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Autore: Kodama_    07/10/2022    1 recensioni
[Omigiri | AtsuHina (quest'ultima soltanto lievemente accennata) | 4200 parole]
“La vita fa schifo,” gli dice Motoya. Kiyoomi smette di pensare e sbatte le palpebre. “Ma alcune persone sono meravigliose. Falle entrare.”
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiyoomi Sakusa, Osamu Miya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa alla omigiri-fanweek 2022 (indetta su twitter), con il prompt 'ochazuke'.

Come into the water

Do you wanna be my baby?
Are you waiting to touch me?
You look so good, but I keep my hands
'Til you come into the water

(Mitski, Come into the Water)



梅しそ混ぜご飯
Ume Shiso Mazegohan
(riso con umeboshi e foglie di perilla)

Preparazione:
Cuocere il riso al vapore. Eliminare il gambo dalle foglie di shiso (erba chiamata anche ooba, o perilla), arrotolarle e tagliarle alla julienne. Eliminare il nocciolo dalle umeboshi (prugne sott'aceto) e tagliarle a strisce sottili. Dopodiché, utilizzare una grande ciotola e amalgamare insieme riso, umeboshi, foglie di shiso e semi di sesamo tostato per decorare. Servire in ciotole individuali.
L’ume shiso mazegohan può essere accompagnato da sgombro grigliato, zuppa di miso, insalata di tofu con fagioli verdi.

*

Osamu lo guarda.
“E tu? Cosa vuoi da mangiare?”
Kiyoomi esita. Non è che abbia molto appetito.
Umeboshi, pensa.
“Umeboshi?” lo anticipa Osamu, come se gli avesse letto nel pensiero. “Le ho fatte io. Ti preparo una porzione di ume shiso mazegohan, con sgombro affumicato e zuppa di miso. Non hai allergie alimentari, vero?”
Kiyoomi sbatte le palpebre, sorpreso. “No,” risponde. “Ma come facevi a sapere che-
Si interrompe. Osamu inclina la testa. “Come facevo a sapere cosa?”
“Niente,” risponde Kiyoomi. “Prendo quello che hai detto. Grazie.”
Osamu annuisce e scompare in cucina. Kiyoomi, fissandogli la schiena, si domanda se lo abbia solo immaginato, quello scintillio furbo nel sorriso.
Che strano, pensa.
Quando Osamu gli porge le ciotole, Kiyoomi smette di rimuginare su come abbia fatto Osamu a indovinare esattamente cosa volesse mangiare. I colori del piatto sono brillanti, e il profumo del riso gli fa sussultare lo stomaco.
“Grazie,” dice, prima di dividere le bacchette per mangiare.
Che strano, pensa di nuovo. Kiyoomi detesta i luoghi affollati. Odia i corpi ammassati, le voci sovrapposte, la pelle contro altra pelle. Odia quando respiri e ombre si mescolano e si incastrano come tessere di puzzle fatte combaciare a forza. Folla significa condivisione, e condivisione significa esponenziale riduzione dell’igiene - in breve, gli fa schifissimo.
Quando Kiyoomi si trova in luoghi gremiti, tutto quello che vorrebbe fare - oltre a lanciare il disinfettante addosso alle persone come palle di neve - è scomparire, diventare trasparente, per poi sollevarsi in alto, inalare aria fresca e immacolata. Questo è il motivo per cui invidia Shouyou, ogni tanto. È quello che può permettersi di arrivare nel posto più pulito.
Il ristorante di Osamu è un luogo affollato come tanti altri, perciò Kiyoomi dovrebbe parimenti ripudiarlo. Eppure c’è qualcosa, lì dentro, di terso. C’è qualcosa, forse nella selezione della musica, forse nella tonalità dell’arredamento, che gli ricorda il sapone di Marsiglia. C’è qualcosa, incuneato nelle pareti come un sasso sotto la sabbia, di dorato e di ampio. Indugia intorno a loro. Sa un po’ di salsedine. Di mare. E l’acqua del mare disinfetta.
Kiyoomi assaggia il riso.
È squisito.

