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Autore: Kanako91    15/10/2022    1 recensioni
Chi erano l’Esterling Nero e il Re Stregone di Angmar prima di diventare famosi come Nazgûl?
Come sono entrati in possesso dei rispettivi anelli?
Nove erano gli anelli dati agli Uomini e questa è la storia di due di loro, tra Númenor e l’Est della Terra di Mezzo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Khamûl, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Parte I. Il tenente - Capitolo 6. Sulle proprie gambe


Nomi utili:

Khamûl: futuro tenente dei Nazgûl (unico con un nome canonico)
Hurren: zia di Khamûl
Badem: secondo marito della zia di Khamûl
Rahamadi: generale haradrim, suocero di Khamûl
Harshani: moglie di Khamûl, figlia di Rahamadi
Samir: primogenito di Khamûl e Harshani
Ramaj: secondogenito di Khamûl e Harshani
Urri: terzogenita di Khamûl e Harshani
Hamed: quartogenito di Khamûl e Harshani
Farah: quintogenita di Khamûl e Harshani (da cui discende Khamûl IV in “Caccia Grossa nell’Est”)
Kusem: terzogenito di Samir
Gente del Sole: gli Esterling
Gente del Serpente: gli Haradrim
Doragzûl: grande città a Est della Terra di Mezzo
Vaharabadi: capitale dell’Harad e poi dei Regni del Sole
Uomini della Morte: i Númenóreani
Doragmalik: titolo per "Gran Re"
Regni del Sole: il grande regno nato dall'unione delle tribù di Rhûn e Harad
Sempregiovani: gli elfi che hanno rinunciato alla chiamata dei Valar e sono rimasti a Est della Terra di Mezzo (Avari)
Demoni pallidi: gli elfi partiti per l'Ovest e che abitano l'Ovest della Terra di Mezzo (Eldar o Amanyar)




6. Sulle proprie gambe




La morte di Harshani fu il primo segnale che per Khamûl il tempo non stava passando.

Fino a quel momento, i segni sul viso e sul corpo di lei non erano stati altro che abbellimenti per una donna che non gli era stata preziosa per la bellezza fuori da ogni canone. Però, dopo essersi ritrovato a stringerle la mano e baciarle le dita mentre pian piano la vita si spegneva nei suoi occhi, Khamûl si era guardato allo specchio per la prima volta in tanti anni: a parte un lieve dimagrimento, che aveva reso i tratti del suo viso più affilati e le solite ciocche bianche, non portava altra traccia del tempo.

Avrebbe potuto essere morto, anzi, avrebbe dovuto esserlo, visto che aveva superato l’età in cui era morto Rahamadi e che Harshani era più giovane di lui di quasi un decennio.

Eppure Khamûl sembrava persino più giovane dei suoi figli.

Non era certo che la cosa gli dispiacesse. Gli sguardi ammirati dei sudditi erano una soddisfazione troppo grande perché Khamûl potesse risentirsi del suo aspetto.

La giovinezza che si aggrappava a lui era la prova per tutti che Khamûl era il Doragmalik. Quasi fosse la carica stessa a conferire l’eterna giovinezza e i poteri che aveva dimostrato più volte.

Quando infine Samir morì di vecchiaia, Khamûl tirò un sospiro di sollievo. Si sarebbe risparmiato l’imbarazzo di lasciare il regno in mano sua.

Per fortuna, aveva badato a crescere suo nipote –il figlio maschio di Samir– come aveva reputato adatto al ruolo che gli sarebbe spettato. Il risultato, tutto sommato, lo soddisfaceva: Kusem aveva avuto già degli eredi, sapeva combattere, riusciva a tener testa ai suoi interlocutori nei consigli, e aveva una moglie con del sale in zucca.

Quei due non si sarebbero nascosti negli angoli per evitare di stare troppo al centro dell’attenzione. Non avrebbero avuto paura della loro stessa ombra. Sarebbero stati dei degni successori di Khamûl e Harshani.

Harshani che gli mancava, immensamente, e nessuno poteva lenirne la mancanza.

Nemmeno uno dei prigionieri che aveva preso come schiavo personale durante uno degli attacchi agli Uomini della Morte.

