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Autore: Ella Rogers    15/10/2022    0 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Calm down
 
 
 
Trust me
There’s no need to fear
Everyone’s here
Waiting for you to finally be one of us
Calm down
You may be full of fear
But you’ll be safe here
When you finally trust me
Finally believe in me
I will let you down
I’ll let you down I’ll
When you finally trust me
Finally believe in me
 
 
 
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
 
 
Un freddo pungente, fatto di spilli affilati piantati nella carne, era penetrato fino a raggiungere le ossa. La sensazione era spaventosamente familiare.
 
 
Tredici
Quattordici
Quindici
Sedici
Diciassette
 
 
I polmoni erano paralizzati e, per quanto si sforzasse, non riusciva a respirare. Una pressione cadenzata piegava lo sterno e le costole.
 
 
Ventisei
Ventisette
Ventotto
Ventinove
Trenta
 
 
Aria calda venne soffiata fra le gelide labbra, attraversò la trachea e raggiunse i polmoni, che furono costretti a dilatarsi per accoglierla.
“Andiamo respira” fu la graffiante esortazione seguita da un adirato “Cazzo se muori adesso giuro che ti faccio a pezzi”.
 
 
Uno
Due
 
 
Il corpo reagì con uno spasimo violento, superò il torpore e il sangue riprese a scorrere con più forza nei vasi, sospinto dal ritmo sempre più incalzante del cuore. L’istinto di sopravvivenza prevalse e si aggrappò alla vita con le unghie e con i denti.
 
 
Ventisei
Ventisette
 
 
Tossì. Forte. Le terminazioni nervose tornarono in funzione, i recettori si riaccesero quasi all’unisono e seguirono in coro stilettate di dolore lungo ogni fibra muscolare. Mani estranee lo ruotarono sul fianco sinistro e altre lo afferrarono per le braccia. L’acqua abbandonò i polmoni fino a svuotarli.
 
 
E tornò a respirare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I polmoni erano in fiamme e il gelo gli si era appiccicato addosso. I muscoli irrigiditi dolevano tanto da indurlo a rimanere fermo. Fu di nuovo in grado di mettere a fuoco, nonostante le macchie scure che ancora offuscavano la vista. Riconobbe il viso sopra di lui e gli fece un certo effetto vederlo così preoccupato, privo di vena ironica.
 
“Stark…”
 
“Dovevate chiamare. Dovevate chiamare dannazione.”
 
Tony era all’interno dell’armatura, accovacciato al suo fianco, ma non indossava l’elmo. Lo aiutò a mettersi seduto con più premura di quella che si sarebbe aspettato da lui.
 
“Cosa è successo?”
 
“Speravo fossi tu a spiegarmelo e… aspetta” l’elmetto rosso e oro prese forma e tornò a protezione del capo, nascondendo l’espressione di Tony. “Ross sta arrivando” riferì la voce resa metallica “Dobbiamo…”
 
“Dov’è?”
Uno sprazzo di lucidità riportò a galla le immagini degli ultimi eventi. L’agitazione prese possesso delle deboli membra e le fece tremare dall’interno. Si guardò intorno, allarmato.
Aveva smesso di piovere. C’era ancora il loro jet – distrutto – sulla piattaforma. Riconobbe il Quinjet e poco lontano intercettò una figura immobile, in piedi, con lo sguardo fisso su un punto indefinito dell’orizzonte. Collins. La metà destra del suo viso era ricoperta di sangue rappreso, perfino l’occhio era iniettato di  sangue. Sembrava devastato e non solo fisicamente.
“Dov’è?” ripeté senza preoccuparsi di sopprimere il tremito nella voce. Non poter guardare Stark in faccia lo rendeva nervoso, perché non aveva modo di leggerlo ed era costretto ad aspettare che si decidesse a parlare. Quando Stark era a corto di parole non era mai un buon segno.
 
“Ho perso il segnale del suo localizzatore” la nota metallica che macchiava la voce eclissò le emozioni.
 
“Di quale localizzatore stai parlando?”
 
“L’ho messo nelle vostre uniformi e lo utilizzo per localizzarvi solo in caso di emergenza” confessò Iron Man “e il suo sembra essere uscito dall’oceano per poi volatilizzarsi.”
 
Era confuso e la mente annebbiata non gli era d’aiuto. Decise di sorvolare sulla questione localizzatori, anche perché quei localizzatori erano il motivo per cui non era annegato nell’oceano.
“Dobbiamo trovarlo” si alzò in piedi e sarebbe ricaduto a terra con uno schianto secco se Stark non lo avesse sostenuto prontamente “Dobbiamo muoverci adesso” ti prego.
 
“Non sei nelle condizioni di…”
 
“È mia la colpa” berciò, scostandosi bruscamente dal solido appoggio offertogli dall’armatura.
 
“L’autocommiserazione non aiuterà nessuno. Spiegami cosa è successo” si impose Stark “e fallo in fretta, perché Ross sta arrivando e con lui qui diventerà tutto più complicato.”
 
Afferrò ciuffi fradici appiccicati sulla fronte in un gesto di pura frustrazione. “Dannazione… io…”
 
Le solide dita di Iron Man lo afferrarono per le spalle e strinsero. “Sta’ calmo” lo pregò e gli sfuggì addirittura un per favore flebile eppure perfettamente udibile. La maschera metallica si dissolse, rivelando la rabbia e la preoccupazione che avevano reso torbide le iridi nocciola dell’uomo sfinito che gli stava di fronte.
 
“Spiegami. Dall’inizio.”
 
Si arrese alla risolutezza di Stark e soffocò l’urgenza di muoversi, di iniziare a cercarlo.
 
“Esistono altri soldati d’inverno e Adam Lewis li ha trovati.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Giù le mani. È mio.”
 
Anche quando ogni contatto si dissolse, continuò a rimanere immobile, steso su un fianco. L’uomo che si era appena pronunciato era accovacciato di fianco a lui, poteva vederne il ginocchio destro poggiato a terra. Venne rigirato sulla schiena e, non appena si rese conto di chi avesse davanti, nella mente si accalcarono, subdoli, ricordi ancora vividi, tremendamente vividi. Non riuscì a ricacciarli indietro, non fu in grado di rattoppare i buchi in tempo, e le scomode emozioni dilagarono all’esterno, spingendolo ad aggrapparsi a ogni brandello di forza in suo possesso. Tuttavia, il corpo non rispose come avrebbe dovuto. Il polso destro finì intrappolato in una presa ferrea e il sinistro lo seguì a ruota.
 
“Sta’ calmo” fu l’avvertimento intessuto di glaciale fermezza che ricevette. Avvertimento numero uno.
 
“Lasciami.”
Tentò di reagire ricorrendo ad una testata, ma Brock Rumlow si tirò indietro con tempismo perfetto e gli dedicò un sorrisetto compiaciuto.
 
“Bel tentativo. Non riprovarci.” Avvertimento numero due.
 
All’interno del suo campo visivo entrarono ulteriori individui ostili e colse le dolorosamente note scintille dei teaser. Un verso di pura frustrazione gli fece vibrare le corde vocali, mentre si sforzava di far funzionare le attualmente reticenti fibre muscolari.
 
“State indietro. Ci penso io.”
 
“Ma capo…” provò a protestare uno dei suddetti individui ostili.
 
“Non osate toccarlo. Ho detto che ci penso io” ribadì Rumlow, perentorio, e stavolta nessuno si azzardò a contraddirlo. “E tu calmati dannazione” berciò poi rivolto a Rogers. Avvertimento numero tre.
 
Steve non smise di opporsi perché glielo aveva caldamente consigliato il suo ex collega, ma perché era sfinito. Però sostenne lo sguardo irriverente che Rumlow gli stava sbattendo in faccia e, in modo del tutto inaspettato, la presa sui polsi si allentò fino a lasciarlo andare.
 
“Fa’ il bravo.” Avvertimento numero quattro. “Mi devi un grosso favore, ragazzo” Brock lo tirò su a sedere afferrandolo per il colletto dell’uniforme fradicia. “Ti ho appena salvato il culo” ci tenne a sottolineare, mentre lo analizzava con occhio critico. “La tua faccia è un vero casino” sogghignò divertito – molto divertito.
 
Steve ignorò il commento indelicato e si guardò intorno. Erano all’interno di un jet e diversi individui poco raccomandabili lo stavano tenendo d’occhio. Erano visibilmente tesi e nervosi, pronti a saltargli addosso se lo avessero ritenuto necessario. Il solo pensiero di dover ricominciare a combattere gli dava la nausea al momento. Perfino rimanere seduto costituiva una sofferenza non indifferente. Ogni respiro era seguito da grida silenti del costato, che di accompagnare l’usuale movimento oscillatorio non ne voleva sapere. Il braccio di metallo di Bucky era micidiale… Bucky.
Ricordava la caduta, l’acqua gelida e la corrente incontrastabile dell’oceano. Qualcuno aveva cercato di afferrarlo. Poi il buio. Ciò che era accaduto prima della caduta lo colpì invece duramente, fu un invisibile schiaffo in faccia, uno di quelli che riesce a far bruciare l’anima ancor più della guancia lesa.
 
“Riportami indietro.”
 
“Rogers…” Avvertimento numero quattro e mezzo.
 
“Riportami indietro adesso” ripeté Steve e spinse via Brock. O meglio, ci provò a spingerlo via, perché a malapena fu capace di sollevare le braccia.
 
Di risposta, seccato dalla mancanza di collaborazione, Rumlow gli piazzò un manrovescio sul lato destro del viso – viso già abbastanza martoriato – e lo agguantò per i capelli. Il super soldato aveva gli occhi liquidi e arrossati, lo zigomo destro violaceo e gonfio, il labbro inferiore spaccato e si era appena riaperto il taglio sulla fronte. L’aspetto devastato era il riflesso perfetto della sua interiorità.
“Sta’ calmo e ascoltami” Brock gli piantò addosso uno sguardo tagliente ma la presa sui capelli si ammorbidì “I tuoi compagni sono fuori pericolo” lasciò andare i ciuffi biondi e spostò la mano callosa sul retro del collo, un invito a non fare cazzate. Ultimo avvertimento.
 
Il Capitano non si sottrasse al tocco dell’ex collega e gli consegnò temporaneamente la tanto bramata sensazione di controllo.
“Come so che non stai mentendo?”
 
“Hai la mia parola.”
 
Nonostante la posizione sfavorevole – ed era un eufemismo considerando l’attuale incapacità di difendersi – Rogers si lasciò scappare una mezza risata e ignorò la pressione più insistente del ruvido pollice sul collo, in prossimità della vistosa ferita lasciata dal tentato strangolamento.
“La tua parola? È davvero così che vuoi convincermi?”
 
Rumlow non perse il ghigno affilato. “Valeva la pena tentare. Sai, vorrei evitare di ricorrere a maniere meno gentili” minacciò con invidiabile sicurezza.
 
“Allora ti conviene riportarmi…”
 
“Insieme potremmo scovare Lewis e dalla tua faccia deduco che la cosa ti interessi.”
 
Era ovvio che, nonostante la disponibilità mostrata, Rumlow non avrebbe accettato un no come risposta, anche se aveva palesemente dovuto sforzarsi per pronunciare la parola insieme senza mostrarsi nauseato.
 
“Se scopro che stai cercando di raggirarmi giuro che te ne farò pentire amaramente.”
 
