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Autore: blackjessamine    01/10/2022    8 recensioni
Quando qualcosa è fuori posto, bisogna reagire. Fare il possibile per capire le cause dell’errore e poi fare il possibile per correggerlo, l’errore.
Kingsley ne è convinto anche quando il mondo ha perso i contorni dei ricordi.
Gilderoy invece ha un talento speciale nel distogliere lo sguardo da ogni increspatura nella perfezione.
[Questa storia partecipa al contest "Birdwriting – Pesca un dialogo" indetto da Sia_ sul Forum Ferisce più la Penna]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Quando l'infermiera non c'è, il paziente fa da sé 




 

Buio. 

Silenzio. 

Una luce fioca che danza dietro le palpebre, riccioli di calore rosso che sfumano nel nero. 

 

Il ragazzo non vorrebbe aprire gli occhi, perché qualcosa, una sensazione sommessa, un prurito sottopelle nascosto fra il sogno e la veglia gli suggerisce che non tutto sia come dovrebbe essere. Non che lui sappia davvero come qualcosa debba essere, non quando è a malapena consapevole di avere un certo grado di coscienza sul mondo. Un mondo fatto di buio, di silenzio e di una luce fioca che si muove non lontano da lui. Un mondo privo di corpo, dove tutto è solo un leggero fluttuare – no, non sta fluttuando, – è piuttosto adagiato su qualcosa di morbido che gli impedisce di accasciarsi a terra come un mucchietto di ossa e lenzuola. 

Lenzuola. 

Perché quello che lo sta sostenendo è un letto, e ciò che lo avvolge sono lenzuola, dev’essere per forza così. Ma qualcosa in quelle lenzuola è irrimediabilmente fuori posto, e lui non è sicuro di voler scoprire di che cosa si tratti. Eppure, anche se il mondo è una massa confusa che lui non sa decifrare, ha la certezza di essere quel tipo di persona che non riesce a chiudere gli occhi e tornare a dormire – o a svenire, perché perdere i sensi gli sembra decisamente più facile che cadere semplicemente addormentato – quando si trova davanti a qualcosa di fuori posto. Quando qualcosa è fuori posto, bisogna reagire. Fare il possibile per capire le cause dell’errore e poi fare il possibile per correggerlo, l’errore. Anche quando questo significa aprire gli occhi e lasciare che la luce di una lampada troppo vicina ti trafigga lo sguardo, anche quando sollevarsi a sedere significa vedere tutto il mondo vorticare in un caos fatto solo di nausea e lancinanti dolori alla testa. 

“Ah, finalmente ti sei svegliato! Iniziavo a credere che tu volessi proprio fare la parte della bella addormentata nel bosco, anche se lei era una principessa e tu, in quanto Kingsley…”

Kingsley.

Un nome. 

Il suo nome. 

Dev’essere tremendamente grave non ricordarsi neppure il proprio nome. Così grave che per un attimo Kingsley smette di ascoltare quella voce limpida e un po’ troppo alta e si perde a rincorrere brandelli di conspavolezze di un bianco abbagliante.

Quando il suo sguardo torna a mettere a fuoco il mondo, ciò che vede è un rettangolo di pietra scura a fare da soffitto a una stanza calda e silenziosa e lì, in mezzo al nero, un viso dai tratti sottili e delicati. Pelle bianca e occhi così blu da fare invidia a un cielo d’estate, una cascata di riccioli dorati e un sorriso tanto abbagliante da mettere in ombra le lampade sparse nella stanza. Il che deve avere perfettamente senso, perché se ci sono principesse di cui occuparsi, da qualche parte devono esserci anche dei principi, e quello, per quanto giovane, non può che essere un principe. 

“Non hai ascoltato neanche una parola, vero?” chiede il principe, senza smettere di sorridere. Quando Kingsley cerca di mettersi seduto, il dolore alla testa è così forte che la vista si annebbia e la sensazione di precipitare lo inghiotte del tutto.

Quando torna a vedere, il principe non sorride più, ma lo fissa preoccupato mentre una donna robusta dai modi spicci e lo sguardo serio sistema un cuscino dietro la sua schiena e gli regge la testa mentre gli versa in bocca il contenuto di una boccetta dal sapore disgustoso. 

“Sssh, Shacklebolt, niente storie, bevi tutto e resta buono. Sì, la testa ti fa male, lo so. Sei confuso? Riesci a ricordarti cosa ti è successo?”
Kingsley sbatte le palpebre.
“Sono… io… io mi chiamo Kingsley Shacklebolt, vero?”
Kingsley non sa di chiamarsi Shacklebolt, eppure quel nome suscita in lui come una vecchia abitudine. 

