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Autore: ClaudiaSwan    09/09/2009    25 recensioni
L’amore è sempre
pronto a resistere a qualsiasi tempesta… La morte è una tempesta abbastanza
forte da spazzarlo via? no… non per me… altrimenti non sarei qui…ma l’amore è
anche pronto sul serio a rinnovarsi e a far spazio a nuovo amore?

La certezza degli
occhi di Robert fissi su di me mi fa sperare di si. Che l’amore nuovo si
affianchi a quello vecchio senza coprirlo mai.

Robert.
Alessia.
Lui inglese, lei italiana. Lui attore sulla cresta dell’onda,
lei aspirante fotografa di successo. Lui tradito dalla sua ragazza, lei
innamorata di un angelo.
Lui che non ha idea di cosa sia veramente l’amore perché non
è mai stato veramente innamorato e lei che di questo sentimento sa tutto, anche
la parte più dolorosa.
Alessia e Robert vivono due vite completamente diverse,
hanno sogni completamente diversi, esperienze totalmente diverse. Eppure hanno
un punto in comune: Mattew Holsen, un nome che per tutti e due significa
tantissimo. E sarà proprio lui a metterli insieme, a far combaciare due anime
completamente differenti ma bisognose di sentimenti forti e veri, a mettere in
discussione le certezze più profonde e radicate in loro, a fargli scoprire che
sono due pezzi di un unico puzzle e che l’incidente stradale che li ha fatti
incontrare… non era altro che il destino che bussava alla loro porta cercando
di essere ascoltato.
Una storia in due pov, che amo e che cresco come un figlio. Ho
cercato di rendere Robert più possibile vicino a come penso sia nella realtà,
prendendo spesso spunto da fatti veri della sua vita ma prendendomi anche delle
piccolissime licenze poetiche. Questo è il mio Robert.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'ubi tu Gaius, ibi ego Gaia'
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1: UNA GIORNATA DA DIMENTICARE






Cazzo, cazzo, cazzo. Cazzo!!!!!!!!!!!
Maledetto traffico newyorkese!!!!
Tre anni che vivo qui e non sono mai stata tanto infuriata al volante come oggi. Ma perché sempre quando è una giornata importante? Le cose succedono sempre nei giorni in cui uno non deve in nessun modo, per nessun motivo, essere in ritardo. E io sono bloccata sulla quarantasettesima per una manifestazione di eredi dei figli dei fiori. Ma non lo sanno che i pantaloni a zampa, i capelli lunghi lisci tutti uguali e le magliette scrause dovevano finire con gli anni sessanta?
E io per la loro “Peace and Love Walking” devo perdermi l’appuntamento più importante per la mia carriera. Fare da fotografa per i servizi di Vanity Fair, dopo aver sprecato mesi e mesi, anni a fare la paparazza, è un’occasione che capita una volta sola nella vita.
Cazzo. Devo solo attraversare ancora un corso e ce l’ho fatta. Uno solo! E vengo dall’altra parte di New York! Fermata da un corteo a 500 metri dalla meta era alquanto triste! Dio ce l’ha con me. Mi vuole ancora chiusa dietro quel bancone a sviluppare rullini di signore anziane che non riescono a pensare a niente di più eccitante del fotografare i loro gatti.
Sto giusto per dire ciao ciao per sempre al magnifico letto che ho visto in un negozio di design  sulla East, quando finalmente la macchina davanti a me si muove. Oh bontà divina! Allora esisti! Forse non è troppo tardi per arrivare…no. E’ decisamente troppo presto per cantare vittoria, però! Mi blocco di nuovo. Un’altra volta. Ma porca vacca!
Dopo minuti che paiono ore, finalmente, le capre infiorettate finiscono di passare e il traffico riprende a scorrere. Ovviamente, passato il gregge, c’è sempre l’automobilista più scemo di New York che indovina un po’!? Sta di fronte a te. Maledetto! Se non schiacci sto pedale giuro che scendo e ti buco le gomme, almeno hai un buon motivo per stare fermo!