“Potevi almeno tornare sulle tue gambe prima di iniziare a minacciare. Saresti stato più credibile.”
Fu un’azione improvvisa. Brock si tirò su e trascinò con sé il biondo. Lo tenne per il colletto dell’uniforme e lo guardò dritto negli occhi. “Riprova adesso” lo esortò con malizioso sarcasmo. Tuttavia, nonostante la provocazione, Rumlow fece scivolare il braccio destro attorno ai fianchi di Rogers e lo aiutò a rimanere stabile sulle gambe malferme.
 
Steve non scansò il tacito sostegno, anche perché crollare a terra sarebbe stato ancor meno dignitoso.
“Loro sono davvero fuori pericolo?”
 
Rumlow divenne serio, parecchio serio. “Sappiamo che Stark è arrivato al Raft e che ha recuperato il tuo amico. Abbiamo intercettato le comunicazioni e sei tu l’unico a risultare disperso” fece una pausa ben calcolata prima di sganciargli addosso un secco “Allora sei con me?” che suonava più come un ‘basta tergiversare e dammi ciò che voglio’.
 
C’erano tante, troppe motivazioni per rifiutare l’offerta e saltare giù da quel jet nel minor tempo possibile. Ma, seppur in minoranza, esistevano ragioni che demolivano tutte le altre e per una di queste avrebbe fatto qualsiasi cosa. Durante lo scontro con Markov, per alcuni istanti, alla realtà si erano sostituite immagini di fiamme ardenti e aveva visto una bambina nel mezzo di quell’inferno, poi aveva udito una voce supplicare aiuto, infine ogni stimolo estraneo si era dissolto ed era rimasta solamente una emicrania di tutto rispetto. Doveva essere accaduto qualcosa di grosso e Lewis era coinvolto. Anthea non avrebbe mai tentato una connessione così intensa se non l’avesse ritenuto davvero necessario. E se l’aveva ritenuto necessario, significava che la sua stabilità e il suo equilibrio interiore erano stati prossimi a spezzarsi.
 
“Quale sarebbe il tuo piano?”
 
“Non essere impaziente. E per chiarezza, sono io al comando, in onore dei vecchi tempi.”
 
Rogers non protestò. Rumlow parve soddisfatto e – continuando a sorreggerlo – lo guidò verso i sedili del velivolo. Gli altri individui poco raccomandabili – molto probabilmente affiliati dell’Hydra – si scansarono per lasciarli passare.
Sotto i loro sguardi taglienti, Steve sentì l’esigenza di tornare a camminare a testa alta, per mostrarsi forte e pericoloso. Invece era costretto ad appoggiarsi ad un nemico. Aveva perso il conto di quante volte Brock Rumlow avesse tentato di ucciderlo.
“Come posso avere la certezza che non mi tradirai di nuovo?” la rimostranza era legittima.
 
“Non puoi averla. Ma se può farti stare più tranquillo vedila in questo modo. Avrei potuto fare di te qualsiasi cosa mi fosse passata per la testa. Qualsiasi.”
 
“È una buona argomentazione.”
 
“È un’ottima argomentazione, Rogers. E anche l’unica che avrai, quindi fammi il favore di tenerla bene a mente.”
 
“Non basterà” fu l’affilata replica del Capitano.
 
Rumlow decise di approfittare dei riflessi annebbiati di Rogers. Bloccò il passo, piazzandosi proprio di fronte a lui, e gli afferrò il polso sinistro usando la mano sinistra. Proseguì con uno strattone deciso, posizionando al contempo il palmo libero sull’articolazione della spalla sinistra del super soldato in vena di sfidarlo quando a malapena si reggeva in piedi. La spalla emise un rumore agghiacciante e Rogers serrò le labbra per costringersi a rimanere in rigoroso silenzio. Rumlow mollò la presa e lo spinse indietro, facendolo cadere seduto su uno dei sedili liberi.
“Spalla dislocata” spiegò infine – come se niente fosse – l’ex agente dello SHIELD, mentre si appoggiava ai braccioli del sedile e si sporgeva in avanti “e ho appena avuto un’altra occasione per farti fuori” fece notare al biondo, sussurrandogli quella scomoda verità ad un soffio dal viso.
 
“Comincio già a pentirmi di non essermi lanciato fuori da qui” fu il flebile commento di Steve.
 
“È troppo tardi per tornare indietro.”
 
“Me lo avresti mai permesso?”
 
Rumlow si stampò in faccia l’ennesimo ghigno saccente. Non rispose e passò oltre.
“Ci sono degli abiti civili per te, però prima rattoppiamo le ferite. Morto saresti inutile ma lo sei anche in queste condizioni pietose.”
 
Solo allora Steve registrò che Brock stava indossando un paio di jeans e un’attillata maglietta nera. Non era in assetto da battaglia. Portava perfino un cappello nero che imbruniva le iridi già scure.
 
“Mi rammarica non essere all’altezza delle tue aspettative.”
 
Rumlow spostò la mano destra dal bracciolo del sedile alla spalla sinistra del super soldato ed esercitò una leggera pressione con tutte e cinque le dita. “Troverai il modo per farti perdonare. Adesso basta parlare e via l’uniforme.”
 
 
Come riuscirono a non saltarsi alla gola in quell’esatto momento sarebbe rimasto un mistero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1° luglio 2015
Raft, 05:15

 

“Dove si trova?”
 
L’ira del Segretario di Stato si scontrò con la facciata di distacco del Soldato d’Inverno e l’espressione tesa – dalla rabbia – di Falcon.
La piattaforma di atterraggio del Raft era gremita di soldati in mimetica che si muovevano dentro e fuori la struttura, in cerca di qualsiasi indizio permettesse di capire come una delle prigioni più inespugnabili fosse stata violata con tanta facilità. Sui video di sorveglianza non c’era niente e l’assenza di sopravvissuti aveva finito per seppellire la verità. Da poco era arrivata sul posto una squadra medica, che si stava occupando degli sfortunati che avevano perso la vita. Fin troppe famiglie avrebbero dovuto affrontare l’inferno.
Bennet era stato trasportato d’urgenza nel primo ospedale raggiungibile. La Stewart aveva invece rifiutato di ricevere il primo soccorso e, diligente e silenziosa, stava aiutando a ripristinare l’integrità delle misure di sicurezza della prigione.
 
“Tu sai dov’è, vero? Parla” stavolta Ross puntò direttamente Barnes.
Il Segretario era incazzato, eccome se lo era. Non ricevere le risposte volute alimentava la possibilità che prendesse decisioni drastiche. Tuttavia, tale possibilità non destava alcuna preoccupazione nelle persone che gli erano di fronte.
 
“Non abbiamo nient’altro da dirle.”
Sam si piazzò davanti a Bucky e fronteggiò Ross, pronto ad affrontare quest’ultimo senza esitazione. Era stanco di dover sottostare ad una autorità per cui aveva perduto il rispetto ed era pronto a farsi carico delle conseguenze che sarebbero scaturite andando contro quella stessa autorità.
 
L’impasse venne sciolta dall’arrivo di una persona rimasta stranamente in disparte.
 
“Togliti di mezzo, Ross.”
 
“Attento, Stark.”
 
Tony stava avanzando con una lentezza quasi frustrante. Emanava una calma ed una risolutezza che poco gli si addicevano, eppure la credibilità era incontestabile. La mano destra era stretta sul bordo dello scudo in vibranio, che oscillava e batteva sulla gamba ad ogni passo. Tony raggiunse il fianco di Sam e lì si fermò, con gli occhi fissi in quelli del Segretario. Non vi era neppure l’ombra di un accenno del solito sorrisetto sarcastico sulla bocca e una luce pericolosa – fredda – gli stava facendo brillare le iridi ambrate. Era fuori dall’armatura, la quale era ferma davanti al Quinjet, in attesa di un qualsiasi segnale da parte del suo creatore.
 
“C’è un accordo…” cominciò Ross e fu interrotto subito.
 
“È saltato. Questa stronzata è giunta al termine, fattene una ragione.” Il tono di Stark non era salito, ma ciò non rese le sue parole meno forti.
 
“Non percorrerei questa strada se fossi in te” minacciò apertamente il Segretario.
 
“Ma tu non sei in me e adesso, senza il tuo permesso, vado a risolvere il casino che hai contribuito a creare.”
 
Tony tornò a muoversi e superò Ross, passandogli accanto senza degnarlo di un solo altro sguardo. Perché anche Tony Stark era incazzato e non aveva intenzione di sprecare tempo prezioso in discussioni che non avrebbero portato a niente, se non ad un suo probabile esaurimento nervoso.
 
“Stark” lo richiamò il Segretario. Una specie di ultimo avvertimento.
 
“Prova a fermarmi” fu la secca risposta di Tony, che né si fermò né si voltò indietro.
 
Ross non fece niente. Scosse il capo, frustrato, e decise di battere temporaneamente in ritirata. Era almeno un’ora che cercava di ottenere risposte illuminanti su quanto accaduto. Le uniche informazioni ricavate riportavano scialbe mezze verità. Tuttavia, quando Stark gli aveva chiesto il possibile motivo di quell’attacco e se mancasse all’appello qualche prigioniero degno di nota, anche Ross aveva fatto ricorso a mezze verità. “Abbiamo rinchiuso qui i potenziati catturati. Li hanno uccisi tutti” si era limitato a dire.
Era ovvio che Stark non gli avesse creduto ma neppure aveva fatto domande, lasciando intendere che sarebbe stato lui stesso a trovare le risposte di cui aveva bisogno.
 
Ross fu costretto ad accettare di aver perduto il controllo.
 
 
 



 







 
Località non definita
 
 
Rogers si riscosse quando, con poca gentilezza, gli venne calcato un cappello sulla testa. La pressione di dita sul collo fu il campanello d’allarme che gli fece recuperare lucidità in fretta. Spinse via la mano entrata nel proprio spazio personale e quel semplice movimento gli costò stilettate di dolore ovunque.
 
“Non agitarti. Controllavo che fossi ancora vivo. Ci siamo quasi” lo avvisò Rumlow, alla guida dell’auto ormai da tre ore buone.
 
Steve notò che si erano inoltrati in un centro abitato, ma non fu in grado di capire dove fossero di preciso. Non era stato molto attento dal momento in cui erano saliti in macchina, solo loro due. Aveva finito per arrendersi alla stanchezza e aveva abbassato le difese, nonostante Rumlow fosse proprio lì accanto a lui. Per l’intero viaggio aveva oscillato fra lo stato di coscienza e quello di incoscienza. Il siero stava ancora lavorando strenuamente per arginare le conseguenze dovute alle ferite subite e per ripristinare le corrette funzioni vitali. Aveva l’assurda sensazione di sentirlo ribollire nelle vene. Gli avevano ricucito il profondo taglio sulla coscia, quello che Schneider gli aveva inferto per ricambiare il favore. Delle bende gli circondavano il collo indolenzito e sfregiato dal laccio metallico della Smirnova. Infine, una garza adesiva copriva lo spacco sulla fronte. Respirare iniziava a fare meno male e l’emicrania si era placata. Il fine tessuto della maglia nera aveva restituito un po’ di calore alla pelle nuda a contatto con esso, mentre i pantaloni verde militare erano freddi al tatto ma si stringevano attorno ai polpacci e alle caviglie abbastanza da evitare l’insinuarsi di fastidiosi spifferi d’aria. Aveva freddo. Ed era strano considerando che fossero in pieno periodo estivo.
Il silenzio si era protratto indisturbato fino ad allora. Rumlow si era limitato a guidare e ogni tanto gli aveva scoccato un’occhiata indagatoria, giusto per accertarsi che respirasse ancora.
Sul cruscotto c’era una bottiglia di plastica quasi vuota, la poca acqua al suo interno oscillava con costanza e un fascio di tiepida luce generava riflessi colorati che si mescolavano e rimescolavano continuamente. Le palpebre si fecero di nuovo pesanti e adagiò la tempia contro il vetro del finestrino. Aveva freddo e brividi persistenti percorrevano e ripercorrevano la schiena senza dargli tregua.
Cercò di concentrarsi sulle persone che passeggiavano lungo i marciapiedi e di immaginare cosa si provasse a vivere in quella normalità dalle sfumature rassicuranti, seppur invasa anch’essa da numerosi problemi e ostacoli da superare.
 
