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Autore: Nao Yoshikawa    22/09/2022    0 recensioni
Le cose per Genos e Saitama cambiano quando Maga Tamago legge loro il futuro con i tarocchi. Amore, sventura, avversità, trauma e rinascita.
E il tempo non è più lineare.
«La fortuna» continuò Maga Tamago. «Ma è al rovescio. Di solito ha un significato positivo, ma quand'è al contrario simboleggia un destino avverso, per l'appunto.»
Saitama iniziò a provare disagio. Perché quell'impostora prediceva solo sventure?
«E poi?» chiese Genos, che pareva serio e indifferente.
«Gli amanti» Maga Tamago sorrise. «Non c'è bisogno che ve lo spieghi, giusto? Ci sarà l'amore nel vostro futuro. Vi innamorerete.»
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garou, Genos, Nuovo personaggio, Saitama
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg
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Capitolo diciotto: La bambina che ce l'ha fatta
 
 
Tamago si assicurò che la coppia di Jikan fossero ricondotti al sicuro, dove nessuno avrebbe loro fatto male. L’umanità non era ancora pronta a comprendere tali creature, ma era certa che presto ci sarebbe arrivata.
Aveva ripreso a nevicare, mentre aiutava i suoi amici eroi ad aiutare i civili coinvolti in quell’attacco.
Poi, ad un tratto, si sentì stringere da due paia di braccia.
«Tamago! Cosa succede? Non vuoi più che vengano eliminati?» domandò Saitama, dimenticandosi di calibrare la sua forza. Tamago si ritrovò quindi soffocata nel suo abbraccio.
«P-piano, non respiro!»
«Mollala, fa piano!» Genos riuscì a staccare Saitama da lei. E poi la guardò in viso, come ad accertarsi che stesse bene, che non fosse ferita. «Tamago, ma che è successo? Sei sparita per qualche attimo…»
La ragazza stava sorridendo. Già, come poter spiegare quello che era successo? Era difficile metabolizzarlo anche per lei.
«Diciamo che ho capito alcune cose. I Jikan non sono pericolosi, non lo sono mai stati. Ho capito che spesso il nostro più grande nemico spesso è la paura. E noi stessi. Forse non devo per forza rinunciare ai miei poteri.»
Saitama la osservò, interessato.
«Sei sicura che tu l’abbia concepita con me? Mi sembra troppo intelligente!»
Tamago nascose un sorriso dietro una mano, mentre Genos alzava gli occhi verso il cielo e osservava la neve cadere. Tra tutto quel bianco splendente, una giovane donna stava avanzando spingendo un passeggino. Aveva il fiato corto e sembrava agitata.
«Genoooos, Saitamaaaa!»
«Tu? Ma come ti viene in mente di uscire con la bambina con questo gelo?!» esclamò il cyborg. «Se si becca la febbre per colpa tua…»
«Beh, scusa! Ero preoccupata…!» Kiko si fermò. La bimba dormiva beatamente e lei stava cercando di prendere aria. Poi sollevò lo sguardo e vide per la prima volta Tamago. Inarcò un sopracciglio e, senza che nessuno le dovesse spiegare nulla, intuì. Dopotutto avrebbe riconosciuto ovunque la bambina che aveva aiutato a venire al mondo.
«… Tamago?»
«Ciao, Kiko. È un piacere conoscerti di nuovo» Tamago fece un inchino.
 
