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Autore: Neamh Moonstar    12/10/2022    1 recensioni
La giovane Ann adora fermarsi a leggere nella calda e polverosa libreria del signor Fell. Una volta è persino riuscita a farsi prestare un libro, e già questo avrebbe dovuto farle sospettare che qualcosa non andava.
Quando il distinto e gentile libraio sparisce nel nulla e nessuno ne parla, però, tutto prende una piega inaspettata. Tra loschi figuri sotto le finestre, un pub che chiude dall'oggi al domani, pettegolezzi e una punta di stregoneria, Ann si ritroverà a scoprire qualcosa di incredibile su sé stessa, sul mondo e su un serpente.
°°
Outsider POV/Giallo
Genere: Angst, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'aria gli entrò nei polmoni tutta in un solo, dolorosissimo colpo. Sentiva il cuore, non suo, battergli all'impazzata nel petto, rimbombando tra le costole come se volesse romperle e schizzare fuori. Tossì più volte, per un attimo incapace di regolare il respiro di cui non aveva mai avuto bisogno ma che ormai era diventato automatico. Sopra di sé un soffitto bianco e blando che non riconosceva; attorno a sé una stanza, anch'essa sconosciuta, avvolta nella penombra.

Percepiva tante cose, forse addirittura troppe: gente che dormiva, avventurieri della notte che passeggiavano ubriachi, auto che passavano silenziose in mezzo al buio. E poi c'erano due auree oscure e malevole che strisciavano tra le vie attorno al luogo in cui si trovava, alla ricerca di qualcosa che sapevano essere lì ma che non riuscivano a raggiungere.

Erano tornati e lo stavano cercando.


Si tirò su debolmente, cercando di assestarsi in quel corpo troppo minuto rispetto a ciò a cui era abituato: più leggero, giovane e contenuto del suo. Si rimise delicatamente gli occhiali sul naso e la leggera sfocatura che per un attimo aveva avvolto il mondo svanì. A non svanire, invece, fu il terribile senso di stordimento che gli faceva girare la testa, unito al dolore atroce che la ferita nella sua aurea gli provocava: una stilettata decisa e pulsante all'altezza dell'addome.

Per giorni si era rifugiato, nascosto agli occhi di tutti, percependo a sprazzi la realtà attraverso la povera ragazza che aveva tanto poco cerimoniosamente occupato. Adesso si sentiva come se qualcuno lo avesse strappato al suo giaciglio prendendolo per i capelli, gridandogli che era arrivato il momento di muoversi.

Era la seconda volta che succedeva in cinque anni: una specie di primato, poco ma sicuro. Certo, anche stavolta era stata un'emergenza: una situazione che aveva fiutato e che aveva preparato con cautela quasi meticolosa, ma che alla fine non era andata come aveva previsto. 

Si sentiva uno stupido. Ormai avrebbe dovuto sapere che i guai avevano una cotta per lui e che tanto amavano rincorrerlo come un cane da caccia fa con la volpe. La differenza, stavolta, è che non era stato salvato per il rotto della cuffia come al solito.

Ed era tutta colpa sua.


Odiava mettere gli umani in mezzo a certe questioni, ma alle volte diventava necessario.

Annalise era molto sveglia per una giovane donna della sua età, ed era anche positivamente intuitiva. Guidarla e coinvolgerla era stato relativamente facile: gli era bastato darle qualche spinta verso la giusta direzione e il resto era venuto da sé. Certo, aveva sperato che almeno Anathema sarebbe stata capace di percepirlo, ma non si era stupito tanto quando aveva notato che si era nascosto fin troppo bene. La sua aurea altro non era che una leggera luce nascosta dentro al guscio più improbabile di sempre: una ragazza normale con una vita normale e un aspetto assolutamente nella norma. In fondo, si sa che il modo migliore per nascondere qualcosa è metterla sotto gli occhi di tutti.

