Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    17/10/2022    0 recensioni
Prosegue la saga de “Le cronache dei draghi e dei re”, cominciata con “L'apprendista di fuoco” e continuata con “L'avvento dei Sette”. Il conflitto è ormai scatenato. Mentre le case nobiliari che governano l'occidente continuano ciecamente a misurarsi tra di loro, l'oriente è chiamato da solo al confronto con un nemico intenzionato ad estinguere l'intero genere umano. Sarà forse possibile sconfiggerlo utilizzando quell'antico e sopito potere chiamato magia? E al fine di utilizzare al meglio tale potere, è forse il caso che i sette maghi dell'origine vengano definitivamente annientati? È partendo da questi interrogativi di base che Constant della Casa Lannister sta infine preparando la sua guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13

LA VENDETTA DELL'ANDALO

 

 

 

Il primo Concilio Ristretto della regina reggente sul Trono di Spade: Sua Maestà Hana della Casa Lannister, al governo in nome e per conto del degente marito Gabryaerys Targaryen e del loro comune infante figlio, Lyoneth. Marcus non si trovava in una situazione simile da tempo immemore, praticamente da quando era ancora un ragazzino. Capitava di tanto in tanto che suo padre – e anche di Hana – re Lionel, li portasse a quelle riunioni, giusto per avere un po' d'intrattenimento, visto che notoriamente si annoiava a morte. E anche Marcus, a quanto rimembrava, lo faceva. Solo che adesso era il Primo Cavaliere della regina, in sostituzione di Constant con cui erano state intavolate delle trattative. E un Primo Cavaliere assisteva alle riunioni del Concilio Ristretto, anzi: sulla carta, le presiedeva e le convocava, anche se per quel consesso preciso ad occuparsi di queste mansioni erano stati la regina e i più competenti Lord Gushing e Gaholla.

Non erano solo loro quattro i convitati quel giorno, giustamente. C'era anche il Gran Maestro Irwin, un anziano e ricurvo signore che Marcus non ricordava di conoscere, e poi... il suo vecchio “amico” Sir Winston Cleghorn, l'uomo che più di tutti l'aveva vessato ai tempi in cui tutt'e due s'erano trovati alla Valle del Leone. E, per il grande disagio del principe Cavaliere della Chimera (e adesso Primo Cavaliere pro tempore), insieme a Cleghorn c'era anche Jasmina Tahorel; chissà con quale giustificazione...

Marcus e Jasmina non s'erano lasciati bene l'ultima volta, al loro incontro nelle Terre dell'Occidente. Marcus difendeva la causa di Constant, mentre Jasmina era stata inviata da qualcuno in alto nel Concilio di Gabryaerys, proprio a convincere Marcus e a fare in modo che quest'ultimo manipolasse il re Lannister perché lo scontro tra le due corone non avvenisse. Qualcuno sapeva che i due giovani erano stati in buoni rapporti alla Valle e pensava che Jasmina sarebbe stata buona per fare il lavaggio di cervello a colui che adesso ricopriva la carica di Primo Cavaliere. E quel qualcuno non poteva che essere Winston Cleghorn. Jasmina stessa, poi, ci aveva messo del suo – agli occhi di Marcus – abbracciando completamente l'idea di una pace che solo a Gabryaerys conveniva. Ma era inutile nasconderlo: per Cleghorn, Marcus provava da sempre un odio particolare. Ed era contento che adesso quel vecchio suino ricevesse finalmente quanto meritato. Marcus, d'altronde, era a conoscenza almeno in parte di ciò che la regina aveva deciso e stava per comunicare al suo Concilio.

«Cari amici», cominciò Hana. Aveva Marcus alla destra e Lord Gushing alla sinistra. «Il Concilio di oggi vuole essere una formalità atta ad avviare questo nuovo e comune percorso insieme. Come tutti sapete, le circostanze mi obbligano a prendere la reggenza, che lascerò non appena mio marito si sarà rimesso. Ma, per il momento, ho pensato di risolvere da me alcune cose che a mio giudizio non andavano, al fine supremo del bene per il Regno. E per cominciare: una riorganizzazione di questo Consiglio. Ora, in verità, molti di voi hanno già ricevuto un comunicato nel quale preannunciavo le mie intenzioni, e in particolare quando esse si riferivano personalmente al destinatario...»

«Sì, ecco, appunto, Maestà» fece il vecchio dalla barba bianchissima, subito mettendosi in piedi e attirando l'attenzione della sala, «mi domandavo se, per quanto riguarda il mio caso...»

«Io non ho concluso il mio intervento, Lord Willoughby»

«Ma lo capisco, Maestà! E tuttavia...»

