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Autore: HellWill    17/09/2022    0 recensioni
{ Lista di Fanwriter pumpAU - i cui prompt sono qui: https://postimg.cc/TphPkFWB }
Siccome ho poche ship e le poche che ho sono Originali, ho deciso di utilizzare i miei setting e personaggi Originali (quindi NON il mondo reale) per ciascuna AU.
Genere: Fantasy, Omegaverse, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Raccolta, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Tattoo!AU
Maschera
 
«Ma sei proprio sicuro di voler andare da quel tatuatore? Dicono che sia bravo, eh, per carità, ma non è neanche detto che ti prenda come cliente…» Elizabeth aggrottò la fronte, storcendo le labbra mentre rinforzava la presa sul volante. Leander guardava fuori dal finestrino, e si strinse nelle spalle. 
«Io ci provo lo stesso. Tra l’altro dicono che abbia una lista d’attesa di mesi, eppure Jhon ci è andato l’altro giorno e l’ha preso dentro subito per fare un tattoo piccino». 
«E quanto l’ha pagato?».
«Centocinquanta».
«Eeeeeh?» Elizabeth sgranò gli occhi, gettandogli uno sguardo fugace prima di concentrarsi di nuovo sulla strada. «Ma piccino quanto?».
«Boh, era tipo… un design particolare. Molto dettagliato. Quasi da tavola scientifica, hai presente il genere, no?».
Elizabeth sospirò. 
«Immagino. Comunque siamo quasi arrivati».
Qualche goccia di pioggia iniziò a ticchettare sul parabrezza. I temporali di fine estate non erano rari, a quella latitudine, e Elizabeth li preferiva comunque al sole a picco. Leander alzò il finestrino, dato che le gocce avevano cominciato ad entrare in auto. In breve furono a cercar parcheggio; quando l’ebbero trovato, si rifugiarono sotto un balcone per ripararsi dalla pioggia, cercando online l’indirizzo esatto dello studio di Kareem Harper, il tatuatore più in voga negli ultimi cinque anni. 
Trovata la strada, la seguirono rifugiandosi di balcone in balcone, ed inzuppandosi nel mentre. Bussarono al portone, e gli fu aperto da una ragazza completamente tatuata, che masticava una chewingum blu come i suoi capelli. Elizabeth sorrise. 
«Bello il colore!» la complimentò, indicandosi i capelli a sua volta. «Il mio è della Manic Pixie, tu che tinta usi?» chiese, entrando. La ragazza sorrise appena.
«Non è me che devi irretire, tesoro» disse. Elizabeth arrossì violentemente. 
«Non volevo irretirti… solo fare conversazione» borbottò. La tatuatrice fece una smorfia e inarcò le sopracciglia. 
«Allora… chi si deve tatuare?».
«Io, ma…» rispose Leander, dopo aver finito di guardarsi attorno: le pareti erano tappezzate di gente nuda e seminuda con le opportune parti coperte, che mostrava orgogliosamente i propri tatuaggi.
«Ma?» lo incalzò la tipa.
«In realtà volevamo fare un tatuaggio insieme» prese la parola Elizabeth. «Sempre per mano sua, ovviamente».
La ragazza sospirò. 
«Quindi volete tipo… i vostri nomi o qualcosa del genere?» chiese con sufficienza.
«No».
«Vogliamo qualcosa di… particolare» Leander si strinse nelle spalle. «Volevamo qualcosa di grosso, bello e pregno di significato». 
«Da quanto state insieme?».
«Stare ins… no guarda hai frainteso. Al massimo siamo scopamici» rise Leander, e Elizabeth sorrise indulgente. 
«Non siamo proprio il tipo di persone che fa la coppietta felice. Anzi, vogliamo allargare la situazione».
«Con un figlio?» chiese lei, interessata.
«No, con un’altra persona» ridacchiò Leander. «Ma finora non c’è nessuno che ci sia interessato per davvero». 
«Buona fortuna. Vado a chiamare Kareem». 
«Dici che abbiamo esagerato?» chiese Elizabeth con un tono un po’ ansioso, non appena la ragazza fu sparita dietro una porta bianca che contrastava con le pareti nere ricoperte di foto. 
«Non credo. Abbiamo solo detto la verità».
Sentirono una bestemmia dall’altra parte della porta, poi questa si spalancò e l’uomo più bello che entrambi avessero mai visto si palesò davanti a loro. La sua pelle era scura come del caramello ben fatto, e sul petto scoperto era ricoperta di tatuaggi bianchi e neri; i capelli erano lisci e lunghi fino alla cintola, neri anch’essi, e gli occhi erano scuri come il carbone, freddi e in qualche modo sospettosi. Indossava solo dei jeans scuri e degli stivaletti alla caviglia; la barba era nera e ben curata, mentre era glabro su braccia e petto. 
Mentre ancora si riprendevano da quella vista, Kareem schioccò le dita in loro direzione.
«Non ho tutto il giorno. Volete star lì imbambolati ancora per molto?».
Elizabeth fu la prima a riprendersi. 
«Sei davvero bellissimo».
«I complimenti non vi porteranno alcunché, ma ti ringrazio. Allora. Come mai proprio qui, e proprio adesso?».
«Abbiamo i soldi necessari e vogliamo affidarti completamente il design del tatuaggio».
«Hanno detto “grosso, bello e pregno”» disse la tipa dai capelli azzurri, annoiata.
«Come il mio cazzo» ridacchiò Kareem, e poi strizzò loro l’occhio. «Non preoccupatevi: è halal» disse. Leander sorrise feroce, e Kareem lo indicò.
«Questo…» si bloccò, poi ammiccò. «Tu. Preso».