“Oh, cielo, è peggio di quanto pensassi…” la donna stringe le labbra, severa, ed estrae una nuova bottiglia dalle tasche del grembiule. Versa un dito di liquido verde in un bicchiere, lo poggia sul comodino di Kingsley e si volta  a guardare il paravento che nasconde un letto al capo opposto della stanza.

“Sì, ti chiami Kingsley Shacklebolt. Hai una piccola… forse non troppo piccola, ma insomma, è solo un’amnesia temporanea. Domattina sarai come nuovo. Ora…” si volta di nuovo verso il paravento da cui adesso proviene un gemito strozzato, e poi torna a rivolgere tutta la sua attenzione al principe dai capelli dorati.

“Allock, resta tu con lui. Spiegagli cosa è successo, fagli bere il suo Ossofast e per tutti i brufoli di Merlino, non farlo agitare. Sistemo la coda di Bulstrode e torno da voi”.

La donna sparisce, e il principe – no, Allock, si chiama Allock – siede con un gesto elegante sul materasso di Kingsley e lo fissa decisamente da troppo vicino. 

“Davvero non ti ricordi chi sei?”
Kingsley scuote il capo, scatenando l’ennesima ondata di nausea e di dolore. 

“E non ti ricordi nemmeno chi sono io?”
“No, io… mi dispiace, no. Ci conosciamo?”
L’espressione di Allock passa da un broncio offeso a un sorriso malizioso. 

“Ci conosciamo, ci conosciamo… anche se non mi spiego perché continuo a passare del tempo con uno che crede saggio mettersi a duellare da solo contro cinque Serpeverde dell’ultimo  anno. Come se non sapessi che quelli il fair play non sanno nemmeno che cosa sia”. 

Allock sbuffa, e Kingsley annaspa in preda all’ennesima ondata di nausea, quando lo sbuffo del ragazzo arriva a solleticargli il naso.

“Comunque, hai tenuto testa a tutti. Peccato per Farley, il sesto, che ti ha colpito alle spalle e ha rischiato di spedirti al San Mungo”.
Kingsley probabilmente la immagina soltanto, quell’incrinazione preoccupata nella voce di Allock. 

Allock che si scosta un boccolo ribelle dal viso, si allunga verso il comodino e, nel porgere a Kingsley il bicchiere pieno di Ossofast, si sofferma a carezzargli fugacemente la mano. 

“Dovresti bere questo, se ho capito bene il tuo cranio non è uscito molto bene da questo duello”. 

Kingsley esita appena: non sa da dove arrivi quel ricordo, ma sa di aver già assunto dell’Ossofast, e non è  un’esperienza che vuole ripetere troppo presto. 

“Insomma”, continua Allock, allegro come se non si trovasse in un letto d’ospedale – o d’infermeria, sì, probabilmente si tratta di un’infermeria – “per fortuna ti hanno portato qui mentre io ero a farmi controllare un dente che credevo di aver scheggiato mangiando una nocciola” – sorride, Allock, mostrando una dentatura assolutamente perfetta – “perché altrimenti chissà come avresti fatto a infilarti il pigiama”.

Kingsley abbassa appena il capo, rendendosi conto di indossare davvero un pigiama.

“Chi… come mi hai messo il pigiama?”

Kingsley si sente andare a fuoco, perché quella domanda implica scenari a cui non è certo di voler pensare, non quando quell’Allock, che a quando pare conosce ma di cui non ha memoria, è seduto tanto vicino a lui. E allora, avvampare per avvampare, tanto vale trangugiare il suo Ossofast e dare la colpa del suo rossore a quella pozione. 

“Con un incantesimo, ovviamente”, lo rassicura Allock, per poi chinarsi sull’orecchio di Kingsley e mormorare, roco: “dopo che ti ho spogliato a mano, e ti assicuro che io me ne ricorderò a lungo”. 

È un vero peccato che il ragazzo abbia scelto di pronunciare queste parole nel momento esatto in cui l’Ossofast tocca le labbra di Kingsley, perché tossire è inevitabile.

Kingsley tossisce, l'Ossofast finisce ovunque e la sua testa minaccia di aprirsi in due in una linea frastagliata che va dal suo occhio destro alla nuca. Tutto fa così male che non si accorge nemmeno del bicchiere che cade a terra e che Allock non raccoglie.

"Wow, ti hanno frullato per bene la testa… di solito mi devo impegnare molto di più per ottenere una reazione decisamente meno interessante".

Allock estrae dalla tasca un fazzoletto di seta lilla con cui  tampona delicatamente le macchie di Ossofast sulle lenzuola e sul pigiama che copre il petto di Kingsley – petto che brucia come se l'Ossofast si stesse davvero facendo strada nel suo esofago.

"Dovresti… dovremmo chiedere a Madama Chips di riempirmi di nuovo il bicchiere?", cerca di cambiare argomento.

"Farò finta di non aver sentito che ti ricordi il nome di Madama Chips e non il mio".

