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Autore: Glenda    22/09/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Raccontare ogni maledetta cosa.

Le due altalene ciondolavano piano, mosse dal loro peso.

Si era seduto lì stancamente ed Adrian aveva fatto lo stesso, ma sistemandosi dal lato opposto, in modo da poterlo guardare in faccia.

Raccontare.

Ogni.

Maledetta.

Cosa.

Non sapeva se sarebbe stato solo straziante o se in fondo gli avrebbe fatto bene, ma per la prima volta sentiva un feroce bisogno di dire la verità, e voleva dirla a lui.

Cominciare sarebbe stato l’ostacolo più duro, perciò partì dalla fine: dalla cosa più difficile, da quel dolore atroce che non avrebbe mai addomesticato.

“Mio padre, Fidòr Dolbruk, è morto nell’esplosione della galleria sotto il monte Nòdoask. Ma non è stato una vittima, lui era l’attentatore. Una volta ti dissi che chi è nato a Mòrask non può non essere coinvolto nel secessionismo…ma la storia della mia famiglia va oltre il semplice coinvolgimento: io sono cresciuto immerso nella retorica separatista, la politica è stata il perno della mia vita, passivamente prima e attivamente poi. Fin da piccolo ho vissuto a contatto con i più accesi dissidenti darbrandesi, che a volte si incontravano a casa nostra, nel nostro seminterrato, per cospirare di cose che, nonostante fossi appena un bambino, iniziavo già a capire. Scivolavano in casa mia di notte con il silenzio dei fantasmi, attratti dal carisma di mio padre come insetti dalla luce, e prima dell’alba sparivano. È stato così che ho imparato che per essere al sicuro bisogna essere capaci di non fare rumore, di camminare senza peso, di diventare invisibili… Eppure, già allora, io desideravo, invece, che qualcuno mi vedesse. Che mio padre e mia madre mi vedessero. Ma non poteva succedere, perché per mio padre la politica era la vita intera, annebbiava tutto il resto, e per mia madre invece la vita era lui, lui con la sua luce abbagliante e la sua passione che spazzavano via ogni cosa. Le piccole quotidianità, la scuola, gli abiti puliti, le mie amicizie, i successi e gli insuccessi, erano dettagli poco importanti di cui mi occupavo io: li gestivo per me e per Thièl, mio fratello minore, l’uomo che hai visto poco fa. In seguito, ho avuto questo ruolo anche per gli altri tre, che sono nati quando ero già un adolescente e quando ormai avevo ben chiari sia gli ideali di mio padre sia i miei. Credo sia stato proprio grazie agli occhi dei miei fratelli che mi sono reso conto di quanto in famiglia il vero carisma non fosse quello di mio padre, ma il mio. Ed io me ne sono servito per definire me stesso in opposizione a tutto quello che di lui detestavo: dove lui gridava, io abbassavo la voce, dove lui alzava le mani, io sorridevo, dove lui incitava, io argomentavo, dove lui divideva io conciliavo, e se il personaggio del soave Dolbruk è stato mai una costruzione, quella costruzione non è nata con Orizzonte, è nata lì. A quindici anni ho cominciato a partecipare alle riunioni clandestine di FDL, il Fronte per il Dar-breuk Libero, il più attivo e numeroso tra i tanti gruppi più o meno secessionisti che pullulano nel mio paese. Mio padre era uno dei capi della cellula di Mòrask, e la posizione sua e dei suoi compagni è sempre stata piuttosto radicale: il governo centrale era a tutto tondo un nemico, e la resistenza ad ogni costo era l’unica strada percorribile. Ho contribuito a numerose azioni di sabotaggio, alcune delle quali forse ricordi anche tu perché hanno avuto un qualche impatto mediatico: il taglio della corrente durante l’inaugurazione della nuova centrale elettrica, il blocco del passo del Sùrbruk, il furto dei materiali da costruzione durante la realizzazione della tangenziale di Mòrask. Ho partecipato a tante manifestazioni che sono degenerate in scontri armati, mi sono trovato più volte a scappare dalla polizia, ho subito pestaggi ben peggiori del paio di pugni che mi ha dato oggi mio fratello: le autorità non sono mai tenere con chi protesta e non c’è molta differenza se davanti a loro hanno uomini adulti con le spalle larghe o ragazzini spiantati, il che non aiuta il partito della conciliazione… non è facile scendere a compromessi con chi ti ha spaccato il naso, a volte senza che tu avessi fatto proprio niente. Dunque, quando sento frasi come i separatisti (o peggio, i darbrandesi, in blocco) sono tutti violenti non ce la faccio a non essere almeno un po’ di parte. Lo sapevi che i due terzi delle forze dell’ordine del Dàrbrand non è costituito da gente nata nel Dàrbrand? C’è una ragione anche per questo, chi lo nega è ipocrita. Ma tu sai anche che non credo nello scontro aperto, né nella violenza, né, nemmeno, nella dissidenza passiva. La lotta politica come la praticava mio padre per me era solo l’espressione di una frustrazione: magari ci faceva sentire un popolo, magari rafforzava un senso di identità o forse permetteva a qualcuno di vendicarsi per qualche ingiustizia subita, ma poi, a conti fatti, produceva una sola cosa, odio che si somma all’odio, conflitti esacerbati senza fine, e nessuna, nessuna possibilità di cambiamento. Alle scuole superiori, come membro del comitato studentesco, iniziai a occuparmi di piccoli conflitti interni all’istituto: non me ne rendevo quasi conto, ma quando si trattava di risolvere un problema, studenti ed insegnanti venivano a cercare me. La capacità di essere visto che mi aveva reso il punto di riferimento di tutti i miei fratelli diventò la mia caratteristica peculiare, e la mia arma. Cominciai ad entrare sempre di più in contrasto con i metodi di mio padre e con l’impronta che aveva dato a FDL, e non so bene come mai, forse perché non è vero che la politica è rabbia, forse perché la gentilezza a volte paga, o forse perché molti, negli anni, si erano stufati di reiterate battaglie inutili, ma in tanti, in troppi cominciarono a vedere in me un leader. Mio padre credo mi odiasse e al tempo stesso mi stimasse: ero diventato esattamente quello che desiderava da me e dicevo esattamente le cose che non desiderava. Litigavamo ogni santo giorno, soprattutto quando – e tu sai quanto purtroppo sia frequente – Mòrask veniva colpita da un atto terroristico: lui giustificava sempre, io non giustificavo mai; lui puntava il dito sulle motivazioni, io sulle conseguenze; lui parlava di eroi ed io di familiari delle vittime. Abbiamo sempre avuto una visione diversa del dolore e della paura: per lui erano sentimenti che potevano essere manipolati per fini politici, per me erano solo sentimenti… come dire… sbagliati. Da cui le persone, qualunque fosse il loro lato della barricata, andavano protette. Litigavamo, e più lo vedevo intraprendere una deriva che portava alla violenza, più cercavo di ingegnarmi nello sfoderare idee sorprendenti, e strappargli seguaci portandoli dalla mia parte. Mio fratello Thièl stava sospeso tra noi: amava mio padre molto più di quanto lo amassi io… ma credo amasse me un po’ più di quanto amava lui. Devo avergli fatto passare anni davvero difficili, povero Thièl, sempre tirato in mezzo, sempre pronto a difendermi a viso aperto per poi biasimarmi in privato, ma sempre al mio fianco in ogni iniziativa che prendessi, anche la più idiota. E poi le cose sono precipitate e io…”

