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Autore: My Pride    13/10/2022    1 recensioni
Non ricordava bene che cosa avesse sognato, ma gli aveva lasciato nel petto una strana sensazione opprimente. Sprazzi di immagini si accavallavano le une alle altre, volti sconosciuti gli sorridevano e sfumavano in mezzo a nuvole dorate, mentre enormi colonne bianche si crepavano e collassavano improvvisamente su loro stesse, creando polveroni che inghiottivano quello strano mondo; grida di terrore si mescolavano con urla di battaglia, ordini su ordini echeggiavano nella sua testa in una lingua che a stento capiva, e calde dita si intrecciavano alle sue, stringendo con forza le sue mani mentre qualcuno gli sussurrava parole d'amore e lo guardava con profondi occhi verdi velati di pianto.
“Tra cent'anni, mio amato... ci rivedremo tra cent'anni”.
Genere: Hurt/Comfort, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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No matter how life_3 Titolo: No matter how life turns around (I'll see you again)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot (divisa in tre atti) [ 10274 parole [info]fiumidiparole ]
Personaggi: 
Jonathan Samuel Kent, Damian Wayne, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere:
Generale, Sentimentale, Malinconico, Azione
Avvertimenti: What if?, Slash, AU, Hurt/Comfort
Vorrei incontrarti tra 100 anni challenge: 50. Battito cardiaco || 177. Esame || 63. Contadino (Tipologia 4: Incontrarsi in un altro contesto storico/sociale (AU) + Reincarnation AU)
Take your business elsewhere Challenge: 9. Di mezzo c'è un segreto || 17. Personaggio X non è umano || 28. Uno specchio || 34. Y non è mai stato così vicino a X || 39. Stupire
200 summer prompts: Balliamo || Segreto || Personaggio X vuole esserci



SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
 
ATTO TRE. ELISIO

    L’influenza aveva deciso di lasciarlo in pace solo la settimana successiva.

    Non era mai stato uno che si ammalava facilmente, ma durante quei giorni aveva davvero pensato di essersi beccato chissà quale virus sconosciuto che aveva prosciugato gran parte delle sue forze vitali. Tutti i suoi buoni propositi erano stati gettati letteralmente alle ortiche e i suoi sogni erano diventati i deliri insensati di un povero disperato in preda alla febbre, ma l’odore dei fiori e le carezze sul suo corpo durante quelle notti non lo avevano abbandonato mai. Non aveva più sognato la distruzione di quella dimora dorata, né aveva sentito il dolore delle carni strappate e delle ossa fatte a pezzi, ma i sussurri di Thanatos e  bagliore dei suoi occhi erano divenuti più intensi attimo dopo attimo, sparendo ad ogni battito di ciglia e ripresentandosi ad ogni zaffata di asfodeli.

    Jon aveva persino pensato di essere impazzito, ad un certo punto. Kathy era andato a trovarlo un paio di volte, ma le aveva detto che non voleva che si ammalasse e l’aveva fatta desistere, discorso che aveva fatto al resto dei suoi amici e a Damian stesso. Ogni volta che Jon riusciva a tenere gli occhi aperti, si messaggiavano e finivano col fare battute sempre più provocanti l’un l’altro, cosa che faceva sorridere Jon e fargli desiderare di passare più tempo con Damian. Non aveva mai provato quel tipo di attaccamento per nessuno, aveva avuto delle storie e non sempre erano finite tutte bene – il suo ultimo ragazzo gli aveva hackerato il profilo Facebook ed era stata una fortuna che non avesse inserito dati troppo sensibili come il numero di telefono o quello di previdenza sociale –, ma con Damian era… diverso. E quella stupida influenza aveva scelto proprio il momento peggiore per colpire.

