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Autore: Nao Yoshikawa    10/10/2022    2 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo uno

 "Questa è la mia famiglia. L'ho trovata per conto mio. È piccola e disastrata. Ma è bella. Sì, molto bella"
- Lilo & Stitch
 
Se c’era una cosa a cui Shinji non si era ancora abituato dopo tre anni, era svegliarsi presto. Aveva sempre odiato alzarsi presto, soprattutto perché amava fare le ore piccole. La maggior parte delle volte non era nemmeno colpa sua: in quanto manager di una band importante e famosa come i Vizard, spesso si ritrovava ad andare a dormire che era oramai notte fonda.
Ma quando il dovere chiamava, non c’era molto che potesse fare. Così quella mattina si era svegliato alle sette e, ancora intontito, stava cercando di non cadere. La sua casa, la loro casa che non era né troppo piccola né troppo grande, né troppo sfarzosa né troppo minimale, solo e soltanto perfetta, era ancora silenziosa. E un po’ in disordine, ma lì la colpa era sua e a poco servivano gli aspri rimproveri di Sosuke, che invece voleva sempre tutto al proprio posto.
Arrivò davanti due porte, a destra quella di Miyo – un grazioso cartellino recitava il suo nome, l’altra quella di Hayato.
«Miyo e Hayato, sveglia! Sono le otto!» mentì, battendo i pugni su entrambe le porte. L’ingrato compito di svegliare i pargoli quella mattina era toccato a lui. Sua figlia aprì la porta e Shinji si ritrovò con il pugno sospeso a mezz’aria. Miyo indossava già la sua uniforme, aveva i capelli (lunghissimi, proprio come lui li aveva portati un tempo) in ordine e lo guardava con un sopracciglio inarcato.
«Bugiardo, e comunque sono sveglia da mezz’ora. Sono sempre la prima a svegliarmi, qui.»
«Brava la mia ragazza» disse lui dandogli un buffetto su una guancia. «Vediamo Hayato quanto mi farà penare. Hayato, svegliati subito!»
Il suo figliastro non somigliava a Sosuke, assolutamente no. Sosuke era puntuale, preciso, pignolo e ordinato. Hayato – forse anche per via dell’età – era pigro, lento, e sembrava che gli scocciasse sempre far tutto. In questo forse somigliava più a lui. E poi, in generale, Hayato non lo ascoltava mai.
«Farà meglio a sbrigarsi, altrimenti non lo aspetto!» esclamò sua figlia, correndo in cucina. Shinji imprecò, cercando di aprire la porta chiusa a chiave.
«Hayato! Non costringermi a venire lì. Guarda che il modo di forzare la serratura, lo trovo! Sosuke! Ti dispiace venire a darmi una mano?!»
Odiava chiedere sempre il suo aiuto, ma almeno Hayato ascoltava il suo padre biologico, non spesso, ma la maggior parte delle volte. Hayato comparve poco dopo all’improvviso e per poco non si beccò un colpo in viso. Aveva come al solito gli auricolari alle orecchie, le mani nelle tasche e un ciuffetto ribelle che gli ricadeva sul viso. La versione in miniatura e più irritante di Sosuke.
«L’ho capito, non c’è bisogno di scaldarsi tanto. Dovresti dormire di più, Shinji»
Shinji non rispose. Hayato era insolente, ma lui era l’adulto dei due e doveva cercare di non farsi provocare. Almeno adesso i due erano svegli.
Tredici anni, un’età orribile. Per fortuna Miyo era sempre dolce, tenera e tranquilla, in realtà in quei tre anni non era cambiata molto. Anzi, non era cambiata affatto. Hayato invece prometteva già essere il classico adolescente un po’ difficile, ma era presto per dirlo. Nonostante le diversità, i due avevano legato molto. Come se fossero davvero fratelli. Miyo preparò lo zaino, come al solito prese qualche libro e poi afferrò Hayato per un braccio.