Peccato che sparire, raggomitolarsi tra le proprie ali e nascondersi, fosse l'ultima spiaggia di un qualsiasi angelo ferito. Aziraphale sapeva di avere i giorni contati, così come sapeva di dover trarre il meglio da quei momenti di lucidità. Doveva spargere più indizi possibili e guidare i suoi nuovi improbabili aiutanti verso una soluzione - molto più di quanto non avesse fatto con le porte chiuse, i pezzi di sonetti e gli articoli risalenti a cinque anni prima; senza dimenticare i pasticcini, ma quelli li aveva presi perché la famigliola facesse colazione: se lo meritavano dopo tutta la fatica che avevano fatto per cercare di capire cosa gli fosse successo.


Zachary e la donna del negozio erano entrati nell'equazione quasi per caso. A dirla tutta, conosceva il ragazzo di vista: un tipetto frizzante che lavorava spesso dietro al bancone del pub. Anche lui era sveglio, il che giocava tutto a suo favore; peccato che coinvolgerlo lo avesse messo in una posizione scomoda e non propriamente salutare - diciamo pure che gli aveva fatto venire un paio di ipotetici infarti, poverino. La cosa buona era che Zachary conosceva Crowley ed Annalise si trovava decisamente meglio se suo cugino era nei paraggi.


Già, Crowley.


Traballando verso la scrivania, Aziraphale posò lo sguardo verso il cellulare a terra. Sapeva che chiamarlo sarebbe servito, ma non immaginava un risvolto così repentino...

Già il fatto che fosse riuscito a sparire dal radar del demone la diceva lunga sulle sue condizioni, si disse intanto che andava a raccogliere il dispositivo, pulendone lo schermo contro la maglietta di Annalise. Almeno adesso Crowley aveva una pista da seguire - per quanto leggera ed incerta. Lo conosceva abbastanza da sapere che non si sarebbe dato pace finché non avesse scoperto l'origine della chiamata, dopodiché sarebbe stato tutto in discesa... O almeno sperava.

Ma soprattutto, sperava di non averlo fatto arrabbiare.

Con un sospiro, si lasciò cadere sulla sedia alle sue spalle. Lo aveva decisamente fatto arrabbiare, e come biasimarlo.

Ma avrebbe sistemato le cose. Non poteva lasciare che il mondo che avevano tanto faticosamente costruito crollasse in così poco tempo, tutto per un suo stupido errore di valutazione.

    Tirando il sottilissimo computer nero a sé, tolse delicatamente gli occhiali dal volto di Annalise per dar loro una pulita. L'azione fece ricadere sull'ambiente una specie di velo. «Accidenti, ragazza mia» commentò. La voce gli uscì rotta, flebile e roca, quasi irriconoscibile. Il solo parlare gli fece salire una stilettata lungo tutta l'ipotetica spina dorsale, ma decise di ignorarla. Non era quello il momento.

Conosceva bene quel pc e sarebbe stato capace di indovinare la password al primo tentativo se Crowley non gliel'avesse detta il giorno stesso in cui l'aveva impostata. La verità era che quella serie di lettere e numeri serviva solo per tenere lontani eventuali umani curiosi, esisteva per formalità ed era assolutamente inutile. Nessun mortale sarebbe mai comunque riuscito ad accedere a quel computer: era fatto apposta per essere una piccola cassaforte della quale solo due, diciamo, persone conoscevano la combinazione.

Ne conosceva bene anche l'esiguo contenuto: un accesso a Internet, due cartelle dai nomi troppo lunghi ("vecchie scartoffie troppo divertenti da cestinare" era un esempio) contenenti l'inutile burocrazia infernale riguardante gli incarichi che Crowley aveva gestito nei modi più assurdi, seguite da un'altra cartella piena di documenti del pub. Questi ultimi erano lì sotto ferrea volontà di Aziraphale stesso - che sapeva benissimo quanto gli umani amassero indagare e ficcare il naso nella documentazione di un qualsivoglia proprietario di attività, alla ricerca di tutte le irregolarità possibili. E poi c'erano tutte le foto che avrebbero meritato una parete nel cottage, ben ordinate per data (ma anche per grado di apprezzamento del demone).