«Tuttavia niente, Lord Senus. Sono la tua regina e tu mi farai ultimare quello che ho da dire». Era stato un momento un po' imbarazzante, ma non certo per colpa della regina, pensò Marcus. Anzi, sua sorella aveva fatto quello che era necessario: pretendere che quel vecchio non la prevaricasse, come molti anziani purtroppo tendevano a fare quando si rapportavano con qualcuno di più giovane. Brava Hana: aveva fatto valere le sue ragioni di regina. Era molto cresciuta e lui era fiero di lei. La regina dunque continuò: «Come avete modo di vedere, al mio fianco siede il nuovo Primo Cavaliere, mio fratello Sir Marcus Lannister dei Cavalieri della Chimera. Lui prenderà l'incarico altresì, su nostra concorde decisione, di Maestro delle Armi, andandosi così a sostituire al qui presente Lord Senus. Come Primo Cavaliere invece sostituisce Lord Tararus, che è stato avvisato e mediante una sua comunicazione... ha rinunciato quest'oggi ad apparire al suo congedo ufficiale dalla regina e dal regno che ha serviti. Anche tu, mylord della Breccia sugli Astri, sei dunque congedato. La Corona ti ringrazia per il tuo servizio e confida in una tua lunga e felice vita». A questo punto Hana sorrise con pazienza e attese la replica, che affatto tardò.

«Vostra Maestà, quello dell'amicizia tra la casata del nord che rappresento, quella di Uryon Worchester e quella di Sua Maestà vostro marito... è un legame ormai talmente consolidato, da non darmi difficoltà a esser definito “amicizia”. Sono ormai anni che, con diverse combinazioni, noi governiamo insieme il regno, e non credo affatto che né vostro marito e né l'intero nord considererebbe saggio ora gettare alle ortiche questi mesi di proficua collaborazione. Io vorrei che voi...»

«Sei stato chiarissimo Lord Senus, ma la premessa di questo incontro era che le cose sono cambiate. Non è più mio marito il tuo interlocutore per la Corona, bensì io. E quanto al nord... insistentemente si ripetono le voci che – sotto i colpi degli Applegate – la casata della stella del nord, la tua, sia ormai decaduta. C'è ancora Lord Uryon, è vero ma... il nord conta meno nel regno adesso. E conterà meno anche nel Concilio Ristretto della regina»

«Del re» disse una voce fino ad allora silente. Appartenente a qualcuno che Marcus non aveva notato. C'era un cono d'ombra all'angolo della stanza. A un certo punto, apparvero un paio d'occhi. E poi venne avanti lui: Lord Braff, vestito di viola scurissimo, ma con i suoi capelli e i baffi e il pizzetto tradizionalmente rossi. Il Maestro delle Spie proseguì: «Se sei reggente, Vostra Maestà, allora formalmente il Concilio rimane quello del re. Perdona la mia saccenza: un vecchio vizio da pedagogo. Ricorderai che ho fatto questo per gran parte della mia vita»

«Sì, Lord Braff, lo ricordo»

«Dunque quale trattamento riserverà alla mia persona il nuovo governo? Verrò anch'io brutalmente congedato come Lord Senus? Ho servito anch'io il re tuo marito, così come tuo fratello e vostro padre prima di lui»

«Tu mio fratello lo hai ucciso!» esclamò Marcus, non riuscendo a resistere al suo istinto di Andalo, e sguainando la spada.

«Marcus, stai calmo, per favore», lo trattenne sua sorella, «Questo è un Concilio Ristretto e tu sei il Primo Cavaliere»

«Già, il Primo Cavaliere» rise Lord Braff con tono provocatorio «uno che chiamano l'Andalo. Ci sarà da divertirsi. Per quanto mi riguarda, ho sempre messo le mie competenze al servizio di una cosa soltanto: il Regno. E di tutto mi si può accusare meno che di una cosa: che io non abbia agito – sbagliando magari – ma con l'intenzione di fare del bene al Regno»

«Lord Braff» riprese Hana «tu, come il Gran Maestro Adali Irwin, manterrai la tua carica. È questo che la Corona ha pensato essere il meglio nell'interesse del suo popolo e della sua nazione. È pure vero, tuttavia, che ho deciso di chiederti... una prova di fiducia particolare, di cui dopo parleremo»

«Maestà» chinò il capo Braff, e ritornò al suo posto presso il suo angolo ombroso.

Ancora una volta, la regina si ritrovò a riprendere: «Lord Gushing, qui, riprenderà la sua vecchia mansione di Maestro delle Leggi, anche in questo caso andandosi a sostituire all'uscente Primo Cavaliere Tararus. Lord Gaholla invece ricoprirà il suo vecchio ruolo di Maestro delle Strade e in più quello temporaneo di Maestro del Conio. Sono intenzionata ad assegnare a qualcun altro quest'ultimo incarico, ma in questo momento Lord Pamir ha gentilmente detto che si sente pronto a...»

«Maestà! Maestà! Maestà!», batté i pugni, visivamente irritato, il Lord dei Willoughby. Non ne voleva sapere di togliersi dai piedi, e quindi tornò a contestare: «L'edificio pubblico dove io risiedo qui alla Capitale è casa mia! Non permetterò che...»

«Che cosa non permetterai alla tua regina, Lord Senus, sentiamo?»