“Steve” lo chiamò Brock, spezzando la linea incerta dei suoi pensieri.
 
Sentirlo pronunciare il suo nome gli fece uno strano effetto. Non tanto per il nome in sé, quanto per l’anomala sfumatura di apprensione che sicuramente si era immaginato. Con la certezza di essere messo peggio di quel che aveva creduto, Steve staccò la tempia dal finestrino e si raddrizzò sul sedile. “Siamo arrivati?” la voce venne fuori rauca ed affaticata.
 
“Sei ancora cosciente. Ottimo” le dita di Rumlow picchiettarono sul volante un paio di volte “Ti hanno conciato per le feste. Provo una certa invidia.”
 
Apprensione. Certo.
Rogers lasciò cadere la testa all’indietro, mentre passava in rassegna – per l’ennesima volta – tutte le buone ragioni per cui doveva sopportare qualsiasi cosa fosse accaduta da quel momento in avanti.
“Non proveresti invidia se vedessi come ne sono usciti gli altri” controbatté, non intenzionato a dargliela vinta, anche se i suddetti altri se l’erano cavata meglio di lui alla fine dei conti.
 
“Quei super soldati sono stati un esperimento riuscito bene ma si sono rivelati ingestibili, proprio come te. Credevo che fossero stati eliminati.”
 
Steve strinse i pugni di entrambe le mani e la mascella guizzò. “Se sono ingestibili come dici, allora perché obbediscono a Lewis?”
 
“Quell’uomo è un manipolatore eccelso” fu la secca risposta dell’ex membro della STRIKE.
 
“Come funziona il controllo mentale che l’Hydra esercitava sul Soldato d’Inverno?” domandò di getto il Capitano.
 
Rumlow staccò gli occhi dalla strada per piantarli sul super soldato. Lo studiò per alcuni secondi e poi, con tutta calma, riportò lo sguardo sulla strada. Ghignò soddisfatto. “Barnes ha cercato di ammazzarti di nuovo?”
 
“Rispondi solo alla domanda, Rumlow.”
 
“Lo ha fatto” asserì Brock sicuro e compiaciuto “Comunque non so esattamente come funziona il tuo amico. Era Pearce a gestirlo.”
 
Steve tornò a rivolgere l’attenzione al di fuori del finestrino.
 
“Dimmi una cosa, Rogers. Quanto tempo ancora impiegherai per recuperare?”
 
“Sto bene.”
 
La risposta sbrigativa del super soldato fu seguita da una schicchera che Rumlow gli piazzò sulla tempia sinistra usando pollice ed indice della mano destra.
 
“Ma che…”
 
“Non lo hai visto arrivare” lo precedette Brock e Rogers, suo malgrado, non ebbe la forza di replicare. Perciò, il silenzio tornò a regnare sovrano.

L’auto scese all’interno di un parcheggio sotterraneo, appartenente a quello che aveva tutta l’aria di essere un grande centro commerciale. C’era un via vai non indifferente di persone.
Rumlow piazzò il veicolo in uno dei posti liberi e spense il motore. Non diede però segno di voler scendere. Si prese un intero minuto di riflessione, rimanendo immobile a fissare un punto indefinito dinanzi a sé. Per un istante, Steve ebbe il timore che Brock ci stesse ripensando e che lo avrebbe fatto fuori proprio lì. Per fortuna, l’uomo ruppe il silenzio fattosi scomodo.
 
“Chiedere la tua collaborazione non è stata una decisione unanime. Inoltre eravamo a corto di uomini e ho dovuto ripiegare su alleati che non stravedono per te.”
 
“Devo guardami le spalle. Messaggio ricevuto.”
Rogers non si sarebbe di certo aspettato un caloroso comitato di accoglienza.
 
“Molti hanno già lavorato con te e sono bravi a fingere che tu gli piaccia. Preferiscono averti come alleato al momento ma non abbassare la guardia” fu l’avviso spassionato che il Capitano ricevette.
 
“Perché tanto disturbo per far fuori un vostro alleato?”
 
“Ci ha traditi. Chi credi che siano quelli che sta usando per fabbricare i suoi potenziati privati della volontà?” la vena sul collo di Brock si era pericolosamente ingrossata “Non ho alcuna intenzione di diventare una delle sue marionette.”
 
“Non è più entusiasmante quando sei tu quello che rischia il lavaggio del cervello, dico bene?” Rogers sollevò il sopracciglio destro e scoccò al suo ex collega un’occhiata penetrante.
 
Di risposta, Rumlow gli rivolse un sorriso affilato. “Muovi il culo e cerca di parlare solo quando sarò io a chiederti di farlo” gli consigliò caldamente e scese dall’auto. Prima di chiudere lo sportello, si chinò per sporgersi all’interno dell’abitacolo un’ultima volta. “Tieni a mente che nemmeno io stravedo per te” ci tenne a precisare.
 
Dopo aver preso un profondo respiro e aver sistemato la visiera del cappello, anche Steve scese dall’auto. “Dove siamo esattamente?” chiese, mentre raggiungevano un ascensore – dove sperò di non dover combattere.
Si rese conto che il tempo atteso in macchina era servito anche a concedere loro una finestra in cui le persone attualmente nel parcheggio si contavano con una sola mano ed erano tutte abbastanza distanti. Non avrebbe dovuto stupirsi, dato che si trattava di Rumlow.
 
“Ancora negli Stati Uniti. Tieni giù la testa e stammi dietro.”
 
“Molto esaustivo” fu il pensiero a cui Steve evitò di dar voce e prese la saggia decisione di non insistere, limitandosi ad osservare Brock premere una combinazione di pulsanti sul tastierino all’interno dell’ascensore.
 
Scesero verso il basso, nonostante teoricamente non esistessero piani inferiori. Quando le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo, Rumlow ne uscì a passo deciso, indossando un’espressione tanto autoritaria quanto intimidatoria. Con un rapido segno della mano gli comunicò di seguirlo. Si ritrovarono all’interno di un ampio locale ospitante un numero considerevole di individui, che volsero quasi all’unisono gli sguardi verso di loro.
Steve li vide fare dei cenni con la testa rivolti a Rumlow e cercò di ignorare le occhiate poco rassicuranti che invece bersagliarono lui. La sua presenza lì non era affatto gradita e non si sforzarono a nasconderlo.
C’erano diversi computer portatili poggiati su tavoli metallici, disposti disordinatamente nello stanzone. Cavi di prolunghe serpeggiavano sul pavimento. Su qualche tavolo libero c’erano resti di pasti consumati al volo e il Capitano notò anche delle carte da poker e una coppia di dati. Borsoni, coperte e sacchi a pelo erano ammassati vicino le pareti, in compagnia di armi, stivali, giubbotti antiproiettile e casse d’acqua.
Era evidente che non si trovavano in una base operativa adeguatamente attrezzata. Quello doveva essere più una specie nascondiglio sicuro di cui Lewis non era a conoscenza – non ancora. Diametralmente opposta all’ascensore c’era una porta dalle ante di vetro che dava su un corridoio poco illuminato.
Rumlow arrestò il passo in prossimità di uno dei tavoli, fra due uomini che sedevano su sgabelli scricchiolanti posti davanti lo schermo di un PC, il quale riportava una mappa satellitare costellata di numerosi puntini di diversi colori, alcuni lampeggianti e in movimento.
 
“Novità?” domandò Brock, mentre fissava la mappa con attenzione.
 
“Stanno rientrando” rispose uno dei due, un tipo dal baffo arricciato e il capo rasato.
 
“Steve Rogers. Ne è passato di tempo.”
 
Rogers voltò il capo in direzione della porta a vetri e Rumlow fece lo stesso. Kristen Myers stava venendo verso di loro con in viso un sorriso a mezza bocca e un vivace scintillio negli occhi verdi. Una camicetta bianca senza maniche era infilata con precisione in un paio di jeans chiari e aderenti che facevano risaltare le curve degne di nota. I capelli nerissimi erano raccolti in un’alta coda di cavallo. La donna dedicò al super soldato una lunga occhiata che tradì apprensione.
 
“Myers” ricambiò Steve, incerto sul come porsi nei suoi confronti “Sei rimasta con l’Hydra alla fine?” non fu capace di nascondere del tutto la delusione.
 
Kristen si riscosse e distolse lo sguardo dal livore sparso sul viso pallido del biondo.
“Non è andata così” si sentì in dovere di giustificarsi lei “Sono sulla lista nera di Adam Lewis anche io” l’espressione rivelò ansia e incertezza “Tu non hai una bella cera invece” e stavolta gli occhi della donna si posarono su Brock, piazzatosi nel frattempo alle spalle di Rogers.
 
“Non è come sembra e non importunarlo troppo, Myers.”
 
“Giusto. Quello è compito tuo” fu la frecciatina che Kristen rilanciò indietro e l’interessato la guardò male.
 
L’attenzione generale si spostò di nuovo verso l’ascensore.
 
“Consideratevi morti! Tutti voi, schifosi figli di puttana!”
Henry Benson fece il suo ingresso nella sala, accompagnato da due uomini che lo tenevano per le braccia.
 
“Sembra parecchio arrabbiato” constatò la Myers e c’era palese soddisfazione in ogni parola.
 
Nel momento in cui Henry si fece più vicino e vide Rogers al fianco di Rumlow, la rabbia cedette il passo all’incredulità.
Tu. Tu non dovresti essere qui.”
L’uomo fu trascinato via a forza, oltre la porta a vetri, e le sue numerose ingiurie si allontanarono con lui.
 
Steve sentì l’agitazione montare. Se Benson era lì…
“Quando lo avete preso?” si era rivolto direttamente a Rumlow.
 
“Non importa. Importa che abbiamo tolto a Lewis il suo contatto al Governo e che lo useremo per ricavare informazioni.”
 
Rogers fece per insistere, ma la discussione non andò oltre perché dall’ascensore arrivò un altro gruppo formato da quattro persone, alla cui testa era presente un noto individuo. Il suddetto individuo ci mise mezzo secondo a ricambiare lo sguardo che il Capitano gli rivolse da lontano.
 
“Non credo che servano presentazioni.” Rumlow non si sbagliava.
 
“Rogers” esordì il noto individuo quando fu abbastanza vicino e si fermò ad un paio di passi di distanza da Brock che, dal canto suo, mantenne salda una facciata imperscrutabile.
 