Allock stringe gli occhi, e solo in questo momento Kingsley si accorge che il nome dell'infermiera gli è salito alle labbra con inspiegabile naturalezza. Non ricorda niente di lei, ma sa che si chiama Madama Chips, e che non sarebbe per niente felice di vedere Allock appollaiato sul suo letto.

"E comunque, no. La tua testa mi sembra già fin troppo dura. Chissà che magari questa sia la volta buona che la smetti di voler fare l'eroe…"

Allock getta uno sguardo sospettoso al paravento da cui continuano a provenire versi tutt'altro che piacevoli: Kingsley vorrebbe provare pena per chiunque vi sia nascosto dietro, ma sospetta che quel Bulstrode sia una delle cause del suo mal di testa e la sua pena si ritrova ad essere molto limitata.

"Davvero non ti ricordi chi sono?"

Kingsley scuote di nuovo la testa, e di nuovo si maledice per la sconsideratezza di quel gesto.

"Peccato. Peccato davvero, perché non ci capita così spesso di avere a disposizione un letto".

Kingsley comincia a credere che quell'Allock sia stato mandato dai cinque Serpeverde per portare a termine il loro tentativo di spedirlo in ospedale.

"Ma tu non dovevi farmi stare tranquillo?"

Ennesimo sorriso smagliante e pieno di malizia.

"Ah, ti sto turbando? E dire che di solito ti piace far finta di essere di marmo…"

Kingsley alza gli occhi al cielo, ma solo per un istante – Allock sarà anche un infermiere tremendo, ma l'angolo del suo zigomo in quella posizione è qualcosa a cui Kingsley non ha voglia di rinunciare.

"E comunque, è davvero un peccato che non ti ricordi di me, perché tu non hai idea di quanta voglia ho di baciarti, ma tu e la tua insopportabile rettitudine probabilmente mi direste che baciare qualcuno che non si ricorda neanche il proprio nome è sbagliato, giusto?"

Giusto.

Giustissimo.

Eppure, terribilmente sbagliato.

Perché una parte di lui sa, istintivamente, che davvero per loro le occasioni di stare relativamente soli sono pochissime, e non le vuole sprecare.

Non ricorda il proprio nome, e nemmeno quello di Allock, ma le sue mani si ricordano benissimo come affondare nei suoi riccioli d'oro per invitarlo delicatamente ad avvicinare il viso alle sue labbra.

Ed è una scintilla, un ricordo fugace e improvviso:

"Dammi un motivo più valido del mal di testa per non dimenticarci mai di questa notte, Gilderoy".

 

***

 

Buio. 

Silenzio. 

Una luce fioca che danza dietro le palpebre, riccioli di calore rosso che sfumano nel nero. 

 

L'uomo non vorrebbe aprire gli occhi, perché qualcosa, una sensazione sommessa, un prurito sottopelle nascosto fra il sogno e la veglia gli suggerisce che non tutto sia come dovrebbe essere. Non che lui sappia davvero come qualcosa debba essere, non quando è a malapena consapevole di avere un certo grado di coscienza sul mondo. Un mondo fatto di buio, di silenzio e di una luce fioca che si muove non lontano da lui.

Ci sono anche delle voci, voci sommesse e sussurri concitati che l'uomo, in quei difficili giorni fatti di instabilità e abitudini sovvertite, ha imparato ad associare a un'emergenza.

Apre quindi gli occhi mentre il mondo torna ad avere i contorni di una stanza d'ospedale che Gilderoy – Gilderoy, ecco qual è il nome che gli ha insegnato l'infermiera Leight – conosce ormai bene.

La confusione è appena oltre la porta della sua stanza: succede sempre più spesso, ultimamente. Infermieri e Guaritori che corrono per i corridoi con le bacchette spiegate, sussurri cupi agli angoli delle stanze, tensioni continue. Qualcosa di sbagliato sta succedendo fuori dalle mura del San Mungo, ma Gilderoy sa che preoccuparsi di ciò che sta fuori da una porta è inutile, e così non fa domande, non legge i giornali che i pochi visitatori rimasti dimenticano sulle poltrone, non cerca di ascoltare i sussurri dei Guaritori.

Scivola solo lentamente lungo il corridoio, annoiato: ormai è sveglio e non si riaddormenterà tanto facilmente, tanto vale passeggiare in cerca di un diversivo.

Un diversivo che ha la forma di un paziente nuovo sdraiato nella camera in fondo al corridoio, quella che fino a poco tempo prima era occupata dalla signora con le squame sulle dita. 

L'uomo è una figura imponente, una figura in grado di irradiare autorevolezza anche nell'immobilità malridotta di quel viso che deve certo aver visto momenti migliori. Sotto un turbante di bende c'è un fiorire di lividi e tagli medicati di fresco. L'occhio destro è talmente gonfio da non riuscire ad aprirsi, ma quello sinistro si fissa su Gilderoy con un'intensità spiazzante. 