«No, un momento, Maestà, io non intendevo...»

«Già, mylord, tu mai intendevi: non è così? Sei solo un vecchio buono, che qualcuno giudicherebbe al massimo un po' tonto, assolutamente consegnato alla causa del nord e a niente oltre, non è vero?! Sai invece che cosa ho inteso io in questi mesi da regina consorte, e di tempo dedicato al mio Regno? Ho inteso che il veleno che assassinò mio padre, il nostro re Lionel, era un veleno piuttosto raro che non si trova da molte parti, se non nel nord del continente. Lo sapevi? Quello stesso nord da cui ti vanti e glorifichi di provenire tu, no?»

«Cosa? Ma Maestà: è scandaloso! Io non capisco niente di... veleni e intrugli vari, e per di più: non ero mica io il solo uomo del nord presente il giorno di quel tragico Concilio Ristretto in cui tuo padre perse la vita!»

«No. Ma sei il solo uomo del nord che è ancora qui tra noi, in questo momento, che i miei occhi possono ben vedere e le mie mani toccare: non è così, mylord della stella?»

«I-io... va bene, mi sa che adesso vado, visto che a quanto pare questo Concilio non è più il mio posto»

«Questa città non lo è più, Lord Senus. Salutaci le nevi perenni».

Il vecchio batté l'ultima volta il suo pugno, in verità non con troppa convinzione. Dunque diede le spalle e rapidamente lasciò la sala. Forse era l'ultima volta che la sua schiena ingobbita si sarebbe vista da quelle parti. Ma in quella sala rimaneva ancora qualcuno cui la regina non aveva rivolto la parola...

«Sir Cleghorn» disse quindi Hana rivolgendosi a colui che ora era il più vecchio attorno al tavolo «voi siete un Sir, non un Lord. Condividevate con Willoughby la mansione di Maestro delle Armi, e in più siete il capo di tutte le guardie della città, cavalieri semplici e... della chimera. Bene: avevate troppe mansioni, d'ora in avanti non vi preoccuperete più della carica di Maestro delle Armi, che sarà solo in capo al mio Primo Cavaliere. Mio fratello d'altronde, il vostro nuovo diretto superiore, è un Lord, figlio, fratello, cognato e zio di re. Questo è quanto»

«Sì, Maestà» recepì il vecchio Sir della Valle del Leone, che si alzò e fece per andare, seguito da Jasmina, ma non prima di lanciare uno sguardo al suo nuovo “superiore”, come aveva detto la regina. Lo stesso cui aveva fatto spalare la merda per troppi troppi mesi. «Lord Gran Maestro» continuò la regina «ti spiace lasciarci anche tu? Devo scambiare due parole solo con Lord Braff, Gushing, Gaholla e con il Primo Cavaliere»

«Certo, Maestà» replicò Irwin, e si dileguò.

«Lord Braff» fece dunque Hana «non c'è una cronaca che non ti descriva come il più abile Maestro dei Sussurri dai tempi di Lord Varys. Sei troppo indispensabile per questo regno e per la Corona che io rappresento, e per questo sei ancora qua, seduto in questo Concilio»

«C'è forse un “ma”, mia regina?»

«No. Ma tu hai ucciso mio fratello. E volevo sapessi che non lo dimenticherò mai»

«Non immaginavo nulla di diverso» ebbe la faccia tosta di replicare quello, anche sorridendo tra i baffetti, «Vostra Maestà»

«Allora c'è qualcosa che intendo chiederti: la tua prima mansione quale Maestro delle Spie della regina reggente»

«Tutto ciò che desiderate, Maestà»

«Uccidi Senus Willoughby. Fa' che non lasci mai vivo la Capitale. E... che comunque non vi rimanga a lungo. Voglio un lavoro pulito, invisibile, che non lasci tracce. Per questo mi rivolgo a te. L'uomo che ha ucciso mio fratello, ucciderà l'uomo – forse suo alleato – che ha ucciso mio padre»

«Maestà, io non sono mai stato alleato di quel bacucco. Voi mi offendete», Braff ghignò ancora.

«Sparisci adesso. Più ti guardo, più mi ricordi il giorno in cui mi desti una pozione, spergiurandomi che bevendola non avrei mai avuto un figlio dal drago»

«Hana: non capisco se questa è un'accusa... oppure un ringraziamento. L'intruglio non ha funzionato, vi chiedo scusa se ho provato ad aiutarvi. Ma vi dico “prego”, visto che ora il frutto di quell'errore è l'infante che tanto amate e per mezzo del quale ora rivendatei il trono e il capotavola a questo Consiglio». Dunque il Maestro delle Spie non disse altro, non attese replica. Marcus vide in effetti sua sorella sforzarsi di trovare rapidamente qualcosa, ma non fece in tempo. Anche Braff, come già gli altri convitati, sparì rapidamente dalla sala.