«Spicciati, dobbiamo andare. Ciao pa’, ci vediamo dopo!»
«Come? E non mangiate? Guardate che la colazione è il pasto più… vabbé, se ne sono già andati» borbottò parlando tra sé e sé. Si sedette a bere un tè mentre dal cellulare cercava di sbrigare alcune faccende. Negli ultimi tre anni la band aveva raggiunto una certa popolarità, tant’è che si erano esibiti anche al di fuori di Tokyo. Una volta persino a Seoul, ed era stato incredibile. In realtà, da quando si era sposato, aveva viaggiato in diversi posti interessanti.
Quanto meno, oramai si erano zittite le voci dei giornali secondo i quali il manager di una band avesse sposato l’avvocato Sosuke Aizen solo per i suoi soldi.
Come se lui fosse mai stato interessato a questo, poi!
Sosuke lo raggiunse, si era appena vestito e si stava sistemando la cravatta.
«Per caso mi avevi chiamato?»
«Mezz’ora fa. Lo sai, ho l’impressione che tuo figlio si diverta a provocarmi. Mi odia» si lamentò.
«No, non ti odia affatto. Ha tredici anni, un’età difficile. Tu sei estremamente amabile, mio caro Shinji» gli disse con un sorrisetto compiaciuto. Shinji lasciò perdere il cellulare e lo guardò e pensò che avesse avuto una vera fortuna a sposare un uomo che era come il vino. Alias, più Aizen invecchiava più diventava affascinante. E lui si sentiva un vero imbecille a formulare questi pensieri.
«Sono amabile? Bene. Allora, visto che mi hai ignorato poco fa, quando avevo bisogno di te, c’è una cosa che mi devi» dicendo ciò si avvicinò, gli donò una leggera carezza su una guancia.
«Arriverò in ritardo» disse Sosuke, anche se in realtà era poco convinto di quanto diceva.
«Tu sei il capo, chi se ne importa? Su, andiamo. Lo sai che non amo aspettare» dichiarò infine, guardandolo in un certo modo divertito e malizioso.
 
 
La sveglia era suonata, ma Renji non si era ancora alzato. A lui piaceva prendersi qualche momento la mattina. Per stringersi a Byakuya. In realtà era sempre molto difficile quando dovevano separarsi per andare al lavoro – lui in officina e il suo compagno in ufficio. Erano abituati a stare sempre insieme, dopotutto.
«Renji… per quanto tutto questo mi piaccia, mi farai far tardi» sussurrò Byakuya ad occhi chiusi. Il suo compagno che lo stringeva da dietro, aveva il viso affondato sui suoi capelli scuri.
«Ah, oggi non si lavora, ho deciso così. Prova a ribellarti se ci riesci.»
In effetti riuscire a ribellarsi a Renji era difficile, anche perché sapeva essere molto persuasivo. E poiché lo amava tanto, davvero tanto, si sarebbe lasciato strapazzare. Se qualcuno lo avesse visto lì, stretto tra le sue braccia a farsi coccolare, non ci avrebbe creduto. Ma anche la persona più rigida e seria aveva i suoi lati deboli. Il lato debole di Byakuya, oltre Renji, era Zabimaru.
Ovvero il loro cocker nero e dalle orecchie pendenti e morbide che era appena saltato sul letto, pretendendo attenzioni.
«Zabimaru, come hai fatto ad entrare? La porta era chiusa!» esclamò Renji mettendosi seduto. Byakuya si scostò le coperte di dosso, guardando il cane con aria seria. Zabimaru gli saltò addosso, accoccolandosi. E ciò aveva dell’incredibile, visto che l’idea di prendere un cane era stata proprio di Renji, mentre Byakuya non si era mostrato troppo entusiasta. Ora invece quella traditrice non aveva occhi che per il più serioso dei suoi padroni.
«Va bene» disse Byakuya tenendo il cane in braccio. «Ti do da mangiare.»