"Buonasera", Gilderoy si riprende in fretta, sfoderando il suo sorriso migliore. Non dovrebbe essere  lì, sa che l'infermiera Leight lo riprenderà, quando scoprirà che ha disturbato di nuovo gli altri pazienti in piena notte, ma non gli importa. Stare da soli in un letto d'ospedale è la cosa più terribile che possa capitare a un uomo, e forse Gilderoy non brilla per altruismo – o forse sì, chissà: i suoi ricordi si fermano all'inizio del corridoio appena percorso – ma sente che quell'uomo non merita la solitudine.

"Buonasera, e benvenuto: sono il suo quasi vicino di stanza, nonché maggiore esperto del luogo, quindi se ha bisogno di qualcosa può chiedere direttamente a me".

L'uomo non risponde, ma il suo occhio continua a fissare Gilderoy. Gilderoy che decide di accomodarsi sulla sedia accanto al letto dell'uomo in uno svolazzo di vestaglia.

"Stasera c'è di turno l'infermiere Trupper, un vero incapace… io saprei fare di meglio, guardi un po' che disastro ha combinato!"

Lo sguardo di Gilderoy cade sul petto dell'uomo, dove i bottoni del pigiama si sovrappongono maldestramente. L'uomo segue il suo sguardo, e finalmente parla, con un mormorio profondo e incerto:

"Chi… come mi ha messo il pigiama?"

È un istante.

Gilderoy si ritrova a rispondere qualcosa di incoerente, seguendo la scintilla di un passato che talvolta gli illumina i pensieri. Accade raramente. Sono solo sprazzi fugaci, ricordi che svaniscono prima ancora che lui possa afferrarli, ma ci sono.

"Con un incantesimo, ovviamente", si ritrova a mormorare. "Anche se io lo avrei fatto solo dopo averla spogliata a mano".

Non è mai così sfacciato, ma non gli importa. Del resto, l'uomo non sembra essersi offeso, anzi. Si solleva a sedere, fissandolo ancor più intensamente.

"Gilderoy…".

Gilderoy esulta.

"Oh, ma lei mi conosce! Benone, benone! Ero famoso, sa? Ma certo che lo sa. Allora, era un mio ammiratore?"

L'uomo annuisce mestamente, e allora Gilderoy ha un'intuizione: per un vecchio ammiratore forse può esporsi abbastanza. Estrae dalla tasca della vestaglia il taccuino dove negli ultimi mesi ha cominciato ad annotare versi di poesie.

"Le leggo qualcosa, sì? Sono bravo a scrivere, sa? Forse dovrei pubblicare un libro, credo proprio sia la mia strada…"

Comincia a declamare i suoi versi, concentrato.

Nessuno vede le lacrime sul viso tumefatto dell'uomo.





 

 


 

Note:

Innanzitutto, lascio il contenuto del pacchetto che ha ispirato la storia: scopo del contest era scrivere una storia  in cui avesse un ruolo centrale il dialogo indicato nel pacchetto:

Pacchetto Tucano: 

“Chi… come mi ha messo il pigiama?”
“Con un incantesimo, ovviamente. Dopo che ti ho spogliato a mano”.

(Tratto dalla serie Miss Fisher)

Bonus: and they were roomates.

 

Ora, io spero che la storia sia risultata comprensibile: la mia idea iniziale era quella di scrivere due flashfic "riflesse", dalla medesima struttura, che ribaltassero situazioni e ruoli (dapprima l'amnesia si Kingsley, poi quella di Gilderoy). Poi però mi sono fatta prendere la mano, ho abbandonato l'idea delle flashfic e mi sono trovata a scrivere decisamente troppo, dovendo tagliare moltissimo per restare nei limiti delle 2500 parole del contest. Forse avrei dovuto tagliare di più nella prima parte per dare più spazio di manovra alla seconda, ma onestamente mi sono affezionata alle atmosfere della prima parte e ho preferito tagliare il meno possibile.

Ora, io so di avere ormai delle idee molto precise su questa coppia, idee che qui ho forse dato per scontato, ma spero che il contesto sia comunque chiaro: nella prima parte Gilderoy e Kingsley hanno una relazione durante la scuola, mentre nella seconda ci troviamo all'epoca della seconda guerra magica, quando i due si sono ovviamente allontanati già da tempo. 

Spero anche che sia emerso quello che per me era il punto focale della storia, ossia fare emergere la caratterizzazione di entrambi proprio dal loro contrasto.

Niente, ho scritto delle note quasi più lunghe della storia stessa, quindi forse ora è meglio tacere.

Grazie a chiunque abbia letto!

A presto!

 

   
 
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