Sicuramente i cugini vi avrebbero trovato quello che cercavano e capito almeno parte della situazione. Il difficile veniva adesso, si disse l'angelo andando a sfogliare le notizie risalenti all'anno della quasi apocalisse. Fosse stato per lui, avrebbe spiegato tutto come aveva fatto con Tracy durante quell'impossibile giornata, ma al solo pensiero sentì l'aura ferita rivoltarsi su sé stessa - segno inequivocabile del fatto che un contatto così diretto lo avrebbe ucciso.

No, stavolta doveva fare con calma ed essere cauto. Doveva lavorare nell'ombra come aveva fatto finora e stare in campana, senza spingersi oltre limiti che lo avrebbero portato fino ad un punto di non ritorno.

Poteva ancora salvarsi, si convinse intanto che faceva volare lo sguardo - non suo - sui fogli che aveva in mano. Passò in rassegna un po' di articoli decretando che sarebbe stato inutile evidenziare i punti focali di ciascuno. Alla fin fine, tutti quegli eventi altro non erano che un'ombra lontana di una catastrofe scampata; un ricordo sbiadito e frammentato nella mente di quasi tutti gli esseri umani che vi erano rimasti coinvolti. 

Ma Aziraphale sapeva come semplificarsi il lavoro. Ringraziando mentalmente la buon'anima di Shakespeare per avergli dato l'idea, andò a recuperare il foglietto dove Annalise aveva riscritto le righe fondamentali, quelle che lui stesso aveva molto debolmente suggerito:

Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio.

Sottolineò le ultime quattro parole con il primo evidenziatore che si trovò davanti e poggiò il piccolo pezzo di carta in cima alla pila di notizie. Le mani gli tremavano, notò con sconforto, tanto che l'inchiostro fosforescente risultò in una riga mezza ondulata che sbavava contro l'inchiostro nero al di sotto.

Si mise una mano sul ventre e cercò di rimettere la testa in moto. Almeno Annalise doveva sapere cosa gli fosse successo: era importante perché poi lo riferisse agli altri. Ora come ora non poteva dirglielo, però: era un discorso lungo e lui aveva a malapena le forze di restare presente. Inoltre, ora c'erano quei due maledetti demoni attorno alla via, perciò uscire sarebbe stato impossibile.

Domani, si disse. Sarà la prima cosa che faremo.

Passò le mani su quelle braccia magroline, chiedendosi se non avesse sbagliato a rintanarsi in quel corpicino che avrebbe potuto rigettarlo. Senza di esso, però, si sarebbe disgregato e non avrebbe avuto possibilità di tornare indietro. 

Con cautela, andò a mettersi sul letto. La testa gli girava e la sua mente in subbuglio andò a fissarsi su tutti quei rumori che normalmente lo avrebbero calmato: il fruscio delle pagine, il tè caldo che veniva versato, il leggero sbattere dei cucchiaini contro la porcellana, il tintinnio di un cin-cin e quella bellissima, genuina, dolce risata.

Lo hai fatto arrabbiare, si disse. Sicuro. Tutto perché non hai voluto dirgli niente e guardati adesso.

I suoi errori amavano tormentarlo, non importava quanto tempo passasse. Era sempre stato abituato a vedere le cose di lui che non andavano, che lo allontanavano dalla plastica e bianca perfezione che avrebbe dovuto incarnare. E forse era tutto vero.

Si accarezzò la pancia all'altezza dello squarcio nella sua aurea e chiuse gli occhi. Aveva già tartassato quella povera ragazza abbastanza; ora avrebbe lasciato che si riposasse a sua volta.


**


La luce del mattino, seppur flebile, la fece svegliare con un sobbalzo. 

Agitata, Ann si mise una mano sul petto e fece un paio di respiri profondi. I ricordi di quella notte le rimbalzavano in testa, confondendosi l'un l'altro come ingredienti in un frullatore. Dopo aver cercato invano di ordinarli, seguì quello più ridondante e andò subito a catapultarsi al pc di Crowley.

Era aperto, acceso e sbloccato.