Questo qui proprio le mie minacce mentali non le sente, perciò decido di infrangere il codice della strada buttandomi sulla carreggiata opposta, dicendomi che se ottengo il posto, 80 dollari di multa saranno un prezzo equo. Ma mentre lo supero non posso resistere alla tentazione di mandare a ‘fanculo il guidatore bradipo con il dito medio. Tolta questa soddisfazione, schiaccio l’acceleratore e filo di corsa verso il grande palazzo a vetri sede della rivista. Qualcuno lassù deve avere avuto pietà di me perché trovo un parcheggio proprio dall’altro lato della strada. Lo occupo di prepotenza, attirandomi tutti gli insulti di un pinguino su un Cayenne, ma non me ne importa. Non sa quanto è importante per me questo parcheggio.
Sperando di non essere investita, attraverso la strada e finalmente sono lì.
L’occasione della mia vita è arrivata. Sicura sulle mie Prada che mi sono costate uno stipendio intero, salgo con crescente emozione i tre gradini dell’ingresso dell’edificio. Spingo la porta rotante ed eccomi in un atrio completamente in marmo. Tutto in quell’edificio trasuda lusso e prestigio, mostrando a tutti chi ospita quel grattacielo. Studi di grandi avvocati, serjeants da generazioni, ingegneri, sedi di importanti banche e gestori finanziari, riviste…Vanity Fair…
- Signorina! posso esserle utile?- mi chiede un uomo dalla guardiola.
- Oh si, grazie. Ho un colloquio di lavoro per Vanity Fair - gli rispondo avvicinandomi al suo bancone.
- Allora buona fortuna. Carina com’è sarebbero matti a non prenderla - dice porgendomi un pass. Sembra tanto Ambrogio dei Ferrero Rocher. Ha persino il cappello con la visiera rigida da custode. Gli sorrido e gli faccio un cenno di saluto avviandomi ai gate per fare strisciare il pass. Una volta agli ascensori, mentre pigio il numero 32, inizio a sentire un po’ di mal di stomaco. Da ansia. E se non mi prendessero? E se tutti i castelli in aria che mi sto facendo siano già pronti a cadere? Che stupida che sono stata, forse mandare il curriculum a una rivista del genere è stata una pessima idea. Forse non sono ancora pronta, non ho il grado di esperienza giusta. Mi liquideranno nel giro di cinque secondi, ne sono certa. Stringo la mia cartelletta al petto, non più così sicura delle foto che ho scelto. E se non avessero apprezzato l’originalità dei miei scatti? E se…
Il plin dell’ascensore mi avvisa che sono arrivata, interrompendo la mia catena infinita di e se…mentali. Cazzo. Ok, calma Ale. Ti sei avvalsa di una personal shopper per l’abbigliamento, sei andata dalla parrucchiera persino per farti i capelli mossi, la tua macchina non è né in divieto di sosta, né in un parcheggio a disco orario. Non c’è niente che non va. Ora esci da questo ascensore e tenta di avere quella che si chiama un’aria professionale.
Metto un piede fuori dall’ascensore e il primo tac del mio tacco mi dice che ora è troppo tardi per tornare indietro. Tac. Cos’ho da perdere? Tac. Al massimo sarò cacciata brutalmente fuori dall’ufficio. Tac. Oppure mi ritroverò a reggere il treppiedi del primo fotografo per i prossimi sei mesi. Tac. Reggere il treppiedi e porgere obbiettivi non è male come inizio. Tac. Se sono fortunata dovrò occuparmi dello sviluppo. Tac. Se la fortuna decide di voltarmi le spalle dovrò prepararmi a portare pacchi di carta fotografica per il resto della mia vita. Tac.
- Salve, in cosa posso esserle utile? - mi chiede una segretaria che è tutta un lifting, vestita come se Valentino in persona si fosse presentato a casa sua giusto per abbinarle i vestiti quella mattina.
