinergia tra lingua e labbra. Quel nome sembrava mescolarsi perfettamente con la figura esile di lei, dai lineamenti morbidi e modesti.

“Cosa ti può aver portato a pensare di avere il permesso di frugare tra le mie cose?” La osservò con intensità. “Il fatto che tu sia qui non ti legittima a fare quello che vuoi,” proseguì tagliente. E lei attese prima di dargli la risposta che lui stava aspettando. Sembrò pensare a cosa dire, riflettere, come se volesse trovare le parole più adatte.

Certo, era stato Thor a offrirle il passatempo della lettura, con un semplice cenno del capo alla vista di quanto l’avevano catturata tutti quei volumi, ma da Loki non aveva mai ottenuto nulla. Nessun permesso. Si sentì improvvisamente in difetto, in errore. Certo era che non aveva agito con malizia.

In ogni caso lui aveva avuto modo di notare fin da subito in cosa si era impegnata, quindi perché aggredirla in quel modo soltanto allora? Come aveva potuto non accorgersi di una copertina così particolare fin dal primo momento? Questo Sigyn non riusciva proprio a spiegarselo, sembrava essersi ripreso molto in fretta e in modo ottimale, ma forse era solo un palliativo.

“Non l’ho mai pensato, mio Signore,” era incerta. Non riusciva a decidere cosa mettere a fuoco con le iridi color miele, se le punte sfuggenti dei propri piedi, oppure l’uomo che la stava interrogando; questo la portò irrimediabilmente a un vagare convulso tra i due soggetti. Spaziando poi regolarmente sull’ambiente che li circondava.

La testa leggermente inclinata le faceva ricadere ciocche di capelli castani davanti al viso.

“O sei incredibilmente stupida, oppure mi stai mentendo,” e non distolse lo sguardo nemmeno per un momento da lei. Sembrava sinceramente rammaricata, o almeno la posizione che aveva assunto lo faceva chiaramente intendere. Che fosse voluto? Si chiese Loki che mai aveva smesso di analizzarne i comportamenti.

Si trovava ancora in piedi. Postura perfetta, spalle estremamente dritte. Le mani si incontravano all’altezza del ventre in una danza che lentamente le portava a unirsi per poi perdersi nuovamente e ritrovarsi ancora una volta. Se le stava tormentando da sola, eppure con delicatezza e un’insolita eleganza nei movimenti. Ma perché la considerava così insolita? Cosa sapeva di lei? Nulla che andasse oltre delle semplici elucubrazioni mentali, le stesse che spesso, in passato, gli avevano permesso di carpire elementi chiave nelle figure con la quali era solito confrontarsi. Congetture che si rivelavano fondate in un modo estremamente veritiero e puntuale.

“Non sono solita mentire,” pronunciò spostando improvvisamente il proprio volto sul dio, in un’espressione piccata, dura.

Potè chiaramente osservare un ghigno dipingerglisi sulle labbra, le quali ben presto vennero arricciate in una smorfia affilata ed espressiva. Un movimento delle sopracciglia ad incorniciare l’intero volto. Gli occhi verdi avevano brillato, furbi. L’insinuazione alle abitudini che avevano reso conosciuto il figlio di Laufey era uscita chiara, consapevole, accompagnata da un’occhiata severa che mai avrebbe lasciato spazio ai dubbi.

“Pungente,” commentò mettendosi più comodo e appoggiando così una mano sul materasso, alle proprie spalle. Il braccio teso a sostenere il peso del corpo. “Quindi sei una stupida, lo ammetti,”

“Semplicemente non ci ho pensato,”

“Appunto, ho ragione io, sei una stupida,” lo ripetè ancora una volta. Al solo scopo di ferirla. “Altrimenti ti saresti tenuta lontana dalle mie cose,” sembrava quasi divertito, del tutto conscio di quanto un simile atteggiamento di scherno si mescolasse alla perfezione con dei modi volutamente - e velatamente - minacciosi, al solo fine di creare caos e confusione nell’interlocutore. Adesso, quella ragazza, Sigyn.