“Batroc.”
Rogers fronteggiò il vecchio nemico e la tensione si fece palpabile.
 
“Di questo non ero stato messo al corrente. Ti avrei chiesto un compenso maggiore altrimenti, Rumlow” fu l’immediata contestazione del mercenario.
 
“Vuoi liberarti di Lewis quanto noi perciò risparmiami la predica.” Brock non era in vena di intavolare discussioni.
 
“Lewis si è fatto parecchi nemici.” La riflessione del Capitano non passò inosservata.
 
“È complicato fare affari in un mercato dove girano quelli come te, Rogers. Era già diventato più complicato quando ti sei unito allo SHIELD.”
Batroc fece un ulteriore passo in avanti. Dedicò al super soldato un ghigno saccente accompagnato da un’occhiata tagliente. Rogers ricambiò l’occhiata con una altrettanto pungente.
 
Fu allora che Brock si frappose fra loro, per scongiurare la possibilità che passassero ai pugni.
“Niente cazzate o giuro che faccio fuori entrambi. Batroc, va’ a prepararti.”
 
Nonostante l’esitazione, il mercenario obbedì e si tolse di mezzo. La tensione fu restia a sciogliersi, almeno finché l’attenzione non fu deviata altrove.
 
“Capo, questo devi vederlo” si intromise l’uomo dai baffi arricciati, indicando lo schermo del computer.
 
Rumlow si avvicinò e Rogers fece lo stesso. Altri individui si accalcarono lì vicino per capire di cosa si trattasse. Era un servizio in diretta, più precisamente delle riprese fatte da un elicottero. Furono sufficienti le prime immagini a provocare la pelle d’oca a chiunque stesse guardando.
 
Pochi minuti dopo, Brock si azzardò a rompere l’atmosfera di sgomento generale.
 
“Cazzo. Questo deve essere un fottuto…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“…scherzo. Non può essere vero.”
 
Sam non riusciva a credere ai propri occhi. Se c’era la possibilità che quello fosse uno degli esperimenti riusciti di Adam Lewis, allora potevano considerarsi nei guai, guai seri. Tuttavia, anche un membro della loro squadra attualmente presente sulla Terra avrebbe potuto provocare un disastro di tali proporzioni. Se questo fosse stato il caso, allora sorgevano altre due importanti domande. Cosa – o chi – l’avesse spinta a tanto e…
“Bucky, non avevi detto che Anthea era andata a parlare con Benson? A quest’ora non dovrebbe essere tornata?”
 
“Potrebbe essersi spinta oltre” suggerì Bruce e sistemò gli occhiali sul naso, sospirando stancamente.
 
“Provo a mettermi in contatto con lei.” Sam aveva già il cellulare alla mano.
 
“È inutile. Ci ho già provato io e il localizzatore d’emergenza non dà segni di vita” li informò Tony, seduto sul bracciolo del divano. Gli occhiali da sole inforcati sulla testa avevano spostato indietro i capelli, rendendo più visibili i tratti tirati del viso. Vicino ai suoi piedi giaceva lo scudo in vibrano.
 
“Anche lei ha un localizzatore d’emergenza?” Bucky si rivolse a Tony, che annuì senza aggiungere altro.
 
“Abbiamo dei localizzatori d’emergenza?” fu la legittima domanda di Bruce.
 
“A quanto pare sì.”
Barnes incrociò le braccia al petto e cedette all’esigenza di muoversi. Aveva ancora addosso la sensazione di gelo e la mancanza di progressi lo stava logorando. Camminò per la Sala Comune, avanti e indietro, mentre il televisore continuava a trasmettere le immagini di devastazione provenienti da Vancouver.
 
Due Avengers dispersi – se vivi o morti non era dato saperlo – e nessuna idea di dove cominciare a cercare. In realtà un punto di partenza per almeno uno dei due esisteva.
 
“Vado lì. Devo capire cosa è successo.”
L’incontestabile fermezza di Stark non fece sorgere contestazioni. Mentre si muoveva verso la terrazza, l’armatura iniziò a prendere forma sul suo corpo.
Il silenzio che accompagnò la partenza di Iron Man fu il segno che non esistevano migliori strade da seguire al momento.
 
 
 
Mentre sfrecciava nel cielo, Tony vide comparire davanti agli occhi l’immagine del viso di Natasha. La rossa lo stava chiamando e non ne era sorpreso. Per un attimo ponderò l’idea di lasciarla all’oscuro, ma capì subito che non sarebbe stata la cosa giusta da fare e che lei non gliel’avrebbe perdonata. Accettò la chiamata e la voce poco ferma della donna risuonò cristallina all’interno dell’elmetto.
 
“Cosa diavolo sta succedendo, Tony? E non azzardarti ad indorare la pillola.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il battito cardiaco gli stava rimbombando nelle orecchie, accelerato dalle immagini di devastazione che scorrevano sullo schermo. C’era stato in quel posto, anni prima. Le fiamme avevano divorato ogni cosa e poi si erano dissolte senza alcun intervento esterno. Un evento innaturale.
Cercare di mantenere la calma stava diventando un’impresa sempre più ardua. Percepiva fin troppi sguardi addosso e aveva l’impressione che fossero in attesa di vederlo cadere preda di un esaurimento nervoso. Probabilmente l’aver stritolato fra le dita il bordo del tavolo metallico su cui si era appoggiato non era passato inosservato. Cosa avrebbe dovuto fare adesso? Non poteva tornare indietro e non era più certo che andare avanti nella direzione imboccata fosse la soluzione. Aveva bisogno di sapere cosa era accaduto. Aveva bisogno di sapere se
 
 
“Quella strega è spaventosa.”
 
 
Rumlow fulminò con lo sguardo l’uomo dai baffi arricciati, che realizzò di aver parlato troppo.
 
Seguì un silenzio denso e soffocante.
 
Rogers lasciò andare il tavolo e si raddrizzò con una lentezza quasi frustrante. I dorsali tesi divennero visibili sotto il tessuto della maglia. Staccò gli occhi dalle immagini del disastro di Vancouver e si volse per fronteggiare direttamente Rumlow.
“Cosa sai? Parla” pretese e i tratti del viso si tramutarono in una maschera di fredda intimidazione.
 
“Non adesso” cercò di imporsi Rumlow, intenzionato a riacquistare il controllo della situazione.
 
“Parla” ripeté Rogers, incurante dell’avvicinarsi cauto di individui armati presenti nella sala.
 
“Rogers...”
 
“Non te lo chiederò di nuovo, Rumlow.”
Non aveva l’uniforme da Capitan America e non aveva lo scudo. Era disarmato. L’aspetto malconcio e sciupato non gli rendeva giustizia e avrebbe dovuto renderlo meno temibile. Eppure, in quel momento, Steve Rogers era terrificante. Il solo timbro vocale era stato in grado di provocare brividi in coloro che si erano azzardati ad accorciare troppo le distanze.
 
Rumlow lanciò occhiate penetranti in direzione dei suoi colleghi. “Manteniamo la calma. Non c’è bisogno di spargere sangue” disse, prima di tornare a dedicare la completa attenzione al super soldato. Cedette.
“Stavamo tenendo sotto controllo Benson da un po’ e ieri sera la vostra strega...”
 
“Non chiamarla così” lo interruppe Rogers e l’assottigliarsi dello sguardo fu un avvertimento impossibile da ignorare.
 
Rumlow sollevò entrambe le mani, mostrando i palmi. “La vostra collega si è presentata da lui e in qualche modo che davvero non comprendo ha ottenuto un incontro con Lewis.”
 
“L’avete seguita?” la voce di Rogers aveva perduto parte della durezza.
 
Brock scosse il capo. “Contavamo sul fatto che lei riuscisse a fare a pezzi quel fottuto bastardo. Se ci fossimo intromessi, avremmo rischiato mandare a monte l’incontro.”
 
“Sai come è andata allora?”
 
“Sappiamo solo che Lewis è vivo. Ha provato a mettersi in contattato con Benson un paio di ore fa.”
 
La mascella di Rogers guizzò con uno scatto secco. Iniziava a mancargli il fiato e gli era salita la nausea. Doveva aggrapparsi a qualsiasi cosa gli permettesse di mantenere la calma e la concentrazione che gli erano necessarie per gestire la nuova situazione. Qualsiasi cosa…
 
“Qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa ti diranno, non smettere di credere in me. La realtà potrebbe incasinarsi da ora in avanti.”
 
Doveva crederle.
 
“Ci sono ancora tante cose che voglio fare perciò non ho nessuna intenzione di mandare tutto in fumo.”
 
Doveva fidarsi di lei.
 
Il Capitano regolarizzò il respiro e l’ombra di un rassegnato sorriso gli ammorbidì i tratti del viso pallido.
“Mi hai detto che possiamo arrivare a Lewis. Cosa stiamo aspettando ancora?”
 
Rumlow si rilassò a sua volta nel vederlo recuperare fredda calma. “Tu sai cosa potrebbe essere accaduto laggiù?”
 
“Vorrei saperlo, credimi. Che mi dici di Benson?”
 
“Ho intenzione di farci una chiacchierata più tardi, ma adesso dobbiamo andare.”
 
“Dove?” Rogers esternò una certa sorpresa, preso in contropiede.
 
“Raggiungi l’ascensore e aspettami lì” ordinò Rumlow e il super soldato stavolta eseguì senza protestare.
“Nessuno parli con Benson, me ne occuperò io. E tenente d’occhio gli spostamenti degli Avengers” furono invece le direttive che diede ai colleghi.
 
“Aspetta, Brock” lo richiamò Kristen “Dovresti permettergli di recuperare ancora un po’. Non mi sembra in grado di…”
 
“Non abbiamo tempo. Ce la farà.” Rumlow troncò qualsiasi altra protesta sul nascere. Dedicò un’ultima occhiata penetrante alla Mayers e raggiunse Rogers.
 
 
 
La tappa successiva fu il parcheggio sotterraneo, dove Batroc stava aspettando il loro arrivo appoggiato ad un’auto, con le braccia incrociate al petto. Il mercenario si posizionò alla guida dell’auto e Rumlow prese posto al suo fianco, mentre Rogers si sistemò sui sedili posteriori, dietro il sedile del guidatore.
Il Capitano osservò distrattamente i segni attorno al polso sinistro, ancora evidenti – parevano marchiati a fuoco. Decise di spingere ogni emozione scomoda e ogni pensiero sibilante in un angolo angusto del cervello. Erano sempre stati consapevoli che per risolvere il problema Lewis in maniera definitiva, avrebbero dovuto superare di parecchie spanne i limiti di sicurezza e di buonsenso.
Steve sollevò gli occhi e incontrò quelli di Brock riflessi nello specchietto retrovisore. Capiva la reticenza del suo ex supervisore a convincersi del tutto che lui non si sarebbe lanciato in azioni che avrebbero mandato a monte i piani, considerate le esperienze pregresse. L’equilibrio che stava facendo funzionare quel rapporto era sottile e non aveva fondamenta. L’obiettivo comune di voler fermare Lewis era l’unica e sola ragione che rendeva possibile la reciproca sopportazione.
 
“Questa è tua.”
Brock gli passò una valigetta di metallo nero. Rogers la poggiò sulle gambe e la aprì.
“Pearce aveva un piano per te. Perché credi non ti abbia fatto fuori prima? E di occasioni ne abbiamo avute. Comunque alla fine non sei risultato idoneo. Su quell’ascensore ti abbiamo dato l’ultima chance, ma ti sei dimostrato alquanto reticente.”
 