«Garou. Bastardo, parlami! Devo chiamare un’ambulanza?»
Garou aveva perso un quantitativo di sangue significativo. E adesso si premeva lì dove non molto tempo prima c’era stato il suo braccio.
«Se non la smetti di agitarti, ti arriva un calcio sui denti.»
«Non dovresti parlare così ad uno che si preoccupa per te! Perché lo faccio, poi?»
Metal Bat si chinò su di lui, allungando una mano per aiutarlo. Garou fece per afferrarla, ma lui si retrasse all’improvviso, facendogli perdere l’equilibrio.
«Maledetto figlio di… Ti sembra il momento di farmi questi scherzi idioti?»
Garou smise di parlare quando vide la sua espressione. Metal Bat batteva le palpebre, guardandosi intorno. Il che non aveva senso, visto che era cieco. Metal Bat stava vedendo il buio rischiararsi e pian piano metteva a fuoco il mondo intorno a sé. Infine posò lo sguardo su Garou e fu come conoscerlo di nuovo.
«Ma… Garou, io ti vedo.»
«Tu… tu cosa?» domandò lui, sconvolto. Metal Bat lo stava guardando. Lo vedeva. Sussultò quando si rese conto che il dolore era scomparso e che il braccio era tornato al suo posto, come se fosse sempre stato lì.
«Ma non è possibile. Che diamine sta succedendo…?»
Non ebbe il tempo di fare altre domande. Metal Bat lo afferrò e lo aiutò ad alzarsi e poi lo guardò negli occhi. Si era abituato al buio ed era certo che sarebbe andato avanti così per tutta la vita. Adesso invece vedeva a soffice neve e vedeva lui.
«Non sono mai stato così felice di vederti.»
«… Come?»
Metal Bat prese il suo viso tra le mani e senza pensare ad altro lo baciò. Garou oppose una leggera resistenza e, infine, si arrese e ricambiò il bacio.
 
«Senti, non è che potrei chiederti un piccolo favore?» chiese Tamago al Jikan.
«Cosa posso fare per te, Tamago?»
La ragazza sorrise.
«Potresti ridare ai miei amici ciò che hanno perduto? Anzi, puoi farlo per tutte le persone che hanno perso qualcosa? Sicuramente al mondo c’è cje fa cose cattive, ma c’è anche gente che fa cose buone. I miei amici, loro… sono bizzarri, però credo abbiano capito. Ora vivranno in modo diverso. Soprattutto una certa persona.»
«Sì, capisco. Sei una brava ragazza, Tamago. Anzi, Maga Tamago.»
«Io? No, non credo. Sono solo una persona che ogni tanto fa cose buone e ogni tanto fa cose meno buone. Come tutti. Allora ci rivediamo… presto?»
Si sentiva indissolubilmente legata a quelle creature, adesso. Ed era giusto così. Dopotutto lei esisteva per merito loro.
«Giusto il tempo di un battito di ciglia.»
 
 
Garou e Metal Bat avevano dimenticato del mondo intorno a sé. Il loro bacio passionale ed esasperato aveva impedito loro di concentrarsi su altro.
Gli altri però su di loro si erano concentrati e li guardavano con delle espressioni divertite.
Metal Bat se ne rese conto e ad un certo punto si staccò dal bacio, guardandosi intorno.
«Beh» disse Tatsumaki. «Questo è un risvolto inaspettato. Almeno credo.»
Garou non era riuscito ad impedirsi di arrossire.
«Si può sapere cosa avete da guardare e… vecchio Bang!»
Bang stava di nuovo in piedi e lo guardava fieramente.
«È un piacere trovarti qui con noi, Garou.»
E così era successo quello che più aveva temuto: lui non era il cattivo, non lo era mai stato. Era stato l’aiutante della protagonista, il che era piuttosto bizzarro.
Tamago si mise a correre e andò loro addosso, abbracciandoli.
«Ragazziiii! È tutto a posto, andrà tutto bene. Sono così felice! Badd, ci vedi!»
Metal Bat la strinse a sé.
«Non so cosa tu abbia combinato, ma ha funzionato.»
A Garou gli abbracci non erano mai piaciuti. Non gli erano mai piaciute le smancerie. C’erano delle eccezioni, però, come quelle. Garou vide Saitama guardarlo e fargli un cenno con la testa.
«Grazie per esserti preso cura di mia figlia.»
Garou lo fissò, rigido.
«Tamago è in gamba, ve lo concedo, a te e al cyborg.»
Tamago si staccò dall’abbraccio e si guardò attorno. Era meraviglioso, tutti i suoi amici stavano bene, Bang era di nuovo sulle sue gambe, King, Tatsumaki ed Emperor Child non avevano più addosso i segni del loro contatto con i Jikan e Badd ci vedeva e Garou aveva di nuovo il suo braccio.
«Sono così felice che state tutti bene» sussurrò, emozionata e poi guardò la nuova coppia appena formatosi. «Sapevo che su voi due non avevo mai sbagliato.»
Garou fece una smorfia e poi le poggiò una mano sulla testa.
«Meglio se non infierisci oltre, piccola Tamago.»
 