Non si era interrotto dal momento in cui aveva cominciato a parlare e si sentì come stordito da se stesso.

Respirare.

Respirare.

Ma non era seduto al belvedere di Noravàl: il suo sguardo era ancora lì, ad un istante prima che le cose precipitassero, e non c’era nessun orizzonte davanti, solo una voragine profonda.

Adrian lo guardava in silenzio, ma era come se guardasse dentro quella stessa voragine con lui.

“Le cose sono precipitate ed io non sono stato capace di capirlo in tempo. Da anni si discuteva del traforo del Nòdoask, di proteste ce n’erano già state tante: proteste a sfondo ecologico, a sfondo economico, a sfondo politico. Anche io, alla guida di una parte del Fronte, avevo organizzato alcune dimostrazioni: un sit-in che aveva bloccato i lavori per qualche giorno e il boicottaggio delle linee ferroviarie nazionali: poca cosa, dato che nel Dàrbrand ci si spostava solo con i treni dell’azienda ferroviaria regionale, per cui mio padre lavorava. Io non ero, in verità, contrario: ho sempre creduto che vivere arroccati non fosse la strada giusta, che Mòrask avesse solo di che guadagnare da un collegamento più veloce con la costa e che della galleria avrebbero beneficiato tutti gli abitanti dell’alta valle del Norav, che parlano lingua varnava e non hanno nulla a che vedere con la comunità darbrandese. Ma non mi piaceva che un’opera di interesse pubblico fosse diventata una specie di simbolo, una prova del nove per decidere chi stesse da una parte e chi dall’altra, per contare i buoni e i cattivi. Per non parlare del fatto che il sistema di pedaggi dell’autostrada non avrebbero portato alcun tornaconto economico alla regione e che i piani per la nuova ferrovia non prevedevano che essa potesse essere utilizzata anche dai nostri treni locali. Non avrei dovuto prendere quella posizione: oggi, a mente lucida e con un po’ di esperienza in più, so che avrei dovuto schierarmi semplicemente e apertamente a favore, rimandando i progetti di contrattazione a data da destinarsi, come fa Zjam. Invece, la mia indecisione fece pendere l’ago della bilancia del Fronte verso una posizione di aperta ostilità. Mio padre e alcuni suoi compagni ne approfittarono per tirare le fila e riprendere in mano un movimento che si stava sfaldando in due… Non so come e quando l’attentato fu progettato, non so nemmeno se lui avesse mai preso parte prima ad atti terroristici e a questo punto non lo saprò più. Ma allora era il capostazione di Mòrask e avrebbe dovuto presenziare all’inaugurazione della galleria come rappresentate dell’azienda, si trovava in una posizione favorevole per offrirsi di…”

