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Autore: coopercroft    28/09/2022    0 recensioni
C'era in Mycroft una parte oscura che nessuno vedeva. Era come la luna, che brillava e incantava le persone, ma dietro nascondeva una parte buia e nera.
Il tempo lo aveva accartocciato su sé stesso e sentiva la voglia di abbandonarsi a quel oblio, era a un passo dal farlo se la vita non avesse rimescolato le carte.
Gabryel, appena ventenne, era apparso nella sua vita, ed era un fratello Holmes che non aveva mai saputo di avere.
Come avrebbe reagito Sherlock a quella notizia? E come avrebbe gestito il problema di Eurus che non poteva più trattenere a Sherrinford?
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anthea, Eurus Holmes, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Anthea lo aveva aspettato nell’ingresso, c’era una certa preoccupazione sul volto della giovane donna quando lo vide arrivare, Mycroft si era attardato a riprendere fiato dopo le rivelazioni di Alicia, ed era stato l’ultimo a uscire.

Era irritato e nervoso, non aveva sollevato la testa mentre le passava accanto, le fece solamente un cenno con la mano.

Non avere nessuna libertà di azione e sapere che ogni sua mossa era seguita, lo rendevano scontroso e instabile.

Anthea non aveva colpa, questa era la vita che si era scelto e lei svolgeva semplicemente il suo lavoro. Una volta ne sarebbe stato orgoglioso, ma ora sentiva il bisogno di un po' di tranquillità.

 Fuori c’era un tiepido sole, inusuale per quel primo gennaio.  Lei lo seguì senza dire nulla, gli aprì lo sportello dell’auto e aspettò ordini.

Mycroft  si fermò, titubante, Pall mall non era eccessivamente lontana e aveva voglia di riflettere.

“Anthea, se non è un problema vorrei tornare a casa a piedi e da solo.” La osservò preparandosi alla sua sorpresa.

Lei lasciò il cellulare, abbandonò le mani lungo i fianchi mosse la testa castana, impensierita.

“Qualcosa non va capo?” Chiese scrutandolo con attenzione, lo aveva visto parlare con Alicia e sapeva quanto erano affezionati.

Lui ridacchiò vedendo il suo bel volto oscurarsi. “No, è festa e voglio prendermi una pausa. Credi che possa farlo con le giuste precauzioni?” Alzò le sopracciglia e rimase candidamente in attesa, le mani appoggiate all’auto.

“Penso di sì, ma non cambiare direzione. Sai le difficoltà che abbiamo per la tua sicurezza.”

Lui annuì, prese il suo ombrello e si avviò silenzioso, si girò e alzò la mano per salutarla.

“Buon anno Anthea, grazie.”  Probabilmente aveva già le telecamere di mezza Londra puntate addosso.

Assaporò quella poca libertà che gli concedevano e camminò senza forzare il passo.

Certo la sua segretaria avrebbe rimuginato un bel po', però ne aveva bisogno, era piacevole sentire l’umidità della tarda mattinata che gli pizzicava il viso, presto sarebbe scesa la nebbia, ma aveva ancora tempo.

Qualche famiglia passeggiava con i figli al seguito, i piccoli guardavano le luminarie scintillanti, trascinando per le braccia i loro papà distratti.

Uno dolore immotivato gli prese lo stomaco. Come sarebbe stata la sua vita se avesse avuto una famiglia? Si era occupato costantemente di Sherlock, quel fratello irrequieto che spesso si infilava in un sacco di guai e che faticava a sopportare le sue attenzioni.

 O Sherlock! Quante volte lo aveva perdonato, capito, assolto per quello che gli aveva combinava,  mettendo in pericolo anche la sua di vita. A volte aveva dovuto scendere a patti con Governance per lui.

Il suo senso di colpa non si era mai spento per averlo abbandonato quando era andato con lo zio Rudy a Londra.

E anche Sherlock non glielo aveva perdonato.

Ora viveva con John e Rosie, la sua famiglia strampalata, Mycroft sapeva che suo fratello amava segretamente John Watson e sperava che un giorno lui lo ricambiasse. Ma non era gay, e John lo aveva sottolineato più volte.

Eppure c’era qualcosa nello sguardo del buon dottore che lasciva intravvedere un certo interesse per Sherlock e c’era sempre la possibilità che fosse bisex. Ridacchiò come una vecchia comare che tesseva la tela per coronare un amore non corrisposto.

Nel rapporto con Sherlock aveva avuto le sue colpe, non poteva negarlo, e adesso sapere che c’era un altro fratello … barcollò e appoggiò le mani sul muricciolo  che delimitava il parco di White Hall.  C’erano dei bambini che giocavano con un pallone e gli mancò il respiro.

“Tutto bene signore?” Una voce lo interpellò con apprensione. 

“Sì, certo, stavo solo riprendendo fiato.” Guardò con un sorriso rassicurante il policeman, lo ringraziò con un cenno del capo e si rimise in subito in cammino prima che si precipitassero a prelevarlo allarmati.

Chissà perché lo prendevano per un vecchio! Aveva solo 42 anni, anche se  dopo Sherrinford era cambiato e non in meglio.  

Camminò ondeggiando il  suo fidato ombrello. Era quasi a casa, si portò la mano sulla tasca interna e prese la lettera. C’era una panchina libera che costeggiava la riva del Tamigi, la raggiunse e si sedette.