Gli occhi le si sbarrarono e si portò le mani alla bocca. Fece volare lo sguardo sulla scrivania, laddove il pezzo di sonetto se ne stava ben poggiato esattamente dove si sarebbe aspettata di trovarlo, e capì più cose tutte nello stesso momento - tutte letteralmente impossibili.

Non avrebbe saputo come spiegare, ma in qualche modo doveva mettere Zac al corrente. Così uscì da camera sua per tornare in salotto, laddove suo cugino stava ancora beatamente ronfando davanti al divano. Si tuffò al suo fianco e prese molto poco cerimoniosamente a scrollarlo.

    Ovviamente, la prima reazione di lui fu quella di allontanare malamente le mani della cugina dalla sua spalla, infastidito e ancora mezzo stordito. «Ann, che c'è?» Chiese, assonnato e gracchiante. Non appena ebbe posato bene lo sguardo sull'altra, però, il suo umore cambiò di colpo. «Ann, stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma.»

    La ragazza sapeva bene di essere in condizioni preoccupanti, ma dopo quella pazzesca nottata era il minimo. Semplicemente, dopo aver preso un bel respiro, tirò fuori l'unica cosa che il suo incasinatissimo cervello riuscì a partorire. «So dov'è Fell» affermò d'un soffio.

Il silenzio che seguì fu assordante e sul volto di Zac si dipinse una maschera di sconcerto.

    Il rosso sbatté un paio di volte gli occhi scuri prima di dire: «Ok, credo... Ottimo. E dove sarebbe?»

Con una lentezza disarmante e un gesto che sembrava ancor meno convinto di lei, Ann si puntò un dito contro il petto. Al tocco, sentì una parte di sé tremare come una fiammella al vento - o forse non era stata lei, si disse.

    Zac aggrottò le sopracciglia, mettendosi a sedere e fissando la cugina senza capire. «Sarà meglio che inizi a spiegare» affermò infatti.

    Con un sospiro, Ann fece ricadere il braccio sulle cosce. «È successo stanotte» iniziò; «non riuscivo a dormire, così sono andata in camera mia. Dal nulla mi sono ritrovata a chiamare il tuo capo-»

    «Come accidenti fai ad avere il numero del mio capo?» Esclamò il rosso. Poi, come in una specie di auto-rimprovero, si passò due dita sugli occhi: «Oh, ma perché mi stupisco? Vai avanti.»

    Ed Ann eseguì: «Non ha risposto la segreteria telefonica, ma lui. Penso fosse in macchina e sembrava... Non so. Sembrava si aspettasse qualcosa; una parola, una conferma che non sono riuscita a dargli.»

Sotto lo sguardo stralunato di suo cugino, la ragazza prese a raccontare delle voci che aveva sentito, di tutto ciò che era accaduto, delle rivelazioni - o almeno, una parte di tutto ciò che riusciva faticosamente a ricordare. Disse - e farlo la aiutò a capire la vera entità delle cose - del perché aveva sentito il vuoto nella libreria e l'ansia nel pub, del perché era riuscita ad aprire le porte, del perché Anathema l'aveva guardata in modo strano, del perché il sonetto 116 le piaceva tanto e del perché di praticamente buona parte dei bizzarri avvenimenti nel quale si trovavano in mezzo. E più andava avanti, più le cose si facevano chiare. Ma più andava avanti, più ombre piombavano sul labirinto che stava percorrendo.

    E Zac, che tra le tante cose era bravo a sintetizzare, riuscì a rielaborare il tutto nel concetto che Ann aveva cercato di spiegargli all'inizio: «È dentro di te?!» Esclamò, la voce strozzata.

Certo, detta così sembra volgare, sussurrò una voce che la ragazza sentì scivolare come acqua tra le dita.

    Facendosi scappare un sorrisetto, questa annuì: «Temo di sì. Qualcuno o qualcosa deve averlo ferito e la sua anima o... Aura, credo, ne ha risentito. Ha bisogno di un posto sicuro dove stare.»

    «E quindi si è nascosto dentro di te? Che accidenti è? Un fantasma? Un demone?» Poi sussultò: «Sei posseduta?»