Si interruppe di nuovo.

Guardò il cielo, dove il sole si stava facendo basso.

Pensò che in quel momento avrebbe dovuto trovarsi a parlare con Màrna, che Zjam si sarebbe preoccupato, o offeso, che sarebbe stato bello che le cose fossero state tutte semplici - da fare e anche da spiegare - e che invece nulla era semplice, tranne il fatto che Adrian fosse lì e continuasse ad ascoltarlo senza domandare niente.

“…non so nemmeno offrirsi di fare cosa…! Da quel momento in poi, è tutto molto confuso e io stesso faccio fatica a rimettere gli eventi in ordine. Stress post traumatico, direbbero i terapeuti: ma io non posso permettermi il lusso di raccontare questa storia ad un terapeuta, e tu sei il primo con cui ne parlo.”

Si diede una spinta coi piedi e l’altalena lo portò in alto, e in basso, e ancora in alto. Lasciò che il movimento si fermasse da solo, lasciò che fosse quello a dargli il tempo.

“Io ero lì, quando il tunnel è saltato in aria.” si appese alle corde dell’altalena e le strinse fino a farsi diventare rosse le nocche delle mani “Non avrei dovuto esserci, e ancora oggi non so cosa cazzo io abbia creduto di fare. Ovviamente nessuno mi aveva informato… non funziona mai così. Non sono i movimenti ad organizzare attentati, sono gli individui… e questa è la ragione per cui ti dissi d’essere certo che la minaccia verso di me non provenisse dai terroristi: i terroristi del Dàrbrand non sono un gruppo, non minacciano e non rivendicano, e ancora non so se questo li renda più o meno pericolosi rispetto ad un sistema organizzato. Tuttavia, sono sempre i movimenti a fomentare le azioni delle teste più calde. Ma sto divagando, Adrian. È che… è difficile. Sono venuto a sapere dell’attentato quando la cerimonia stava per iniziare… non ricordo nemmeno come o da chi. In pochi minuti ho dovuto prendere atto che mio padre stava per diventare un assassino e che coloro che ne erano a conoscenza lo avrebbero lasciato fare. Che io ne ero a conoscenza e dovevo decidere cosa fare. Lucidamente sapevo qual era la scelta ragionevole: dovevo prendere un telefono, allertare le forze dell’ordine, denunciarlo. Invece sono andato là. Mi sono presentato là, mi sono infilato tra la folla in qualche modo, mi sono avvicinato più che potevo fino a poterlo guardare negli occhi, farmi vedere. Cosa volessi ottenere, davvero non lo so. Pensavo di spingerlo a ripensarci solo con la mia presenza? Non ero riuscito a dissuaderlo da una sola convinzione per tutta la vita, che illuso. Forse volevo solamente rinfacciargli qualcosa, farlo esitare, metterlo in difficoltà, pregarlo, fargli pateticamente compassione… Invece ho fatto una sola cosa, Adrian. L’ho reso una vittima tra le vittime, senza riuscire a salvare nessuno.”

Lasciò scivolare le mani lungo le corde, arreso.

Respirare.