Mando giù saliva che non c’è e prendo un bel respiro, prima di vomitare fuori un - Ho un appuntamento con Gary Marshall per quel posto da aiuto fotografo - piuttosto stentato.
- Si accomodi. Vedo se è disponibile -
Mi fa pure l’alzatina di sopracciglio! Spero che tutto il botulino che si è iniettata nelle guance esploda! Prendo un altro respiro mentre mi siedo su uno dei divanetti di pelle nera del salottino. Calma Ale, sta calma. Sei parecchio irritabile oggi. Hai detto cazzo almeno cinquanta volte in un’ora e augurato mali improvvisi a metà dei cittadini di New York. Calma.
Inizio a lisciarmi nervosamente la gonna, a controllare che le mie scarpe siano a posto, che i braccialetti siano voltati nella direzione giusta e non so più che altro. Ci manca solo che il mio nervosismo lo sfoghi nel mettere bene impilate le riviste che ci sono sul tavolino davanti a me e poi sono a posto.
- Come ha detto che si chiama? - mi chiede Miss lifting 2009.
- Chianti. Alessia Chianti - rispondo con un filo di voce.
- La può ricevere. Prego, mi segua - dice dopo aver agganciato la cornetta ed essersi alzata in piedi.
Perché i suoi tacchi sembrano avere una cadenza molto più aggraziata della mia? Perché io vestita di tutto punto, firmata fino alle mutande, mi sento una nullità in confronto a Miss lifting? Mi fossi presentata in tuta avrei ottenuto lo stesso effetto risparmiando un sacco di soldi.
Oltrepassiamo una porta a vetri, poi un’altra e un’altra ancora. Alla quarta, finalmente, mi trovo in un laboratorio. Grandi tavoli luminosi e bozzetti ovunque. Il paradiso del fotografo. Seduto ad uno sgabello rotante alto, vestito interamente di nero, con tanto di pelata lucida, occhiale Ray Ban da vista e anello grosso quanto una polpetta sull’indice della mano destra, il genio della fotografia sta controllando alcune stampe con una lente di ingrandimento ottica.
- Signor Marshall - chiama dopo qualche minuto la segretaria.
Questo alza gli occhi e posa lo sguardo su di me. Fa cenno alla mia accompagnatrice di andarsene come se stesse scacciando una mosca e appoggia il mento sulla mano per fissarmi in comodità.
- E tu sei..?- chiede con aria annoiata.
- Alessia Chianti, piacere di conoscerla - dico porgendogli una mano con un sorriso. Mi ignora e torna alle sue stampe.
- Cosa sai di fotografia? - chiede sempre con lo stesso tono annoiato.
- Beh… Lavoro in un laboratorio fotografico da due anni e nel frattempo faccio foto da freelance per i giornali. Ho un diploma di licenza superiore di perito fotografico e uno della John Kaverdash di Milano. Ho partecipato a vari concorsi e ho vinto qualche premio, in Italia… -
- Si, si…può bastare - dice sempre annoiato.
- Hai portato qualche scatto?-
- Certo - rispondo prontamente porgendogli la cartelletta rossa che tenevo stretta tra le braccia. La apre e inizia a prendere le stampe. Le prime sono degli scatti paesaggistici delle periferie di New York. Le fa scorrere in fretta.
Nel secondo blocco ci sono degli scatti un po’ futuristici di oggetti di design, frutto di un lavoro che mi era stato offerto per pubblicizzare una mostra. Anche queste le fa scorrere una dietro l’altra senza nemmeno guardarle. Il terzo blocco raccoglie foto di modelle e modelli, gentile concessione di un fotografo per riviste di abbigliamento dei grandi magazzini, in cambio del mio aiuto. Gary Marshall le lascia cadere e appoggia il viso annoiato su entrambe le mani tornando a guardare le sue di stampe. Qualcosa mi dice che ho fallito. Speravo di non dover tirare fuori il quarto blocco, ma dovevo tentare. Mi avrebbe certamente gridato addosso, ma ormai ero lì. Le mie foto erano state tutte scartate con appena un’occhiata. Più umiliata di così…
Tiro fuori dalla borsa una busta ocra e la lascio scivolare sul tavolo.