“Lo sono anche adesso” il super soldato faticò a staccare gli occhi dal contenuto della valigetta. Si era aperto un fastidioso vuoto nello stomaco.
 
“È fatta su misura per te. Ti tornerà utile e servirà a rendere tutto più convincente. Dovrai fare esattamente quello che ti dirò di fare.”
 
“Fin dove vuoi spingerti?”
Steve chiuse la valigetta e la fece scivolare sul sedile al suo fianco. Fin dove volesse spingersi Rumlow era solo parte del problema. L’altra parte, arrivati a quel punto, riguardava fin dove sarebbe stato in grado di spingersi lui.
 
“Fin dove sarà necessario. Se ti è d’aiuto, pensa che il tuo amico non ha avuto la possibilità di dire la sua.”
 
“Attento, Rumlow” lo avvertì Rogers, il tono fattosi improvvisamente glaciale.
 
“Non vorrei essere nei tuoi panni quando questa assurda collaborazione giungerà alla fine, Rumlow” si intromise Batroc.
 
Oh non preoccuparti. Gli ho fatto di peggio e sono ancora vivo.”
 
Al mercenario sfuggì uno sbuffo divertito e Rumlow ghignò in modo decisamente insolente.
Steve annegò i bollenti spiriti nella rassegnazione e fece collidere la tempia contro il finestrino. Brock doveva ringraziare il fatto che era abbastanza disperato da non permettere all’orgoglio di spingerlo a regolare i conti nell’immediato. Pensò a Bucky. Il suo migliore amico aveva attraversato l’inferno senza possibilità di scelta, soffocato dai tentacoli gelidi dell’Hydra e anelando ad una libertà inarrivabile. Se Bucky era riuscito a sopravvivere a quell’inferno per decenni, lui avrebbe potuto abbassare la testa e lasciare che lo controllassero temporaneamente. Aveva scelto lui quella strada, non era stato costretto da una pistola puntata alla testa – più o meno – o da un lavaggio del cervello in grado di annichilire la volontà.
 
Rumlow si voltò indietro, sporgendosi attraverso lo spazio fra i due sedili anteriori.
“Lewis ha diversi grossi finanziatori. Oggi alcuni di loro si incontreranno per accordarsi sui diritti di possesso della merce che lui può fornirgli e noi andremo a rovinare i programmi.”
 
“Così non metteremo Lewis sulla difensiva?”
 
“Quell’uomo è sempre sulla difensiva, Rogers. Ma se gli tagliamo gli appoggi, lo costringeremo ad esporsi. E se si espone, avremo la nostra possibilità di farlo fuori.”
 
“Sono mesi che miniamo le sue basi e non si è mai esposto” obiettò Steve.
 
“Avete minato le basi sbagliate” controbatté Rumlow.
 
“Cosa ti fa credere che tu non stia commettendo il nostro stesso errore?”
 
“Perché Lewis ha utilizzato le risorse dell’Hydra finché non è riuscito ad accaparrarsi nuovi finanziatori. Usando le risorse dell’Hydra, mi ha fornito un modo per capire cosa stesse facendo e come si stesse muovendo. Inoltre, era troppo concentrato su di te per prestare attenzione anche a me.”
 
“Perché non lo hai scovato in tutti questi mesi?”
 
“All’inizio non era un mio problema. Mi sono limitato a tenerlo d’occhio. Poi lui è venuto a scovare noi e la cosa mi ha fatto incazzare.” Rumlow puntò l’indice destro contro il super soldato. “Tu e i tuoi compagni siete controllati e qui non si tratta di assaltare una base con la forza. Lewis sparirebbe prima che tu abbia la possibilità di arrivare sul posto. Dovrà essere lui ad invitarci o a venire da noi e a quel punto pianterò un proiettile nel suo fottuto cervello.”
 
“Quindi dobbiamo dargli delle buone ragioni per esporsi” riassunse il Capitano e si ritrovò d’accordo con il ragionamento del temporaneo alleato.
 
“Questo è uno dei motivi per cui sei qui.”
 
Un pensiero attraversò il groviglio nebuloso che aveva assediato la testa del super soldato. Rumlow poteva non avere intenzione di riportalo indietro vivo. Tuttavia, se c’era anche la più esile possibilità di mettere fine a tutto quanto, Rogers aveva il dovere di afferrarla, qualunque fosse stato il prezzo da pagare.
 
“Rogers.”
 
Steve rivolse di nuovo la sua attenzione a Brock.
 
“Hai appena terminato il numero di domande a tua disposizione.”
 
“Non mi avevi dato un numero.”
 
“L’ho fatto ora.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Canada, Vancouver
 
 
Non poteva sbagliarsi. Erano proprio loro. Le protezioni opache che avrebbero dovuto proteggerla e aiutarla negli scontri. Spuntavano dalla cenere, l’unica cosa rimasta nel raggio di centinaia di metri. Nel mezzo dell’area devastata si era aperta una voragine e Tony si trovava al suo interno, circondato dai resti di una vecchia base dismessa. Perfino parte del cemento armato era stato polverizzato.
Le correnti d’aria sollevavano la cenere, la guidavano lungo traiettorie ascendenti e spiraleggianti e poi questa ricadeva a terra come neve ingrigita. L’atterraggio di War Machine a pochi metri di distanza ne sollevò altra, la quale vorticò in un moto turbolento.
C’era ancora fumo, fantasmi grigi che si aggiravano in quel posto su cui aleggiava il nero velo della morte. Sarebbe stato impossibile respirare, perché le polveri sottili presenti nell’aria avrebbero fatto collassare i polmoni.
 
“Deduco che non fosse parte del piano” esordì Rhodey.
 
“A quanto pare non lo era, o almeno nessuno di noi ne era a conoscenza” puntualizzò Stark.
I due idioti attualmente mancanti avevano avuto la faccia tosta di architettare qualcosa all’insaputa di tutti loro. Tuttavia, Tony aveva la certezza che niente di quello che era accaduto nelle ultime ore fosse stato previsto. La situazione era ufficialmente sfuggita loro di mano, o meglio, era esplosa incenerendo il precario equilibrio. La miccia della carica esplosiva era stata innescata alla fine.
 
“Cosa pensi sia successo?” gli domandò Rhodey e la nota esitante pervase la voce metallica.
 
Iron Man piantò il ginocchio destro a terra e si chinò in avanti “Non lo so, ma mi rifiuto di credere che questo sia tutto ciò che rimane di lei” raccolse un pugno di cenere e la osservò scivolare via dal palmo di metallo.
 
“Sarebbe un’informazione riservata, ma devi sapere che Benson è scomparso.”
 
“Spero sia un buon segno” Stark tornò in piedi “Riporterò tutti alla Tower. Compresi Clint e Natasha. Considerata la situazione, meglio non correre altri rischi.”
 
“Ti avviserò per tempo se Ross deciderà di spedirvi contro l’esercito, ma sembra che al momento lo abbia mobilitato per le ricerche. In ogni caso, cautela, Tony.”
 
“Grazie, Rhodey. Fa’ attenzione anche tu.”
 
Quando Rhodes superò la cortina di fumo e polveri, sparendovi oltre, Tony si guardò intorno un’ultima volta e poi prese quota. Non appena uscito dalla voragine, qualcosa lo costrinse a fermarsi a mezz’aria. Osservò il deserto di cenere con maggiore attenzione, ricorrendo a tutta la risoluzione concessa dal visore dell’armatura. Fu come assemblare alcuni pezzi di un puzzle rovinato e sbiadito. Non tutto era perfettamente chiaro, però lo era abbastanza per grattare via una parte del mistero che avvolgeva gli ultimi eventi.
 
“Cos’hai combinato folle ragazza incosciente?” chiese ad alta voce, come se sperasse di ricevere una risposta.
 
La risposta non arrivò e Iron Man si lasciò alle spalle quella grigia devastazione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Ti dona.”
 
Rumlow ghignò compiaciuto, ma Steve non gli diede la soddisfazione di mostrarsi irritato e si limitò ad agganciare la cintura nera attorno ai fianchi stretti.
La fattura e il modello non si distaccavano molto dalla stealth suite che lo SHIELD aveva prodotto appositamente per lui. Questa uniforme però era di un denso nero pece, inframmezzato da strisce rosse simili a graffi sottili che ricalcavano i muscoli intercostali. Al centro del petto era stata preservata l’iconica stella, ma il rosso aveva sostituito l’argento. Sulla spalla destra era stato impresso lo stemma vermiglio dell’Hydra, di ridotte dimensioni ma non così ridotte da non essere visibile. I guanti grigio scuro lasciavano scoperte le dita ed erano rinforzati sulle nocche. Nere erano le cinghie in cuoio opaco che si avvolgevano attorno le spalle e il torace. Le stringhe degli stivali, anch’essi neri, erano invece di un rosso più scuro.
 
“Qual è il piano?” gli occhi del super soldato erano adesso puntati su uno degli schermi all’interno del jet. Stavano proiettando immagini della planimetria di una lussuosa villa.
 
“C’è una buona probabilità che i finanziatori siano accompagnati da potenziati, ma non sappiamo molto altro. Sarà un salto nel buio.” Brock indicò la sala principale, dove si stava tenendo l’incontro. “Dobbiamo arrivare qui ed evitare che chiamino rinforzi mentre prendiamo il controllo.”
 
“Spianerò la strada. Una volta avuta la loro attenzione, potrete passare dall’ingresso principale.”
 
Rumlow non riuscì a sopprimere il noto brivido di eccitazione. L’avevano fatto innumerevoli volte prima che l’Hydra riemergesse dall’ombra.
“Ricorda quello che abbiamo concordato. E occhio ai proiettili. Sei senza scudo” volle comunque sottolineare e ricevette indietro un cenno di assenso.
 
“Se scendessimo di più, saremmo troppo visibili” avvisò uno dei soldati dell’Hydra.
 
“Non ce n’è bisogno. Sto andando.” Rogers si avvicinò al portellone in fase di apertura.
 
“Aspetta” lo richiamò Brock “un’ultima cosa.”
Lo raggiunse con un paio di ampie falcate e, senza chiedergli il permesso, posizionò sul suo viso una mezza maschera, identica a quella utilizzata dal Soldato d’Inverno.
“Soffoca inutili sentimenti e lasciati usare.”
Gli sollevò meglio il colletto della nuova uniforme, in modo da coprire le bende attorno la gola. Rimosse infine la garza adesiva dalla fronte e passò il pollice sul taglio divenuto una sottile linea rossa. “Quel fottuto siero fa miracoli.”
 
Dopo qualche istante di teso silenzio, Rogers riprese a muoversi e Rumlow lo seguì con lo sguardo. La maschera rendeva difficile decifrare la sua espressione, ma negli occhi c’era quella scintilla pericolosa che Brock conosceva bene – fin troppo bene.
 
“Ci vediamo giù, Cap.”
 