«Ma… ehi! Questo non è giusto!» si lamentò Renji, a braccia conserte. «Zabimaru, cane egocentrico, questa me la paghi!»
Byakuya trovava a dir poco esilarante il fatto che il suo compagno fosse geloso del loro cane. Questo lo faceva ridere, anche se solo internamente.
Quindi si alzò e diede da mangiare a Zabimaru. Poi Renji lo seguì, sbadigliando.
«Stasera andiamo da Rukia e Ichigo? Da quando tua sorella ha iniziato a lavorare, vedersi è diventato difficile.»
«Sì, ma certo. E no, Zabimaru non può venire con noi» dichiarò, mentre si preparava il tè.
«Ma perché no?! Ai bambini lui piace. E poi neanche tu vuoi lasciarla da sola. Guarda che lo so che ti sentirai in colpa, anche se non lo dici!» disse, puntandogli il dito contro.
Renji lo conosceva piuttosto bene. Sospirò, chiudendo gli occhi.
«Va bene. Ma adesso lo porti tu a passeggio, io vado a fare una doccia.»
Accidenti, pensò Renji, una doccia mattutina con Byakuya non gli sarebbe dispiaciuta, ma Zabimaru doveva essere portata a fare la sua passeggiata. E d’accordo, se calcolava bene i tempi poteva farcela. Corse a prendere il guinzaglio e poi prese il cane in braccio. Cosa non si faceva per amore e per del sano sesso pre-lavoro.
 
 
Ai si era svegliata un po’ prima quella mattina. Aveva un compito importante a scuola e aveva studiato tanto. La genetica era davvero affascinante, anche se complicata. Per sua grande fortuna poteva contare su un grande aiuto.
«Da cosa è operata la sintesi del DNA a partire dall’RNA?» domandò Mayuri, ancora assonnato. Ai camminava avanti e indietro mentre mangiava un dorayaki.
«La so, la so! Trascrittosi inversa! È giusto?»
«Sì, è giusto» rispose lui. «Fammi pensare ad altro.»
Ai era sempre stato un piccolo genio precoce. Mayuri era contento che lei avesse sviluppato la sua stessa passione per la scienza. Avrebbe fatto grandi cose, ne era sicuro.
«Quante cellule somatiche sono presenti nelle cellule umane?»
Ai si bloccò un attimo, pensandoci attentamente.
«Emh… quarantotto?»
Lui scosse la testa.
«Quarantasei in realtà, ma c’eri quasi. Non mi guardare così, andrai bene. Non voglio che ti venga un esaurimento nervoso. E poi se sbagli, puoi sempre rimediare.»
Ai lo fissò a braccia conserte.
«Lo so, è che mi piace quando faccio tutto giusto!»
Ah, come poteva capirla. Allora condividevano anche l’ambizione, ottimo. Nemu entrò in cucina. E li trovò così e li osservò confusa.
«Ma sono le sette, a che ora vi siete alzati?» domandò. Mayuri fece spallucce.
«Non guardare me, mi ha buttato giù dal letto alle cinque e mezza. Nostra figlia è un genio, ma è spaventosa.»
Ai rise e divorò il suo dorayaki.
«Mamma, sbrigati. Dovete accompagnarmi a scuola. Vado a lavarmi i denti e poi devo sistemare i miei appunti, a tra poco!»
Nemu cercò di dire qualcosa, ma non ci riuscì. Ai alle volte sembrava proprio iperattiva, una ragazzina ad alta funzionalità.
«È nervosa per l’esame di scienza?» domandò voltandosi suo marito.
«In questo decisamente ha preso da te, anche tu facevi così. Ad ogni. Dannato. Esame. Universitario. Aiutavo anche te» ricordò Mayuri. Nemu nascose una risatina dietro una mano e poi, ricordandosi che non gli aveva ancora nemmeno detto buongiorno, lo baciò.