 
Con i Jikan al sicuro e la città che sarebbe stata ricostruita, Tamago lì non aveva più niente da fare. Aveva appreso un’importante lezione ed era certa che quel futuro terribile adesso non si sarebbe realizzato. Non aveva idea di cosa l’aspettasse, certo, ma di sicuro le cose erano cambiate per forza.
«Quindi non ho capito male, quella è veramente vostra figlia venuta da futuro. Qualcuno mi dà delle spiegazioni?» domandò Kiko aggiustandosi gli occhiali. Saitama le poggiò una mano sulla spalla.
«Magari un giorno te lo racconterò, è una storia che ha dell’incredibile.»
Genos teneva in braccio la piccola Tamago, che stranamente non dormiva né piagnucolava. Aveva perfino aperto gli occhi e sembrava incuriosita da tutto ciò che stava accadendo intorno a sé.
«Quindi te ne vai?» domandò Genos. Tamago sorrise.
«Beh, se riesco effettivamente a tornare al punto giusto, vorrà dire che il mio passato è cambiato. Ma sono positiva, dopotutto sono cambiata anche io.»
Si erano riuniti tutto intorno a lei. Sapeva che non doveva essere triste, dopotutto loro erano la sua famiglia, li avrebbe rivisti ben presto.
«Certo sarà strano dover aspettare anni per parlare così con te» ammise Garou. «Non era poi così male…»
«Vi prego, non fatemi piangere. Abbiate cura della me bambina. E non siate troppo severi, sono sempre stata una bambina sensibile.»
«Come se fosse possibile per noi essere severi» Saitama le poggi una mano sulla testa e l’accarezzò. «Lo sai che ti voglio bene, vero?»
Tamago arrossì. Si era sempre sentita molto amata. Ora più che mai.
«Lo so. E anche io.»
«Guarda che ti voglio bene anche io» borbottò Genos.
«Sì, sì. Ma io di più» rispose Saitama. Tamago sorrise e poi li abbracciò entrambi. Un amore così grande non poteva essere spezzato. Ora lo sapeva, quel futuro non poteva più realizzarsi.
«Oh» disse ad un tratto Tamago, tirando fuori dalla tasca qualcosa. «Lascio a voi il mio mazzo di Tarocchi. Dopotutto è così che ci siamo conosciuti, no?»
«Ma… Tamago, sei sicura?» chiese Genos. «Ce li hai da sempre.»
Lei ammiccò.
«Allora vorrà dire che me li ridarai fra cinque anni.»
Che strana questione il tempo, si ritrovò a pensare Saitama. Adesso anche lui lo vedeva più come un cerchio che come una linea.
«Allora, sei pronta?» domandò Metal Bat.
Tamago si staccò dall’abbraccio e sospirò.
«Se tutto va bene, ci vediamo tra poco» sussurrò. Guardò i suoi amici e poi chiuse gli occhi, congiungendo le mani come se stesse pregando. Vide, con l’occhio della mente, il posto in cui era e quello in cui voleva andare. Non cercò di controllarlo. Né di combattere. Ma abbracciò tutto quello che aveva fino a quel momento rifiutato. Fu una sensazione così calda e bella che le venne da piangere. Quando capì che stava per sparire, sollevò una mano per salutarli, ancora una volta. E poi scomparve, lasciando posto al silenzio e alla neve che cadeva lenta.
«È andata» Saitama fece spallucce. Genos guardò la neonata che in braccio a lui faceva adorabili versetti e sorrideva.
«Sei felice, vero? Questa volta lo sarai sempre, io lo so.»
Garou tossì, cercando di allontanare quel moto di tristezza. Dopotutto Tamago era lì, era solo un po’ più piccola.
«Che storia…» sussurrò. Metal Bat annuì.
«Mi sento strano» ammise.
«Forse perché adesso ci vedi e perché è successo un fottuto casino, che dici?»
Lui scosse la testa.
«Mi sento strano in modo diverso. Non mi sento completamente sé stesso.»
Saitama sollevò la testa.
«L’ultima volta che ho sentito una cosa del genere, dopo un po’ e venuta fuori Tamago. Io ci farei attenzione, se fossi in voi.»
Metal Bat arrossì, mentre Garou la prese con molta meno filosofia.
«Senti, vedi di farti gli affari tuoi, perché questo non ci rende amici!»
Poi si sentì Kiko ridere.
«Beh. Io l’ho sempre detto dal giorno in cui è nata: Tamago è destinata a grandi cose!»
 