*

お茶漬け
Ochazuke

Preparazione:
Cuocere il salmone al forno, dopodiché rimuovere la pelle e le spine, sminuzzarlo e metterlo da parte. Pestare i bubu arare (palline di riso) o i cracker di riso. Preparare il tè verde (si possono utilizzare varie tipologie di tè verde, come Genmaicha, Sencha, Hojicha, Mugicha) o il brodo dashi (la ricetta originale prevede l’utilizzo del tè, ma nei ristoranti viene tipicamente servito con il dashi).
Mettere in una ciotola il riso cotto, cospargerlo con il salmone sminuzzato, i semi di sesamo, i cracker di riso e l’alga nori. Versare il tè verde o il brodo dashi nella ciotola, fino a coprire metà del riso. Aggiungere prezzemolo giapponese e wasabi a piacimento.

*

Hinata è seduto accanto a lui. Atsumu è seduto accanto a Hinata. Kiyoomi li fissa con una curiosità che stupisce persino se stesso. È solo che sono così vicini, in quel momento. E non si riferisce a una vicinanza corporea, quanto a un qualcosa nei loro sguardi, nell’espressione luminosa del viso, nella curva delle labbra, che indica una partecipazione assoluta. Un’attenzione incondizionata, quasi devota. Non c’è più Atsumu e non c’è più neanche Hinata, ci sono solo i colori e le sfumature che stanno creando grazie a quella speciale interazione. Per Kiyoomi, abituato da sempre a tracciare una netta linea di separazione fra lui e gli altri, è un processo inimmaginabile. È follia, una specie di miracolo. In quel momento, sia Hinata che Atsumu hanno smesso di esistere come individui distinti. Hanno accantonato, almeno per un po’, la loro coscienza soggettiva. È come se, catalizzati dalla gravità reciproca, esistessero dentro l’altro. E quando sei così profondamente dentro qualcuno, persino gli occhi cominciano ad assomigliarsi.
È difficile credere nell’esistenza di persone con cui raggiungere un tale livello di armonia. In che modo si scivola in maniera così naturale tra le costole di qualcuno? Cos’è che ti spinge a provare quel tipo di attrazione ineluttabile? Cos’è che ti spinge a gravitare intorno all’anima di una persona diversa da te, imitando un’ape intorno a un fiore, o un satellite intorno al pianeta? Cos’è che ti spinge a desiderare il tocco, lo scontro, la collisione, la carezza?
È difficile da comprendere. Come fanno le persone a innamorarsi?
“Cosa vuoi da mangiare?”
Kiyoomi sposta lo sguardo su Osamu. Kiyoomi indica Hinata. “E a loro non lo chiedi?”
“Scherzi? Il ristorante potrebbe crollare sulle loro teste e loro non se ne accorgerebbero neanche.”
Kiyoomi sbuffa via una risata. Ha ragione. Atsumu e Shouyou sono altrove.
“Allora? Cosa ti preparo?”
Kiyoomi riflette. Non ha appetito, ma sa che non appena Osamu gli metterà il piatto davanti, il suo stomaco si metterà a cantare.
Qualcosa di caldo, pensa. Qualcosa con il salmone. Qualcosa per stare bene.
“Ochazuke?” propone Osamu, anticipandolo ancora. “Con salmone e brodo daishi. Ma posso preparartelo anche con il tè, se preferisci.”
Kiyoomi schiude le labbra, interdetto. “Ma tu-
Si interrompe. Ma tu sai leggere nel pensiero?, stava per domandargli. Ma ovviamente suona ridicolo. Deve trattarsi di una coincidenza, come l’ultima volta.
“Va bene con il daishi,” risponde Kiyoomi. “Grazie.”
Osamu sparisce in cucina.