 
 
Le scuole medie si stavano dimostrando essere un luogo interessante, con i suoi lati positivi e negativi. Tra i negativi c’era sicuramente il fatto di essere tutti in sezioni diverse, ma almeno Naoko aveva avuto la fortuna di finire con Kiyoko e Yami.  Il passatempo preferito delle tre ragazze (più di Naoko e Yami a dire il vero) era osservare i ragazzi di seconda e terza media. Così quella mattina se ne stavano così, nei corridoi ad osservare i loro compagni più grandi.
«Oh, quanto mi piacciono» disse Naoko mordicchiandosi le unghie, coperte di uno smalto verde molto rovinato. «Io con quelli dell’ultimo anno vorrei proprio uscirci. E baciarli anche. E non solo.»
Kiyoko arrossì, fissandosi le scarpe. Naoko e Yami non avevano problemi a esternare i loro pensieri, anche i loro desideri. Lei era sempre stata più timida, anche se a certe cose era interessata.
«Altro che bacio» disse Yami. «Io, se avessi un ragazzo, penso che passeremmo tutto il tempo a toccarci.»
Kiyoko si lasciò andare ad un oh di disperazione. Yami non era solo bellissima, col fisico da ballerina classica e lo sguardo simile a quello di una gatta, era anche l’unica con più esperienza. Aveva dato qualche bacio, baci di quelli veri, come quelli dei film. Forse c’era stato davvero dell’altro, tipo qualche toccatina fugace, ma non gliel’avrebbe mai chiesta.
«Ehi, ehi, Kiyoko! Tu hai la macchina fotografica, c’è uno della 3-A che mi piace, vai lì e fagli una foto. Così me l’appendo in camera!» esclamò Naoko, dandole una pacca sulla spalla. Oh, Kiyoko non poteva mettere l’arte e la passione al servizio delle manie della sua migliore amica. A essere sinceri, in quel momento attendeva solo che Kaien arrivasse. Insieme a Masato, Yuichi e Kohei erano finiti nella stessa classe e camminavano sempre insieme: Kohei dietro, alto e imponente nonostante l’età, Yuichi e Masato sempre vicini a parlare tranquilli, e infine Kaien che camminava davanti a tutti, le mani infilate nelle tasche. E sul viso l’espressione tipica di un delinquente in cerca di guai. Ma la verità non era questa. Kaien era tranquillo, non disturbava nessuno. Erano gli altri che lo prendevano in giro (di solito era per il colore dei suoi capelli) e cercavano sempre una scusa per dare inizio ad un litigio.
Ed eccoli che ora stavano arrivando.
«Ciao, Kaien!» salutò subito Kiyoko. Lui ricambiò con un cenno del capo, senza però perdersi in chiacchiere. Era cambiato parecchio di recente. Era diventato più chiuso. Un po’ scorbutico. Formava una coppia perfetta con il suo migliore amico Hayato.
«Oh» sospirò. «Ma non è giusto, perché Kaien non mi guarda nemmeno?»
«Non ci fare caso, mio fratello è un po’ cambiato da quando abbiamo iniziato le medie. È un po’ scorbutico» la tranquillizzò Masato. Lui invece non era cambiato molto, nemmeno Yuichi. Uniti erano stati e uniti continuavano ad essere.
Masato e Yuichi le salutarono per avviarsi verso la loro classe. Poi arrivò Ai, che frequentava la stessa classe di Hikaru, Rin e Satoshi.
«Ciao, ciao, ciao a tutti, devo andare a fare un compito importante, a più tardi!» gridò mentre cercava di non far cadere tutti gli appunti che teneva in mano. Yami si portò una mano sul fianco, scuotendo il campo.
«Certi nostri amici dovrebbero rivedere le loro priorità.»
 
Era una bellissima giornata al St. Luke. Anzi, era sempre una bella giornata quando non si era un novellino preso di mira. Dopo tre anni, anche Hanataro Yamada aveva trovato il suo posto e la sua serenità. E non aveva perso nemmeno la sua goffaggine. Il rischio di inciampare e cadere, soprattutto quando era di fretta, c’era sempre.