    Da una parte non se n’era meravigliato più di tanto, a dire il vero. Stanco, stressato e perennemente assonnato, era stata una normale risposta fisica del suo organismo sotto sforzo che alla fine era collassato su se stesso, e Jon aveva purtroppo dovuto farci i conti e starsene chiuso in casa; aveva provato a studiare per quel maledetto esame, ma il suo cervello gli aveva sbottato contro e si era rifiutato categoricamente di farlo, quindi aveva passato quei giorni a morire a letto e a chiacchierare di tanto in tanto al cellulare con amici e famiglia per tranquillizzarli e dir loro che, febbre a parte, non stava mica morendo. Suo fratello Conner l’aveva preso un po’ in giro e accennato al fatto che adesso non avrebbe più potuto farsi chiamare “ragazzo d’acciaio”, e a lui aveva riservato una bella fotografia del suo dito medio scattata proprio in mezzo alle cosce. Risultato? Conner aveva riso come un idiota e sbottato che era proprio uno sporcaccione – e di mettersi quel dito da tutt’altra parte, provocando l’indignazione di Jon –, accennando che quando sarebbe guarito se ne sarebbero andati a bere una birra e a festeggiare. Pessima idea, ma gli aveva comunque detto sì.

    Quando era guarito, la prima cosa che aveva fatto era stato mandare un messaggio a Damian per chiedergli se era libero. Aveva osservato la casella di messaggi privati per ore – no, d’accordo, erano stati solo sette minuti e quattordici secondi, non avrebbe dovuto esagerare – prima di ricevere una risposta, esultando come un completo idiota quando Damian gli aveva detto che era libero e che avrebbero potuto vedersi nel pomeriggio di quel giorno stesso. E Jon aveva passato la mattinata a decidere cosa mettere, in videochiamata con i suoi amici anche per discutere della presentazione che avrebbero dovuto portare e per mettersi d’accordo per il giorno successivo, così da poter riprendere i loro studi. Aveva tutte le intenzioni di mettersi in pari, ma aveva dovuto subirsi le battute e le frecciatine dei suoi amici quando avevano saputo che sarebbe uscito solo per un appuntamento.

    Il destino, però, sembrò avercela con lui, poiché quando nel pomeriggio prese le chiavi della jeep e provò a metterla in moto una volta seduto sul sedile del guidatore, quello stupido rottame non partì. Jon imprecò tra sé e sé a denti stretti e tentò di dare gas più e più volte, battendo una mano sul volante quando capì che non ci sarebbe stato niente da fare. Beh, perfetto. Mi tocca andare a piedi, si disse, fissando il tettuccio per attimi interminabili prima di decidersi a scendere tra uno sbuffo e l’altro, già accaldato. Quel giorno le temperature erano alte e l’idea di farsi un bel po’ di isolati a piedi non era il massimo, ma la voglia di vedere Damian prevalse e si incamminò fra le strade di Metropolis col sorriso ugualmente sulle labbra.

    Stava attraversando insieme ad altre persone quando lo stridio dei freni e il suono dei clacson li colse tutti impreparati, vedendo un’auto sfrecciare come un missile verso di loro; senza avere il tempo di spostarsi, Jon sgranò gli occhi e si portò automaticamente le braccia a coprirsi il viso come se ciò avesse potuto trattenere l’impatto, sentendo lo schianto rimbombare nelle sue orecchie e la sensazione che il suo corpo si fosse accartocciato su se stesso per un istante. Non c’erano suoni, non c’erano odori, voci, tutto era avvolto in uno strano silenzio che risultava ironicamente assordante, seppur Jon fosse conscio che ciò che sentiva era il battere frenetico del suo cuore nel petto; il buio lo aveva avvolto e non vedeva nulla ad un palmo dal naso, ma quando provò a tirarsi su e a mettersi almeno seduto, una fitta di dolore al costato lo costrinse a sdraiarsi di nuovo, storcendo il naso. Cosa diavolo era successo? In lontananza aveva cominciato a sentire dei rumori lontani, echi di voci terrorizzate che solo vagamente riusciva a capire, e rabbrividì quando un soffio gelido gli sfiorò il collo, cercando invano il punto da cui proveniva lo spiffero quando provò di nuovo a mettersi a sedere.

    «Sta’ fermo. Non muoverti».