*

Kiyoomi esita, prima di entrare.
È che lui è sempre stato refrattario alle novità. Più che refrattario, le cose nuove lo intimoriscono. Sgretolare volontariamente il nido tiepido e sicuro fatto di certezze e abitudini per inseguire un’incognita, è come fare una lavatrice con un detersivo di una marca mai provata né sentita nominare prima. Più che la novità, è il clima di confessione che lo infastidisce. Ammettere a se stesso, nella piena consapevolezza, di essere incuriosito da un altro essere umano e accettare tutte le potenziali conseguenze disastrose che l’interesse, romantico o meno, si trascina dietro.
La verità è che per Kiyoomi, quell’interesse scaturito da chissà dove, è unico, bizzarro, incoerente e pure preoccupante.
Forse è una fase, pensa. Forse ho solo fame. Voglio il riso fritto.
Comunque, Kiyoomi nel ristorante ci entra, per la prima volta da solo. Per la prima volta accompagnato da una stravagante eccitazione che fa fremere l’aria intorno a lui.
Osamu ghigna non appena lo vede.
“Non credevo che saresti venuto anche oggi.”
“Neanche io,” risponde Kiyoomi, sinceramente. “Ma qui è tutto così buono.”
Un po’ di tempo dopo, senza che Kiyoomi gli dica nulla, Osamu gli porge una ciotola di riso fritto.

*

“Come ci riesci?”
Osamu inarca le sopracciglia. “Che intendi dire?”
“Come fai a leggere nel pensiero la gente?”
Osamu lo fissa con gli occhi sgranati. Kiyoomi non si lascia intimidire - non esiste un’altra spiegazione. Osamu reclina la testa all’indietro e scoppia a ridere. Ha una risata un po’ ruvida, sregolata come un vetro rotto, ma piena di vita. Kiyoomi avvampa. È piacevole. Appagante. Di solito le persone non ridono quando parlano con lui.
“Sono serio,” insiste. “La prima volta. Sapevi che volevo mangiare umeboshi senza che te lo dicessi. E poi è successa la stessa cosa con l’ochazuke. E poi con il riso fritto. E poi con il kimchi gyoza nabe. E poi con il tofu all’uovo. Non possono essere tutte coincidenze. Tu leggi nel pensiero. O comunque, hai il superpotere di capire cosa vuole mangiare la gente.”
Osamu, a quel punto, smette di ridere. Incurva le labbra in un’espressione insolita. Dolce. Kiyoomi ammutolisce. Quante espressioni possono plasmare il viso di una persona? Quante espressioni possono plasmare il viso di Osamu? E il suo, di viso, quello di Kiyoomi, ha mai lasciato trasparire qualcosa di diverso dalla freddezza, dall’impassibilità?
“Il potere di capire cosa vuole mangiare la gente, eh?” Osamu ripete, saggiando le parole come se fossero potenti. Importanti. Inestimabili. Squisite da mangiare. “Grazie.”

*

梅酒
Umeshu

Il vino di prugne, o Umeshu, è un liquore giapponese ottenuto dalla macerazione delle prugne giapponesi (ume) nello shochu/liquore bianco e zucchero. Il sapore agrodolce e l'aroma fruttato sono molto invoglianti e si possono preparare molti tipi di bevande con questo liquore!

*

Kiyoomi sorseggia il suo umeshu e ogni tanto pilucca qualche patata dolce saltata. Osserva Osamu, intento a preparare onigiri per due clienti seduti alla sua destra.
Osamu non sorride mai mentre cucina. È come se si trovasse sempre un po’ lontano. Come se non fosse davvero lì, come se stesse cucinando in un luogo segreto, velato. Il viso è disteso in un’espressione placida, saggia. Però, contemporaneamente, c’è un perenne sfarfallio luminoso nel suo sguardo, e diventa difficile capire se Osamu sembri vecchissimo o se sembri un bambino meravigliato.
È raro avere la possibilità di studiare da vicino qualcuno mentre fa qualcosa che ama. Seguire i movimenti di Osamu è rilassante come il rumore della lavatrice, lento, profondo e ritmico, ma è anche terapeutico. È impossibile non lasciarsi contagiare dal calore che sgorga dalle sue dita. È come se Osamu fosse specializzato nella restaurazione delle persone, oltre che nella preparazione delle ricette. Kiyoomi si sente sempre un po’ più intatto, quando è lì dentro. Un po’ più dorato.
“Ehi,” gli dice Osamu, riempendogli il bicchiere. “Vieni domani sera.”
“Ma non è il giorno di chiusura?”
Osamu sorride. “Vieni lo stesso.”