Una combo terribile, specie quando si avevano dei caffè bollenti in mano.
«Oh, Hanataro. Te l’avevo detto che potevo andarci io»
Ichigo scosse la testa, cercando di aiutare il suo amico e collega ad alzarsi. Per fortuna il caffè bollente era finito sul pavimento e non su di lui.
«C-chiedo scusa!» esclamò il ragazzo. «È che sono agitato al pensiero che arriveranno dei nuovi tirocinanti. Insomma, conteranno anche su di me, no?»
Ishida sorrise in modo nervoso. Gli sembrava ieri che Yamada combinava guai e lui e Ichigo cercavano di provi rimedio, anche se questo in realtà non era cambiato poi molto. Ma adesso anche per il loro protetto era arrivato il momento di crescere.
«Ma certo. Sta tranquillo, devi solo mostrarti sicuro di te» lo rassicurò Ishida, col suo solito modo di fare serio e tranquillo. Hanataro annuì, dicendosi che ce la poteva fare. Poi però si aggrappò a Ishida, disperato.
«E se non vengo preso sul serio? Non lo potrei sopportare!»
«Oh, accidenti» sospirò Ichigo. «Avanti, non serve a niente piangere sul caffè versato.»
Ishida corrugò la fronte.
«Kurosaki, guarda che non è divert-»
«KUROSAKI, ISHIDA E YAMADA!»
Hanataro sussultò, nascondendosi dietro i suoi due ben più alti colleghi. Kurotsuchi li aveva beccati a perdere tempo in chiacchiere e ora li stava guardando in un certo modo minaccioso.
«Cosa state…? Anzi, no. Non lo voglio nemmeno sapere. Dopo tutto questo tempo non avete ancora capito che non mi piacciono i perditempo?» domandò, severo. «E tu, Yamada. Smettila di nasconderti e preparati perché mi servono le tue capacità in sala operatoria a breve.»
Quelle per Hanataro furono le parole magiche che spazzarono via tutta la paura. Era bello quando gli venivano riconosciuti meriti, il che accadeva più spesso di quanto potesse sembrare.
«S-sì, dottor Kurotsuchi, sarà fatto!» esclamò, facendo il saluto militare.
«Tsk, ma guarda tu quel ragazzino. Noi ci abbiamo impiegato una vita a farci apprezzare» disse Ichigo, mentre Ishida gli rispondeva subito che vuoi farci, i tempi cambiamo per tutti.
Una cosa che era più o meno rimasta uguale erano le schermaglie tra Urahara e Kurotsuchi. Il primario, infatti, arrivava come sempre tranquillo e allegro, salutando e chiacchierando con tutti. E poi lo stuzzicava.
«Oh, Kurotsuchi. Sempre a tormentare quei poveri ragazzi!»
«E tu sempre a perdere tempo» fu la risposta gelida di Mayuri. Urahara sorrise e poi si fece più vicino.
«Allora, a che ora venite stasera?» domandò tutto entusiasta. Che razza di idiota a fare tutta quella scena, oramai da tempo che avevano preso a frequentarsi anche fuori dal lavoro. Ovviamente per volere di lui, di Yoruichi e di Nemu, lui ne avrebbe fatto volentieri a meno.
«Non lo so, ma se devi cucinare tu, almeno non ci avvelenare» gli rispose, rassegnato. Oramai se ne doveva fare una ragione, lui e Urahara andavano d’accordo. Pure troppo.
Ichigo cercò di non ridere nel vedere quei due discutere. Kurotsuchi se ne accorse e lo fulminò con lo sguardo.
«Kurosaki, se hai tempo per ridere, hai tempo per lavorare.»