“Chiunque abbia la capacita di usare un po’ del proprio intelletto, un po’ di criterio almeno, avrebbe capito senza nemmeno uno sforzo entro quali limiti mantenersi,”

Qualcosa mutò nello sguardo di lei, ma Loki non seppe mai dire cosa.

“Lo hai ammesso tu stessa, in fondo, no? È questo il vero significato delle tue parole,” mosse ancora il capo come se facendolo riuscisse a scorgere nuove sfumature nella reazione di lei che invece era rimasta immobile, senza alcuna evidente intenzione di volergli concedere risposta.

“Mi chiedo però se tu l’abbia capito,” concluse il dio dopo soltanto una mezza manciata di secondi, tutti uguali.

Si trattava forse di una perifrasi per sottolineare nuovamente quanto la trovasse sciocca e ridicola? Come se non avesse potuto cogliere nemmeno le più palesi intenzioni di simili accuse che le erano state rivolte.

In realtà non era certa di cosa pensare. Probabilmente voleva soltanto provocarla, così come poco prima aveva fatto con l’altro prigioniero. Lo aveva lentamente condotto all’incertezza, per poi svuotarlo di qualsiasi sicurezza l’avesse mosso in principio a intraprendere il primo passo di quella conversazione così rivelatoria.

Eppure, se anche così fosse stato, se anche lui avesse voluto stordirla con i suoi giochetti infidi e complessi, lei stessa si era più volte dimostrata una discreta falsaria, capace di servirsi con abile maestria dell’ambiguità che era stata data in dono alle donne, o che comunque gli uomini di Asgard vedevano come tratto caratteristico femminile. Perché non sfruttarlo dunque?

Lui continuava a fissarla con insistenza; a scrutarla, a studiarla da capo a piedi. Stava osservando tutto di Sigyn, mentre lei manteneva gli occhi fissi sul volto del mago, così concentrato e attento.

Chissà a quali conclusioni era giunto; quali domande si stava ponendo e se queste sarebbero rimaste o meno senza risposta; se era riuscito a carpire gli argomenti che le affollavano la mente. Sicuramente la sua esperienza di guerriero stava affiorando insieme a quell’attenzione quasi maniacale per i dettagli che spesso si era rivelata utile sul campo di combattimento. Una curiosità che spesso l’aveva messo addirittura in pericolo e che ben si adattava alla fame di sapere che fin da bambino era stata simbolo di distinzione dal fratello invece più interessato al combattimento.

Agli occhi di lei era assolutamente evidente, una natura impossibile da celare. Era Loki stesso a dirglielo, con i suoi atteggiamenti, mentre i racconti che avevano contribuito a dipingerne l’immagine fuggevole e intimidatoria non facevano che alimentare la convinzione di quella ragazza che ancora il dio non era riuscito a decifrare, ma soltanto a scalfire nell’apparenza.

Eppure, immersa com’era nelle sue riflessioni, si accorse in ritardo che l’Ingannatore aveva smesso di guardarla. Così si voltò un poco, quel poco che bastava a seguire la traiettoria che avevano assunto i suoi occhi verdi e astuti.

 

 

“Spero di non aver interrotto nulla,” affermò ironico Thor che, nel frattempo, si era avvicinato alla cella.

“Sono stupito, lo riconosco,” ribatté l’altro aggiustando la posizione. “Ammetto che non pensavo ti saresti scomodato a scendere di nuovo quaggiù,” e lo squadrò con gli occhi stretti e una smorfia sulle labbra. Il degno di Asgard si era appena affacciato alla cella, non era lì da molto, con tutta certezza.

“La sfiducia è sempre stata un tuo difetto Loki,”

“Sarebbe un controsenso altrimenti, non trovi? Se il dio dell’inganno fosse conosciuto per la sua fede invece che per il sospetto,” poi aggiunse “non è nella mia natura, lo sai, tu che affermi di conoscermi,”

Sigyn interruppe per un momento il contatto tra i due, passandovi nel mezzo per defilarsi in una posizione ritirata.