«Complimenti, sorellina» si lasciò dunque scappare Marcus, ora che in sala erano rimasti solo tra amici sinceri (loro due fratelli, più Gushing e Gaholla), «ho sempre saputo che questo tipo di mestiere faceva per te. Ma adesso... mi rendi orgoglioso»

«C'è tanto da fare» sorrise lei «e le cose o te le fai da solo... oppure te le fanno altri. E se poi non ti piace, trovo che tu non abbia alcun diritto a lamentarti»

«Parole degne di una regina»

«Sì, ma anche parole di tua sorella» dicendo questo, Hana gli sorrise con grande contentezza.

 

 

 

Il viaggio dalla Capitale alla più importante città dell'Altopiano fu per Gino come immergersi in un confuso e sfumato sogno. C'era nell'aria, attorno a lui; qualcosa che non era in grado di attribuire a nulla di preciso se non alla “magia di Lord Braff” e che rendeva le giornate in qualche misura... “annacquate”. Esisteva un cronoprogramma, che sulla carta stavano rispettando, e che prevedeva che Gino e la scorta di tre guerrieri-ombra che lo stavano seguendo, avrebbero dovuto essere in quel giorno a quella data ed in effetti era tutto confermato, tutto sotto controllo. Ma per qualche ragione era come se il tempo dentro il giovane Lord, differentemente da quello al suo di fuori, non stesse scorrendo affatto. Saranno state le fronde verdi dei boschi della Dodecapoli, tutte uguali a se stesse, anche se proprio lui – che tra quei boschi c'era cresciuto – avrebbe dovuto ben sapere che c'è fronda e fronda all'Altipiano, e radice e radice, e ramo e ramo. Ebbene tutta questa varietà Gino non la percepiva più. Percepiva solo uno scorrere vago, e un volto – quello di Jon Barthalo, il traditore – più che altro simbolico e anch'esso privo di connotazioni specifiche. Jon lo aveva tradito: era passato dal re Targaryen al re di Lannister – Constant – e s'era seduto ad Altogiardino come nuovo Lord. Stava affamando la Dodecapoli e doveva essere rimosso. Ma Gino si domandava se in effetti questa fosse la principale causa a muovere le sue azioni. Se non ci fosse qualcos'altro. Qualcosa di più sottile, invisibile e nascosto.

Avevano anche avuto l'opportunità di passare da Lungotavolo, ma Gino aveva pensato che non fosse una buona idea. Come non si fidava più di Lord Braff, ancor meno si fidava dei misteriosi aguzzini al suo comando: gli uomini-ombra, fedelissimi solo ed esclusivamente al Maestro dei Sussurri. Rapidi, silenziosi, ma che in pratica non esistevano al di là del loro mestiere. Gino non li aveva mai visti bere, mangiare o andare al gabinetto: l'unica cosa di “umano” che quei ragazzi esili ma letali facevano era riposare, ma tutte le volte che lo facevano il giovane Lord non poteva non pensare che stessero bluffando. Non era la prima volta che Braff lo circondava di quegli individui, qualcuno si era anche divertito ad addestrare il giovane Barron; di qualcuno Gino era anche diventato una specie di “amico”: come di Kellan, il primo capitano dei guerrieri-ombra con cui aveva avuto a che fare e che poi gli era morto davanti agli occhi nel corso della battaglia di Cowain. Sì, perché c'era un'altra cosa piuttosto umana che i soldati di Braff in effetti facevano: morivano. E poi parlavano: avevano una parlantina piuttosto precisa e piena di vocaboli. Ma non erano sconvenienti e giammai volgari. Degli ometti modello, come fatti con lo stampo, ideali agli occhi di un buon padre per farli sposare alle loro figlie. Non fosse che di mestiere facevano i sicari.

Ebbene, nonostante la grande tentazione, Gino decise di tirare dritto: di non riabbracciare il suo piccoletto lasciato a Peyra presso la corte di Lungotavolo, probabilmente travestito (e trattato) come un neonato del popolo. Non avrebbe rivisto ancora il suo piccolino, perché quando l'avrebbe rivisto entrambi sarebbero stati liberi e senza più nemici a minacciarlo. Però quanto gli fece male passare da quel bivio e non potersi soffermare neanche a riflettere, a proporre una scusa, un obiettivo mascherato, niente di niente. Decise semplicemente che era meglio di no e spronò il suo cavallo ad inseguire Callum e gli altri sicari di Lord Braff.

«Mylod Gino» gli fece a un certo punto Callum, rallentando il trotto del proprio baio e avvicinandosi a lui, «per Altogiardino si potrebbe fare ancora una pausa, riposare, e giungere al castello in mattinata: dopo l'alba intendo. Altrimenti, se tu non vuoi riposare: potremmo tirare dritto, spronare i cavalli e giungere oggi stesso più o meno verso l'ora del tramonto o poco dopo. Io suggerisco la prima alternativa: un'azione violenta richiede un buon riposo. Ma devi essere tu a decidere»

«Sì, va bene, Callum. Riposiamo. E domani ammazziamo quel bastardo».