Poteva tenerlo con sé e sentirsi in pace con qualcuno che non invecchiava come chi circondava Khamûl, ma non c’era amore tra loro. Non c’erano scambi di consigli e riflessioni, per quanto lo schiavo ogni tanto osasse fare uso di quella sua lingua arrogante. Né c’era il rapporto sereno e affettuoso che aveva avuto con gli amanti della sua gioventù.

Era solo una lotta per il potere, in cui Khamûl aveva sempre la meglio.

Così come doveva essere.

Avere uno schiavo appartenente alla stirpe degli Uomini della Morte era un ricordo di come i Regni del Sole fossero più forti degli invasori dal mare.

Era una dichiarazione politica.

Ma quando Hamed si ammalò e morì per le complicazioni della malattia, Khamûl smise di trovare piacevole il tempo che non passava.

Si rese conto appieno che i suoi figli lo avrebbero lasciato. Che anche i suoi nipoti sarebbero venuti a mancare. E che lui sarebbe rimasto lì, a guardarli morire uno ad uno, mai sfiorato dagli anni che passavano, come il tempio al Signore di Tutto a cui inviava i loro corpi ad ardere per restituirli a chi li aveva creati.

Una sera, mentre Urri si agitava sul divanetto, su cui era stesa senza trovare una posizione comoda, le disse:

«Pensi che dovrei farmi da parte e lasciare che Kusem sieda sul trono al mio posto?»

Lei si fermò e lo guardò come se avesse detto un’ovvietà tale che non meritava risposta. Gli ricordava tanto Harshani, in quel momento,

Proprio come con Harshani, Khamûl non si fece intimorire e proseguì: «Ho paura che gli succeda qualcosa e che tutto il lavoro che ho fatto per prepararlo si riveli vano».

«Hai preso pure in carica i suoi figli, padre. Direi che tutto il lavoro di educazione che stai facendo andrà perduto solo se si verificherà una catastrofe che cancellerà la nostra intera famiglia in un sol colpo».

«Non dirlo neanche per scherzo».

Urri roteò gli occhi, proprio come aveva imparato da sua madre.

«Dopo aver perso il mio erede e non averlo neppure preparato a dovere, mi preoccupo. Mi sembra legittimo».

«Padre, Samir era pronto. Sei stato tu che non gli hai voluto cedere il posto. Non so cosa tu abbia fatto per restare così giovane –perché alle dicerie io non credo affatto, sei pur sempre mio padre– ma non ha aiutato Samir a dimostrarti un bel niente. Hai continuato a essere in forze, tanto che chiederti di farti da parte sembrava un insulto, e uno che non avresti preso bene».

Khamûl corrugò la fronte.

«Perché dovrei farmi da parte se ci sono ancora cose che posso fare? Se non reputo necessario delegare? Dopotutto siete miei figli, so di cosa ognuno di voi è in grado».

Urri inarcò un sopracciglio. Altra cosa imparata da sua madre.

«Samir non mi ha mai dimostrato di essere pronto. Ramaj, invece… se non fosse morto così presto, se fosse stato Samir a morire contro gli Uomini della Morte, avresti visto come mi sarei messo da parte per farlo regnare. Ma purtroppo non scegliamo i figli, né quelli che sopravvivono».

Urri aggrottò la fronte. «Non scegliamo neppure i genitori. E Samir non meritava quel che gli hai fatto. Hai soffocato qualsiasi sua ambizione dicendogli in modi diversi che non ce l’avrebbe mai fatta, che avrebbe dovuto misurarsi con te e che non sarebbe mai stato all’altezza.

«E non essere tanto convinto che, a ruoli invertiti, tu avresti ceduto il trono a Ramaj più volentieri. Tu rimani sul trono perché credi che questo renda il regno più forte e lo hai reso più forte. Sei una leggenda vivente. Ma allo stesso tempo il regno non reggerà a lungo quando deciderai di farti da parte, perché non ha imparato a fare a meno di te».

«Il regno non può fare a meno del suo Doragmalik».

