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Autore: Alarnis    25/09/2022    3 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA  questo capitolo è un po' lunghetto. Quindi mettetevi comodi!
ps ho postato velocemente, quindi occhio al capitolo precedente. Buona lettura e grazie infinite di leggere 



47 Colpe e malefici                   



“Ludovico?”, “E’ qui!”, “Andiamo, presto!”. L’andirivieni dei soldati aveva consigliato a tutti di sedersi e non dare fastidio.
“Ecco quì la mia simpatica assistente!” disse quando Belinda le corse incontro.
Guardò l’intero piazzale dove tutti i contadini, arrivati per la cerimonia dell’Adunanza, sembravano bivaccare nell’attesa di promettere lealtà. Adelberto e Eugenio sedevano a terra in attesa.
“Quindi è per il mio bel principe tutta questa confusione!” disse agli amici, con le mani ai fianchi quasi fosse una seccatura.
Pfa..re di ffi!” rispose Eugenio sputacchiando parole, mentre Belinda si alzava sulle punte dei piedi per danzare; portò le mani alle guance e pigolò “Ahhh… Quant’è bello Ludovico...”.
Lei si accomodò tra loro sopra una balla di foraggio. Diede aria alle caviglie, accomodò la lunga gonna e anche se il suo vestito era umile, questo non le impedì di atteggiarsi a consumata e altera regina pronta a un’udienza, distinguendosi dalla folla. Poggiò il cestino da cui spuntava il collo di più di una bottiglia. La chioma nera incorniciava la carnagione dal colorito sano. Gemme di onice davano forma agli occhi. Le labbra erano il sottile flettente di un arco.
“Chissà se si sono già incontrati.” disse e, si strofinò la punta del naso. “Chi?” chiese Belinda.
“Ludovico, Moros e Nicandro.”. I capelli dondolarono in morbide ciocche.
A Belinda brillarono gli occhi nel fantasticare sui tre giovani: i suoi tre principi.
 “Dai sietidi e resta buona…” suggerì, ma Belinda fece il broncio, “Uffaaa!”.
La chiamò a sé con un colpetto a lato del fianco, un po’ come si fa con un cagnetto. “Siedi.”: la voce volutamente bassa come qualcuno dormisse.
Belinda si sedette di malavoglia finché lei non disse “C’era una volta…”.
L’urlo di gioia che cacciò Belinda fu contagioso nonostante il pandemonio dei soldati tipico di quella che a tutti gli effetti era un’incursione nemica.
Bambini si materializzarono tutt’intorno a lei, con i soliti candelotti di muco al naso ma anche i sorrisi.
“La storia inizia con due cugini. Moros e Nicandro vivevano spensierati insieme…”.
Pure Adelberto la guardò, curioso di quella favola.
“Finché…”. Malia avanzò il braccio destro e fece indietreggiare il gomito sinistro. “Zaphf!” esclamò quando il gomitò scattò un po’ più indietro nel mimare l’uso di un arco. “La freccia di una soldatessa non divise il loro destino…”.
“Una soldatessa?” rise di gusto Mario, il figlio del ciabattino. “Sarà stata una strega!” appuntò.
“No, carino! Era una soldatessa e tu dovresti stare zitto!” si mostrò innervosita. Risero tutti al contrario del bambino mortificato per averla interrotta. Le bambine incredule, che una donna fosse un soldato e non una principessa da salvare, incitarono “Racconta!”.
Belinda le rubò la parola. “Nicandro fu l’involontario legame tra lei e Moros.” disse saputella con il dito indice alzato.
“Una storia d’amore? Bleah!” fecero i maschietti con tutta la lingua di fuori. “Che smorfiosa che sei Belinda!” disse con la sua vociona pastosa il pigro e grassotello Antonio.
“Tutt’altro! Si odiano a morte!” rispose Belinda veloce. “Cacciò via Moros e Nicandro restò al castello.”.
“Perché? Era tenuto prigioniero dalla soldatessa?” chiese un bambino dai capelli a cespuglio. Belinda negò “Macché prigioniero. Un nobile divenne suo padre. Nicandro ci stava benone nel castello. Ma sei matto a starci male in un castello? ” gesticolò unendo le dita delle mani e muovendole avanti e indietro.