    Riconoscendo la voce di Damian, Jon boccheggiò per un istante, tentando di far funzionare la bocca come avrebbe voluto e chiedergli cosa ci facesse lì e cosa fosse successo. Era come se il suo cervello non avesse intenzione di mandare segnali ai nervi e permettergli di aprirla, come se ogni parola avrebbe potuto persino suonare superflua, ma lo sforzo di far uscire almeno qualche gemito gli morì letteralmente in gola quando la figura di Damian si stagliò nell’oscurità, fendendo quel buio con la sua strana quanto luminosa presenza. Aveva già visto quelle vesti, conosceva quelle sembianze: con il cappuccio calato sul viso, i gioielli luminosi al collo e ai polsi e la lunga falce sorretta con la mano sinistra, quella figura si avvicinò passo dopo passo, fermandosi letteralmente ad una spanna da lui. Le sue vesti grige frusciavano nel vuoto ma non soffiava alcun vento, era come se possedessero vita propria e si attorcigliavano intorno alle lunghe gambe scure, almeno finché quella presenza non si inginocchiò davanti a lui e ripose la falce ai lati del suo corpo.

    «Thanatos», affermò Jon, e la figura sorrise. Afferrò il cappuccio con entrambe le mani e lo abbassò all’indietro, rivelando il bel volto ambrato di Damian e quegli incredibili occhi verdi che Jon aveva sognato per mesi.

    «Finalmente sai chi sono». La sua voce era possente, completamente diversa da quella che Jon aveva imparato a conoscere, ma non per questo meno piacevole da ascoltare. Era come il rombo di un tuono prima di un temporale, come le onde che si infrangevano contro gli scogli e la forza della risacca, ma aveva la stessa bellezza mozzafiato che catturava gli animi dinnanzi alla vastità della potenza devastante della natura. «Lo attendevo da secoli».

    Jon si tenne la testa con una mano, cercando di ricordare le parole che aveva sentito nei suoi sogni confusi. «Eri tu… sei sempre stato tu. La tua voce… cent’anni…» sussurrò, ma qualcosa non quadrava e gli si attorcigliò lo stomaco. «Sono passati più di cent’anni», constatò, sentendo la bocca completamente arida e le voci nella sua testa farsi sempre più alte e terribili. Perché non stavano zitti? Perché non lo lasciavano in pace?

    La risata di Damian – Thanatos? – suonò alle sue orecchie come vetro spezzato. «Ne sono passati dieci, cento e mille altri da allora… ma ti ho sempre aspettato e ti avrei aspettato ancora». Una gelida mano gli sfiorò il viso, e fu strano come Jon ebbe come la sensazione che fosse per lui una dolce carezza. «Ad ogni tua reincarnazione, ho atteso che ricordassi; ad ogni mio passaggio nel regno degli uomini per adempiere ai miei doveri, ho cercato di esserti vicino con mille sembianze».

    La testa gli scoppiava, il dolore alle costole aumentò e parole su parole avevano cominciato a macinare terribilmente nella sua mente, quasi stesse cercando di dare un senso a ciò che aveva appena sentito; frammenti di immagini di un tempo passato si accavallarono a momenti vissuti appena un mese prima, attimi rubati fra campi dorati si persero in una tazza di caffè e in una risata, ma quegli occhi verdi erano sempre lì, sempre presenti, e lo fissavano con la bellezza ammaliante di chi sfidava il fato; baci, carezze, ansiti e sussurri a mezza bocca, imprecazioni masticate sottovoce e vesti che scivolavano via dalle spalle, e quella danza continua intorno a colui che rappresentava la morte.

    Jon strizzò le palpebre a quella consapevolezza, sentendo la nausea attanagliargli le viscere. «Se tu sei qui… se incarni la morte… significa che sto morendo?» soffiò, ma una nuova risata aleggiò nell’oscurità, creando crepe nel buio da cui filtrarono infiniti raggi di luce prima che Damian chinasse il viso verso di lui.