Mi guarda spazientito per alcuni secondi ma poi la prende. Ed ecco che diventa di tutti i colori. Bianco, rosato, rosa, fucsia, rosso, porpora, viola, blu. - Mi prendi in giro?- mi grida.
- No, signore -
- E con che proposito, allora, ti presenti con le mie foto qui? -
- Con tutto il rispetto, signore, se guarda attentamente…noterà di certo che non sono le sue foto queste - dico abbassando la testa per l’imbarazzo. Ho giocato la mia ultima carta e mi è andata male. Ale sei stata proprio un genio a pensare che avrebbe trovato interessanti quegli scatti.
Lui prende la lente e inizia a studiarle attentamente.
- Hai due minuti per spiegare - mi dice guardandomi torvo. Mi sta dando una possibilità? La prendo come tale e provo, inutilmente, a prendere in mano la situazione con molta calma.
- Questo è il suo servizio per le giacche di Valentino di settembre, fatto a Central Park. Lei ha usato dei campi medi sulle modelle, ma io ho pensato che il campo lungo sarebbe stato molto più adatto, visto che lo stilista ha preso ispirazione proprio dalla natura dei parchi per questa collezione. Ho pensato che tagliarla fuori, sarebbe stato un peccato perché aiutava a contestualizzare le creazioni -
Ok, ho preso il via e devo giocarmi questa possibilità fino in fondo. Prendo un’altra stampa e continuo. - Questo è il servizio a Monica Bellucci per la versione italiana della rivista, ma è stato realizzato qui a New York attorno ai primi d’ottobre a Time Square. Lei è un’attrice molto prosperosa e per il campo della moda le sue taglie non sono certo le più adatte. Ho pensato che prendendola di profilo si sarebbero esaltate sia le curve che la magrezza del soggetto, togliendo lo sguardo dalle spalle molto larghe e squadrate. E questa qui…questa è il servizio che ha fatto su Robert Pattinson e Kristen Stewart in seguito all’uscita nelle sale del loro film, Twilight. Mi piace molto questo scatto, ma io avrei usato un primo piano in questo caso. Hanno una perfetta alchimia tra loro, e piacciono come coppia al pubblico. Avrei cercato di sottolineare la possibilità di un’affinità anche nella realtà piuttosto che i loro visi -
Finisco la mia spiegazione e mi allontano dalla sua postazione, con lo sguardo basso, in attesa dell’esito.
Mette il pollice e l’indice sulla curva del naso, tra gli occhi, dopo essersi tolto gli occhiali. - E posso chiederti come hai fatto a fare questi scatti? -
- Come le ho detto, signore, per la maggior parte del mio tempo sono una freelance, una cacciatrice di star, e mi trovo spesso a girovagare per New York. Ho trovato spesso dei set in cui lei lavorava e non ho saputo resistere alla tentazione di assistere ai suoi lavori. Ho fatto qualche scatto di mia iniziativa, giusto così…per gioco…personale -
- Ma si da il caso che il tuo gioco ora sia sul mio banco luminoso - dice con calma. La calma è sicuramente il preludio per la tempesta. È così da secoli, cinque minuti con questo qui non romperanno una tradizione millenaria.
- Si, signore -
- E non ti è mai passato per la mente che fotografare un set di una rivista cui non si appartiene è un reato?-
- Si, signore -
- Vai. Fuori.-
Come dicevo: la tempesta.
- Si, signore. Arrivederci, signore - rispondo infilando la porta a vetri e chiudendomela alle spalle.
La mia vita fa schifo. Questa è l’unica frase che mi viene in mente. Ma come mi era venuto anche solo di pensare che facendogli vedere le correzioni che io avrei apportato alle sue foto, lui avrebbe visto del talento in me? Ha reagito come avrei fatto io. Si è sentito preso in giro, come se una ragazza di 24 anni fosse in grado di spiegargli come fare il suo mestiere. Che stupida!