*

おにぎり
Onigiri

Preparazione:
Dopo aver preparato il riso (è meglio utilizzare il riso appena cotto) e il tipo di ripieno (come tonno, salmone, o umeboshi), bisogna inumidire entrambe le mani con acqua per evitare che il riso si attacchi, e strofinarsi del sale sui palmi. Prendere una manciata di riso tiepido (circa ⅓ di tazza), creare un piccolo solco e riempirlo con il ripieno scelto (circa 1-2 cucchiai). Quindi modellare il riso intorno al solco per coprire completamente il ripieno.
Serrare delicatamente il riso affinché assuma la caratteristica forma triangolare, facendo attenzione a non stringere troppo. Infine, l'onigiri va avvolto con l’alga nori.

*

Kiyoomi trova la porta aperta, e Osamu dietro il bancone. Ha il grembiule allacciato in vita.
“Volevo solo farti provare gli onigiri.”
Kiyoomi si acciglia. “Lo sai che non mangio onigiri.”
“Non mangi onigiri preparati da qualcun altro. Ma ho pensato che se fossi stato tu a farli, allora sarebbe andato bene. Ti va?”
Kiyoomi annuisce. Gli va, pensa sorpreso. Gli va tantissimo. Forse perché Osamu, inevitabilmente, gli piace tantissimo.
Ogni cosa dentro quel luogo canta. Vivere è buono, sembrano dire il bancone e le pareti e i tavoli. Vivere è gustoso. C’è sempre qualcosa di saporito. E quando non c’è, allora qui esiste qualcuno che lo preparerà per voi.
Osamu ha tanto da offrire: una speranza, un’alternativa, una consolazione, un premio, del tepore. In quel ristorante entrano persone che si trascinano sottopelle le esperienze più disparate, eppure escono sempre soddisfatte, risanate. Osamu sacrifica sedici ore - minimo - ogni singolo giorno per preparare da mangiare a degli sconosciuti. Questo è amore. È dedizione pura, completa e viscerale. Osamu ha stretto il medesimo patto autodistruttivo che Kiyoomi ha stretto con la pallavolo. Eppure quanto sono fortunati, ad aver trovato qualcosa per cui vogliono sacrificare tutto?
Kiyoomi lo raggiunge dietro al bancone, e si lava le mani.
“Ho già preparato il riso,” dice Osamu, poi gli porge una confezione di guanti usa e getta. Kiyoomi lo ringrazia, se li infila.
Osamu gli fissa le mani. Poi gli indica le maniche e dice: “posso?”
Kiyoomi riflette un istante. Riflette per ricordare se abbia mai permesso a qualcuno di stargli così vicino. Ma non se lo ricorda, quindi probabilmente la risposta è no.
Scrolla le spalle in un rigido cenno di assenso, la voce impigliata nella gola. Osamu gli comincia ad arrotolare la manica destra della camicia finché non arriva all’altezza del gomito, poi passa all’altra. I suoi polpastrelli gli sfiorano i polsi.