«Non puoi prendere solo me. O tutti e due o nessuno dei due». 
«Non lavoro con chi non mi piace».
«Sei disposto a perdermi pur di seguire questa filosofia?» Leander inarcò un sopracciglio e allargò le braccia, alzando il mento.
Kareem lo studiò. 
«Sentiamo… che ha di particolare la tua ragazza?».
«Non è la mia ragazza».
«Bene. Che ha di particolare la tua non-ragazza?» Kareem gli dedicò un sorriso antipatico. 
«Lo lascio scoprire a te» Leander arretrò di un passo e Elizabeth inclinò la testa di lato, inarcando un sopracciglio. Kareem prese a girarle attorno.
«Eccoci di nuovo» disse lei.
«Nulla in contrario, dolcezza, ma preferisco di gran lunga gli uomini alle donne».
«Nulla in contrario, tesoro, ma non me ne può fregar di meno. Posso anche guardarvi mentre scopate, non mi tange». 
Kareem si fermò colpito. 
«Davvero mi lasceresti ficcare il cazzo nel tuo non-ragazzo?».
«E qual è il problema? Anche io ce lo ficco» rise Elizabeth, e Kareem alzò il mento. 
«Che sei, una futa?». 
«Quel termine è abbastan–» Elizabeth scosse la testa, alzando gli occhi al cielo e rinunciando a quel discorso. «Sono una ragazza transgender». 
Kareem riprese a girarle attorno. 
«Non mi interessa quello che hai nelle mutande, dolcezza. Onestamente, fino ad ora mi hai colpito davvero poco. Se non ti sbrighi, dovrò mandarvi entrambi a casa… e non sai quanto mi dispiacerebbe rinunciare al tuo amichetto» disse, scoccando un’occhiata a Leander. 
«Sono una scrittrice» mormorò Elizabeth. «Il tempo è mio amico, mentre è tuo nemico a quanto pare». 
«Mi annoi. Ti prenderò come cliente a patto che non apri più bocca» contrattò Kareem. Elizabeth scoccò un’occhiata a Leander, che aggrottò la fronte. 
«Non se ne parl–» cominciò, ma Elizabeth sollevò una mano.
«Accetto» lo interruppe. Kareem sorrise. 
«È bello fare affari con voi. Discuteremo del design al prossimo appuntamento. Per ora lasciate un acconto di cento dollari per entrambi – cinquanta a testa – e fissate la prossima data con Katherine». 
Detto ciò, Kareem sparì nuovamente dietro la porta bianca. Katherine, la tipa dai capelli azzurri, consultò la fitta agenda dello studio. 
«Vi va bene il 29 dicembre?».
«Fra tre mesi?» chiese Leander, inarcando un sopracciglio. 
«Non ho posto prima».
«Allora immagino che vada bene» sospirò Leander. 
Una volta usciti, Leander poteva sentire il malumore di Elizabeth sulla pelle come fosse una grattugia. 
«Hai qualcosa da dire?».
«Sì. A te è bastato sorridere, io invece non devo più parlare. È proprio un atteggiamento sessista e da pallone gonfiato». 
Leander ci rifletté un momento. 
«Immagino di sì. Vuoi ancora andarci?».
«Dannazione, immagino di sì…? Abbiamo messo cinquanta dollari di acconto a testa, non è che possiamo tirarci indietro a questo punto» mormorò lei, amareggiata. 
Leander sospirò. 
«Mi dispiace. Non mi aspettavo che fosse così…».
«Così?».
«Sì, sai… così».
Leander non specificò e Elizabeth era troppo stanca e di cattivo umore per chiedere ancora. 
«Dai, andiamo a casa» mormorò Leander, mentre Elizabeth si accendeva una sigaretta in silenzio. Proprio in quel momento, dal portone uscì Kareem, che si bloccò all’istante non appena li vide.
«Ehy» li salutò, accendendosi anche lui una sigaretta.
«Ehy» dissero cautamente gli altri due.
«Volevo scusarmi con voi, vi ho già mandato un messaggio su Insta a tal proposito. Purtroppo davanti ai dipendenti devo… metter su una specie di farsa. Mi rispettano molto, ma è un rispetto pieno di spine» mormorò, e in qualche modo sembrò impacciato. Elizabeth incrociò le braccia sul petto.
«Quindi?».
«Voglio porgervi le mie scuse. In particolare a te, dolcezza. Scusate se sono stato “cattivo” lì dentro. Non sono così, fuori da quelle quattro mura in cui ormai vivo venti ore al giorno» mormorò ancora, e Elizabeth sentì sciogliersi un nodo allo stomaco che non sapeva di avere. 
«Mi dispiace. Dovresti staccare la testa, ogni tanto. Vuoi venire a cena da noi, stasera? È quasi ora» disse lei, consultando il cellulare per leggervi l’orario.
«Oddio, vi ringrazio ma… non saprei. Ho altri appuntamenti fino alle sette».
«Sono le sette meno dieci» lo informò lei.
Kareem spostò il peso da una gamba all’altra, visibilmente a disagio. 
«Ooh, fanculo. Ci sto. Lasciatemi prendere il casco e–».
«No, lì dentro non ci torni» si inserì Leander. «Se no non ti rivediamo più» rise. 
«E quindi?».
«Quindi ti portiamo noi in auto». 
«E poi quando me ne devo andare? Come faccio?».
«Un qualche modo lo troviamo» sorrise Elizabeth.
Kareem deglutì e si strinse la felpa addosso: si era coperto, perlomeno, per uscire dallo studio. 
«Va bene. Grazie».
I tre si avviarono sotto la pioggia, e quando arrivarono all’automobile c’erano già le stelle a brillare al di là delle nubi stracciate.
   
 
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