«No, il regno non può fare a meno di te, padre. Non in quanto Doragmalik, ma in quanto Khamûl».

Dopo quella conversazione, Khamûl andò a letto ma come succedeva sempre da qualche anno a questa parte, il sonno gli sfuggiva del tutto e non ne sentiva nemmeno la mancanza.

Chiamò il suo schiavo, che arrivò davanti al suo letto e si inginocchiò per terra davanti a lui.

«Dimmi, nella tua terra natia, dove tutti avete una vita così lunga, come si avvicendano i re? Aspettate che uno muoia perché l’altro gli succeda?» gli chiese, girandogli intorno con le mani dietro la schiena.

Lo schiavo lo seguì con lo sguardo finché poté, poi emise un verso nasale.

«I nostri re lasciano lo Scettro all’Erede ben prima di morire. Arriva un momento in cui ritengono sia maturo un cambio di regno e si ritirano a vita privata, mentre il loro erede muove i suoi primi passi da re. Può essere utile per permettere alle diverse generazioni di consultarsi e guidarsi, e dimostra anche come si tenga più al regno che al proprio potere».

Khamûl gli raccolse i capelli in un pugno dietro la nuca e gli piegò la testa indietro, per guardarlo in viso.

«Mi stai dicendo che sono troppo attaccato al mio potere?» gli chiese.

«Stavo rispondendo alla tua domanda».

Quell’arroganza degli Uomini della Morte non falliva mai nel fargli ribollire il sangue nelle vene. Qualcosa che ormai poche cose riuscivano a fare. Al punto che teneva lo schiavo con sé perché era certo che avrebbe detto qualcosa di provocatorio che avrebbe fatto tornare a funzionare l’appendice troppo spesso inerte che aveva tra le gambe.

Ma quello era un segreto che non condivideva con nessuno. Neppure lo schiavo lo sapeva. Gli lasciava credere che le sue provocazioni gli causassero quella rabbia che sfogava imponendosi su di lui, ma la verità era che solo quel gioco –di cui solo Khamûl era consapevole– sembrava smuoverlo.

Così, alla fine, pensò e ripensò alle parole di Urri e a quello che lo schiavo gli aveva raccontato sulla sua terra natia. Al punto che un giorno chiamò a sé Kusem e gli pose la domanda delle domande:

«Ti senti pronto per regnare?»

Kusem deglutì, nei suoi occhi due risposte in conflitto: doveva dirgli di sì e dargli il dispiacere di farlo sentire di troppo, oppure dirgli di no e dargli l’impressione di essere uno sfaticato?

L’atteggiamento di Khamûl con Samir lo aveva segnato più di quanto avesse creduto. Era proprio vero che i bambini vedevano e capivano più di quanto fosse dato loro atto.

Alla fine, una sera, Khamûl si ritrovò a guardare Vaharabadi dal balcone della sua camera, la brezza che gli scarmigliava i capelli, e indossò l’anello.

Il vento smise di soffiare, le luci si attutirono, mentre per le strade e alle finestre intravedeva solo ombre pallide.

A pochi cubiti di distanza, la cupola del tempio bruciava più nera della notte.

Anche il primo Doragmalik si era posto simili problemi? Si era chiesto se lasciare il potere a qualcun altro e ritirarsi… a fare cosa?

Considerando la mancanza di eredi, il Doragmalik probabilmente non aveva nemmeno avuto la possibilità di porsi simili problemi.

Con cinque figli, che a loro volta ne avevano avuti almeno due a testa, e i suoi nipoti che stavano dando vita a nuove famiglie –con cui però non aveva forti i legami–, Khamûl era in una situazione ben diversa.

Stava perdendo il contatto con la realtà anche rimanendo al suo posto.

Forse… forse avrebbe dovuto fare come i re degli Uomini della Morte e ritirarsi a vita privata. Per quanto potesse essere privata la sua vita lontano dal trono: si era premurato che tutti riconoscessero la sua faccia, l’aveva fatta stampare sulle monete, aveva commissionato affreschi e tessuti con il suo volto. Era ovunque e non poteva aspettarsi di non essere riconosciuto e poter vivere il resto dei suoi giorni in tranquillità.