Kiyoomi gli guarda la fronte, la punta del naso, le ciglia scure che fremono. Sente il suo odore.
Kiyoomi ha i brividi, e non per il freddo. Spera solo che Osamu non se ne accorga, ma ovviamente se ne accorge eccome, perché il suo sguardo indugia sulla sua pelle scoperta e ruvida. Comunque, non dice nulla.
“Come li riempiamo?” gli domanda, indietreggiando di un passo quando ha finito.
“Umeboshi,” risponde Kiyoomi, senza esitare. Osamu ride.
“Sei ossessionato. Io invece li voglio col salmone.”
Osamu riempie due bacinelle di acqua. Una la poggia vicino a Kiyoomi, e l’altra vicino a sé. Poi prende due ciotole più piccole e ci versa dentro del sale. Kiyoomi conosce il procedimento di preparazione degli onigiri, ovviamente, ma copia Osamu come un anatroccolo farebbe con la madre: si inumidisce le mani quando lo fa lui e mette il sale quando lo fa lui. Poi comincia a dare la forma al primo onigiri.
“Stai stringendo troppo,” gli dice Osamu, con un sorriso. “Non serve serrare così tanto il riso. La forma la prendono comunque.”
Kiyoomi annuisce, e il secondo lo prepara più morbido. Sta cominciando a essere divertente. Sta cominciando a essere rilassante.
“‘Tsumu e Shouyou-kun,” dice Osamu. “Stanno insieme adesso?”
“Credo di sì,” risponde Kiyoomi. “Ieri sono andati all’acquario, ed era di sicuro un appuntamento perché Atsumu non riusciva a starsene zitto a riguardo. Ma perché lo chiedi a me? Atsumu non ti parla?”
“Non di queste cose. Che poi è inutile, visto che le vengo a sapere comunque. Dopotutto sono-
“Psichico,” conclude Kiyoomi per lui.
“Suo fratello,” lo corregge Osamu. “Ma anche psichico, sì.”
Kiyoomi incurva le labbra. Poi si incupisce. “Non li capisco.”
“Chi?”
“Atsumu e Hinata.”
Né loro, né soprattutto quell’avvicinarsi incessante delle loro anime, pensa.
“È solo che- cioè, come fanno le persone a innamorarsi?”
Osamu spalanca gli occhi. Kiyoomi sente le orecchie arrossire. È una domanda troppo intima, e il cuore comincia a dimenarsi come se volesse fuggire via.
“Non credo ci sia una sola risposta” dice Osamu. “Io mi innamoro di una persona preparandole qualcosa. Tipo, la cena.”
“Ma tu prepari la cena a centinaia di clienti.”
“Beh, è vero. Infatti mi piacciono tutti. Però sono più innamorato di chi torna spesso. Ho una classifica con tutti i miei clienti preferiti.”
“Chi c’è al primo posto?”
“Mio fratello,” risponde Osamu. “Ma non dirglielo. Non paga nemmeno, lo stronzo.”
“Chi c’è al secondo?”
“Kita-san. Il riso viene dalle sue coltivazioni, lo sapevi?”
Kiyoomi annuisce. Certo che lo sa. Atsumu lo spiattella in faccia a ogni persona che incontra. “Al terzo?”
Osamu sorride come una volpe. “Stai ancora stringendo troppo il riso.”