Rogers si lanciò dal jet come se lo facesse ogni giorno appena sveglio al mattino. Il lucernario si frantumò sotto il suo stesso peso in caduta libera e cercò di ammortizzare il colpo sulle ginocchia eseguendo una capriola che lo portò a pochi passi da un lungo tavolo, occupato da diverse persone. Riuscì appena a scorgerne le espressioni colme di sgomento, poi fu costretto a muoversi il più velocemente possibile. Spostandosi, fece attenzione a porsi in linea con quelli che dovevano essere i finanziatori, in modo da evitare che gli sparassero da tutte le direzioni. Difatti, poco dopo i nemici presero a convergere verso di lui per non rischiare di uccidere i loro datori di lavoro.
Steve rimase concentrato e nemmeno l’adrenalina riuscì ad intaccare il battito regolare del cuore. Disarmò e rese inoffensivo chiunque gli si parasse davanti. Sentì a malapena i proiettili aprire sottili squarci nel tessuto nero dell’uniforme e nella pelle sottostante. Fra i nemici che tentarono di fermarlo, riconobbe l’ormai nota forza di potenziati, ma il biondo non fece una piega.
Lo scorrere del tempo si deformò fino a divenire confuso, non interpretabile, tanto che non avrebbe saputo dire quanti minuti o ore passarono prima che un click di un grilletto risuonasse in prossimità dell’orecchio destro. Seguì uno sparo. Steve si girò verso l’ingresso della grande sala dal design moderno. Brock gli dedicò un cenno del capo e mimò con le labbra un “non c’è di che”.
Rumlow e i suoi presero in custodia i finanziatori, mentre i mercenari guidati da Batroc si accertavano che nessun nemico potesse rialzarsi, freddandoli con un proiettile alla testa senza troppi complimenti. Non fu un bello spettacolo e l’esigenza di intervenire fu soffocata dal “Muoviti e ti unirai a loro” sibilato da Brock nell’auricolare.
Ora Steve lo riconosceva ed era proprio ciò che si aspettava da lui. Rimase immobile dov’era, ad osservarlo gestire la situazione. Brock costrinse i cinque finanziatori – gli unici lasciati in vita assieme ai loro dipendenti – a prendere di nuovo posto attorno al tavolo. Erano due donne e tre uomini.
Steve fissò lo sguardo sul grigio pavimento lucido e qualcosa dentro di lui iniziò a muoversi, a mordere, a contorcersi e scalciare.
 
“Sono certo che voi tutti sappiate cosa voglio. Tuttavia, per evitare malintesi, ve lo dirò chiaramente. Voglio sapere dove si nasconde Adam Lewis.”
 
Rumlow si stava muovendo all’interno della stanza, girava attorno al tavolo alla stregua di un paziente predatore. La muscolatura delle spalle e della schiena era rilassata sotto il fine tessuto della maglia nera. La mandibola spigolosa, coperta da uno strato di barba rasa, rendeva la sua espressione temibile senza che dovesse sforzarsi troppo.
 
“Soldato.”
 
La sua voce graffiante frantumò il silenzio maledettamente scomodo e costrinse Rogers a sollevare lo sguardo.
 
“Raggiungimi.”
 
Rumlow sudò freddo per una frazione di secondo, ma Rogers non lo deluse. Fu perfetto. Dannatamente perfetto. Nessuna esitazione, nessun sussulto, nessuna scintilla sovversiva nelle placide iridi azzurre. Fece ciò che gli era stato ordinato di fare con la stessa scioltezza che mostrava in combattimento.
 
“Avete appena avuto la prova di quanto siano scadenti i prodotti di Lewis. Non credo che abbiate fatto un buon affare.”
 
“E tu con chi hai fatto affari?” osò chiedere uno dei finanziatori, indicando Rogers.
 
“Non lo riconosce? Solitamente se ne va in giro con uno scudo.”
 
“Quello è Captain America?” si intromise una delle due donne, fasciata da un tailleur color panna.
 
“In persona” confermò Rumlow.
 
“Come...”
 
“Ho le giuste risorse” Brock poggiò il palmo della mano destra al centro della schiena di Rogers “Lewis non ha idea di come si possa stabilizzare il siero. Si sta aggrappando a formule esistenti ed è lontano dal risultato ottenuto mesi fa. Io invece ho la materia prima e la mente giusta per raggiungere grandi risultati.”
Percepì i dorsali di Steve tendersi sotto i polpastrelli, ma non se ne preoccupò.
 
“La tua mente è Kristen Myers?” domandò uno degli uomini.
 
“C’è un motivo per cui Lewis la sta cercando o non ne siete al corrente?” li istigò Brock.
 
“Sappiamo che la donna in questione gli ha sottratto informazioni utili a migliorare il siero” fu la risposta che ottenne.
 
“È così che vi ha detto? Furbo da parte sua.”
 
“Ci stai proponendo di passare dalla tua parte?” chiese allora la stessa donna che aveva parlato prima “L’Hydra non ha avuto molto successo negli ultimi anni” aggiunse infine.
 
“Ho eliminato la causa dei fallimenti. Prima che lui arrivasse, l’Hydra controllava il corso degli eventi.” Rumlow fece un cenno del capo in direzione di Rogers.
 
“Questo è vero. Ma sei consapevole che avrai gli Avengers alle calcagna?”
 
“Lewis ha già gli Avengers alle calcagna.”
 
La donna indicò Rogers. “Ma questo è diverso. Hai almeno la certezza che la sua obbedienza sia totale?”
 
Bastò un cenno del capo da parte di Rumlow e uno scoppio rimbombò nella sala. La donna cadde stesa sul pavimento, morta. Schizzi di sangue avevano decorato il candido tessuto del tailleur. Batroc rinfoderò l’arma ancora calda.
 
“Oggi sono a corto di pazienza. Allora, quali erano i piani per questo incontro?” la freddezza di Brock fu una minaccia convincente.
 
“Discutere di soldi. Non sappiamo dov’è Lewis. È sempre lui a venire da noi, mai il contrario. Ed è sempre lui a contattarci.”
 
In quell’esatto momento, il telefono dell’uomo che si era fatto carico di rispondere prese a vibrare contro la superficie del tavolo. Rumlow rimase impassibile, nonostante avesse la certezza di aver fatto centro con tutti quei discorsi costruiti ad hoc. Non aveva intenzione di infilarsi in quegli affari, ma Lewis doveva pensare che lo volesse. E a quanto pareva, aveva funzionato.
“Rispondi al telefono” ordinò e l’uomo non se lo fece ripetere, terrorizzato dalla possibilità di fare la fine della donna che fino a poco prima era seduta al suo fianco. “È per te” disse subito dopo e tese il cellulare a Rumlow.
 
“Pensavo ti fossi ritirato, Rumlow.”
 
Adam Lewis aveva abboccato e adesso avevano la prova che il bastardo era vivo e vegeto.
 
“Non volevo chiudere la mia carriera con una sconfitta.”
 
“Ammetto che sono alquanto stupito. Però sai che non puoi vincere contro di me. Hai delle cose che voglio e sono disposto a contrattare invece che ucciderti.”
 
“Contrattiamo allora.”
 
“Myers. Rogers. E che non tocchi i miei finanziatori. Dammi queste tre cose e avrai un posto di comando nella mia nascente società.”
 
Rumlow rise e spostò lo sguardo in modo da poter incontrare quello di Rogers, ancora fermo al suo fianco. Sapeva che il biondo riusciva a sentire con quel suo udito da super soldato e la tensione crescente che proveniva da lui ne era la dimostrazione. Negli occhi azzurri c’era un bagliore intimidatorio che aveva incrinato la maschera da soldato obbediente. Fortunatamente fu l’unico a notarlo.
 
“Il fatto che tu abbia la certezza di poter imporre le regole mi fa capire che non hai idea delle risorse che ho a disposizione.”
Brock fece scivolare la mano dalla schiena di Steve alla propria cintura. Estrasse la pistola e, senza la minima esitazione, piantò un proiettile nella testa del proprietario del cellulare. Stavolta l’azione violenta suscitò grida di terrore, anche da parte delle altre possibili prossime vittime. Un ragazzo la cui camicia era chiazzata di sudore si mise le mani fra i capelli e si accovacciò sulle ginocchia. Allora una donna dai capelli ingrigiti dal tempo si chinò per poterlo stringere in un abbraccio consolatorio, seppure anch’essa fosse spaventata.
 
“Credo che tu già lo sappia, ma ho Benson. Ti faceva comodo un contatto in alto, dico bene? Mi dispiace comunicarti che dovrai trovarne un altro.”
 
“Ti stai scavando la fossa con le tue stesse mani, Rumlow. Hai visto cosa è accaduto a Vancouver?”
 
Intimidazione davvero niente male ma inefficace, data la fitta nebbia che avvolgeva i fatti accaduti in territorio canadese. L’ex agente dello SHIELD infatti non vi diede alcun peso e proseguì dritto per la sua strada.
“Non prenderti meriti che non hai, Lewis.”
 
“Tu cosa ne sai?”
 
“Se vuoi ottenere qualcosa da me, dovrai scoprire le tue carte. Non faccio affari con chi si nasconde” Brock pronunciò una serie di cifre, scandendole lentamente. “Contattami a questo numero se avrai il coraggio di metterci la faccia” chiuse la telefonata e distrusse il telefono.
 
“Bene. Il lavoro qui è finito. Possiamo andare.”
Rumlow fece a Rogers segno di seguirlo e uscirono dalla grande sala, preceduti da altri quattro soldati dell’Hydra. Batroc e i suoi mercenari non si unirono a loro.
 
Dopo qualche attimo, il rumore assordante di spari si mischiò a quello atroce di grida di terrore. Steve bloccò il passo e si girò indietro. L’istinto di intervenire per fermare quel massacro lo aggredì violentemente. Le dita di Rumlow si chiusero sul suo gomito e lo strattonarono con decisione.
 
“Per loro è tardi. Muoviti o saranno morti invano.”
 
Steve esitò. Non poteva accettare quel modus operandi. Trovare Lewis aveva la massima priorità, ma era giusto spingersi fino a quel punto? Non si trattava più di combattere altri soldati armati e pronti ad ammazzarti a loro volta. Le persone in quella sala non erano di certo innocenti – stavano facendo affari con Lewis dopotutto – però erano disarmate, incapaci di potersi difendere.
Brock approfittò del momento di indecisione del super soldato per farsi più vicino, abbastanza da potergli sussurrare nell’orecchio.
“Il prezzo della libertà è alto. Lo è sempre stato. Ed è un prezzo che io sono disposto a pagare. Sei stato tu a dirlo.”
 
Rumlow attese, paziente e sicuro. Rogers si mosse.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Acqua gelida era sparata contro la nuca, scivolava sulle tempie, lungo il collo e gli infradiciava i capelli. Si scostò dal getto e rivoli d’acqua seguirono i solchi fra le scapole e quello fra i pettorali, rotolarono lungo la colonna vertebrale e carezzarono i muscoli contratti dell’addome scolpito.
Chiuse il rubinetto del lavandino e passò entrambe le mani fra i capelli, spostando indietro il ciuffo. Aveva la nausea e le tempie pulsavano con una costanza opprimente. Sollevò gli occhi sullo specchio di fronte a lui ed eccolo di nuovo lì, il riflesso di un uomo spezzato e ancora succube del passato. Aveva creduto di aver riottenuto il controllo della propria vita. Povero illuso.
Erano bastate delle dannatissime parole per far riemergere l’assassino che l’Hydra aveva plasmato. Era stato ingenuo da parte sua pensare di aver seppellito quella parte di sé, parte che aveva posseduto l’egemonia per più di mezzo secolo.
 
“Buck fermati.”
 