 
*
 
 
Tamago riapparve da un’altra parte. Andò a sbattere contro qualcosa e atterrò contro il pavimento in legno.
«Ahi, che razza di atterraggio» si lamentò, alzandosi subito su. Si trovava dentro una casa e c’era silenzio. Guardandosi attorno, si accorse del letto, di tanti poster appesi alla parete, della libreria e di tanti gingilli che decoravano la stanza, come acchiappasogni e amuleti. Non poteva sbagliarsi. Quella era la stanza che aveva lasciato quando aveva cinque anni, solo che adesso era un po’ diversa.
«Non è possibile… non è possibile… Sono tornata indietro? Cioè… avanti?»
Indietreggiò, ma nel farlo andò a scontrarsi con qualcuno.
«Tamago, ma-»
«AH!» gridò. L’altra ragazza gridò di rimando.
«Ma che c’è?! Sono solo andata un attimo al bagno!» gridò. Tamago la squadrò. Capelli chiarissimi, quasi bianchi, sguardo affilato. Immediatamente ai suoi ricordi si aggiunsero quelli di un’altra vita. Quella felice, quella in cui tutto era andato bene La indicò con un dito.
«Tu sei Erika, sei la mia migliore amica.»
«Aw, sei così tenera e carina. Ovviamente lo sono» disse Erika giocando con una ciocca dei suoi capelli. «Ma lo sai che preferisco essere chiamata Erikamikaze»
«Il tuo… nome da eroe?» tentò. Adesso stava iniziando a collegare i pezzi. In quel futuro le cose erano andate in modo diverso. Lei lì era Maga Tamago, era quello il nome che aveva scelto.
«Siamo un po’ lente oggi, eh?»
Un ragazzo era apparso seduto sul davanzale della sua finestra, come se niente fosse. Con i capelli neri in disordine e l’espressione corrucciata gli ricordava terribilmente Badd.
«E tu che vuoi?» gridò Erika. «Ci stavi spiando? Non puoi lasciarci un po’ di tempo da sole tra ragazze?»
Tamago strabuzzò gli occhi, indicandolo.
«Eishi!»
«Cosa?» domandò il ragazzo.
«Tamago voleva dire Eishi, non rompere le scatole e lasciaci sole. Tu sei solo geloso perché ti piace Tamago, altroché!»
Eishi si alzò, avvicinandosi a lei con un pugno chiuso.
«Adesso ti ammazzo, maledetta.»
 