    «Non questa volta, mio amato… non questa volta», mormorò in un soffio contro la sua bocca, catturando le sue labbra secche in un bacio che, per un lungo istante, lo lasciò senza fiato e gli diede realmente la sensazione che stesse morendo.

    Riaprire gli occhi e tornare a respirare fu più doloroso dell’asfalto rovente su cui era riverso. Jon boccheggiò senza fiato, lo sguardo rivolto verso il cielo azzurro sopra di lui che venne ben presto coperto da volti di persone sconosciute, mentre le sue orecchie ricominciavano a sentire e i suoni ovattati tornavano ad essere grida e clacson bloccati. Qualcuno urlava di chiamare un’ambulanza, qualche curioso cercava di farsi largo e chiedeva se ci fosse scappato il morto, ma tutti sobbalzarono quando Jon aprì gli occhi e si mise a sedere come se nulla fosse, guardandosi intorno stralunato.

    «Ragazzo, stai bene?!»

    «Non dovresti muoverti, hai avuto un incidente!»

    «Riesci a respirare?»

    «Potresti avere un’emorragia interna!»

    «È un miracolo!»

    Voci di uomini e donne si accavallarono le une alle altre e c’era chi cercava di farlo sdraiare ancora una volta per impedirgli di muoversi, ma Jon si sentiva… bene. Bene come non lo era mai stato negli ultimi tempi, così bene che avrebbe potuto toccare il cielo con un dito con un semplice salto, e cercò di allontanare tutti da sé mentre si rimetteva in piedi, così pieno di energie da essere assurdo. E ancor più assurdo era il fatto che fosse vivo, visto che, quando scrutò oltre la folla di curiosi, vide l’auto che lo aveva investito con il parafango divelto e il cofano schiacciato, come se qualcuno – qualcosa? – avesse poggiato un peso su di esso e bloccato in parte la vettura in corsa. Qualcuno continuava ad insistere che fosse stato un miracolo e opera di Dio, qualcun altro diceva di aver visto un’ombra calare sull’auto e altri ancora che era stato lui stesso a ridurla in quel modo, ma Jon sentiva vagamente le loro parole, troppo sconvolto dalla vista dell’auto e del conducente che era stato appena arrestato per guida in stato di ebrezza.

    Qualunque cosa fosse successa davvero, sapeva solo che era vivo. Non sapeva se ciò che aveva visto in quel luogo oscuro fosse stato solo un delirio provocato dallo shock o fosse successo davvero, ma si portò due dita alle labbra e le sfiorò, sentendole calde e umide. Aveva ancora la sensazione di quel bacio su di esse, e non sparì nemmeno quando fu costretto a restare sul luogo dell’incidente a parlare con i paramedici che avrebbero dovuto soccorrerlo e con i poliziotti per capire la dinamica, ma non avrebbe saputo rispondere a nessuna delle domande che gli stavano ponendo poiché neanche lui sapeva bene che cosa fosse accaduto.

    Fu solo quando fu finalmente libero che, ore dopo, raggiunse Damian proprio come aveva programmato di fare. Lo vide seduto al tavolino, una gamba accavallata sull’altra e il cellulare in mano, a scorrere distratto con un dito sullo schermo mentre leggeva chissà cosa, un caffè abbandonato sul tavolino e qualche biscotto ancora intatto nel piattino di ceramica. Gli aveva mandato un messaggio per dirgli che avrebbe fatto tardi, ma non aveva spiegato ciò che era successo, ancora incerto se fosse stato un sogno o meno e troppo scombussolato per riuscire davvero a farlo con la lucidità che avrebbe dovuto avere.

    «Resterai lì a fissarmi tutto il giorno, oppure ti deciderai a venire qui?»

    Preso in contro piede, Jon deglutì e fece qualche passo verso il tavolino, scostando la sedia per accomodarsi davanti a lui sotto il suo sguardo vagamente divertito. Quei profondi occhi sono stati verdi lo scrutavano curiosi come la prima volta, ma Damian aveva uno strano sorriso dipinto sulle labbra. «Scusa il ritardo», tastò il terreno, ma Damian agitò una mano in risposta prima di ficcarsi il cellulare in tasca.