Fissò la carta beige, Alicia usava le buste tutte di quel colore. Si tolse i guanti, li appoggiò alla panchina e aprì la lettera. Il primo foglio, era un certificato del DNA del ragazzo comparato con quello della famiglia Holmes. Come membro della Governance tutti i suoi parenti erano schedati e Alicia non voleva lasciare dubbi. Lesse il resto con il cuore in gola.

 

“Gabryel Alexander  nato il 25 maggio del 2002, di anni venti. Caratteristiche fisiche:

Capelli castano scuro, occhi grigi, altezza 1,75.

Una cicatrice sopra l’orecchio destro sotto l’attaccatura dei capelli. Una frattura al piede sinistro che gli causa talvolta una leggera zoppia.

Figlio di Margaret Achard, da lei ha preso il cognome, il padre risulta ignoto.

Diplomato alla Turing school of mathematics technology.  Vive a Londra nell’appartamento ereditato dalla madre.

 Attualmente non lavora è seguito dagli assistenti sociali.

Arrestato per uso di droga nel 2020, recidivo nel 2021. Ricoverato per overdose al san Bart.

Sotto sorveglianza per hackeraggio di siti di interesse finanziario.

Recidivo per abuso alcool, uso di stupefacenti e per danni al patrimonio.

 

Mycroft si passò la mano sulla fronte, e soffiò aria a pieni polmoni.  

L’unica cosa buona era che aveva la stessa mente matematica del padre. Per il resto c’era da lavorare parecchio.

 Sherlock, non l’avrebbe presa bene, e Sieger suo padre, ancora meno, si chiese se sapesse di aver avuto un figlio.

Gran bella eredità gli aveva lasciato Alicia! Se quel ragazzo era la sua via di salvezza, era meglio prendesse l’arma nel manico del suo ombrello e si sparasse lì, senza pensarci troppo.

Rimise il foglio nella busta.

Cosa doveva fare adesso che sapeva dell’esistenza di Gabryel, nelle condizioni in cui si trovava? Il suo pensiero di farla finita era quasi costante, e sapere di avere un fratello che era in condizioni peggiori delle sue lo sconvolse.

Piantò le unghie sotto la manica e calmò il dolore dell’anima con il dolore fisico, finché sanguinò e si fermò solo quando il sangue che gli imbrattava le dita della mano.

Si asciugò con il fazzoletto, come sempre si ripromise di non farlo più, ma i buoni propositi  duravano poco e poi ricominciava.

Riprese a camminare con l’emicrania che riprese a tormentarlo,  tornò a casa, aprì la porta consapevole di avere un problema in più: Gabryel.

La partenza di lady Smallwood era un'altra incognita da affrontare,  lei l’aveva aiutato trattenendo a Sherrinford sua sorella anche dopo gli omicidi che aveva commesso. Ma ora chi l’aveva sostituita non era più disposto a mantenerla rinchiusa, visto che non poteva sfruttare  la sua immensa intelligenza.  

Eurus “era andata oltre”, non dava segni di presenza attiva. Era come morta, immobile con gli occhi fissi, inutile per l’Mi6.

Era un tormento accompagnare Sherlock e i suoi genitori una volta al mese per sentirla suonare.

Odiava quel giorno, e odiava vedere sua madre adorante, mentre lui rivedeva il sangue che aveva versato, e lo vedeva ovunque.

Eurus era stata la causa di tutto, desiderava che morisse e questo lo tormentava… perché era sua sorella.

Come avrebbero reagito tutti loro nel sapere che non poteva più tenerla a Sherrinford? Era stato ridimensionato e aveva dovuto ripulire tutti i danni che aveva causato.

Si era dissanguato finanziariamente e aveva dovuto accettare qualche intervento sul campo, “il lavoro di gambe” che tanto odiava.

Arrivò a casa, affaticato.

 Avvisò la sicurezza che era al sicuro, salì al piano di sopra a medicarsi le ferite. Si tolse la giacca e la camicia,  i polsini erano sporchi di sangue, la buttò dentro un sacchetto nero per liberarsene, non voleva insospettire la signora Green che si occupava della casa. Meglio evitare spiegazioni per quelle macchie.

Prese la cassetta di primo soccorso,  si sedette allo scrittoio sotto la finestra della camera. L’avambraccio destro era segnato da profondi sfregi rossi, un paio sanguinavano.

Disinfettò con cura, strinse la mascella per bruciore che avvertiva. Non riusciva a mettere fine a quella tortura che si imponeva, doveva smetterla.

Non ci riusciva e tornava a ferirsi con più forza quando avvertiva il tormento dentro alla testa che lo martellava e gli rendeva la giornata buia e dolorosa.

La sua più grande paura era farsi scoprire, far vedere la sua debolezza.

 Mise un paio di cerotti, e guardò il braccio sinistro che era in via di guarigione, sceglieva con attenzione ora in ora l’altro per non destare sospetti.

Era bravo a mascherare l’angoscia che lo divorava. Ripose la cassetta e si cambiò la camicia, prese il sacco nero e lo portò nel bidone all’esterno.

Rimase sulla porta di casa, gli occhi chiusi a godersi un po' di calore del pallido sole. Rientrò appagato e passò il resto della giornata in perfetta solitudine.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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