Restituisco il mio pass all’uomo della gabbiola ma non lo guardo nemmeno. Non ci riesco a dire che il fatto che sono “carina”, come ha detto lui, non è servito a darmi il posto.
Mi rifugio in macchina e scaravento le scarpe sul sedile del passeggero. Che razza di idea stupida tentare di far colpo con dei vestiti firmati su un uomo dichiaratamente gay! Forse vedere il diavolo veste Prada venti volte mi aveva un pochino fuorviata, rendendomi certa del fatto che l’abbigliamento adatto sarebbe stato un elemento centrale nella valutazione di un dipendente di una rivista di moda. Anche se era solo un fotografo.
Accendo la macchina e sprofondo a braccia incrociate sullo sterzo. Ma che ho fatto di male nelle mie vite precedenti, sempre che sta cazzata della reincarnazione sia vera?
- Ehi! Qui c’è gente che vuole parcheggiare!- mi grida qualcuno da una macchina affiancata alla mia con il finestrino abbassato.
Abbasso il mio e, con tutta la finezza da newyorkese d’adozione che mi contraddistingue, gli urlo - - Perché non va più avanti a parcheggiare? A ‘fanculo c’è un sacco di posto. Vada avanti qualche metro e poi giri a destra. Ha bisogno di una piantina? O magari di un paio d’occhiali per vedere che questo posto è già occupato?- e richiudo il vetro. Scusatemi. Di solito non sono così scurrile, ma la mia soglia di sopportazione per le mie disgrazie ha raggiunto il limite massimo.
Resto chiusa in macchina con al faccia nascosta tra le braccia e lo sterzo per un’altra mezz’ora e poi mi decido ad abbandonare il mio parcheggio.
Voglio solo andare a casa, mettere la mia tuta vecchia e sprofondare sul divano con una bottiglietta di tè freddo alla pesca e la mia scatola di muffin al cioccolato, presi da Michael quella mattina. Le calorie sono una mano santa contro la tristezza.
Ingrano la retro ed esco dal parcheggio per immergermi nel traffico delle cinque. Come se non bastasse la mia giornata! Decido di tagliare per delle viuzze secondarie sperando di arrivare a Midtown prima delle sei e cerco di rilassarmi accendendo un po’ di musica. Quasi quasi funziona. Dai Ale, come ti aspettavi che andasse? Sinceramente, credevi davvero di potercela fare? Non ti sembra di esserti presa troppo sul serio? Di aver puntato un po’ troppo in alto? Andare dritta da Vanity Fair senza un minimo di gavetta con qualche peso. Ma sei scema?
Baaaaaang!!!!!!
Mi ritrovo quasi affogata nell’air bag. Ma che cacchio è successo? Cerco di schiacciare con le braccia il pallone che ha invaso l’abitacolo. In qualche modo trovo la maniglia ed esco.
- Ma che cazzo fai?- dice una voce maschile molto alterata di un tipo che sta uscendo da una porche nera.
Guardo la mia macchina ed è completamente sfasciata sul lato sinistro. Ma Dio allora mi odia sul serio! E dove li prendo i soldi per farla riparare? Ho speso i miei ultimi risparmi per curarmi il look per l’appuntamento di oggi! Presi e buttati nel cesso visti i risultati, lo so, ma li ho comunque spesi! Alzo gli occhi sul responsabile della mia ennesima disgrazia del giorno. È un uomo morto. Un morto che cammina con un paio di Ray Ban sul naso.
- Io? guarda che avevo la precedenza!- grido allo sconosciuto.
- Ma che cazzo dici? Questo è un incrocio di pari importanza! Dovevi guardare prima di tirare dritto!- grida in risposta il pirata della strada.
- Ma dove l’hai presa la patente? Avevo la destra libera, IO! Sei tu quello che doveva guardare!-
Ma guarda sto imbecille. Lui e il suo bel macchinone sportivo hanno rifatto il muso nuovo alla mia povera vecchia Ford, la mia caffettiera, e ha anche il coraggio di non ammettere il torto!