Tutti risero e il bambino si toccò la fronte dandosi un pugno come dovesse averlo immaginato prima di parlare e farsi prendere in giro.
“E Moros cosa faceva tutto il giorno senza Nicandro?” intervenne una bimba.
“Carolina!” l’apostrofò Belinda “Devo dirti proprio tutto? Era un boscaiolo. Quindi le solite cose… tagliare la legna, andare a rane, cacciare…”.
“I draghi!” rise un altro. “Leopoldo! I draghi non esistono!” precisò Belinda, ma poi ci rifletté su. “In effetti, cacciava giganti e stregoni....” disse con un cenno del capo.
 “Ooooh.”
Belinda sei incorreggibile! Malia dondolò il capo.
“Comunque Moros è qui al castello per Nicandro.” li lasciò a bocca aperta riprendendo la parola. “Vuole parlargli… Ricondurlo con sé, forse… Se glielo permetterà… o meglio se glielo permetterà Gregorio Montetardo.” chiarì con sguardo sottile e truce. Conoscevano il nome di colui che li comandava con ferocia.
Malia si prese un ciuffo di capelli e lo avvolse sull’indice. Portò avanti la mano destra e la guardò contemplandosi le unghie come fossero artigli. Mise in chiaro. “Sappiate che ho cercato di far desistere Moros!” commentò sgradevole in una limpida antipatia con il personaggio di Nicandro, raccogliendo l’attenzione dei bambini a cui sapeva piacessero dinamiche impreviste.
“Ho un piccolo segreto da confidarvi…” ammise.
Silenzio.
“Nicandro era piccolo quando dopo un tremendo incendio lasciò Macerino.” raccontò.
“Ooooh.”
“Anch’io vengo da Macerino.” stupì i presenti e Eugenio, attento, con loro.
“Ooooh.”
Svelò le proprie bruciature. “L’incendio ci è impresso nella carne!” disse. Guardò con un sorriso tenebroso i bambini che urlarono.
“Aaaah.”. Amavano le storie di paura e più di uno guardò la pelle tesa e lucida con un misto di curiosità e repulsione.
“Morti i suoi genitori…” disse lugubre, “Fu la vecchia Agata a salvarlo e portarlo da…” sembrò faticare a ricordare un nome che infine proferì. “Sì, ora ricordo!”. Si picchiettò il capo tre volte sulla fronte nel ricordare.“Zia Matilda!” rise ironica.
“Zia!” sembrò trovare comica la cosa. Si batté sulle cosce, gustandosi l’esito di quella rivelazione che smascherava non fosse autentico quel legame.
“Non era mica sua zia!” precisò Belinda per chi non avesse capito.
“Non è mia zia?”. Malia mimò un giovinetto preoccupato che si struggeva di quella rivelazione. I bambini negarono col capo a Nicandro. Che razza di pesti!
Che i suoi genitori fossero morti Nicandro l’aveva sempre saputo, ma che Moros non fosse veramente suo cugino lo ignorava.
“Agata non era un tipo materno tanto da allevarlo di persona.” confidò Malia, anche se sotto mentite sembianze non l’aveva mai perduto di vista; fosse anche una semplice volpe, un topolino sfuggente o un’impertinente ranocchia.
“Matilda, sbandata e ciucca era perfetta per impersonare la parte di una parente.”, ne fece la caricatura col singhiozzo.
Tutti risero, anche le donne che si erano accomodate sulla scia dei loro entusiasti marmocchi.
Allungò la piega delle labbra fino a renderle una linea orizzontale “Così Nicandro e Moros crebbero assieme.”.
“Che bella storia!” sottolineò Lucilla di Ferro Lucio, mentre la piccola Agata di Ruggero il macellaio intervenne. “Perché Agata salvò Nicandro?”.
Malia avanzò con il volto. “Si sentì in colpa. Fu suo figlio a incendiare Macerino.”.
“Ooooh.”.