Mangiano in silenzio. Kiyoomi si crogiola nell’atmosfera profumata e tiepida. È come se qualcuno lo stesse abbracciando. Sente il sollievo nelle ossa, un’anima vicino alla propria.
Cucinare significa creare. In ogni piatto c’è un pezzetto di anima di Osamu. Perciò, se è vero che a Osamu piacciono tutte le persone per cui prepara la cena, è anche vero il contrario, ovvero che ogni cliente è invaghito di lui. Ogni cliente ingoia, consapevolmente o meno, qualcosa del cuoco, e di chiunque abbia lavorato per servire la cena. A Kiyoomi fa un po’ schifo, eppure al contempo non riesce a non rimanere affascinato da quanto siano variegate le strade per entrare dentro il corpo di qualcuno.
“Ehi,” gli dice Kiyoomi, voltandosi a guardarlo. “Che ne dici se la prossima volta cucino io qualcosa per te?”

*

Kiyoomi si pente di averlo invitato. Si pente così tanto che è a un passo dal chiamarlo per annullare tutto. Motoya però lo ferma.
“Non puoi tirarti indietro. Lui ti piace.”
Gli piace? È davvero così semplice, per alcune persone? Così naturale?
“Cos’è che ti fa così paura?”
L’intimità, pensa Kiyoomi. La distanza che si assottiglia. Perchè è come se un’onda gigante mi piombasse addosso. C’è acqua ovunque, vortica, mi entra nel naso, nelle orecchie, in gola, e io bevo e non respiro e vado giù.
È che io sono abituato da sempre a esistere dietro una linea. Ma quando la linea crolla, quando il mio spazio smette di essere mio perchè diventa anche di qualcun altro, allora ho paura. E assistere impotente a un’altra persona che cammina verso di me e che arriva vicino, talmente vicino da toccarmi, da vedere il preciso colore dei miei occhi, è terrificante. Non è che io abbia paura di quello che gli altri potrebbero farmi, io ho paura di quello che per sbaglio potrei dare, perdere. Come se, accidentalmente, parti del mio corpo potessero sgretolarsi e finire dentro la bocca di qualcun altro. Io dopo come me le riprendo? L’intimità significa quello, non solo ricevere, ma soprattutto dare, c’è questo scambio ineluttabile che mi annichilisce, perché io sono sempre stato abituato a essere intero, a essere unico e a essere sempre, sempre lo stesso. L’intimità però ti cambia, ti contamina, il contatto con gli altri esseri umani comporta una metamorfosi che può essere evoluzione o involuzione, e io ho paura di diventare qualcosa di diverso da quello che conosco. Ho paura di aprire le braccia e sentire sulla schiena mani che non sono le mie. Sentire sulle guance labbra che non sono le mie. Sentire un’anima che bussa contro le mie costole diversa dalla mia. Ho paura della trasformazione. Ho paura di aprirmi e permettere a qualcun altro di vedermi.
“La vita fa schifo,” gli dice Motoya. Kiyoomi smette di pensare e sbatte le palpebre. “Ma alcune persone sono meravigliose. Falle entrare.”

*
肉じゃが
Nikujaga

Preparazione:
Tagliare la cipolla, pelare la carota, tagliare la patata eliminando i bordi taglienti con un coltello per creare angoli lisci (questa tecnica si chiama mentori, evita che le patate si rompano durante la cottura) ed immergerle nell’acqua per eliminare l’amido.
Portare a ebollizione una piccola pentola d'acqua e aggiungere un pizzico di sale, sbollentarci dentro i piselli per 1 minuto, poi toglierli mantenendo l’acqua bollente.
Tagliare i noodles a metà e sbollentarli nella medesima pentola per 1 minuto, poi scolarli e metterli da parte. Tagliare la carne di manzo a fette sottili.
Preriscaldare una pentola grande, aggiungere olio e far soffriggere la cipolla, poi aggiungere la carne e lasciarla cuocere finché non sarà più rosa. Aggiungere le patate e ricoprirle bene con il liquido di cottura. Aggiungere i pezzi di carota, i noodles, e mescolare il tutto.
Aggiungere il brodo dashi, assicurandosi che ci sia abbastanza liquido da coprire quasi tutti gli ingredienti (in caso contrario, aggiungere acqua). Coprire con un coperchio e continuare la cottura. Una volta raggiunta l'ebollizione, aggiungere lo zucchero, il sake, la salsa di soia e il mirin.
Mescolare il tutto e poi lasciar cuocere a fuoco lento per 12-14 minuti, senza mescolare in modo tale che le verdure non urtino fra loro e non si rompano (suggerimento: utilizzare un otoshibuta - coperchio a goccia -, per tenere in posizione gli ingredienti).
Infine, spegnere il fuoco e lasciar riposare (scoperto) per 30-60 minuti prima di servirlo.