Ma i sogni del giovane Lord della volpe non lo lasciarono per nulla sereno. Le stesse ombre e immagini fumose che aveva visto in quei giorni, continuavano a ripetersi anche adesso. Uomini, donne, tutti mescolati insieme prima nell'amore e poi nella morte. La guerra con tutte le sue vittime: dirette e indirette. Daessenya, morta di parto da sola a Castel Granito. Jon, che sarebbe morto l'indomani: Gino lo vide. Una lama che trapassava il petto del traditore da parte a parte; ancora una volta: una lama d'ombra. E poi il padre di Gino: il Lord di Lungotavolo, morto anche lui. Anche lui per mano di un'ombra. Per mano di Lord Braff.

Gino si risvegliò sudatissimo, anche se caldo non faceva. Si ritrovò in piedi, con davanti a lui – tutti mezzi nudi – Callum e gli altri due sicari.

«Lord Gino» disse Callum, un po' preoccupato in viso, «tutto bene?»

«Io... s-sì. Che ci faccio qui?» replicò, confuso, il giovane Barron. Si trovava infatti nella seconda tenda, quella dove non riposava lui bensì quelli che a tutti gli effetti erano dei suoi coadiuvanti.

«Non lo so» replicò ancora l'altro ragazzo, abbottonandosi il giacchino, «dimmi, sei forse sonnambulo, mylord?»

«Non che io sappia»

«Beh... sei appena entrato con uno sguardo un po' perso nel vuoto e... ora ci stai chiedendo cosa ci fai qui»

«V-vi... vi domando scusa»

«Non preoccuparti» Callum gli mise un braccio attorno al collo «è piuttosto normale farsi sopraffare dall'ansia, prima di un'impresa così importante. Bevi un po' di questa: ti agevolerà il sonno». Il giovane capo dei guerrieri-ombra gli allungò un'ampolla chiusa da un tappo di sughero e contrnente un liquido color caramello. «È dolce», specificò pure. Gino rifiutò; per qualche motivo adesso dormire non era più la sua priorità. Non voleva ricadere in quello strano e confuso incubo che lo aveva portato a fare cose che... la sua mente non aveva controllato.

«Stavamo un pochino ripassando il piano d'azione» continuò il giovanotto dallo scilinguagnolo fluente «richiederà un'agilità fisica non indifferente. Tu sei massiccio. Ti definiresti anche un tipo agile?»

«Beh, lento non sono...»

«Ma qui non c'è da correre una gara, c'è da scalare un castello. Non so se ti basteranno i muscoli delle gambe»

«S-sono resistente...»

«Ma non agile abbastanza, dunque? Temo che ci toccherà fare tutto il lavoro, ragazzi». A questo punto Callum rise. E gli altri due suoi sottoposti lo seguirono. Erano tutti efebici, avevano più tratti femminili che mascolini. Nessuno li avrebbe scambiati per guerrieri in mezzo a una folla pacifica. Li avrebbero presi solo per ragazzini, questo Gino pensava. E d'altronde anche lui non era molto altro: un ragazzino da troppo tempo prestato al gioco della politica.

«Il lavoro?» fece ancora Gino, confuso.

«Sì. Uccidere Jon Barthalo. Ucciderlo penetrando nelle sue stanze, senza scomodare alcuna guardia»

«È imp... impossibile»

«No, che non lo è. Tu... hai ricevuto un addestramento da guerriero-ombra un tempo, non è così mylord?», per un motivo che Gino non capì, tutt'e tre i suoi compagni risero ancora. Si decise a bere un po' di quell'intruglio. Non sapeva perché. Poche cose avevano avuto senso nel corso di quel viaggio. Ancora meno nel corso di quella notte.

Rispose: «Sì, è così»

«E ti ricordi più o meno quello che hai imparato?»

«Mah, sì: alcuni trucchetti di rapidità. Nel modo di gestire alcuni movimenti. Nel modo di impugnare una lama. È stato utile»

«Utile, ma non sufficiente»

«Non l'ho mai considerato tale»

«Perché Lord Braff si rifiuta di condividere con te i veri segreti dell'ombra. Eppure la tua vicinanza a lui – o la sua a te – ha inevitabilmente compromesso la tua natura, ormai»

«Che cosa vuoi dire?», Gino bevve un altro po' di quella robaccia disgustosa, dolce e amara insieme.

«Il potere dell'ombra è andato al di là del controllo perfino del suo maestro stesso. È un'energia vitale, vecchia di migliaia e migliaia di anni. Noi possiamo percepirla. Anche dentro di te. È contrastata, spezzata. Il tuo animo razionale cerca di opporsi, ma noi ci chiediamo... per quanto a lungo potrà farlo?»

«Opporsi... al potere dell'ombra?»

«Sì, mylord. Braff non te lo dice, ma esso ormai scorre dentro di te. Perché lui ti ama. Come ama tutti noi. Come ama tutte le cose in cui può scendere una tenebra»

«Mi sembrano un mucchio di stronzate»

«Lo vuoi vedere?»