- Io HO guardato, signorina, ma non si sfreccia a cento all’ora nelle strade secondarie, te lo hanno mai detto?-  
Ah si sbraccia pure? Fa pure l’incazzato? Capita proprio male.
- Non stavo andando a cento all’ora! Già tanto se sfioravo i quaranta! -
- Si, si , come no!- sbuffa lui appoggiandosi alla portiera della sua macchina che se l’è cavata con un fanale andato e una bolla sul paraurti.
- Ora tu aspetti qui e mi fai il cid- dico infilandomi nell’abitacolo della mia caffettiera a cercare il modulo da compilare per gli incidenti. Dato che puoi permetterti una Porche sotto il sedere, signorino, te ne farò sganciare di soldi. E tanti anche.
- Che?- esclama lui.
- Mi fai il cid- ripeto riemergendo dalla plastica sgonfia dell’air bag.
- Ma io non faccio proprio niente. Quanto ti costerà riparare questo catorcio? Cinquanta dollari? Te li do in contanti e faccio prima-.
Anche simpatico il pirata. Non ha nemmeno la buona educazione di levarsi gli occhiali da sole lo sbruffone cafone.
- Sarà anche un vecchio macinino, ma mi ci vorranno più di cinquanta dollari per rimetterla a posto-
Ok, la mia macchina è vecchia ma almeno cammina, e ha anche un rombo di motore piuttosto aggressivo, adattissima a girare in una città come New York. Una scusa come un'altra per non ammettere che non posso assolutamente permettermene una nuova e, ora come ora, nemmeno una vecchia.
- Te ne do cento al massimo - sbuffa ancora prendendo il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans.
- Non spetta a te decidere. Lo farà il liquidatore dell’assicurazione. Spero tu abbia la casco per il tuo macchinone!- gli rispondo incrociando le braccia sotto al seno. Spero che rimettere a posto la tua due posti ti costi parecchio! Oggi sono proprio pronta ad attaccare tutto e tutti quindi vedi di non farmi incazzare! Oddio, sto pensando davvero queste cose? Devo controllare la mia rabbia o mi troverò a prendere a calci quel che restava del suo paraurti così per sport.
- E’ in affitto, per forza che è assicurata- dice mentre fa spallucce, dopo aver controllato il danno a entrambe le vetture. Cioè della sua vettura e del mio carretto preistorico. Si avvicina al cofano della mia Ford dove avevo già appoggiato il modulo per l’assicurazione e una penna che avevo trovato miracolosamente nel porta oggetti.
- Sono contenta per te. Ora mi dai le tue generalità?- gli chiedo indicando il modulo, con un ritrovato tono debolmente cortese.
- Robert Pattinson- soffia.
Che? Ha voglia di scherzare? Un nome falso meno falso non poteva darmelo? Tiro giù gli occhiali da sole e lui mi imita. È alto, ha capelli castani tutti spettinati e occhi celesti. Una leggera barbetta incolta e un taglio di sopracciglia che è impossibile non riconoscere. Oh santo cazzo. Mi ha appena tamponata un attore.
- Ok Robert- dico cercando di fare l’indifferente mentre gli porgo la penna - Pensi di essere in grado di compilarlo da solo o devo scrivere io? -
Fa schioccare la lingua e incrocia braccia e gambe mettendosi comodo sul cofano della mia macchina. Mi guarda dalla testa ai piedi. - Il mio numero di telefono memorizzatelo sul cellulare, preferisco. Non lo spreco per la carta dell’assicurazione- dice guardandomi da sopra gli occhiali e aprendosi in un sorriso. Davvero pensa di incantarmi? Può anche chiamarsi Robert Pattinson, ma non mi avrebbe raggirata per un paraurti. Per me significa solo che ha soldi da spendere e tanti anche. Rivolgo gli occhi al cielo e riprendo a compilare la mia parte di modulo in silenzio. Poi lo passo a lui, che nel frattempo si è acceso una sigaretta.