Serrò le palpebre. Poteva ancora vederla, l’espressione sofferente che aveva teso i tratti del viso di Steve. Poteva ancora sentire le sue ossa vibrare ad ogni colpo inferto.
 
“Bucky ti prego torna in te.”
 
Premette le mani sulle orecchie, un inutile gesto disperato che non avrebbe soffocato l’eco di ciò che aveva fatto.
 
“Bucky.”
 
Una voce reale, vicina, spezzò il filo di dolorosi pensieri e lo fece voltare in direzione della porta del bagno. Non si era preoccupato di chiuderla, dato che il suo appartamento alla Tower era deserto. James tentò di ricomporsi dinanzi la faccia preoccupata di Sam Wilson.
“Ci sono novità?” chiese, come se non fosse stato sul punto di andare in pezzi fino ad un secondo prima.
 
“Non sono qui per questo. Sono qui per te” fu la schietta risposta di Sam e risultò quasi smielata, tanto che strappò a Bucky un fievole sorriso.
 
“Mi riprenderò” gli assicurò il moro, mentre gli passava accanto per uscire dal bagno e raggiungere il salotto immerso nella penombra.
 
Sam lo seguì. Non avrebbe mollato la presa.
“Non ho dubbi a riguardo, ma sappi che nel frattempo puoi contare su di me, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno.”
 
Bucky non ebbe la forza di voltarsi per guardare Sam direttamente negli occhi. “Mi dispiace” sussurrò con voce poco ferma “Avevi ragione a non volerti fidare di me.”
 
“Quella fase è passata da parecchio. Mi fido di te e sono pronto a prendere a calci nel culo quei super soldati al tuo fianco.”
 
Stavolta James si girò, mostrandosi in tutta la sua vulnerabilità di fronte ad una persona che non era Steve.
“Sam…io…” mormorò, ma le parole proprio non volevano venire fuori.
 
“Smettila di gocciolare sul pavimento, asciuga i capelli e mettiti una dannata maglietta. Ti aspetto nella Sala Comune. Ci stiamo riorganizzando.”
 
Preso in contropiede dal tono autorevole di Sam, Bucky riuscì solo ad annuire.
 
“E Bucky?” lo richiamò Wilson un’ultima volta prima di lasciare l’appartamento “Andremo davvero a prendere a calci nel culo quei super soldati e ci riprenderemo Steve.”
 
Bucky trovò un saldo appiglio nella sicurezza mostrata da Sam e decise che non era ancora il momento di andare in pezzi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Rumlow si stava muovendo all’interno del jet per assicurarsi che tutto fosse in ordine. Si spinse in fondo al velivolo e trovò Rogers seduto in un angolo, con il capo poggiato sulle braccia incrociate e sistemate sulle ginocchia piegate. A terra, vicino la scarpa destra, giaceva la valigetta contenente l’uniforme dell’Hydra e sopra di essa era poggiata la mezza maschera nera. Erano tornati tutti negli abiti civili.
Per un attimo credette che il biondo avesse abbassato la guardia, ma non appena si fece più vicino non gli sfuggì l’irrigidirsi delle sue spalle. L’istante dopo si ritrovò addosso i suoi occhi azzurri e si accovacciò sulle ginocchia, in modo che i loro sguardi potessero trovarsi alla medesima altezza.
 
“Te la sei cavata bene. Saresti perfetto come braccio armato dell’Hydra e c’è un posto vacante se vorrai...”
 
“Sai che la mia pazienza ha un limite?”
 
Il tono sprezzante del super soldato non fu sufficiente a convincere Brock a levarsi di mezzo.
 
“Era necessario, Steve.”
 
“Non lo era. E risparmiami la recita dell’amico, ci hai perso la mano.”
Steve pressò con maggiore convinzione la schiena contro la parete alle sue spalle e i muscoli del collo divennero visibili, irrigiditi dalla tensione persistente.
 
Rumlow scosse il capo e dedicò al suo adorato biondino poco arrendevole uno sguardo parecchio penetrante, ma rimase rilassato e con la guarda bassa. Aveva sperato che salvargli il culo e offrirgli la possibilità di arrivare a Lewis potessero essere ragioni sufficienti ad ammorbidirlo, a renderlo più propenso a seguirlo senza protestare. Aveva peccato di ottimismo. Tese un braccio, i polpastrelli sfiorarono appena la spalla sinistra del ragazzo prima che il polso finisse intrappolato fra le sue dita. Steve serrò la presa e le ossa scricchiolarono. Fu un breve avvertimento che non ebbe reali conseguenze, se non quella di inspessire il muro fra loro.
 
“Avevo scommesso che avresti mandato tutto a puttane a causa del tuo buonismo.”
Batroc si presentò alle spalle di Rumlow, sfoggiando un ghigno provocatorio e strafottente.
Georges Batroc sarebbe stato una fottuta spina nel fianco, Brock ci avrebbe scommesso la sua stessa fottuta vita. Sfortunatamente, aveva bisogno di lui.
 
Steve tornò in piedi, scostò Rumlow senza dargli la possibilità di mettersi in mezzo e fronteggiò Batroc a viso aperto.
“Sarebbe potuta finire peggio per te su quella nave, quindi ringrazia il mio buonismo.”
 
“Ma non lo hai fatto e hai mandato tutto a puttane anche allora.”
 
Steve strinse i pugni. Avrebbe potuto uccidere Batroc e i suoi mercenari sulla Lemurian Star. Avrebbe potuto uccidere Rumlow e i membri della STRIKE nell’ascensore. Avrebbe potuto uccidere Benson in più di una occasione. Avrebbe potuto uccidere Adam Lewis. Avrebbe potuto uccidere Arnim Zola nel ’45.
Ma non l’aveva fatto. Se lo avesse fatto, quanto dolore e quanta sofferenza avrebbe potuto evitare?
 
“Non struggerti. Mi occuperò io di ciò che tu non riesci a fare.”
Batroc fece per lasciare un pacca sulla spalla di Rogers, che reagì spingendo via il braccio che aveva invaso il suo spazio personale.
 
Per un momento, Rumlow credette che quei due si sarebbero saltati alla gola e questo sarebbe stato un problema non indifferente. Però il super soldato si tirò indietro e diede le spalle al mercenario.
 
“Avresti dovuto portare il Soldato d’Inverno, Rumlow. Ci avrebbe fatto comodo un assassino.”
 
Il fiotto di sangue che fuoriuscì dal naso di Batroc e il suo sedere che finì a terra crearono parecchio scompiglio all’interno del velivolo. I mercenari presenti furono i primi a reagire, armi alla mano e puntate contro Rogers. Le sicure furono rimosse creando un’eco metallica. Gli affiliati dell’Hydra reagirono di conseguenza e la tensione toccò picchi preoccupanti. Anche un respiro più rumoroso del necessario avrebbe potuto fare scoppiare la situazione già fuori controllo.
Batroc si rialzò, tenendo premuto un palmo sul naso ancora sanguinante. Non sembrava arrabbiato. La scintilla negli occhi chiari, fissi in quelli altrettanto chiari di Rogers, trasudava eccitazione. Si lanciò contro il super soldato senza esitazione e lo spinse contro una delle pareti del jet. Il Capitano ribaltò all’istante le posizioni, costringendo il mercenario spalle al muro.
Rumlow, dopo un lungo sospiro e una plateale alzata di occhi al cielo, circondò la vita di Rogers con le braccia e tentò di tirarlo via da Batroc, i cui colleghi mercenari erano noti per avere il grilletto facile.
 
“Giù le armi. Che nessuno si intrometta” berciò Brock, non senza un certo affanno. Tuttavia, fu costretto a ritrattare dopo essersi reso conto che non sarebbe riuscito a smuovere Rogers nemmeno di un maledettissimo passo.
“Non state lì impalati! Datemi una mano!”
 
 
Erano ufficialmente sulla strada che li avrebbe portati ad ammazzarsi a vicenda, togliendo a Adam Lewis l’incombenza di doverci pensare lui.
 
 
 
 
 
 







La tempia destra, coperta da un candido bendaggio, ancora pizzicava e l’occhio destro non aveva ripreso a funzionare come avrebbe dovuto. Era uscito dall’ospedale da qualche ora ed era tornato all’appartamento di Washington. Se fosse stato per lui sarebbe uscito molto prima, ma a quanto pareva non si poteva essere dimessi troppo presto con una emorragia interna – seppure lieve –, un non così grave trauma cranico e un paio di costole incrinate. A detta dei medici, avrebbe dovuto sottoporsi ad un adeguato periodo di riposo ed evitare ogni tipo di sforzo fisico. Come se avesse tempo per riposare.
Salite le scale che portavano alle stanze, si ritrovò a fissare la porta semiaperta della stanza di Steve, come se si aspettasse di vederlo uscire da lì da un momento all’altro.
Ma Steve non c’era, perché non era riuscito ad aiutarlo, non era stato in grado di fermare i nemici, nessuno di loro. La sensazione di impotenza gli era rimasta appiccicata addosso.
 
“Collins.”
 
Sull’uscio del bagno c’era Janet Stewart, avvolta in una grigia vestaglia stropicciata. I capelli raccolti in una coda scomposta mettevano in risalto i punti lungo lo zigomo destro e quelli che tagliavano in diagonale il sopracciglio sullo stesso lato. Non l’aveva mai vista così… trasandata?
 
“Come stai?” le chiese “Bennet?”
 
La donna abbassò lo sguardo sui piedi nudi e tentennò prima di dargli delle risposte.
“Bennet è ancora in ospedale. Se l’è vista brutta, ma ce la farà. Io sto bene” esitò “se ne siamo usciti vivi dobbiamo ringraziare anche te. Scendere è stata la mossa giusta.”
 
“Sono solo stato fortunato” affermò Daniel e istintivamente strinse i pugni, affondando le unghie nei palmi “e comunque non sono riuscito a fare niente.”
 
“Hai fatto tutto ciò che ti era possibile fare” gli rivolse un sorriso sincero, niente sarcasmo o intenti derisori “Ci sono novità sul Capitano Rogers?” incrociò le braccia sotto il seno e tornò a guardarsi i piedi.
In quell’ultimo gesto Daniel ci vide disagio e insicurezza, due aggettivi che non le avrebbe mai accostato prima di allora.
 
“Nessuna.”
 
Janet strinse fra i denti il labbro inferiore. “Non ho detto niente a Ross… di Barnes” confessò quasi con fatica.
 
“Come fai a sapere…”
 
“L’ho sentito parlare con Stark e me lo hai appena confermato.”
 
Dan, suo malgrado, si lasciò sfuggire un sorrisetto rassegnato.
 
“Inoltre” continuò invece lei “Ross ha mentito. Io so cosa quei super soldati hanno portato via dal Raft e gli Avengers dovrebbero essere avvisati il prima possibile.”
 
“Conta pure su di me.”
 
Daniel avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutare. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per porre rimedio alla sconfitta subita.
 