 
La giornata era stata faticosa, ma soddisfacente, come lo era sempre del resto. Erano le sei del pomeriggio quando Ishida rientrò, e la prima cosa che aveva sentito era il suono del violino. Yuichi doveva starsi esercitando, dall’anno precedente si era dedicato allo studio di quello strumento ed era già diventato piuttosto bravo. Quasi inciampò su dei giocattoli lasciati in giro per il pavimento. Troppo silenzio, eccezion fatta per la musica del violino. Non un buon segno.
«Emh, sono a casa» si annunciò. Poi udì dei passi e Yoshiko, la sua secondogenita dalle treccine nere, gli saltò addosso.
«Papà è tornato!» gridò. Ishida la prese in braccio e, come faceva sempre, la coccolò come se non la vedesse da una settimana.
«Ciao, piccola. E mamma dov’è?»
Yoshiko assunse un’espressione dispettosa. Non solo aveva la lingua lunga e parlava molto per la sua età, ma era anche dispettosa quanto irresistibile. Tatsuki sbucò dal bagno, ansimante,
«Yoshiko! Ma guarda tu che disastro, ti avevo chiesto di rimettere in ordine!» esclamò schiaffandosi una mano sul viso, alla vista del disastro che c’era sul pavimento.
«Ma è inutile, tanto poi ci gioco di nuovo, li lascio lì!» esclamò la bambina gesticolando e dandosi tante arie come se fosse un’adulta. Ishida la fissò, con un’espressione che sua moglie avrebbe definito da pesce lesso.
«Amore mio» disse rivolgendosi alla bambina. Tatsuki sgranò gli occhi. Che Uryu avesse un debole particolare per Yoshiko era stato chiaro sin dal principio. Se non l’avesse viziata tanto, magari!
«Amore mio un bel niente!» esclamò sua moglie. La bambina, ruffiana, abbracciò il padre. Orihime le diceva sempre non te la prendere, spesso le figlie sono affezionate in modo particolare al proprio padre. Beh, aveva ragione. Ma se la prendeva comunque.
«Avanti, ora però fa come ha detto la mamma» disse Ishida cercando di essere severo. Comunque Yoshiko ubbidì senza fiatare e andò a sistemare i suoi giocattoli.
«Nostra figlia vuole più bene a te che a me» borbottò Tatsuki a braccia conserte. «A me fa impazzire e poi ha una lingua lunga! Ma di chi avrà preso?»
Già, chissà. Ishida le strinse un braccio intorno alle sue spalle e con l’altra mano le afferrò il mento.
«Non ci siamo ancora salutati, noi due» sussurrò. Tatsuki arrossì, come una ragazzina.
«Hai ragione. Bentornato»
Poi si baciarono e non si resero conto di Yoshiko che li fissava truce, con la sua bambola in mano.
«Papaaaa. In braccio, di nuovo.»
Tatsuki si staccò dal bacio, guardò esasperata Uryu, mentre lui invece sembrava divertito. Di sicuro Yoshiko sapeva ottenere sempre quello che voleva.
 
Orihime sperimentava. In tre anni aveva dovuto assumere altri aiutanti per la sua pasticceria e adesso aveva in progetto di espandersi magari in altre parti della città. Sarebbe stato magnifico. E intanto a casa sua sperimentava. Di solito le sue cavie erano i suoi figli, i quali talvolta ne erano felici, talvolta un po’ meno. Orihime si era messa in testa di sperimentare anche combinazioni più particolari.
«Satoshi e Kiyoko! Coraggio, provate questi biscotti e ditemi in tutta onestà cosa ne pensate»
I due non se la sarebbero mai sentiti di darle un dispiacere, anche se temevano comunque di venire avvelenati da uno dei suoi strani esperimenti.
«Satoshi, prima tu» disse Kiyoko.
«Prima le signore» ribatté Satoshi.
«Ma tu sei più grande.»
«Di solo un mese. Insisto»
Orihime gonfiò le guance.
«Ragazzi, andiamo!»