    «Immagino che succeda, quando si ha un incidente e si ritorna improvvisamente in vita».

    Jon sgranò gli occhi, boccheggiando per un istante come un idiota. Aveva davvero sentito ciò che aveva sentito? «Aspetta, cosa?» sbatté le palpebre ma, contro ogni sua aspettativa, il dio volto si rilassò e si concesse persino il lusso di un sorriso. «Quindi non eri solo un sogno… Thanatos».

    «Sono più vero che mai e finalmente ricordi il mio nome anche sul piano terrestre… Zagreus». Damian chinò il viso verso di lui, sollevando un angolo della bocca in un ghignetto. «O preferisci che ti chiami Dioniso», rimbeccò nel fargli un occhiolino, e Jon si massaggiò il collo, accennando un piccolo sorriso tra il divertito e l’imbarazzato.

    «Jon. Solo Jon».

    «Allora io sono Damian, Jon… felice di averti rivisto ancora».

    Si guardarono dritto negli occhi, forse stranamente impacciati, parlando dinanzi a quei caffè che erano ormai stati dimenticati mentre le parole si affollavano e le esperienze si comparavano, facendo finalmente sentire Jon esattamente dove avrebbe dovuto essere. Era strano come ogni cosa si fosse incastrata nel giusto tassello mentre i ricordi di una vita passata tornavano vividi nella sua mente, aiutati anche dalle parole di Damian e dal modo in cui gli andava in contro per far sì che ricordasse; c’erano ancora lacune, sprazzi di momenti dimenticati che cercavano di farsi largo dentro di lui, ma non era più solo una moltitudine di pensieri e parole che non avevano senso, erano attimi condivisi, enormi porte che si aprivano al suo passaggio e parole saccenti che nascondevano amore, un vortice di sensazioni ed emozioni che esplodeva nel petto di Jon e lo faceva sentire come se avesse passato l’eternità in un’ora.

    Quando pagarono e si spostarono nel parco, fu strano come la sua mano cercò automaticamente quella di Damian e la strinse sotto il suo sguardo confuso, ricambiano lo sguardo che gli lanciò e in cui parve perdersi per un lungo istante. Quante cose aveva dimenticato, quanti secoli erano passati e quanti ancora ne avrebbero probabilmente vissuto ancora, ma avrebbe avuto la consapevolezza che quegli occhi sarebbero rimasti per sempre con lui. E quando si fermarono in riva al lago, e Damian si alzò sulle punte dei piedi per sfiorargli le labbra con le proprie, Jon si perse ancora una volta in quello sguardo profondo nell’istante in cui lo fissò con attenzione.

    «Che sciocco fosti ad innamorarti della morte», sussurrò Damian con velata ironia, e Jon sorrise nell’intrecciare quelle dita fra le sue, chinandosi ancora un po’ verso il suo viso.

    «Forse lo sono ancora… ma la morte non è mai stata così bella», replicò, sugellando in un bacio l’amore che aveva covato nel cuore in quei secoli di solitudine
.





_Note inconcludenti dell'autrice
E siamo infine giunti alla fine della storia!(wow, finalmente ho finito qualcosa, ma quanto mi sento brava in questo momento? Devo decidermi a riprendere tutte le altre)
Questa è quella meno "avventurosa", se così vogliamo chiamarla, ma mi sto già preparando per postare la successiva (stavolta mi sa che la dividerò in cinque parti, essendo più lunga) intitolata "Dust to Dust, Ashes to Ashes", sembra una AU su Super Sons impostata però in un universo omegaverse (quindi, sì, ci saranno quelle dinamiche ma sarà un po' più... cruda di queste) e ho anche intenzione di postare una raccolta di tutte le AU che ho scritto, chissà. Comunque sia, spero che questo capitolo sia piaciuto e che sia stato apprezzato anche il finale
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti

A presto! ♥



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