«Che cosa?»

«Il potere dell'ombra che scorre dentro di te. L'eredità volontaria e involontaria di Lord Braff». Gino non rispose. Si chiese che cosa diavolo ci fosse dentro a quell'intruglio che quei sicari gli avevano passato: ma davvero bevevano quella roba? Lui ne aveva bevuto due sorsi e già si sentiva mezzo ubriaco. Ma nonostante tutto continuava ad avere un pensiero lucido. Pensava lucidamente che tutti quei discorsi avessero davvero poco senso. Tuttavia Callum non desistette. Si sedette accanto a lui, estremamente vicino. Gli prese la mano con le sue mani. Dunque disse: «Concentra il tuo sguardo sulla punta delle tue dita. Le vedi sì?»

«Sì, certo»

«E... senti la mia presenza qui accanto? Le mie mani che sfiorano le tue?»

«Sì»

«Cercherò di dare solo un piccolo impulso per risvegliare la tua energia, d'accordo?»

«Eh?»

«Vedi quella pesca? Lì sul tavolo?»

«Sì»

«Adesso... direzioniamo le nostri mani, e in particolare la punta della tua mano verso quella zona. Ci sei? La vedi bene?». Gino vedeva bene la pesca. In alto, a una decina di piedi da lui. Lui era seduto per terra, come Callum e tutti gli altri.

Rispose: «Sì»

«Bene. Ora ti chiedo di concentrarti solo sullo spazio tra te e la mela. Ci sei?»

«Sì»

«Ok. Ora abbattila, Lord Gino. Senza alzarti in piedi, colpisci la pesca. La voglio vedere schiantare per terra»

«I-io... io non capisco»

«Guarda con attenzione la punta delle tue dita». Gino guardò. Era come diceva Callum: c'era qualcosa che scorreva in lui. Il potere dell'ombra si stava manifestando. Un'ombra grigio-violacea ballonzolava fiocamente all'estremità della sua mano, presa tra le mani di Callum. Un'energia. Un'energia oscura.

«È impossibile» si meravigliò.

«No che non lo è» sentenziò Callum «tu sei una creatura strana, mylord. Non sei né Lord Braff né noi, che di Lord Braff siamo i servi. Sei una terza cosa, una che neanche noi sappiamo definire. Ma ciò non ti libera dal suo potere. Ora: abbatti la pesca»

«Cosa?»

«Concentrati sulle vibrazioni oscure alle tue estremità, e colpisci quella pesca!»

«C-cosa?»

«COLPISCILA!» gridò quindi Callum, e Gino lo fece. Un'ombra oscura si dilatò da dentro il suo corpo, fuoriuscì dalla sua mano e si diresse verso la pesca. Lui la vide benissimo, nonostante il chiaroscuro dovuto alla luce fioca delle candele in quella tenda. Un colpo scosse il frutto, che insieme venne sia sbalzato dalla tavola che in pratica sminuzzato in più parti. Gino guardò basito quel suo nuovo temporaneo maestro. «Sì» gli confermò quello «non molto preciso ma evidentemente all'altezza. Tu sei quasi un guerriero-ombra, mylord. Che ti piaccia oppure no. E adesso dormi».

E all'istante il giovane Lord di Lungotavolo si addormentò. Forse in preda agli effluvi di quella strana pozione che gli avevano fatto bere e che di sicuro non era vino. O forse confuso dalle mille cose fantastiche che un po' aveva visto e che un po' la voce tagliente di Callum gli aveva raccontato. Fatto stette che cadde in un sonno profondo. E questa volta un sonno tranquillo, in quanto completamente senza immagini di alcun genere. Un sonno senza sogni.

 

 

 

Accadeva che una volta riorganizzato un Concilio Ristretto del re (o della regina), si riunissero i vertici dei singoli apparati amministrativi per conoscere la nuova politica di governo e i nuovi governanti. Questo poteva succedere o il medesimo giorno del consiglio, oppure nelle ore a seguire. Nel caso del nuovo Primo Cavaliere ad interim e Maestro delle Armi Marcus della Casa Lannister, quasi fin da subito venne convocata un'adunanza d'urgenza di tutto il corpo militare cittadino e reale. Marcus aveva tutta l'intenzione di mettere le cose in chiaro fin da subito; far vedere chi comandava. Gli fece un certo effetto l'osservare che tra chi veniva considerato un “capo” del corpo militare, ci fossero anche alcune di quelle creature mezze bestie, ma in effetti non poté dirsi così sorpreso della cosa: quell'armata portata per la prima volta alla Capitale dal re Naharis, era ormai da mesi diventata una parte fondamentale delle forze di difesa del regno, come la guardia cittadina di Roccia del Re e i Cavalieri della Chimera, ormai praticamente quasi tutti di stanza a Westeros.