 



 
 
 




 
 
2 luglio 2015
20:44

 
 
Stavano tornando alla base utilizzando diverse auto e diverse strade, coordinandosi per non rientrare tutti nello stesso momento ma a scaglioni. Dovevano evitare di lasciare tracce percorribili e di dare troppo nell’occhio. L’affollato centro commerciale che era stato costruito sulla vecchia base aiutava ad eclissare i loro spostamenti e, inoltre, dava loro la possibilità di avere a disposizione essenziali risorse come cibo e acqua. Una sistemazione fortunata alla fine dei conti e hackerare il sistema di telecamere non era stato complicato. Le uniche pecche erano dover dormire sui pavimenti – o su tavoli sgombri – e la mancanza di privacy nelle docce condivise dell’unica stanza riservata ai servizi igienici che avevano a disposizione. Era stanco di vivere rintanato a quelle scomode condizioni ed era stanco di doversi guardare costantemente le spalle.
 
Adam Lewis andava eliminato.
 
Stava calando il buio. Il tempo sembrava passare più velocemente di quanto riuscisse ad averne consapevolezza. Sollevò lo sguardo sullo specchietto retrovisore, da cui poteva vedere l’addome del suo temporaneo partner oscillare lentamente.
Rumlow aveva dovuto ricorrere ad una manovra di emergenza per sedare le tensioni e le aveva letteralmente sedate. Avrebbe dovuto ringraziare Kristen, ma dirle che aveva tenuto per sé alcune delle sue magiche pozioni create appositamente per trattare potenziati non sarebbe stata una mossa intelligente. A sua discolpa, non aveva avuto scelta. Avrebbe volentieri evitato di gettare nel cesso il beneficio del dubbio che il ragazzo gli aveva concesso. Era necessario che si fidasse abbastanza da volgergli le spalle senza rimanere in allerta, altrimenti tanto valeva chiuderla lì, prima di finire tutti ammazzati.
Dopo che quel traditore di Lewis aveva iniziato a dare loro la caccia, Brock aveva preso in mano le redini della situazione e, senza nemmeno volerlo, si era ritrovato a fare da guida ai membri dell’Hydra ancora latitanti o rimasti nell’ombra fino ad allora. Tuttavia, non era interessato a diventare un leader. In passato, l’Hydra gli aveva dato uno scopo, dei valori per cui combattere e morire, perfino un posto in quel mondo pieno di merda. Adesso voleva estinguere il debito e andare per la sua strada.
 
Odiava essere in debito.

A conti fatti, l’Hydra aveva commesso l’errore di aspettare troppo. Una prima avvisaglia l’avevano avuta con la comparsa di Iron Man. Poi Thor era arrivato sulla Terra e Nick Fury aveva iniziato ad elaborare un’idea che ai tempi era parsa irrealizzabileutopica – e non aveva preoccupato Pearce. L’Hydra quindi non era corsa ai ripari e nemmeno il ritrovamento di Captain America aveva smosso le acque a sufficienza. Errore madornale.
Era stata l’invasione aliena a sconvolgere ogni cosa e il realizzarsi del progetto di Fury aveva fatto venire la strizza a Pearce. Ma poi gli Avengers si erano divisi, Thor era sparito dai radar e Stark era arrivato al punto di distruggere tutte le sue armature. Così l’Hydra aveva smesso di preoccuparsi, aveva accolto Steve Rogers a braccia aperte e aveva davvero creduto di aver avvolto intorno al super soldato abbastanza tentacoli da poterlo soffocare quando e se fosse stato necessario.
 
Quanto si erano sbagliati.

Dopo era tornato Schmidt, ma erano tornati anche gli Avengers, più uniti e più numerosi. E ancora una volta l’Hydra aveva sbagliato il tempismo.
Il bastardo privo di coscienza sui sedili posteriori aveva vinto tre battaglie su tre contro l’Hydra. In quell’esatto momento, Rumlow aveva fra le mani la possibilità di vincere la guerra contro di lui, a nome dell’Hydra stessa. Aveva la possibilità di sdebitarsi. Eppure non era nemmeno tentato. Aveva già deciso mesi prima che avrebbe smesso di provare a ucciderlo, perché non era lui la vera causa delle emozioni scomode che lo stavano corrodendo dall’interno. Rogers era stato un buon pretesto per conservare la motivazione e per continuare a combattere. In fondo, combattere era l’unica cosa che sapeva fare bene.
Gli ideali in cui aveva creduto ciecamente si erano sgretolati assieme all’Hydra. Dopo la morte di Pearce e dopo il dolore che aveva dovuto affrontare per rimanere in vita, si era sentito perso. Era stata Kristen Myers a rimetterlo in piedi, iniettandogli il siero, ed era stata sempre lei a ridargli l’aspetto che aveva prima di finire seppellito sotto il Triskelion. Una specie di seconda occasione.

A proposito di essere seppellito.
 
Lanciò un’altra occhiata allo specchietto retrovisore e accostò l’auto. Avevano ancora una mezz’ora di tempo da attendere prima di poter rientrare alla base. Spense il motore e si rilassò contro il sedile. Stava cominciando ad accusare la stanchezza ed era un male considerando che, se le cose fossero andate secondo quanto pianificato, avrebbero dovuto affrontare ancora parecchi casini sfiancanti. La vibrazione del cellulare infilato nella tasca dei pantaloni lo riscosse. Rispose.
 
“State bene?”
 
“Ti stai preoccupando per il sottoscritto o per il biondino? Mi piacerebbe saperlo prima di darti una risposta.”
 
“Non ti darò alcuna soddisfazione né delusione. Batroc è tornato e credevo foste insieme a lui.”
 
Non poteva vederla, ma era certo che lei stesse sorridendo in modo provocante e malizioso.
 
“Abbiamo avuto qualche problema” le confessò.
 
“Ho un debito e tu mi hai dato la tua parola” era diventata più seria adesso.
 
“Mi sto impegnando a mantenerla. Sta bene.”
 
Ci fu silenzio per alcuni secondi.
 
“Fai attenzione. Dopo oggi Lewis vorrà come minimo la tua testa.”
 
“Vuol dire che adesso ho ben tre cose che lui vuole. Te, Rogers e la mia testa.”
 
“Non fare cazzate” gli rammentò Kristen.
 
“A più tardi, Myers.”
 
Ripose il telefono nella tasca e sospirò. Doveva rimanere concentrato sull’obiettivo e non pensare a niente altro. Non erano permessi errori, né tantomeno esitazioni o sentimentalismo. Si trattava di agire con precisione o di morire atrocemente. Avrebbe volentieri evitato la seconda opzione.
Un gemito sommesso attirò la sua attenzione. Si sporse indietro e riuscì ad avere una buona visuale del volto di Rogers. Si stava riprendendo a quanto pareva.
Doveva ammettere che si era divertito ai tempi assieme al super soldato, tanto che ad un certo punto Rollins gli aveva chiesto se fosse esistita la minima possibilità che si stesse affezionando al ragazzo. Quella possibilità non c’era mai stata – ne era quasi totalmente convinto – ma vederlo crescere professionalmente non gli era dispiaciuto, considerando che in parte fosse suo il merito. Non era però mai riuscito a convincerlo a testare le armi da fuoco o l’arte della tortura fisica e mentale. Potenziale sprecato.
Lo osservò tirarsi su a sedere, il ponte del naso stretto fra pollice e indice della mano destra. Ci avrebbe messo un po’ a riprendersi del tutto e forse questo era un bene, perché Rogers si era reso perfettamente conto di ciò che era accaduto sul jet.
 
“Spero che tu ti sia calmato.”
 
“Altrimenti mi rimetterai a dormire?”
 
Pungente sarcasmo. Stava bene lo stronzetto impertinente.
 
“Non mi hai lasciato molta scelta. Ma permettimi di farti notare che sei perfettamente illeso e non sei legato ad un tavolo.”
 
Riuscì a strappargli un sorriso a mezza bocca, seppur tagliente e molto lontano dall’essere amichevole. Rumlow si sorprese quando Rogers scavalcò per poter occupare il posto anteriore del passeggero.
 
“Hai detto a Lewis che non ha idea delle risorse che possiedi. Non hai risorse, dico bene? Rispondi alla domanda.”
 
Rumlow glielo doveva. Soprattutto dopo avergli piantato nel collo una siringa piena di droga. Forse aveva ancora una chance di recuperare quel beneficio del dubbio che gli serviva.
 
“Quasi tutte le risorse dell’Hydra sono state prosciugate da Lewis e hai visto dove ci stiamo rifugiando. Quindi, siamo ufficialmente a corto di risorse e di soldati.”
 
“Non ho problemi con l’inferiorità numerica.”
 
“Lo so. Lo so bene. Ma devi rimanere concentrato. Se esiterai, ci scaverai la fossa. Guardami in faccia e dimmi che sei ancora con me.”
 
Rumlow attese pazientemente che il super soldato alzasse gli occhi su di lui. Prima che ciò accadesse, lo osservò abbassare lo sguardo, stringere le dita attorno le ginocchia e far guizzare la mascella.
 
“Qual è la prossima mossa?” volle sapere Rogers arrivati a quel punto.
 
“Faremo incazzare Lewis ancora di più. Gli abbiamo tolto i fondi e l’intermediario al Governo. Non ci resta che spaventare i suoi fornitori.”
Brock sorrise in quel mondo sadicamente perverso che Steve conosceva ormai alla perfezione.
“Faremo terra bruciata di tutti i suoi fottuti appoggi.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Località sconosciuta
 
 
La rabbia gli stava facendo ribollire il sangue nelle vene. Aveva perduto la sua arma più potente. La piccola oneiriana prodigio era stata tramutata in cenere. Anthea aveva mandato in fumo i suoi piani con un inaspettato gesto autodistruttivo.
Eta era stata fondamentale nel processo di annientamento della volontà e nel controllo delle armi che ancora ne possedevano una di volontà. I soldati d’inverno si erano rivelati un’arma a doppio taglio, ma aveva ancora bisogno che sapessero pensare autonomamente affinché potessero sfruttare appieno le loro potenzialità. Il Raft era stato un successo incompleto. Avrebbero potuto mettere le mani su Rogers, invece era stato quel bastardo di Rumlow a metterci le mani sopra.
Non aveva previsto che Crossbones potesse mettersi in mezzo. Aveva sia la Mayers sia Rogers. Come se non bastasse, aveva minato irrimediabilmente le fondamenta che gli avevano permesso di lavorare indisturbato nell’ombra per mesi.
Tuttavia, Lewis poteva ancora ribaltare la situazione. Aveva abbastanza risorse e armi per mettere in ginocchio l’insignificante gruppo sovversivo dell’Hydra.
 
Li avrebbe schiacciati come le fastidiose formiche che erano.
 
Adam non aveva mai partecipato ad uno scontro in prima persona, non si era mai sporcato le mani sul campo di battaglia. Era sempre rimasto dietro le quinte e da lì aveva mosso i fili. Ora però desiderava ardentemente poter guardare in faccia i suoi nemici mentre andavano in contro alla loro disfatta, mentre morivano inermi. Desiderava ardentemente scendere sul campo di battaglia e il nuovo corpo lo avrebbe reso possibile. Qualcosa era cambiato dopo lo scontro con Anthea. Qualcosa si era risvegliato. Lo sentiva bruciare dentro e pervadere ogni singola cellula.
 
Era così inebriante e totalizzante.
 
Si sarebbe concesso un altro po’ di tempo per comprendere l’entità di quel cambiamento e, intanto, avrebbe atteso la prossima mossa di Rumlow.
 
Poi sarebbe andato a prenderli.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Note
 
Il frammento iniziale è estratto dalla canzone “Let You Down” dei Three Days Grace.
Un sentito abbraccio❤️
 
 
Ella
   
 
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