    «Cielo, no» ribatté Ann senza neanche rendersene conto. «Aziraphale non è un demone, è un-» beh, non ne aveva idea, in effetti. «Sicuramente non è umano, però.»

    Zac mise su un'espressione sarcastica e vagamente nervosa: «Cosa te lo fa pensare?»

    Ignorando la domanda, la ragazza continuò: «Non è la prima volta che lo fa. È successa la stessa cosa con Tracy cinque anni fa.»

    «Tracy l'amica di Mary? Cacchio» commentò il rosso. «Che razza di creatura salta di corpo in corpo in questo modo?»

    «Una creatura sovrannaturale con un bel taglio sulla pancia» sospirò Ann prendendosi la testa tra le mani. «Non ho idea di cosa gli sia successo: non è riuscito a "dirmelo"» spiegò, mimando le virgolette con le dita. «Ma lo farà. Dobbiamo avvisare i due della libreria.»

    Ancora ben infilato nella sua espressione di scherno stizzito, Zac batté due volte sul pavimento. «Oh, salve signora strega. So che non dovrei essere qui, ma il suo amico fantasma mezzo morto ha deciso di prendere in prestito il mio corpo.»

    Ann gli rivolse uno sguardo molto poco divertito. «Vuoi aiutarmi sì o no?» Chiese solo, sapendo già la risposta. «Fantasma mezzo morto o no che sia,» che non ha senso, poi: se sei un fantasma sei morto per forza, «ci ha lasciato alcuni indizi importanti.»

    «Ho quasi paura» sospirò il rosso passandosi una mano sugli occhi. «Ma va bene, vediamo di capirci qualcosa».


Entrarono in camera di Ann con due tazze di caffè fumante tra le mani. Zac andò subito a dare un'occhiata fuori dalla finestra e, una volta essersi assicurato di non aver visto nemmeno un'ombra girovagare attorno all'edificio, andò subito ad affiancare la cugina.

    «Cacchio» esclamò, fissando il pc. «Posso avere l'onore di frugarci dentro?» Chiese, appropriandosi subito del dispositivo.

    Ann si sedette accanto a lui, dando un'occhiata ai fogli alla sua sinistra. «Ehi, Zac» mormorò, «cosa risponderesti se ti dicessi che cinque anni fa il mondo stava per finire?». Mentre parlava, riprese il foglietto e lo guardò mesta. Mai avrebbe immaginato un significato così letterale di quelle righe, eppure ora eccole d'innanzi a lei, chiare come non mai.

Era così concentrata a ripensare alla pazzesca veridicità di tutte quelle storie su Atlantide che a malapena si accorse del silenzio che le era arrivato in risposta.

    Stranita si voltò verso Zac, sobbalzando appena d'innanzi ai suoi occhi sbarrati ed incollati allo schermo. «Che c'è?» Chiese, avvicinandosi alla sua spalla e fissando anche lei il file aperto da suo cugino.

    «Ti risponderei che ci credo» balbettò lui, scuotendo la testa d'innanzi a quello che altro non era lo scanner di un documento scritto in una calligrafia scombinata ma comunque comprensibile.

    «È una lettera?» Chiese Ann, inclinando la testa.

    «Una specie. È un rapporto.»

Da quel che la giovane aveva evinto,"Vecchie scartoffie troppo divertenti da cestinare" era piena di documenti identici a quello. Erano tutti fogli dall'aspetto malandato, come se fossero stati tenuti lontani dalla luce in un ambiente umido e ammuffito. Nonostante nessuno scrivesse più nulla a mano, in quel pc erano stati catalogati tantissimi resoconti scritti dallo stesso pugno, intestati tutti alla stessa persona e tutti con lo stesso timbro - sbavato, rossastro, il più delle volte visibile a malapena.

Il file che Ann si ritrovò davanti faceva venire i brividi, non tanto per l'aspetto generale quanto per il contenuto. Effettivamente, la parola "Armageddon" veniva ripetuta anche troppe volte, come se dovesse essere sottolineata in qualche modo.