«Ho sentito dire» cominciò a mentire Marcus, seduto al capotavola, «che da quando il re Naharis s'è insediato sul trono, l'esercito regio – ormai consideratosi vittorioso e dunque non più minacciato da nemici alcuni – abbia iniziato a prendersela comoda. A occupare i suoi membri facendoli girovagare per le strade in cerca di gozzoviglie, pure se sempre a spese della Corona. Le malelingue al di fuori delle porte della città, sussurrano che i soldati si siano tutti accomodati. Che si siano ingrassati e a colpo d'occhio... invecchiati», in questo momento il giovane principe cavaliere non resistette dal lanciare uno sguardo carico di significato all'uomo che più in quella stanza suscitava il suo odio: il grasso Sir Winston Cleghorn, l'uomo che per lungo tempo lo aveva vessato alla Valle del Leone, trattandolo in pratica come l'ultimo degli sguatteri. Marcus non aveva mai dimenticato quegli anni durissimi della sua vita: i peggiori. E quelli in cui non sarebbe mai riuscito ad andare avanti, senza l'appoggio di qualche amico – giovane e vessato come lui (vessato perché giovane) – e poi di Sir Rabastan Merrin, che purtroppo ora era morto, e... di Jasmina, la cerusica delle chimere. La ragazza che ora era lì presente, uguale per certi aspetti del suo corpo, ma così diversa nella luce dello sguardo e negli atteggiamenti...

«Ebbene vi annuncio» continuò a mentire spudoratamente Marcus: non aveva idea di che cosa stesse dicendo, «che il nuovo Primo Cavaliere, che io qui sostituisco, Constant della Casa Lannister, non è uomo che permetta che le difese di un regno rimangano assopite in attesa che una minaccia a sorpresa le risvegli, le tramortisca e dunque le annienti. Come per esempio quello che è accaduto con quel “drago di luce”. D'ora in avanti, sotto il mio comando, l'addestramento sarà costante. L'armata totale del regno si muoverà sempre e in ogni caso come se stesse per scoppiare la guerra della vita. E questo significa che la pacchia è finita. E che un rinnovo è necessario in tutti i vertici di comando. Ho già avuto modo di consultarmi con parte dei capi di ciascun ordine» – questo era vero – «e ho dunque decretato che Sir Gymondias prenderà ora la guida della guardia cittadina» applausi, felicitazioni, «Sir... Rhabàno? È così che si pronuncia? Prenderà quella dell'armata degli uomini bestia» applausi, felicitazioni, «E Sir MacNeil prenderà quella dei Cavalieri della Chimera». Silenzio assoluto. Cleghorn si alzò, guardò Marcus con aria di sfida. Dopodiché si avvicinò a Sir MacNeil e, stringendogli la mano, gli fece i suoi complimenti. «Se tu pensi» fece dunque con la sua voce rocciosa, rivolto direttamente a Marcus, «giovane Lannister, che io faccia ora una qualche scenata di modo da darti la ragione per cacciarmi fuori, allora temo che tu abbia preso un granchio enorme. Mi stai squalificando nonostante i miei numerosi anni di servizio: va benissimo. Ti dimostro di saper fare qualcosa cui tu non sei mai stato portato. Starò al mio posto. Andrò dove il mio superiore mi richiede. E farò ciò che egli mi comanda»

«È un piacere sentirtelo dire, mio Sir» replicò Marcus, liberandosi nel più sfavillante e sincero dei suoi sorrisi, «Proprio un piacere. Specie perché, nel tuo caso, l'avvicendamento con un comandante di reparto più giovane non significa un mero scostamento di carriera. Ma una promozione. Vieni con me, mio Sir. Anzi, che vengano tutti i comandanti – appena destituiti o i loro successori – affinché testimonino il grande evento. Vieni con me, Cleghorn».

Dicendo queste ultime parole, il principe Marcus si diresse fuori dalla stanza. Era il comandante supremo delle armate del regno ormai: tutti quelli a cui lo aveva chiesto, eseguirono il suo ordine e gli andarono dietro. Scendendo un paio di rampe di scale, Marcus uscì da un edificio ed entrò in quello adiacente: il palazzo che a Roccia del Re accoglieva i Cavalieri della Chimera. Probabilmente Cleghorn, e forse anche Jasmina che decise pure di seguirlo, capirono bene quello che stava per succedere. Forse anche lo stesso MacNeil aveva intuito qualcosa. Il gruppo di circa una dozzina di persone scese giù verso quella che alla Valle del Leone Marcus aveva imparato a chiamare “la gabbia”. Non che tutte le chimere – per norma ed esigenza – non fossero in verità rinchiuse in gabbie. Ma ciascuna nella sua. Quella invece era un unico grande ammasso di ferraglia, situato al di sotto di tutte le altre gabbie e ad esse connesse mediante una serie di buttatoi e poi una complessa ragnatela di larghi e spessi tubi. Era il luogo dove si concentrava tutta la merda degli animali. Era in questo modo che si custodivano delle chimere, così da che mondo era mondo andavano costruiti i luoghi che dovevano ospitarle. A Roccia del Re come alla Valle, nel lontano Essos.