Il resto dei suoi giorni.

Dovresti lasciare l’anello per vedere la fine dei tuoi giorni, gli sussurrò una voce flebile nella sua mente.

Ma Khamûl non aveva intenzione di farlo. Kusem avrebbe regnato da solo, come Khamûl aveva fatto nel primo periodo. Dopotutto, lui aveva preso l’anello dallo straniero solo perché non aveva visto alcun futuro davanti a sé senza un qualche aiuto.

Kusem avrebbe ereditato i Regni del Sole stabili e sicuri, che aveva accettato l’unificazione e la guida di un nuovo Doragmalik, invece di troppi capitribù e signorotti locali.

Sarebbe stata quella la sua eredità per Kusem.

L’anello no.

L’anello era suo.

E con Khamûl se ne sarebbe andato.


* * *


Un giorno, Khamûl sparì dal palazzo.

Dapprima, le sue figlie –uniche superstiti– trovarono lo schiavo sgozzato sul tappeto della camera del Doragmalik, ma nessuna traccia del padre.

Poi giunse una tempesta di sabbia su Vaharabadi e non ebbero dubbi che si trattasse di un segno.

Dopotutto, Khamûl aveva raccontato loro degli eventi che avevano segnato la caduta del precedente Doragmalik. Se questa volta non era stato sconfitto in battaglia, poteva bastare una semplice tempesta di sabbia come segno dell’avvicendamento sul trono dei Regni del Sole.

Kusem prese il titolo che era stato di suo nonno e iniziò il suo regno come Doragmalik, per quanto a un’età piuttosto avanzata. Soprattutto paragonandolo a come era stato giovane il nonno quando aveva iniziato la conquista delle tribù divise.

Forse fu questo a far tornare gli Uomini della Morte sulle coste dei Regni del Sole: avevano fiutato la caduta del loro grande nemico ed erano tornati a esplorare e poi a colonizzare. Ma rimanevano sulle coste, non si addentravano troppo nell’entroterra e, di sicuro, non misero mai più piede nel deserto nelle Terra del Sole.

Mentre il nuovo Doragmalik si districava tra le lotte fratricide dei suoi parenti e gli attacchi dall’esterno, tra le Genti del Sole e del Serpente fiorirono numerose leggende sulla sparizione di Khamûl.

Alcuni dicevano che la tempesta di sabbia lo avesse condotto dal Signore di Tutto, che lo aveva preso a sé, e che ora Khamûl era parte dell’unico dio e da lì vegliava sulle sue Genti.

Secondo altri, si era dissolto nel deserto da cui era emerso per tornare quando ci fosse stato di nuovo bisogno di lui nei secoli a venire.

C’era anche chi riteneva che Khamûl fosse stato una divinità sin dall’inizio e che, a missione compiuta, si fosse semplicemente ricongiunto alla parte più grande di se stesso. La sua eredità erano quei figli quasi divini, che sarebbero rimasti alla guida dei Regni finché il sole non fosse tramontato per sempre a ovest.

Le leggende sulla fine di Khamûl erano innumerevoli, ma nessuna si avvicinò mai alla realtà.






Nota dell'autrice


E così, siamo arrivatǝ alla fine di Khamûl. Mi dispiace un po’ lasciarlo, ma dall’altro canto non vedo l’ora di condividere il mio scimmione di Angmar ♥️

Lo schiavo di Khamûl non mente sulle usanze númenóreane, peccato sia un po’ poco aggiornato, visto che proprio mentre Khamûl regnava nei Regni del Sole, Tar-Telperien tiene lo Scettro fino quasi alla morte e da lei in poi l’usanza dei Re di Númenor di lasciare lo Scettro prima della morte va sempre più scemando.
Gli ultimi Re a lasciare lo Scettro prima di morire sono Tar-Minastir e Tar-Ciryatan… ed è proprio loro che andiamo a trovare nella seconda parte di questa storia ;)

Grazie a chi ha seguito fin qui! Spero che la storia di Khamûl vi sia piaciuta e di ritrovarvi a dicembre con l’origin story del Re Stregone di Angmar!

Kan


   
 
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