3. L’appetito vien (non) mangiando
Un giorno dopo...
«Uno,» dichiarò Elena, addossandosi di più alla parete rocciosa da cui scendevano a precipizio nastri d’acqua. «Questa idea è decisamente un uno, in quanto a romanticismo.»
«Non puoi dirmi che la vista non è romantica,» cercò di scherzare lui, zittendosi nel notare la sua occhiata omicida.
Elena trattenne una rispostaccia, fissando in basso, oltre il sottile cornicione di roccia sul quale stavano avanzando dietro quell’immensa cascata – perché, secondo Nathan, il famigerato "oro del drago" poteva trovarsi proprio lì, in una grotta di cui però non avevano trovato traccia.
Ovviamente, il villaggio di pescatori sull’isolotto era abbandonato, offrendo un magro riparo dalle piogge e dal vento notturno. Ovviamente, l’unica barca in grado di stare a galla era sopravvissuta a malapena il tempo di approdare sull’Occhio del Drago.
E ovviamente Nathan, come sempre dimentico di fame, sete e fatica, si era voluto lanciare a capofitto verso la loro mèta: il lago cristallino al centro dell’isola, da cui essa prendeva il nome. Strada facendo, Nathan aveva trovato un drago scolpito nella roccia.
Dopo varie divagazioni sul fatto che fosse chiaramente della Dinastia Nguyễn, visto che aveva cinque artigli e muso di leone, e che simboleggiasse quindi l’Imperatore, si era lanciato in direzione della cascata.
Elena, dal canto suo, stava iniziando a esaurire la pazienza. Era abituata ai colpi di testa di Nathan ed erano partiti sulle tracce di tesori perduti molto più labili di questa... ma, stavolta, sembrava ancora più incosciente del solito. Addirittura, distratto.
Come se stesse pensando a tutt’altro mentre si scervellavano per cercare di capirci qualcosa in più, su questo fantomatico tesoro.
E, se non si fossero affrettati a trovarlo, avrebbero davvero cominciato a pensare a come sopravvivere, visto che i crampi della fame già si facevano sentire. Elena lanciò uno sguardo alla muraglia bianca della cascata a pochi metri da lei: almeno, l’acqua non mancava.
«Ok, niente grotta. Peccato, ho sempre voluto trovare una grotta dietro una cascata,» disse Nathan con uno sbuffo deluso, non appena misero piede su terra solida. «Non ci resta che il lago,» stabilì, sfogliando il suo taccuino mezzo cancellato dall’acqua e bofonchiando tra sé a mezza voce.
Elena si scrollò le goccioline impigliate tra i capelli, prima di scuotere la testa.
«Nate, se non troviamo qualcosa da mangiare, il tesoro sarà l’ultimo dei nostri problemi.»
Quell’affermazione sembrò riportare Nathan coi piedi per terra.
«Uh, sì, in effetti ho un certo languorino... ma siamo a un passo dal tesoro!» esclamò poi, indicando il lago sotto di loro, una scheggia di turchese incastonata nel verde lussureggiante.
«O forse a chilometri interi,» ribatté Elena. «Se davvero il drago è un simbolo così ovvio, tu nasconderesti il tuo oro su un’isola che si chiama Occhio del Drago?»
«Beh... re e imperatori non sono esattamente noti per la loro modestia, no?» sogghignò Nathan, prima di interrompersi, quando il suo stomaco levò un lamento improvviso e sonoro.
Un velo rosso gli scurì le guance ed Elena sorrise vittoriosa.
«Pausa pranzo?»
Nathan annuì, sconfitto.
«Oh, guarda! Che carina,» commentò Nathan, facendo un mezzo sorrisetto e puntando il dito in mezzo al sottobosco.
Una lepre si rizzò allarmata sulle zampe posteriori, con le lunghe orecchie tese a intercettare ogni suono.
Elena scoccò un’occhiata a Nathan, sentendosi un po’ in colpa per il fatto che il suo primo pensiero, nel vedere l’animale, fosse stato “potenziale cibo”. Sospirò a mezza voce e guardò Nathan che, di rimando, continuava a guardare ignaro la lepre, adesso focalizzato su di loro, il naso fremente che annusava l’aria.
Erano a digiuno quasi completo da due giorni, avevano la prospettiva di rimanere su quell’isola per chissà quanto... eppure, la prima cosa che a Nathan veniva in mente nel vedere il loro potenziale pranzo era "che carina". Sapeva che moriva dalla voglia di avvicinarsi e accarezzarla.
Nathan avrebbe accarezzato uno bufalo inferocito, se gli fosse passato a portata di mano. E poi lo avrebbe adottato – come aveva quasi adottato un pappagallo in Colombia o uno yak in Tibet.
«Già... molto carina,» mormorò a mezza voce, sperando che il tono veicolasse il messaggio senza doverlo esplicitare.
Nathan girò la testa, fissandola con occhi leggermente sgranati non molto dissimili da quelli della lepre.
«Oh. Oh, giusto. Il pranzo,» realizzò, stringendo le labbra.
Elena fu quasi sicura di sentire le loro pance brontolare all’unisono.
«Quindi... come vuoi, uh... catturarla?» chiede, ricomponendosi e muovendosi il meno possibile per non fare rumore nella boscaglia.
«Io?»
Elena batté le palpebre, guardando lui e poi la lepre. In effetti, era molto carina.
«In realtà, pensavo...» cominciò, indicandolo con cautela, ma Nathan scosse energicamente la testa.
«No, no, io non so come... come fare!» disse subito, scivolando in un sussurro agitato per non spaventare l’animale.
«Intanto acchiappala, sei sicuramente più atletico di me.»
«Certo, la prendo e... e poi? Che ci faccio?»
«Non– non lo so, perché dovrei saperlo?»
«Se la prendo, tu fai il resto,» decise Nathan, tagliando l’aria col palmo.
«Cos– no, non funziona così!»
«Senti, ci sono dei ruoli, ok? Cacciatori e raccoglitori, e io non sono chiaramente un cacciatore!»
«E io sì? Nate, se non–»
Un tramestio improvviso fa fece voltare di scatto, giusto in tempo per vedere la lepre che schizzava via, sparendo come un fulmine nel sottobosco.
«Addio pranzo,» scosse la testa Elena, lasciando ricadere i palmi contro le cosce e sentendo una voragine aprirsi nel suo stomaco.
«Non è colpa mia,» brontolò Nathan, anche se, dalla voce un po’ stridula, era chiaro che la ritenesse almeno in parte colpa sua.
Elena lo guardò con un misto di amore e rimprovero.
«No, non è colpa tua,» soffiò via, con un debole sorriso. «Non fa niente, troveremo altro da mangiare, non sarà certo l’unica cosa commestibile in questa giungla,» continuò, con sicurezza un po’ fasulla.
Alzarono in sincrono la testa verso l’alto, verso gli alberi carichi di frutti giusto sopra le loro teste. Gli scoccò un’occhiata di sottecchi.
«Vai tu?»
«Sissignora.»
Quel giorno, pranzarono con più frutta di quanta ne avessero mai mangiata in vita loro.
«Magari è questo, il vero “"tesoro”,» scherzò Elena, sollevando un frutto del drago, di un rosso acceso e con sporgenze acuminate simili a spine.
«Non dirlo neanche per scherzo,» si imbronciò Nathan, addentando un mango.