- Me la tieni, per favore? Non voglio far cadere la cenere sul tuo prezioso modulo - dice tendendomi la sigaretta accesa. Gliela tolgo stizzita di mano e tanto per calmarmi, ci do un tiro. Non fumo di solito. Di rado quando sono nervosa, e senza nemmeno aspirare per giunta.
- Non ho detto “fumatela” - dice ridendo mentre scrive i suoi dati.
- Considerala parte del risarcimento. Falla rientrare nei danni morali - rispondo picchiettando sulla sigaretta per far cadere la cenere. Sono talmente nervosa che non riesco a stare ferma nemmeno un secondo, tanto che inizio anche a far ticchettare i miei tacchi sull’asfalto. Mi guardo intorno, pur di non guardare lui. Bel posto abbiamo scelto per fare un incidente, non c’è che dire. Deserto, sporco, con le case in rovina, se fosse stato un killer a tamponarmi le mie possibilità di essere salvata da qualcuno erano di una su un miliardo a esagerare.
- Fatto. Ora dammi il tuo numero di telefono- dice togliendomi la sigaretta dalle labbra e mettendola tra le sue con molta naturalezza.
- Come?- chiedo sconcertata.
- Il tuo numero di telefono per tenerci in contatto per l’assicurazione, sveglia- dice ridendo e tirando fuori il cellulare dalla tasca.
Glielo detto,anzi glieli detto. Per andare sul sicuro, oltre a quello di casa gli do anche il mio numero di cellulare.
- E così, Alessia, eh? Sei italiana?- dice scrivendo il mio nome per salvarlo nella rubrica.
- Ma va? Che intuito!- rispondo. Tra i miei dati c’era scritto “nata a Firenze”, più italiana di così.
- Scusa, era per fare un po’ di conversazione - dice alzando le mani in segno di resa. Mi sorride e si toglie la sigaretta dalle labbra per lasciarla cadere a terra e spegnerla con la punta della scarpa. - Allora Alessia dall’Italia… vediamo se il tuo ferrovecchio si accende - dice infilandosi nell’abitacolo. Il rombo del motore si fa subito sentire e sorrido piena di soddisfazione.
- Caspita non mi aspettavo tanto- dice Robert scendendo dalla mia macchina. È veramente alto. Io sono un metro e settanta, con i tacchi che avevo anche uno e settantotto, ma lui resta un gigante. Un gigante sexy, per giunta.
- I ferrivecchi circolano ancora proprio per questo. Sono molto resistenti - gli rispondo in tono di sfida a pochi centimetri dal suo naso.
- Non fa una piega come discorso. Ma vedrai che anche la mia si accenderà anche se so che mi stai augurando di no - risponde a un soffio dal mio viso. Il suo alito è profumato, nonostante sia un fumatore. Ha un retrogusto di menta che…oh! Alessia un po’ di serietà. Non mi dovevo far incantare. Prima pensi che sia sexy, poi che ha un alito profumato…E’ una persona come un’altra che ti ha appena distrutto il tuo unico mezzo di locomozione meccanica. Uno stronzo qualsiasi.
Lo guardo mentre si siede, no, non si siede, si SDRAIA nella sua due posti e prego che non si accenda come ha detto lui (tanto avevo già intenzione di farlo). E invece…
- Anche la mia si difende bene, non trovi? - dice dopo aver abbassato il finestrino del lato passeggero, facendo rombare ripetutamente il motore.
- Spero ti si stacchino i cerchi mentre corri - dico tagliente rimettendomi in macchina anche io e staccando quello che resta dell’air bag.
Facciamo retro e lui, cavallerescamente (e ci mancherebbe altro) mi fa segno di passare.
- Ci sentiamo dolcezza- mi dice quando mi fermo per salutare. Per educazione, non voglio essere cafona quanto lui.
- Vedi di non fare un altro incidente, Pattinson. Devi prima pagare i miei di danni - gli dico prima di allontanarmi.
Che razza di giornata del cavolo!




Alessia e Robert








   
 
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