Sospirarono e poi presero ognuno un biscotto dalla teglia. E morsero. Avvertirono prima il sapore di cannella (tanta cannella) e poi qualcosa di più familiare, fagioli Azuki rossi. Satoshi starnutì e a Kiyoko lacrimarono gli occhi.
«Beh…» disse sua figlia. «È un sapore tosto.»
«Per gente tosta» disse Sastoshi, tossendo ancora una volta. Come poterle dire che biscotti del genere rischiavano di far piangere qualcuno a vita? In questo caso l’arrivo di Ulquiorra fu provvidenziale: avrebbero lasciato a lui l’ingrato compito.
«Papà, vieni ad assaggiare questi biscotti che mamma ha preparato!» esclamò Kiyoko. Padre e figlia si scrutarono a lungo. Ma accidenti, era solo venuto a prendere da bere.
«Veramente io stav-»
«Vieni, Satoshi, ti mostro delle foto che ho scattato oggi!» Kiyoko lo prese sottobraccio e se lo trascinò via dalla cucina. Orihime sospirò, togliendosi il grembiule.
«Quei due sono inseparabili, vero? Spero tanto che Satoshi sia davvero felice all’idea di rimanere qui per sempre» disse avvicinandosi a lui. Oramai lo avevano preso in affido da tre anni. La situazione del ragazzino era, come spesso accadeva in certi casi, tragica. Prima di loro, Satoshi era già stato in altre due famiglie affidatarie, anche se per un breve periodo. Adesso invece erano passati tre anni e Ulquiorra e Orihime avevano quasi concluso le pratiche per adottarlo ufficialmente.
«Ma certo che sarà felice. Insomma, lo vedi?» domandò. Orihime adorava quel ragazzino e anche lui l’adorava. E lo adorava anche Kiyoko. E anche lui, probabilmente perché avevano due caratteri simili, molto timidi. Ma facile non lo era stato, soprattutto all’inizio. Satoshi era stato a lungo diffidente, ma come potergli dare torto? Kiyoko era colei a cui si era legato di più e più in fretta. Da Orihime adesso si lasciava abbracciare, coccolare. Con lui, beh… parlavano, anche molto.
«Oh, lo vedo, è adorabile. E lui e Kiyoko insieme sono due pesti. Assaggia» disse porgendogli un biscotto. E Ulquiorra, che l’amava davvero tanto, diede un morso. Tossì.
«Cannella… troppa…» ansimò, cercando di farle capire che voleva un bicchiere d’acqua e anche alla svelta.
 
Kaien giocava alla playstation. Masato, seduto sul letto, parlava al cellullare. Da quando i suoi gliene aveva regalato uno lo scorso Natale, poteva sentire i suoi amici quando voleva. Poteva sentire Yuichi quando voleva. Mentre parlava con lui, Kon se ne stava col muso poggiato al suo grembo. Kon era il labrador che avevano adottato un anno e mezzo prima, con grande difficoltà, perché Ichigo aveva sempre detto in questa casa non entreranno animali. Ma poiché Rukia aveva insistito tanto e i suoi figli le avevano dato man forte, alla fine si era dovuto arrendere.
Da Masato ore 19,08
Yuichiii. Hai finito di suonare? Allora, qualche volta devi farmi sentire, non ti puoi vergognare di me.
Da Yuichi, ore 19,10
Non mi vergogno, ma non sono ancora molto bravo.
Da Masato, ore 19,12
Ma va, sono sicuro che non è vero. Oh, guarda Kon.
Scattò una foto e gliela inviò. Poi Yuichi rispose.
Da Yuichi, ore 19, 15
Fortunato lui che può stare accoccolato a te, noi possiamo vederci solo a scuola.
Masato lasciò cadere il telefono e arrossì. Era dall’età di otto anni che lui e Yuichi erano teoricamente fidanzati. Ma adesso di anni ne avevano dodici, non erano più bambini, le cose cambiavano. Tanto per cominciare, ora si baciavano molto di più e si tenevano per mano spesso. Però alle volte Masato sentiva che baciarlo non gli bastava più. Si sentiva strano, teso, accaldato. Nel ripensarci si lasciò andare ad un piagnucolio.