    Il resto venne prontamente tirato fuori da Zac - che nel mentre era passato da stupito a visibilmente nervoso. «Dev'essere uno scherzo» balbettò, il volto segnato da un sorriso tirato. «Anticristo? Inferno? Belzebù? Insomma, dai. Un mio amico aveva un cane che si chiamava Belzebù, e sai cos'era? Un chihuahua. Capisci cosa intendo? Ti ritrovavi davanti questo scricciolo con un nome demoniaco e-»

    Ann gli piantò una mano davanti alla bocca: «Zac, calmati» ordinò, gli occhi ben puntati su quelli scuri dell'altro. «Chi si farebbe mai un'intera cartella di documenti finti?»

    Zac fece passare più volte lo sguardo tra lei e lo schermo. Poi si scostò delicatamente il braccio della cugina dalla faccia e tornò serio. «Nessuno» ammise, «ma allora che significa tutto questo?»

    Lei non dovette nemmeno pensarci: «Proprio quello che vedi» affermò, dando voce a quella parte di lei che ormai sapeva non essere sua. Fissò la calligrafia che riempiva il misterioso rapporto e quasi riuscì a figurarla su foglietti, lettere, note e messaggi passati di nascosto dietro agli angoli delle strade.

Il rosso non rispose subito, ovviamente. Anche lui si era messo ad analizzare ogni singola lettera, ogni singolo punto e virgola, ogni singola firma sgangherata con l'espressione che solo chi cerca di trovare un senso a qualcosa che va oltre i limiti dell'assurdo può avere. Si mise a girare per la cartella come se stesse cercando un indizio ulteriore, un documento che avesse scritto: "Ahaha, era tutto uno scherzo" in stampatello sulla prima facciata. Quando non lo trovò, sbiancò tutto d'un colpo, realizzando finalmente una situazione che Ann aveva già passivamente accettato dato il bizzarro contesto in cui si trovava.

    Incredibilmente, Zac non andò su di giri nel mondo in cui sua cugina si sarebbe aspettata. Semplicemente, si mise a tamburellare con le dita sulla scrivania mentre si mordicchiava un labbro. Si spostò sulla sedia più volte prima di affermare: «Il mio capo è un demone.»

Ann annuì.

    «E i tizi sotto casa?»

    «Idem. In effetti, sono quasi certa che Aziraphale lo abbia accennato stanotte» affermò lei puntellandosi il mento con un dito. I ricordi di ciò che era successo andavano e venivano, riaffiorando un po' alla volta e a seconda di ciò che le serviva riferire. Non era semplice: probabilmente richiedeva un dispendio di energie che la povera aura martoriata dentro di lei non si poteva permettere.

    Il rosso fece un lento segno di assenso, lungo abbastanza da far trasparire la fatica che stava facendo per non urlare. «E lui?» Chiese poi, indicando il ventre di sua cugina.

    Ann alzò gli occhi al cielo: «No, Zac. Te l'ho già detto.»

    Questi sospirò «Ottimo». Poi, come una molla lasciata in tensione troppo a lungo, balzò in piedi: «E che accidenti è allora?!»

    «Non lo so» scandì l'altra alzandosi a sua volta. «Però ci sta mettendo sulla pista giusta per aiutarlo. Se lo seguiamo, ci dirà come risolvere il problema.»

    Zac scosse la testa: «Se seguiamo chi, Ann? Non sappiamo con chi abbiamo a che fare. La tizia dal nome impronunciabile è una strega, il mio capo e il duo poco raccomandabile sguazzano regolarmente in chissà quale pozza di fuoco infernale, per non parlare del fatto che, a quanto pare, cinque anni fa il Kraken, qualche alieno e la popolazione di Atlantide sono andati a farsi un pic-nic in attesa che il mondo finisse» elencò, parlando così velocemente da doversi fermare a prendere fiato. «E adesso tu sei diventata un contenitore per creature ferite non ben identificate. Per non parlare del fatto che la stai prendendo con molta filosofia.»