*

La magia non sta nel ristorante, ma dentro Osamu. Ovviamente Kiyoomi l’aveva capito, ma si sente comunque strano quando Osamu si siede di fronte a lui e all’improvviso la cucina non sembra più quella di casa sua, ma quella di Onigiri Miya. Però questa volta è Kiyoomi il cuoco, è Kiyoomi che impiatta, che serve la portata. Gli trema il polso mentre gli porge la ciotola.
Osamu ringrazia.
“Questo è-
“Nikujaga,” lo anticipa Kiyoomi. Arrossisce mentre lo dice.
“Perché il nikujaga?”
Un peso gli sprofonda nello stomaco. “Non ti piace?”
“Certo che mi piace. A me piace tutto. Ero solo curioso di sapere perché proprio il nikujaga.”
Kiyoomi scrolla le spalle. “Era la ricetta più utile per sfruttare gli ingredienti che avevo a casa.”
Osamu annuisce. “Ci sta,” dice. Poi prende le bacchette.
“Non è vero,” sputa fuori Kiyoomi, in fretta e furia. Osamu blocca le mani a mezz’aria. “L’ho preparato perché è il piatto che mi fa stare meglio a dicembre. Perciò ho pensato che magari avrebbe fatto stare meglio anche te. Ed è l’unica ricetta che so preparare dignitosamente. Lo sai, la verità è che a me cucinare non piace.”
Zitto, gli dice una voce nella sua testa. Ma perché gli stai dicendo queste cose?
Ma non riesce più a fermarsi.
“Cucino soltanto perché il cibo preparato in casa è più salutare e completo di quello preconfezionato, e quindi più adatto per il mio corpo, soprattutto considerando l’allenamento. Ma cucinare mi annoia, non mi diverte sperimentare nuove ricette, e non ci metto neanche cura. Mi impegno quanto basta per preparare qualcosa di commestibile, senza dare fuoco alla casa.”
Osamu ride e annuisce. “Ci sta anche questo,” ripete. Poi si mette in bocca il primo pezzo di carne. Kiyoomi lo fissa ansioso mentre mastica e deglutisce. Chissà se la carne è abbastanza morbida, pensa. Chissà se le patate sono abbastanza saporite.
“Sinceramente però a me sembra che questo sia stato preparato con molta cura,” dice Osamu. “Perché è buonissimo.”
Kiyoomi avvampa. “Beh, non potevo mica farti trovare per cena qualcosa di schifoso.”
“Il cibo non è mai schifoso. Tranne quando è avvelenato, ma non credo che tu voglia avvelenarmi,” Osamu gli fa l’occhiolino, poi torna serio. “L’hai trovato diverso? Cucinare per qualcuno, intendo.”
Kiyoomi sbatte le palpebre e riflette. È stato, effettivamente, diverso. Gli è piaciuto. Non cucinare, ma fare qualcosa per qualcun altro. Mettere qualcosa di se stesso, qualcosa di tiepido, dentro a una pentola. Dare. Trasmettere.
Osamu sorride come se gli avesse appena letto nel pensiero, e probabilmente è quello che ha fatto. Quello della cucina è un linguaggio che Osamu conosce come le sue stesse dita. Perciò, più che psichico, Osamu è bravo a capire le persone dal modo in cui mangiano e dal modo in cui preparano il pasto per qualcuno.
“Posso farti una domanda?” gli chiede Osamu.
Kiyoomi annuisce.
“A te non piacciono i posti affollati. E non ti piace neanche mangiare fuori. Perciò perché continui a venire nel mio ristorante?”
Kiyoomi lo fissa.
Perché lì dentro è tutto buono, pensa. Perché mi piacciono i colori delle pareti. Perché mi sento al sicuro. Perché c’è un buon odore. Perché sa di casa. Perché mi piaci un sacco.”