 
«Si può sapere perché devono sempre essere tutti a casa mia?!»
Certe cose non cambiavano mai.
«E non ti lamentare! I nostri figli sono amici, fattene una ragione!» si lamentò a sua volta Metal Bat. Non era certo colpa sua se i suoi gemelli avevano il brutto vizio di scappare per starsene con la loro amica del cuore. Lui ci provava anche ad essere severo, ma Garou gli diceva di lasciarli fare.
«Non c’è motivo di litigare. Ecco, dovrebbero essere di sopra» li informò Genos. E a giudicare dallo scalpiccio che sentiva lungo le scale, non si era sbagliato. Per prima scese Erika, imbronciata.
«Eishi è cattivo, lo sapete che mi ha tirato i capelli?»
«Io sono cattivo?» domandò suo fratello. «E tu sei una strega, ma pensi di essere la preferita. Beh, ti sbagli.»
«… Brutto insetto, ti schiaccio!»
Garou si intromise tra i due, afferrando le loro teste.
«CALMI. Non mi fate incavolare, oggi non sono dell’umore.»
«Ma pa’, tu non sei mai dell’umore…. Ahi!» si lamentò Eishi.
«Fate i bravi tutti e due, altrimenti vi uccido» sibilò. Metal Bat parve stupito.
«Però, meno male che dovevo lasciarli fare.»
«Tu chiudi il becco.»
Saitama si passò una mano sul viso, stanco. I figli facevano anche più casino dei genitori. L’ultima a scendere fu Tamago, la quale guardò i suoi genitori e sorrise.
«Siete voi! Siete proprio voi, ma che meraviglia!» gridò, correndo ad abbracciarli. Genos le accarezzò la testa e guardò Saitama. Alla fine erano riusciti a crescere Tamago. Il suo incontro con il Jikan era avvenuto ma, a differenza della prima volta, le avevano insegnato a vivere quel potere senza approcciarsi con la paura. Non sempre era stato facile, ma la loro bambina, ora divenuta una giovane donna, aveva imparato. E adesso era un’eroina, adesso era felice, adesso non c’era più l’ombra di nessuna minaccia.
«Perché, avevi qualche dubbio?» domandò Saitama. «Io no, non ho mai dubitato nemmeno un istante di noi.»
Tamago si asciugò un occhio da cui era appena scivolata una lacrima e Genos sollevò il suo viso.
«Lo sai che siamo fieri di te?» le domandò. Tamago riuniva davvero in sé le loro migliori qualità, sue e di Saitama. Sua figlia sorrise, commossa.
«Sì, e io lo sono di voi» sussurrò.
Erika si avvicinò a loro, abbracciando Tamago.
«Scusate se interrompo questo momento toccante.»
«Sì, lo stai facendo» borbottò Saitama.
«… Ma dobbiamo sbrigarci. Oggi liberano i Jikan.»
«Che cosa?!» esclamò Tamago. Quello di certo non lo aveva previsto.
 
In quegli anni chiunque aveva imparato cosa fosse un Jikan. In quei quindici anni erano stati compresi, studiati e qualcuno era perfino riuscito a comunicare con loro. Certo, non bene come Tamago, ma si erano fatti grandi progressi. Adesso però era arrivato il momento di liberare quelle creature straordinarie e intelligenti e lasciare che tornassero al loro pianeta. Si erano riuniti tutti insieme e Tamago aveva finalmente incontrato i suoi amici. Alcuni erano cresciuti, come Emperor Child e Zenko che erano due adulti. Altri erano semplicemente invecchiati. Un pensiero andò a Bang, che se n’era andato qualche anno prima, dopo una vita piena e soddisfacente. Nel ripensarci, a Tamago venne da piangere. Era una sensazione di malinconia e tenerezza e forse era normale che così fosse.
Era una bella giornata malgrado fosse inverno. Tamago guardava verso l’alto, pensierosa, mentre ascoltava Erika lamentarsi.
«Papi, ho fame. Mi compri il gelato?»
«Ma Erika, non hai sei anni! Però beh… se me lo chiedi così» Metal Bat si faceva mettere in difficoltà facilmente.
«Tsk, visto? Tu li vizi troppi» sentì dire a Garou.
«Io non sono affatto viziato!» protestò Eishi.
A Tamago venne da ridere. Che famiglia di pazzi. Beh, la sua non era meno. In tanti erano venuti ad assistere alla liberazione dei Jikan. Tamago sentì una stretta al cuore, come se stesse lasciando andare dei vecchi amiic.
«Non preoccuparti. C’è un po’ di quelle creature dentro ognuno di noi. Beh, in alcuni casi non è certo figurato» disse Saitama poggiandole una mano su una spalla. Sua figlia sospirò.
«È davvero incredibile a come le cose mutino all’improvviso.»
«Vero. Com’era quella parola che ti piaceva tanto?» chiese Genos.
Tamago sorrise e guardò i Jikan che ascendevano al cielo, muovendo i tentacoli sottili. Ebbe quasi l’impressione che la stessero salutando.
E poi gridò:
«Wabi-sabi!»
   
 
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