    Ann prese a torturarsi le dita intanto che quella valanga di paura, nervosismo, preoccupazione e amaro sarcasmo le si riversava addosso. Aggrottò le sopracciglia e rivolse lo sguardo verso il pavimento, cercando di trovare un modo per calmare suo cugino e cercare di andare avanti. Alla fine sospirò e disse: «So che è tutto assurdo e che hai paura, ma che cos'altro possiamo fare?» Poi rialzò la testa: «Andrò io da dalla coppia della libreria, va bene? Non devi aiutarmi per forza. Non avrei dovuto farti finire in questa situazione in primis.»

Non appena ebbe finito di pronunciare quelle ultime parole, le ondine sulla fronte di Zac si distesero. Era ancora contrariato, ma adesso nei suoi occhi c'era una punta evidente di profondo dispiacere.

    «Sei fuori di testa se pensi che ti lascerò da sola» affermò lui lasciando ricadere la tensione dalle sue spalle. «È solo che... Sai...»

Il movimento indeciso che fece con le braccia portò Ann a capire che cosa intendesse. In effetti erano tante cose da digerire tutte in un colpo solo, ma avrebbero rimesso insieme i pezzi - o almeno, questo era ciò che stava cercando di ripetersi.

    «Grazie» mormorò, avvicinandosi a Zac per abbracciarlo. Come la sera prima, poté quasi sentire la tensione tra loro sciogliersi come un gelato lasciato troppo al sole.

    Con un sospiro, lui prese a darle qualche leggero colpetto sulla testa: «Figurati» gorgogliò. Poi, con un tono quasi rassegnato, chiese: «Sta tanto male?»

    Ann si staccò per passarsi una mano sulla pancia. Annuì, seppur non esattamente certa dell'effettiva gravità della situazione. Non che avesse visto il danno o sentito qualche tipo di dolore; l'unico trauma che le restava della nottata erano le voci che le avevano invaso il cervello. Ponderò se dirlo a Zac o meno, ma alla fine optò di farla semplice. «Beh, immagino sia questo che succede se ti scegli un demone come compare» scherzò, finendo però con un sorriso tirato sul volto e la testa incassata nelle spalle. E addio tentativo di risollevare il morale.

    Il rosso tornò ad accasciarsi sulla sedia. Annuì intanto che andava a chiudere la cartella dei documenti per andare ad aprire quella delle foto. «Beh, per quanto mi faccia strano ammetterlo: il signor C non emana certo la stessa aria spaventosa degli altri due» affermò, indicando la finestra con un dito. «E Fell si fida di lui. Non abbiamo ragione di preoccuparci, no? Forse non ti mangerà quando scoprirà che sei posseduta dal suo fidanzato.»

    Ann sorrise, scuotendo la testa all'ultima battuta e affiancandolo: «Esatto. E poi, guardali» disse, facendo cenno verso un vecchio scatto, «ti sembrano pericolosi?»

Era una foto sbiadita, scattata all'aperto e caratterizzata da una luce giallastra e smunta. I soggetti in primo piano sorridevano, vicini, colti nel bel mezzo di una conversazione.

La ragazza sentì un leggero calore avvolgerle il cuore e quasi riuscì a sentire gli echi di un paio di risate spensierate.

    Zac scosse la testa, poi guardò di nuovo sua cugina non senza ancora una punta di dubbio. «Spero solo che questo non sia dannoso più per te che per lui.»

    «Beh, Tracy è sopravvissuta, no?»

    «E non è l'unica cosa a cui è sopravvissuta» puntualizzò l'altro accennando ai fogli sulla scrivania. «Non dovremmo essere tutti morti a quest'ora?»

Fu così che il gruppetto divenne quello de: "I Sei dell'Apocalisse" - nome ovviamente ideato da Zac - formato dall'amica di Mary, il suo compagno, la coppia della libreria e loro; gli esseri sovrannaturali ai quali Shakespeare pareva ammiccare. Che cosa avessero fatto, come e in che modo ciò andasse ad intaccare la situazione attuale, i cugini ancora non lo sapevano.

    «Scusa una cosa» disse allora Zac, «perchè non richiami direttamente Crowley? A te risponde, no?»