Fu Thor a dedicarle lo sguardo più lungo.

“No,” iniziò poi tristemente, tornando sul fratello, “credo di non saperlo più,” sembrava dispiaciuto, indubbiamente severo. E il mago si chiese se Odino fosse stato messo al corrente di quella visita tanto inaspettata. Lo faceva sempre, anche quando l’immagine della madre si materializzava, inconsistente, dinnanzi ai suoi occhi per fargli visita. Si domandava se lo sapesse, ed era più volte giunto alla conclusione che sì, era così, nel suo animo ottuso soltanto nei riguardi di quel figlio che non aveva esitato un solo momento a incarcerare. Eppure, sperava ancora di sbagliarsi, preferendo non indagare oltre, così da evitare un senso di tradimento che altrimenti si sarebbe esteso anche all’adorata moglie.

E forse a quel punto, solo a quel punto, si sarebbe davvero pentito di averlo preso con sé, dopo aver visto com’era riuscito a legare così strettamente a sé anche Frigga, il piccolo Jotun raccolto tra i picchi ghiacciati; sempre se quel vero rimorso non si era presentato.

“Ma smettila,” si limitò a rispondere il minore dopo aver sbuffato seccamente. Erano lamentele vuote, inutili che non gli avrebbero provocato alcun senso di colpa o rimpianto.

“Quindi? Come stai?” sembrava voler nascondere quel velo di preoccupazione che, invece, gli offuscava lo sguardo.

“Sei davvero venuto a disturbarmi solo per una domanda della quale conosci già la risposta?” Lo osservò cinico. “Fottiti,” e, afferrato un libro, finse di leggerne la prima frase.

Thor, tuttavia, non distolse lo sguardo dal fratello, incupito da un’accoglienza che sarebbe stato da sciocchi aspettarsi migliore.

E, prestando attenzione, lo vide quel rancore, celato al di sotto di innumerevoli strati, nascosto nelle zone d’ombra. Odiava e biasimava; anche se stesso. Infastidito da un tipo di attenzioni che non desiderava e perseguitato dal fantasma di un ricordo del quale non riusciva a liberarsi.

Fu a quel punto che Loki tornò a sollevare gli occhi con fastidio, evidentemente annoiato dalla presenza che ancora indugiava nell’andarsene via.

“Non sarò di certo io a scacciarti né a trattenere il futuro erede di Odino, se ti aspetti qualche cosa da me. Sono certo avrai abbastanza tirapiedi che facciano il lavoro al posto tuo. Fai quello che vuoi,”

Thor accennò una smorfia ricolma di amarezza e delusione. Quando mai aveva provato qualcosa di diverso, si ritrovò presto a pensare, offeso dall’indifferenza di colui che sempre aveva chiamato fratello.

Lo aveva allontanato da se, dal proprio cuore, e il tonante non riusciva a capire come Loki ci fosse al fine riuscito. Si trattenne ancora qualche secondo, dopodiché si allontanò a capo chino.

Gli occhi verdi del mago lo seguirono di soppiatto, e un fugace ghigno gli si dipinse sulle labbra. Il suo intento era compiuto, non l’avrebbe più rivisto per un po’.




Angolino di Ishouldgoaway:
Incredibile ma vero sono viva e sono tornata con un nuovo capitolo. Qui troviamo un Loki che è nuovamente costretto in una gabbia e... un nuovo personaggio che sicuramente in molti già conoscono, Sigyn. Come potevo non inserire la moglie ufficiale del dio dell'inganno, la stessa di cui ci parla l'Edda poetica.
Che dire, sono felicissima di essere finalmente riuscita ad aggiornare e spero con tutto il mio cuoricino di aver portato qualcosa di apprezzato.
Ringrazio ovviamente chi segue, ricorda o mette tra i preferiti la storia, chiaramente anche chiunque avesse voglia di farmi sapere (anche con pochissime parole) cosa pensa di questo nuovo capitolo.
Con tanto love,
Ishouldgoaway

   
 
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