“Mi ricordo l’esplosione, mi ricordo tutta quella polvere negli occhi e nel naso, la paura di soffocare, la voce di un compagno di mio padre che grida cose che mi arrivano ovattate, le sue mani che mi strattonano e mi trascinano via. È grazie a lui che nessuno ha mai saputo che mi trovavo sul luogo dell’attentato. Mi disse una frase penosa del tipo Fidòr avrebbe voluto così. Che stronzata. Fidòr avrebbe voluto non morire. Io avrei voluto che non morisse… e che non morissero nemmeno gli altri. Non so cosa è successo davvero in quei secondi immensi, Adrian, non lo so. Nessuno lo saprà mai, come nessuno sa che una delle quattro vittime è anche il carnefice. Quello che mi hanno riferito è che il piano è andato storto per colpa mia, che mio padre non è riuscito a salvarsi perché voleva allontanare me. Mia madre mi ha detto che per lei ero morto insieme a lui, che non dovevo più considerarmi suo figlio, e Thièl si è schierato con lei. Quella notte ho lasciato Mòrask. Forse tu penserai che avrei dovuto raccontare la verità alla polizia, che sto ancora coprendo un crimine… l’ho pensato anch’io, ma non ci sono riuscito. Non l’ho fatto quando avrei potuto salvare quattro persone, farlo dopo avrebbe solo significato cercare di mettere una stupida pezza sui miei sbagli, rovinando per sempre la vita di mia madre e dei miei fratelli. O forse, semplicemente, non volevo raccogliere altro odio: mi sentivo già odiato abbastanza e temevo che non ne avrei sopportato di più. Sono venuto a vivere a Noravàl e sono stato di parola: nessuno a Mòrask ha saputo più nulla di me. Mi ero ripromesso di stare alla larga dalla politica, di trovarmi un buon lavoro e ricominciare da capo. Anche a fare questo non sono riuscito: in genere sono molte più le cose che non mi riescono che quelle che mi riescono.”

Si sforzò di abbozzare un sorriso e sentì il taglio sul labbro bruciare. Risentì il pugno di Thièl, le parole di Thièl. Manipolatore, traditore, venduto, illuso.

“Ho fondato Orizzonte perché ho incontrato molti darbrandesi emigrati come me a Noravàl, che si sentivano cittadini della Repubblica, persone che speravano di poter chiamare casa ogni luogo di questo paese. E perché volevo cercare di riparare le cose rotte e perché, sì, sono folla-dipendente. Zjam aveva bisogno di una nuova fonte di popolarità, io dei numeri per essere eletto e portare avanti i miei progetti legalmente. Mio fratello e molti altri mi accusano di aver fatto a pezzi il movimento e poi di essere scappato, di essere diventato una specie di spia che vuole sfruttare le informazioni che ha sul separatismo per avvantaggiare il governo. Vorrei poterli smentire, invece hanno ragione. Io voglio davvero sfruttare ciò che so di FDL per ottenere… beh, per ottenere esattamente ciò di cui mi accusano e che, invece, in passato, non sono riuscito a fare affatto: spezzare il movimento a metà e trascinare una parte di loro con me. Lo posso fare e lo devo fare. Non posso parlare di questo con Karkoviy, ci sono cose che non gli posso dire: denunciare queste persone, schierarmi da un solo lato, significherebbe negarmi la mia sola possibilità. Devo guadagnarmi la loro fiducia come parlamentare, non come cospiratore, e devo farlo da solo. Senza il loro appoggio, persino uno statuto autonomo sarebbe percepito come calato dall’alto. Ma affinché il mio progetto non rimanga solo l’anonimo punto 25 del programma, devo poter offrire al governo una contropartita: devo garantire un basso livello di rischio, devo minimizzare la possibilità di azioni terroristiche. Devo trattare col Fronte, e posso farlo solo non avendo paura: mettendoci la faccia e correndo dei rischi in prima persona senza nascondermi dietro le premure degli altri, come ho fatto oggi ed altre volte. Perché siccome l’incoscienza ci salverà, io devo essere disposto a mettere in posta la mia sicurezza per ottenere il loro rispetto. Scusami, Adrian.”

Un tuono rotolò tra le nuvole, ma distante, attutito.

Adrian si alzò in piedi.

“È solo incoscienza o è senso di colpa?” chiese, quasi senza espressione nella voce.

Noam abbassò gli occhi, lo sguardo rivolto ai piedi, piantati a terra a bloccare il movimento dell’altalena: sentiva lo sguardo dell’altro su di sé, come se potesse vedergli attraverso.

“Ti senti in colpa per le vittime dell’attentato e ti metti volontariamente in pericolo per espiazione?”

Detto così, non suonava affatto bene: ma era la verità.

“Ti chiedo di fare una cosa per me.” La mano di Adrian calò all’improvviso sulla sua testa, scompigliandogli i capelli: calda e solida. “Lascia i sensi di colpa a coloro che hanno realmente desiderato fare del male. Non chiamare colpa l’aver desiderato salvare la vita a quattro persone. Non chiamare colpa l’averci provato: non è giusto.”

Avrebbe voluto che quella mano non si muovesse più da lì: era come se quel semplice gesto gli riconoscesse il diritto a non essere sempre lui l’adulto.

Lo aveva desiderato tante, tante volte.

“Tu” disse Ardrian, con dolcezza “Tu devi dare un grande valore alla tua vita, perché, come hai detto, sei nella posizione per fare cose che nessun altro potrebbe fare.” sorrise “E perché sei la persona migliore che io abbia conosciuto, Noam.”

  
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