*


Osamu lo invita di nuovo al suo ristorante durante il giorno di chiusura.
“Guarda che è un appuntamento,” specifica. “Mangiamo da me, beviamo qualcosa, e poi possiamo- boh, andare al cinema. Ti piace il cinema? No, troppo affollato. Aspetta, possiamo prenotare una fila intera solo per noi. Oppure facciamo un giro. Passiamo per le traverse nascoste e scopriamo nuove strade. Oddio, però in effetti si congela. Allora andiamo a casa mia a giocare a Mario Kart. O a vedere una serie. Oppure rimaniamo al ristorante e ci prepariamo di nuovo qualcosa da mangiare. Qualcosa di dolce. Tipo la cheesecake. Amo la cheesecake.”
Poi Osamu arrossisce. È inevitabile. Kiyoomi lo osserva un po’ spiazzato. Poi, lentamente, annuisce. E sorride. Kiyoomi sembra così felice. Osamu muore.  
A Osamu mangiare piace. Ha l’appetito vorace e inestinguibile. E quello che vuole fare oltre a saziare le persone, paradossalmente, è suscitare in loro quella medesima fame, quella voglia bruciante di cose buone. Entusiasmare. Incuriosire. Spingere a sperimentare.
Osamu guarda Kiyoomi e vorrebbe toccarlo. Toccargli le mani, le dita affusolate, il collo lungo, la pelle degli avambracci, le guance, i nei sulla fronte, le ciglia nere e lucide.
Ma non sa se può farlo. Kiyoomi sembra sempre un po’ lontano, come se si trovasse sotto l’acqua. E Osamu non vuole spaventarlo con la sua irruenza, perciò aspetta, e mentre aspetta cucina, perché è quello che sa fare meglio. È il modo migliore che conosce per comunicare. Crea intimità con il vapore e con le pentole e il suono regolare del coltello mentre affetta patate, carne, carote, pesce, cipolle. Crea intimità con i pasti condivisi. Osamu nidifica, imbastisce ramoscelli con il colore dorato del soffritto, del brodo dashi che sobolle.
Anche quella sera, Kiyoomi lo aiuta. Taglia il tofu morbido mentre Osamu affetta il cavolo.
Quando gli ingredienti sono pronti, Osamu fa indorare la cipolla nell’olio. Poi versa il brodo daishi nella pentola, chiude il coperchio, e aspetta.
Kiyoomi aspetta accanto a lui. Osamu gli fissa il profilo, la forma del naso, delle labbra, e tutto comincia a cantare e la voglia di avvicinarsi diventa insostenibile, troppa, e straripa. Non c’è un modo, un pertugio, che gli permetta di entrare gentilmente sotto l’acqua e di raggiungerlo? Senza tuffarsi, senza fare schizzi, un modo per assottigliarsi come un foglio di carta e scivolare nel mare increspando appena la superficie dell’oceano - per poi prendergli la mano, e stringerla.
Ma Osamu è rumoroso. L’unica delicatezza che conosce è quella mentre cucina, tuttavia quando le sue mani smettono di stringere ingredienti o mestoli o coltelli allora non sa più dove metterle, cosa farci, come muoverle.
Kiyoomi si volta a guardarlo. E forse anche lui è un po’ psichico, perché capisce tutto, perché prima gli sfiora la mano e poi la stringe, le orecchie rosse ma gli occhi fermi, animati da una curiosità piena di luce. È Kiyoomi che esce fuori dall’acqua, e lo raggiunge sulla spiaggia.


Note d'autore
CIAAAO. Grazie per aver letto. Una palla mortale secondo me questa fic ma spero che vi abbia dato un po' di comfort perché io scrivendola (tranne la bozza iniziale che mi ha fatto dannare) ho provato tanta tranquillità, visto che mi sono sparata un blog intero di cucina giapponese e DAVVERO, quanto è stato rilassante (accoppiata vincente con la serie netflix Midnight stories!! È BELLISSIMA! VEDETELA DAVVERO MERAVIGLIOSA). Insomma. Non è niente di che il risultato ma mi ha fatto scoprire un interesse per la cucina che non pensavo proprio di provare. Tutte le ricette le trovate su justonecookbook.com, ovviamente molto più dettagliate, io ho dovuto tagliare perché alla fine erano più parole per le ricette che per la storia in sé, lol. E NIENTE. Grazie per aver letto questo primo tentativo di omigiri. Spero di ritornare con qualcosa di più movimentato presto. GRAZIE PER AVER LETTO E BUON APPETITO.
See ya! ♥
   
 
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