    «Beh, sì» rispose Ann, iniziando a sentire uno strano nodo allo stomaco. «In effetti, è più probabile che lui mi ascolti più volentieri data la situazione.»

    «E conosce Ana-cosa e compagno. Alla fine dovremmo riuscire ad avvisare tutti, indipendentemente da chi contattiamo.»

Era fin troppo semplice come soluzione, il che fece affiorare non pochi dubbi nella testa della giovane. D'altronde, Aziraphale era sembrato un po' restio e preoccupato nei confronti dell'altro, come se avessero avuto una discussione o come se ci fosse qualcosa che non andava tra loro.

Però non potevano starsene con le mani in mano, né farsi bloccare da semplici dubbi. Ann prese quindi il cellulare, pronta a ricontattare il numero della notte prima, ma l'azione venne fermata da un'altra chiamata in arrivo.

Era Mary.

Giusto. Con tutto ciò che era successo, si era quasi dimenticata del loro "agente sotto copertura".

    Diede una veloce occhiata a Zac e mise il vivavoce: «Ehilà?»

    La vocina cinguettante dall'altra parte si sovrappose al rumore del traffico cittadino: «Buongiorno, Annie! Zac è ancora con te?»

    Il rosso ridacchiò: «Qualcosa mi dice che hai novità da raccontare.»

    L'altra sbuffò: «Non quanto vorrei. Tracy si è chiusa a riccio quando ho provato a chiamarla e chiederle di più sulla faccenda - ma se devo dirla tutta, non mi pare molto informata. Sa solo che si è trattata di una situazione inaspettata ed improvvisa, ergo: non hai idea di dove siano i nostri ricercati. Perciò ho deciso di fare la cosa più logica.»

    I cugini si guardarono incuriositi, ma non fecero nemmeno in tempo a chiedere che Mary li batté sul tempo: «Sto andando in libreria.»

Sia Ann che Zac sussultarono sollevati. Qualsiasi trucchetto avessero usato per nascondere il luogo - anzi, i luoghi - era facile da raggirare - anche se erano convinti entrambi del fatto che ancora non esistesse qualcosa capace di tenere Mary all'oscuro di un fatto che le interessava.

    «Alla grande!» Esclamò Zac. «Facci sapere se scopri qualcosa.»

    Mary ridacchiò: «Non devi nemmeno chiedermelo. Mi fareste il favore di andare ad aprire il negozio nel mentre? Non so quanto mi prenderà questa piccola deviazione».


Così, Ann e Zac andarono a prepararsi. Prima di andare via, lei decise di mettere il pc e il thriller - che comunque pareva interessante, tanto che pensò di prenderne una copia per sé - nella sua affidabile borsa.

    Quando si rividero, Zac aveva due caschi tra le mani. «Prendiamo la moto» disse intanto che si dirigevano all'ingresso. «Spero sia più veloce di due demoni a piedi. Sai, in caso di emergenza».

Non varcarono il portone d'ingresso senza aver prima dato un'occhiata alla via mettendo il naso oltre la soglia. Anche allora, il rosso prese l'altra per il polso, spronandola a sbrigarsi.

    «Non sono in giro» affermò Ann infilandosi il casco.

    «Non sono in giro adesso» replicò Zac avviando il motore, «potrebbero ricomparire da un momento all'altro». Si fece un po' più in avanti, accennando con la testa al sedile dietro di sé: «Salite su.»

Lei sorrise, ma non riuscì a fare che un passo.

Qualcosa le fece voltare la testa verso la strada, intimandole di andare verso una certa direzione. Era come essere legati ad un filo che veniva debolmente strattonato.

    «Dove vuoi portarmi?» Sussurrò, sapendo che quella era come la spinta che l'aveva portata a scoprire i punti chiave di tutta quella storia, dalle porte chiuse, al numero di telefono, alla password del pc...

    «Ann?» Richiamò Zac, evidentemente preoccupato. «Che succede?»

    Lei lo guardò e una delle sue mani andò automaticamente a posarsi sulla sua pancia. «Ti va di fare una piccola deviazione?» Chiese, iniziando a prendere posto sul sedile.

   
 
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