«Se devi pensare a Yuichicchi tuo, puoi non esternare in questo modo?» domandò Kaien, che gli dava le spalle.
«Non è colpa mia!» si lamentò. A suo fratello avrebbe anche voluto chiedere consiglio, ma a Kaien i maschi nemmeno piacevano. Chissà se avrebbe potuto consigliarlo comunque?
Ad un tratto Kon si sollevò e abbaiando scese dal letto: aveva sentito Rukia rientrare.
Rukia aveva iniziato qualche mese prima il suo lavoro d’assistente sociale. Dopo aver conseguito la laurea con il massimo dei voti, ora poteva finalmente seguire la sua vocazione. Oltre che occuparsi della sua folle famiglia.
Ichigo le finì addosso per salutarla prima che Kon lo precedesse, tra quei due c’era una strana rivalità.
«E-hi, ragazzi!» esclamò, stretta nell’abbraccio di suo marito e dal cane che cercava di farle le feste. «Fatemi togliere il cappotto, almeno.»
«Ehi, Kon, guarda che c’ero prima io» si lamentò Ichigo. «Non guardarmi così, tu questo non lo puoi fare.»
E dicendo ciò donò un appassionato bacio a sua moglie mentre il cane, sconsolato, si sedette. Rukia si staccò a fatica, dandogli un colpetto sulla spalla.
«Scemo, così non respiro! I ragazzi?»
«Kaien gioca, Masato parla… con Yuichi, credo. Rukia, te lo dico, secondo me quei due sono innamorati seriamente» disse Ichigo, mentre osservava sua moglie sfilarsi il cappotto.
«E anche se fosse? Tu e Ishida sareste davvero felici.»
Ichigo arrossì. Era davvero così prevedibile?
«Già. Ah, prima che me ne dimentichi, ho ricevuto una chiamata da parte dei miei cugini. Kukaku e Ganju mi hanno detto che torneranno presto a Tokyo. Questo mi ha sorpreso, si sono trasferiti tanti anni fa. Spero non si mettano in testa di invadere casa nostra, perché io e Ganju finiremmo con l’ammazzarci. Rukia, mi ascolti?»
Rukia aveva smesso di ascoltarlo dopo la prima frase. I cugini di Ichigo sarebbero tornati a Tokyo e questo non avrebbe dovuto crearle problemi. Ma non appena metabolizzò ciò, si sentì come se per anni avesse cercato di ignorare qualcosa che ora le era stato deliberatamene messo davanti. E ora lo vedeva. E faceva male, tanto male.
«Rukia…?»
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
E sorrise.
«Sì, ho capito. Penso sia una splendida notizia.»
Respira.
 
 
Ma fa troppo male.
 

Nota dell'autrice
Ma buon ritorno di Bleach a tutti! Quale giorno migliore per far uscire il sequel di EWL? Non vedevo l'ora sinceramente, ci sono tante cose che voglio raccontare e tante tematiche da affrontare. Qui mi sono concentrata su alcuni personaggi, nel prossimo arrivano gli altri. Vedete come sono tutti felici e contenti? Tranne Rukia, Rukia stavolta ha un problema molto grosso, ma penso possiate immaginare quale sia. Ma non temete, ci saranno problemi per tutti, io non lascio da parte nessuno. Come vedete ci sono grandi novità, i bambini non sono più tanto bambini, alcune coppie si vivono la loro vita serena e Mayuri e Kisuke sono diventati BFF, anche se non si può dire ad alta voce. Questa storia sarà la storia dei ritorni per molti personaggi, non sempre positivi a dire il vero. Spero vi sia piaciuto e BUON VIAGGIO A TUTTI.
Nao
   
 
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