“Lui era…?”. Malia agitò le mani avanti a sé come mescolasse l’aria di un pentolone magico e vaporoso. “Baltasar di Foresta Cupa!” lo nominò di colpo.
“Aaaah.”.
Indietreggiarono tutti come fosse tenebra da cui tenersi lontano. Lucilla si rannicchiò su se stessa come una chiocciola che nasconde testa e antenne.
“Ahh, non temete. E’ morto!” rise di pancia Malia, sventolando la mano come per un’inezia. Nascose il viso con le mani e le portò verso i lati, finché non raggiunsero il mento a formare una coppa sulle guance. “Agata aveva sposato un cavaliere, un eroe buono, ma Baltasar non seguì le loro orme e crebbe competitivo, ambizioso e malvagio.”. Usò tre aggettivi inequivocabili di come fosse stato di carattere Baltasar. “Già prima della morte di suo padre, indegno di spade e titolo… Incontentabile si rivolse contro la sua stessa madre.” annuì puntuale.
“Uomini avidi ci saranno sempre.” sottolineò Malia come se Zelio non rappresentasse un’eccezione. Una lezione per tutti.
“Ma ora Moros dov’è?” chiese Lucilla ritornata con la testa al sole.
“Corre nei corridoi del castello!” li stupì agitandoli tutti d’entusiasmo mentre le mamme gesticolavano e intimavano di stare seduti.
“Ma tu come lo sai?” disse Carolina.
Lei alzò le spalle. “Moros doveva forse preferire una vita senza Nicandro?”. Negarono di brutto e lei si tappò le orecchie al loro “Nooooo.”.
“Lui è il mio eroe!” sottolineò Belinda che già si vedeva sposa, inimicandosi Carolina, che appuntò “E’ anche il mio!”. “Ma io lo conosco e tu no!”. Ne sfociò un battibecco tra ragazzine che consigliò al paciere Antonio di farsi da parte.
“Un eroe di questi tempi è merce pregiata.” corresse quella superficialità come avrebbe fatto la vecchia Agata verso di lei, ma ai bambini non importava: un eroe avrebbe salvato la favola.
“Basta chiacchere!” si disse. Doveva pensare a come aiutare Ludovico e Moros e una mezza idea ce l’aveva per sguarnire i soccorsi a Gregorio e Zelio.
Guardò le preziose bottiglie e si alzò.
Vide il buon Eugenio gesticolare con gli arceri, che sulle cortine chiedevano qualche goccio d’acqua. Non avevano lasciato le loro posizioni.
Eugenio spostò l’aria con la mano per posticipare la loro richiesta, quindi ora entrava in scena lei! Nicandro ti affido Moros! Spero che tu sappia interpretare quanto prezioso è il dono di Agata.
Agitò la mano civettuola a un arcere e agli altri, apparsi come piccioni di uno stormo al porgere del grano.
“Heilà, bei soldatini!” fece intendere di salire e imbracciò il bottino che avrebbe portato con sé. Una sorsata sarebbe bastata; se non vino anche l’acqua portata da una bella donna sarebbe stata gradita.
Qualcuno le tirò il vestito con insistenza. Ora mocciosi, lasciatemi in pace. Si inalberò, “Cosa c’è ancora?”.
“Non ti hanno insegnato a trattare una signora?” disse seccata all’ennesimo nanerottolo.
Rimase fredda quando chinò il viso verso quegli occhi verdi intenso su di un incarnato bianco e i capelli neri, lucidi come il piumaggio di un corvo.
Balta… si trattenne dal vaneggiare.
“A cosa serve un eroe?” insistetté il bambino che ora a guardarlo bene non assomigliava per nulla all’uomo di cui si era innamorata un tempo.
Si guardò attorno. Fosti tu a confidarmelo. Girò la testa a destra e a sinistra e dietro di sé, mentre involontaria proferiva la risposta, alla sola aria. “A spezzare un maleficio!”.
Sentì gelare le mani. Grazie di avermelo ricordato, mio spietato carceriere.
Sospirò. Non vale per quello che mi hai imposto. Da Macerino il fuoco. Da Macerino le lacrime. Non bastava il cuore di un eroe o la sua spada per far cessare il rimorso.

 
   
 
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