«Questo cacatoio è un po' troppo zeppo, mio Sir, non trovi?» riprese Marcus «Che, forse, sotto il tuo comando la pulizia della gabbia non è stata più un'esigenza determinante?»

«No, mio Lord» rispose Cleghorn fra i denti, «Forse... abbiamo avuta un po' di carenza di personale»

«Che strano» replicò ancora il principe, beffardo, «ad ogni modo, potrai comunque ovviare da questo momento in poi. Sei ufficialmente nominato custode della nettezza del palazzo delle chimere. Prendi pure qualcuno che ti dia una mano: due o massimo tre cadetti. Non di più: servono in altre mansioni. Nel frattempo, mio Sir» Marcus prese una pala e un grosso sacco vuoto, li diede al vecchio e concluse: «la questione è urgente, come si può ben vedere. Ci penserai da te»

«Piccolo figlio di...»

«Ti ho sentito dire, poc'anzi, che tu rispetti i ruoli. Non smentirti, non ti converrebbe. E ora... buon lavoro!», e con una pacca Marcus spinse Cleghorn verso il dentro della fetida struttura. Quindi si allontanò, pur rimanendo sempre in quell'area dell'edificio delle chimere. Intimò tutti coloro che l'avevano seguito a lasciarlo, meno che Jasmina. Quando tutti se ne furono andati, il principe rivolse dunque un sorriso pieno di soddisfazione alla ragazza cui aveva dato il suo primo bacio.

«Ti vedo soddisfatto» constatò lei.

«Sì. Tu non la saresti?»

«Hai condannato un vecchio grasso e curvo a un lavoro per giovani aitanti. Che c'è da essere soddisfatti?»

«Quello non è un docile vecchietto. È il più grosso stronzo che infangava il nome dei Cavalieri della Chimera alla Valle del Leone, quando noi eravamo ragazzini. Ti se dimenticata anche di questo...»

«Non mi sono dimenticata. Sono solo una abituata a constatare le cose come stanno. E non riesco a capire il come condannare lui ai tuoi stessi patimenti di una volta, possa in qualche modo... risolvere alcunché. Proprio: non ci vedo nessuna logica»

«Però vedevi una logica nel difendere la causa del re usurpatore. E come è finita quella tua battaglia?»

«Io difendevo la causa della pace, Marcus. In tutta franchezza, chi sia seduto sul Trono di Spade – almeno fino ad oggi – è una cosa che non ha mai influito granché sulla mia vita. La pace invece sì. La pace piuttosto che la guerra»

«Servirai quindi mia sorella come hai servito Gabryaerys?»

«Io ho servito solo le chimere. E basta. E continuerò a servire solo loro e basta. Tuttavia, mi pare di aver capito che la regina sia solo una reggente. Che il re sia convalescente e che, quando tonerà in forze, lei si farà da parte. Ho capito male?»

«No» chiuse Marcus, colto un po' alla sprovvista, «è così».

Con un cenno del capo, la ragazza fece come per salutare il suo comandante e andarsene via. Lui le bloccò l'accesso alla porta d'uscita. Disperato fece: «Che cosa ci è successo, Jasmina? Una volta, eravamo felice e appassionati. Ci amavamo, una volta»

«Sono successi gli anni, principe» rispose lei, fredda come una lama, «e tutte le cose che attraverso gli anni sono accadute. Io non sono più la ragazza della Valle e, checché tu te ne possa accorgere, neanche tu lo sei. Sei... una specie di nobilotto vendicativo e infelice. Anche alla Valle, di tanto in tanto, provavi frustrazione ma... era come se, comunque, avessi una prospettiva davanti a te. L'orgoglio dell'Andalo illuminava i tuoi occhi. Ora... mi sembri uno come tanti. Anzi, forse anche un po' peggio»

«Io non ti permetto...» balbettò Marcus, ma non aveva niente da dire. Provò a baciarla. Lei si scansò, guardandolo quasi con pietà. Con due occhi che Marcus avrebbe paragonato a quelli di qualcuno che non prova timore per quello che sta succedendo. Solo pena. Lui, fulminato, non se la sentì di andare oltre. Non era giusto. Forse Jasmina aveva ragione: lui non era più l'Andalo. L'Andalo non sarebbe mai scaduto in quel quasi gesto disperato che stava per compiere e che non aveva più compiuto. L'Andalo trovava un motivo di sorridere anche nei momenti di più tragico sconforto. Di lottare anche nei momenti di sconfitta. Chi era adesso l'uomo che aveva quasi baciato una donna, senza permesso? Senza che anche lei lo volesse. Non lui.

Il principe si ritrasse dunque, e chinò il capo. Jasmina abbandonò quindi subito la stanza. E Marcus rimase lì. Con il lezzo del materiale escrementizio lì vicino a pizzicargli le narici e i lamenti di quel povero vecchio messo lì a spalare, a fargli da compagni.

   
 
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